Trivelle, referendum 17 aprile
Legambiente: “Dopo aver puntato sul silenzio, ora Renzi punta sull’astensione.
Il suo partito inviterà gli italiani a non recarsi alle urne. Scandaloso”
“E’ scandaloso che il partito democratico si sia iscritto tra i soggetti politici che faranno campagna per l’astensione al referendum del 17 aprile. C’è qualcosa che non funziona nel fatto che il partito del presidente del Consiglio inviti pubblicamente gli italiani a non recarsi alle urne”. Così Rossella Muroni, presidente di Legambiente, sull’iscrizione del partito democratico nell’elenco dei soggetti politici che intendono partecipare alle tribune politiche e usufruire degli spazi per i messaggi autogestiti sulle emittenti private, comparsa ieri (ultimo giorno utile) sul sito per l’Autorità garante per le comunicazioni.
Che al governo questo referendum non piaccia non è cosa nuova. Un chiaro segnale è già arrivato dalla scelta della data del 17 aprile, con tempi strettissimi per informare i cittadini sul quesito, e dal rifiuto di optare invece per un election day che, accorpando il referendum alle elezioni amministrative, avrebbe lasciato più tempo per coinvolgere gli italiani e consentito un risparmio non indifferente di 360 milioni di euro alle casse dello Stato.
Ora, però, la posizione del governo non è più solo un’impressione. E l’intenzione di ostacolare una consultazione democratica così importante come un referendum popolare è dichiarata: il Partito democratico sui mezzi radiotelevisivi inviterà ufficialmente gli italiani a non presentarsi alle urne.
“Anche noi - prosegue Rossella Muroni - avremmo preferito che questo referendum non avesse luogo. Per evitarlo sarebbe bastato un intervento del governo che andasse incontro alle richieste delle Regioni che hanno promosso la consultazione. Ora, dopo la carta del silenzio sull’indizione del referendum e la valenza del quesito, si gioca quella dell’astensione. Evidentemente spaventa il lavoro d’informazione che, faticosamente, il fronte del Sì sta portando avanti sul territorio sull’assurdità di togliere la scadenza alle concessioni già rilasciate per l’estrazione e la ricerca di gas e petrolio nel nostro mare entro le 12 miglia, per dare agli italiani la possibilità di scegliere con conoscenza di causa. Noi – conclude la presidente di Legambiente - al governo continuiamo a chiedere dov’è il piano energetico nazionale che ci consentirà di rispettare gli impegni internazionali sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica e di andare verso un futuro 100% rinnovabile. Magari ora il Pd ce lo dirà in tv”.
L’ufficio stampa Legambiente 06 86268399 – 76 - 53
Cinque anni dopo la straordinaria vittoria referendaria del movimento per l’acqua, Partito Democratico, governo Renzi e ministro Madia tentano un doppio affondo per chiudere definitivamente l’anomalia di un pronunciamento democratico dell’intero paese, frutto di un’esperienza di partecipazione dal basso senza precedenti e di un’alfabetizzazione sociale che ha imposto il paradigma dei beni comuni contro il pensiero unico del mercato.
Nei prossimi giorni la legge d’iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua, presentata con oltre 400.000 firme nel 2007, approderà nell’aula parlamentare: vi arriverà, tuttavia, con una serie di emendamenti, portati avanti dal Partito Democratico, che ne stravolgerà il testo e il significato, eliminando ogni riferimento alla ripubblicizzazione del servizio idrico integrato e alla sua gestione partecipativa, che ne costituivano il cuore e il senso.
E’ bene che il PD sappia fin da subito che tutto questo non solo non viene fatto nel nostro nome, ma che è un’espressione di disprezzo della volontà popolare chiara, netta e senza ritorno.
E, mentre in Parlamento si consuma questa ignobile farsa, è finalmente disponibile il Testo Unico sui servizi pubblici locali, decreto attuativo della Legge Madia n. 124/2015.
Tuttavia, mentre il comma c) dell’art. 19 della legge cosi recita: “individuazione della disciplina generale in materia di regolazione e organizzazione dei servizi di interesse economico generale di ambito locale (..) tenendo conto dell’esito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011”, ecco quali sono le finalità dichiarate del decreto attuativo, così come riportate nell’analisi di impatto allegata:
a) ridurre la gestione pubblica dei servizi ai soli casi di stretta necessità;
b) garantire la razionalizzazione delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali, in un’ottica di rafforzamento del ruolo dei soggetti privati.
Il decreto è un vero e proprio manifesto liberista che - art. 4, comma 2 - promuove “la concorrenza, la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione
Leggi tutto: Acqua sotto attacco: fermare Renzi e Madia! - di Marco Bersani
Comunicato Stampa
(14 marzo 2016)
Anche a Faenza il Comitato per il No alla riforma costituzionale Boschi-Renzi
In vista della campagna referendaria che ci porterà al Referendum di ottobre il COMITATO PER IL NO alla riforma Costituzionale Renzi –Boschi - che sta per essere definitivamente approvata dal Parlamento, nonostante le aspre critiche mosse da numerosi giuristi e costituzionalisti - muove i suoi primi passi anche a Faenza.
È promosso dal Comitato di Faenza per la Valorizzazione e la Difesa della Costituzione e dalla Sezione Cittadina dell’ANPI, sulla base della mozione approvata all’unanimità nel proprio congresso, ma soprattutto da un numeroso gruppo di cittadini che hanno già fatto la scelta di attivarsi per incidere su una così importante decisione che riguarda da vicino tutto il popolo italiano, unico titolare legittimo della sovranità.
Fra le prime adesioni di Associazioni che sono pervenute segnaliamo quella del Circolo Legambiente “Lamone” di Faenza
Ci sono singole personalità che, in molti casi, hanno partecipato alla campagna referendaria del 2006 che portò alla sconfitta della riforma voluta dal Governo Berlusconi : insegnanti, attivisti in associazioni culturali e di impegno civile, professionisti, sindacalisti, docenti universitari, ma anche tanti semplici cittadini (consapevoli e democratici).
La nostra Costituzione prevede il referendum come mezzo efficace e diretto di partecipazione alla vita democratica.
Per questa ragione intendiamo attivarci in prima persona, perché la Costituzione non è faccenda governativa, e il referendum costituzionale non può essere spacciato come espressione plebiscitaria sull’azione del Governo.
A fronte della propaganda fuorviante di questi mesi, noi lavoriamo per un’informazione capillare e trasparente, perché essere informati è la condizione necessaria per decidere in piena coscienza e libertà.
Durante la nostra campagna informativa raccoglieremo le firme per la richiesta del Referendum oppositivo alla Riforma Costituzionale e per quello abrogativo della Legge Elettorale denominata “ Italicum “. La presentazione del Comitato faentino per il NO alla cittadinanza avrà luogo a Faenza
Mercoledì 23 marzo alle ore 20,45
presso la Sala del Rione Verde Via Cavour, 37 a Faenza
“Riforme costituzionali: vogliamo la repubblica non un principato!
con la partecipazione del prof. Francesco “Pancho” Pardi,
componente del Direttivo del “Coordinamento per la Democrazia Costituzionale “.
Chiediamo alla stampa la massima collaborazione nell’informare la cittadinanza.
Sito ufficiale: www.salviamolacostituzione.ra.it Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Apprendiamo, non senza stupore, da un comunicato a firma dei sindaci di Reggio Emilia, Torino e Genova che i soci pubblici di Iren si apprestano ad introdurre il voto maggiorato e di conseguenza, privatizzare la società.
Solo pochi giorni fa in occasione dello sciopero unitario effettuato con successo dalle lavoratrici e dai lavoratori di Iren, le rappresentanze sindacali sono state ricevute dagli amministratori pubblici dei comuni di Reggio Emilia, Parma e Piacenza e in tali sedi i sindaci o chi per essi, oltre a manifestare la vicinanza alle ragioni della protesta sindacale, nulla hanno ritenuto di dover anticipare circa le scelte relative alla privatizzazione del gruppo Iren.
Inoltre considerati i tempi previsti per l’approvazione da parte dei consigli comunali delle modifiche statutarie, a partire dalla metà del mese in corso, senza che ad oggi sia stato divulgato documento alcuno, è evidente la volontà dei maggiori soci pubblici di evitare qualsiasi confronto nel merito della decisione presa, non solo con le organizzazioni sindacali, ma soprattutto da parte delle proprie comunità e forse anche dei piccoli comuni azionisti.
Probabilmente memori di quanto successo nell'analogo caso verificatosi lo scorso anno nell'altra utility regionale hanno deciso di sacrificare trasparenza e confronto politico, che dovrebbero sempre caratterizzare l'agire delle istituzioni elettive, per privilegiare, come sicuramente argomenteranno, il mercato.
Il comunicato dei sindaci informa altresì della volontà di chiudere l'esperienza dei sub patti territoriali per addivenire ad un unico sub patto infra regionale, tra l'altro già in essere. Quindi in realtà l'unico obiettivo consiste nel chiudere l'esperienza dei patti territoriali, cioè l'unico strumento di partecipazione diffusa dei comuni azionisti alle scelte della società e l'accentrare il potere nelle mani dei sindaci dei capoluoghi di provincia.
L'esperienza però ci dimostra quanto l'istituzione dei patti territoriali tra i soci pubblici sia essenziale e indispensabile per assicurare il necessario coordinamento tra gli azionisti e la società ed evitare che il management instauri, come purtroppo avviene, rapporti qualitativamente diversi tra grandi e piccoli azionisti/pubbliche amministrazioni.
L'unica nota positiva in tutta questa vicenda è per ora rappresentata dalla volontà del Comune di Parma di rientrare nel patto di sindacato che governa la società, dopo esserne uscito per la necessità di cedere le proprie quote azionarie per fare fronte all'ingente debito del comune, ma anche in contrapposizione al management ed agli altri azionisti della società in relazione all'accensione dell'inceneritore.
Non c'è dubbio alcuno che il rientro di Parma nel patto di sindacato di IREN rafforzerà la componente pubblica della società, destinata però in futuro ad essere nuovamente modificata per effetto dei nuovi equilibri all’interno della compagine azionaria, che si determineranno principalmente dall'espansione territoriale in atto nel nord-ovest.
Nel merito dei provvedimenti che i principali azionisti si apprestano a porre in essere, con la modifica dello statuto da parte del consiglio comunale di Reggio Emilia, previsto probabilmente entro il mese di marzo, prenderà avvio il percorso per la introduzione del voto maggiorato che permetterà ai soci pubblici di mantenere il controllo della società con una quota azionaria di minoranza dell’intero capitale sociale.
Inoltre, come si è già verificato in altre società, a seguito delle modifiche statutarie, i comuni soci venderanno al mercato le azioni non vincolate e Iren diventerà di fatto un’azienda privatizzata. Se gli azionisti pubblici ridurranno, come annunciato, la quota di proprietà della società sotto il 51% significa che i privati deterranno la maggioranza dell'azienda.
Il mantenimento del controllo della società attraverso il voto maggiorato, il sindacato di blocco e le clausole previste per evitare le scalate ostili o poteri di veto da parte delle minoranze, non potranno compensare la perdita della maggioranza pubblica della società. Infatti questi accorgimenti non saranno sufficienti a contrastare gli effetti concreti della privatizzazione della società a partire dall’aumento della pressione tra interesse pubblico e profitto, per cui Iren dovrà garantire maggiori utili al mercato, più interessato ad una remunerazione del capitale nel breve periodo. Ciò comporterà una riduzione degli investimenti, ulteriori processi di compressione dei costi e esternalizzazione, che peggioreranno le condizioni di lavoro, la qualità del servizio e i settori con minore marginalità potrebbero essere ridotti.
Inoltre operando come gestore di parte del mercato regolamentato dell'Emilia Romagna e delle province di Torino e Genova si potrebbe compromettere l'equilibrio tra comuni, gestore e regolatore, già oggi non privo di problemi, favorendo un ritorno delle frammentazioni passate. Verrà ceduta una parte rilevante del patrimonio pubblico delle comunità e verranno anche meno le risorse dei dividendi - che andranno in maggioranza ai soci privati - indispensabili per finanziare la spesa sociale.
Per la Cgil la difesa del 51% non significa né la difesa della società per come ha operato fino ad oggi, né il mantenimento dello status quo: se l'azienda continuerà a distribuire molta parte degli utili non investirà adeguatamente e non si svilupperà.
E’ invece indispensabile che Iren rafforzi la propria vocazione come veicolo di politica industriale innovativa e di sviluppo del territorio e per questa ragione è essenziale mantenere la proprietà pubblica.
E’ necessario che l'azienda assolva una funzione anticiclica nelle situazioni di crisi attraverso l’allargamento del perimetro delle attività come: il riciclo e riuso dei rifiuti per promuovere l’economia circolare; l'innovazione energetica per accompagnare i piani comunali dell'energia; gli interventi contro il dissesto idrogeologico, le bonifiche.
Vincenzo Colla Segr.Gen.CGIL E.R
Guido Mora Massimo Bussandri Gianluca Zilocchi
Segr.Gen.CdLT Reggio E Segr.Gen.CdLT Parma Segr.Gen.CdLT Piacenza
Bologna, 11 marzo 2016
Nell'ambito delle iniziative contro i pericoli di guerra, che si svolgeranno il 12 marzo in diverse città, tra cui Faenza,
pubblichiamo alcuni approfondimenti:
12 marzo 2016 - Giornata di mobilitazione nazionale contro la guerra
Autore: Piattaforma Sociale Eurostop
Fonte: http://www.eurostop.info/report-e-appello-del-10-febbraio-sulla-guerra/
Ieri il Giornale ha svelato che lo scorso 10 febbraio il Consiglio dei Ministri ha varato, segretamente, l'autorizzazione all'utilizzo di forze speciali italiane in Libia, al di fuori di qualsiasi autorizzazione dell'ONU e senza l'invito del governo libico, ancora in formazione (ma i cui principali esponenti hanno già fatto capire che considererebbero qualsiasi invasione europea come un atto di aggressione). Trattandosi dell'invio di forze speciali per una “operazione di emergenza” e non (ancora) dell'invio delle truppe regolari, si è potuto evitare il vaglio parlamentare.
L'ordine di invasione sarebbe imminente e attende solo la firma del Presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Si tratta, concretamente, d'inviare per ora “solo” una testa di ponte il cui scopo dichiarato sarebbe quello di proteggere alcuni impianti petroliferi che interessano l'ENI; in seguito il governo conta di inviare diverse migliaia di truppe ma spera di annacquare il relativo dibattito parlamentare includendo l'invasione della Libia tra le “missioni di pace all'estero” da approvare in un pacchetto complessivo.
Ma quale sarebbe l'emergenza attuale in Libia che giustificherebbe l'invio immediato delle forze speciali italiane? Si tratta forse di proteggere certi impianti petroliferi, adocchiati dall'ENI, dalla minaccia del cosiddetto “Stato Islamico” (o “ISIS” o “Daesh”)? Niente affatto, l'ISIS non sta alle porte. Verosimilmente, in mancanza di altre spiegazioni, si tratta di proteggere questi impianti dai... francesi, le cui forze speciali hanno già invaso la Libia illegalmente giorni fa. A rivelarlo il 24 febbraio è stato il giornale parigino Le Monde, suscitando il furore del ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian, che aveva imposto la segretezza.
(I redattori del giornale ora rischiano tre anni di carcere e una multa da 45.000 euro. Ma l'11 gennaio dell'anno scorso, dopo l'attentato alla rivista Charlie Hebdo, non era proprio il ministro Le Drian in testa all'immenso corteo parigino “a difesa della libertà d'espressione e della stampa”?)
Per quanto incredibile e inquietante, dunque, sembra proprio così: stiamo assistendo ad una corsa frenetica tra forze speciali dell'Occidente – francesi e italiani, ma anche statunitensi e britannici – per accaparrarsi per primi, al di fuori di qualsiasi legittimazione internazionale, le risorse petroliferi della Libia, paese per ora inerme, diviso e quindi di facile preda.
Ma il pretesto ufficiale, più volte ventilato, per l'attacco alla Libia, non era andare a combattere il cosiddetto Stato Islamico?
Invece no – e bisogna arrendersi all'evidenza. L'Occidente non ha nessuna intenzione di eliminare l'ISIS, che è servito e serve ancora come pretesto per rimandare le proprie truppe, dapprima in Iraq (dopo essere state cacciate dalla guerriglia di quel paese cinque anni fa) ed ora in Libia e domani forse in Siria, per suddividere questi tre paesi in satrapie. Una fetta sottomessa alle forze armate di ExxonMobil e di BP, un'altra fetta sotto il controllo delle forze armate di Total, un'altra fetta ancora dominato dalle forze armate dell'ENI (anche se, formalmente, si tratta delle forze armate dei rispettivi paesi, quelle pagate dai contribuenti).
E il resto di questi territori martoriati – la parte centrale dell'Iraq, l'est della Siria e il centro sud della Libia (meno le zone nel Fezzan volute dai francesi per proteggere il loro feudo in Mali) – sarà lasciato in mano all'ISIS, la cui presenza continuerà ad essere invocata per giustificare le occupazioni militari. Non è a caso che, sin dall'inizio della loro finta mobilitazione anti-ISIS, gli Stati Uniti hanno parlato di una guerra “almeno trentennale”. La farannno durare fin quando dura il greggio da estrarre.
Infatti, come questa testata suggeriva due anni fa, quando i giornali mainstream parlavano appena dell'ISIS, i miliziani tagliagole sono stati creati dall'Occidente e gestiti attraverso l'Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia, proprio per questa finalità: fornire la scusa all'Occidente per riprendersi l'Iraq e la Siria (ed ora la Libia), smembrando questi paesi.
Ciò non significa che i miliziani jihadisti vengono controllati direttamente dall'Occidente: vengono gestiti indirettamente tramite i bombardamenti mirati che, senza eliminarli, fanno loro capire dove possono avanzare: in Iraq centrale sì, verso Baghdad solo quanto basta per far cadere il governo di al Maliki, verso il Kurdistan no perché i Kurdi hanno già cominciato a spedire il loro petrolio in Occidente, verso Damasco sì – almeno, prima dell'intervento russo per respingere l'assalto e obbligare l'Occidente ad intavolare trattative per il futuro di quel paese.
Questa orribile messa in scena chiamata “ascesa incontrollata dei miliziani dell'ISIS”, allora, è solo un mostruoso gioco delle parti? Sì.
La creazione dell'ISIS nel 2012, come la creazione di al Qaeda nel 1989 oppure la creazione dei Contras nel 1979, rappresenta il “modello alternativo” usato dagli Stati Uniti ed i loro alleati per colonizzare i paesi del terzo mondo. Invece di mandare le proprie truppe (i propri “stivaloni sul terreno”) in Iraq per impossessarsi del paese, come fece Bush Jr, suscitando la protesta dei pacifisti nel mondo intero, l'amministrazione Obama ha scelto, quattro anni fa, di agire dietro le quinte, creando il mostro di Frankenstein che chiamiamo ora ISIS o Daesh. E creando sul terreno, nel contempo, ancora più morti, più devastazioni, più crudeltà inaudite, più fughe di rifugiati di quanto non fecero le truppe statunitensi di prima. Ma questa volta facendo morire gli altri, i dannati della terra, e soltanto loro – non più i “nostri ragazzi.” E stemperando così le proteste pacifiste in casa.
Contro quest'orrore, di una immoralità che supera ogni immaginazione, bisogna reagire. Bisogna unirsi per dire NO. Bisogna denunciare queste invasioni di paesi sovrani terzi come crimini di guerra e crimini contro l'umanità.
I francesi hanno mandato le loro forze speciali illegalmente in Libia per impossessarsi di certe zone? Ebbene la risposta non deve essere: “Allora commettiamo l'illegalità anche noi” bensì “Minacciamo di portare la Francia davanti al Consiglio di Sicurezza e, se non si ottiene giustizia, davanti alla Corte dell'Aia, per esigere il suo rientro dalla Libia. E per lasciare che sia il governo libico a decidere a chi assegnare lo sfruttamento dei suoi impianti e giacimenti.” Idem per gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.
Naturalmente, da solo l'Italia non ce la farebbe a portare avanti un'iniziativa diplomatica del genere; ma unita ai paesi Brics e a ciò che rimane dei paesi Alba, avrebbe sicuramente un peso negoziale sufficiente per fermare l'assalto alla Libia. Rimarrebbe naturalmente il problema di eliminare l'ISIS sul serio: ma anche questo si può ottenere molto più efficacemente attraverso la diplomazia, come viene spiegato nell'ultima parte di questo editoriale e nella seconda metà di quest'altro editoriale.
Ma bisogna mobilitarsi subito!
In previsione di tutto ciò, il Coordinamento contro la guerra, le leggi di guerra, la Nato ha già indetto, per il 12 marzo, una giornata di micro-manifestazioni decentrate in tutta la penisola.
Ora ha preparato un manifesto che le realtà locali possono utilizzare, indicando nello spazio in fondo l'evento che intendono organizzare quel giorno: basta incollare nel riquadro un foglietto fotocopiato con tutte le indicazioni.
Il Coordinamento chiede alle realtà locali di segnalare sin d'ora la loro intenzione di organizzare un evento per il 12 marzo, scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. e, in copia, aQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
Inoltre, bisogna scattare una foto dell'evento e inviarla ai due indirizzi email, con una breve nota sullo svolgimento: verrà esposta sul sito bit.ly/12marzo-sito . Alcuni suggerimenti di eventi da organizzare vengono dati nell'articolo già linkato, ossia qui.
Per esempio, un comitato di attivisti a Roma ha chiamato tutti i romani a confluire il 12 marzo alle ore 16 davanti alla base del Comando Operativo Interforze (COI) a Cinecittà. Il COI coordina l’intervento militare italiano in Libia e si trova in via Scribonio Curione (metro A Numidio Quadrato); dopo un comizio, i partecipanti sfileranno per le strade del quartiere.
In mattinata, sempre a Roma, diversi altri gruppi di attivisti hanno in cantiere eventi di sensibilizzazione nei propri quartieri – per esempio un comizio a Monteverde, lenzuoli nei balconi a San Lorenzo, una biciclettata con striscione sulla Tuscolana. Per ragguagli: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
Altrove in Italia sono previste manifestazione davanti al cantiere TAV della Val Clarea (Chiomonte), davanti alla base militare di Ghedi, davanti alla caserma Ederle a Vicenza, davanti a Camp Derby a Pisa e davanti alla base NATO di lago Patria (Napoli). Inoltre sono previste manifestazioni a Bologna (corteo regionale), a Novara (contro gli F35) e in Sicilia (contro l’uso della base di Sigonella per le aggressioni militari). Staremo a vedere quanto i mass media mainstream diano notizie di questi eventi.
Ma manifestare, il 12 marzo. la propria protesta contro la nuova guerra coloniale di Renzi è solo l'inizio. Il Coordinamento chiede ai pacifisti d'Italia di tenersi pronti per una seconda iniziativa che si terrà il 4 aprile e che è ancora in via di definizione.
Impedire la guerra si deve e si può.
L’Ausl Romagna, attraverso le dichiarazioni della dott.ssa Marisa Bianchin direttrice del Distretto Lugo-Faenza, ha annunciato che nel prossimo settembre entrerà in funzione la Casa della Salute nei pressi del centro commerciale “La Filanda”. Arriviamo fra gli ultimi e andrebbe spiegato il perché: in Regione sono decine e decine quelle attive da tempo.
Ciò nonostante, mancano ancora risposte convincenti ai tanti interrogativi che circolano in città. Li riproponiamo:
Le indicazioni in materia fornite dalla Regione prevedono, qualora non risultino utilizzabili o idonei ambienti già esistenti, l’ubicazione di tali servizi in locali di proprietà pubblica. A Faenza ciò sarebbe stato certamente possibile, perché si è scelto invece di pagare un affitto (si parla di 80mila euro annui) a privati)?
Quale ambito territoriale e di utenza farà riferimento a questa struttura? La Regione Emilia Romagna parla di “un unico luogo, vicino e abituale, dove essere assistiti senza dover girare per il territorio e dove si concentrano tutti i professionisti e i servizi”. Ciò vuol dire che nel faentino devono essere previste più’ Case della salute. Come mai si parla di una sola? E come si rapporterà, o si rapporteranno, con altre strutture sanitarie?
Come si realizzerà l’integrazione della Casa della salute con i servizi sociali i quali, com’è noto, rispondono ai bisogni dell’intero comprensorio faentino?
Come sarà possibile ai medici di base continuare a svolgere l’abituale attività nei rispettivi ambulatori e assicurare la presenza anche nella Casa della salute?
Quali prestazioni vi saranno fornite? Come verranno seguite le cronicità? Su quali dotazioni strumentali e di personale potrà contare?
Si tratterà di una struttura che risponde pienamente ai requisiti previsti dalla delibera n. 48/2010 della Regione, oppure del semplice trasferimento dei servizi di cure primarie attualmente in via Zaccagnini e di altri, in particolare i prelievi, ora ubicati nella Palazzina 13 dell’ospedale?
Quale informazione si intende fornire, e quando, ai cittadini circa le modalità di accesso in relazione alle diverse necessità (Casa della salute? Pronto soccorso? Medico di base?) e su ogni altro aspetto utile per agevolare la corretta fruizione dei servizi?
Infine, ma non certo ultimo per problematicità, resta il dubbio circa l’opportunità di aprire la Casa della salute in una zona della città difficile da raggiungere, soprattutto per gli anziani e i disabili, vale a dire le categorie che più di altre vi si dovranno recare (va ricordato che la delibera n. 48/2010 considera la scelta dell’ubicazione della Casa della salute come fondamentale per la sua funzionalità). Già ora il cavalcavia costituisce una strozzatura che determina code e perdita di tempo per chi si reca o torna dal lavoro. Ci si è chiesti cosa comporti un ulteriore consistente incremento di traffico proprio negli stessi orari? Ci si è posti il problema di come potranno raggiungere la Casa della salute quanti vivono nel centro storico e si spostano abitualmente a piedi o in bicicletta?
I faentini aspettano risposte.
Faenza, 28 febbraio 2016
L’Altra Faenza