Rimane stabile il numero dei migrati residenti in Italia, che nel 2015 sono aumentati di 11 mila unità passando dai 5.014.437 di inizio anno ai 5.026.153 del 31 dicembre.
Crescita misurata anche nel 2014: nell’arco dei 12 mesi la popolazione non italiana è aumentata solo dell’1,9%.
A dirlo è la Caritas che ieri ha presentato l’annuale Rapporto sull’immigrazione nel nostro paese, quest’anno intitolato «La cultura dell’incontro».
Eppure, hanno spiegato Caritas e Fondazione Migrantes, il rischio è che il fenomeno migratorio venga raccontato sulla base della «percezione» e non della realtà. Il nostro Paese – ha detto monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes – sta «perdendo attrazione».
E mentre si registrano «i primi cali di presenze straniere nel Nord Est, nelle Marche e in Umbria», «si continua a parlare di ‘invasione inarrestabile’ in riferimento a 130 mila richiedenti asilo e rifugiati accolti nelle diverse città e regioni: falsificazioni che impediscono un’adeguata politica dell’immigrazione».
L’assenza di vie regolari per l’ingresso in Italia – hanno inoltre sottolineato gli autori del Rapporto – ha di fatto congelato il nostro Paese su numeri che vedono un’incidenza degli stranieri sulla popolazione totale di poco superiore all’8%».
Casa della salute senza medici?
Alla vigilia dell’apertura della Casa della Salute – ubicata com’è noto nei pressi del Centro commerciale “La Filanda” – i medici di famiglia sono in agitazione e minacciano lo sciopero.
Non è questione da poco, dal momento che i vertici dell’Usl Romagna hanno affermato: “… il trend di progettazione delle Case della Salute […] si rende possibile sulla base della possibilità di adesione da parte dei medici di medicina generale che aderiscono al progetto su base volontaria”.
E se i medici non aderiscono? Quali confronti si sono svolti in ambito regionale e quali accordi sono stati definiti fra le parti perché ciò avvenga?
Nel corso di un’audizione tenutasi nelle settimane scorse presso la Commissione Politiche per la Salute e Politiche sociali, i medici di famiglia hanno riaffermato la necessità di un coordinamento fra professionisti nell’ambito del percorso diagnostico – terapeutico – assistenziale. Hanno evidenziato come il problema dei problemi sia la cronicità e che questa riguarda un terzo della popolazione. Hanno insistito sul ruolo centrale del medico di famiglia e del rapporto di fiducia fra il paziente e il suo medico.
Domanda: non saranno stati fatti i conti senza l’oste?
Un confronto di merito con le rappresentanze dei medici di famiglia è necessario. Anzi, avrebbe dovuto essere svolto da tempo. Diversamente si rischia di impantanarsi prima ancora di essere partiti e di ridurre la Casa della Salute a “un contenitore nuovo per vecchi contenuti”.
Restano inoltre le criticità che abbiamo già più volte denunciato. Si inaugura una struttura destinata a cambiare le abitudini sanitarie di decine di migliaia di persone e nessuno sa niente. Quale informazione si intende fornire ai cittadini, e quando? Quali misure verranno adottate per consentire a tutti, e in particolare ad anziani e disabili, di raggiungere in sicurezza la Casa della Salute?
Faenza, 4 luglio 2016
L’Altra Faenza
LIPU, LEGAMBIENTE E WWF: LA REGIONE EMILIA-ROMAGNA
CONGELA LA TUTELA DELLA RETE NATURA 2000, UNA GRAVE DECISIONE
Stupore e disappunto delle Associazioni ambientaliste per la delibera regionale che sospende le Misure regolamentari relative al settore agricolo all’interno di rete Natura 2000.
“Ritirare il provvedimento e mostrare maggiore attenzione per la conservazione della natura”.
Bologna, 1° luglio 2016 - “Una decisione gravissima, che mette in pericolo la biodiversità dell’Emilia Romagna tutelata dalla rete Natura 2000 e che va immediatamente ripensata”.
Forti sono le preoccupazioni e il disappunto di Lipu, Legambiente e Wwf per la delibera 710 del 16 maggio 2016 con la quale la Regione Emilia-Romagna ha sospeso, sino al 31 dicembre di quest’anno, le Misure di conservazione di tipo regolamentare relative al settore agricolo in tutti i siti Natura 2000, che presentano al loro interno habitat preziosi e tutelati a livello europeo.
“Si tratta di una scelta molto grave – dichiarano le Associazioni - che può determinare un colpo durissimo alla biodiversità regionale tutelata dai siti Natura 2000, con tutto il loro patrimonio di specie animali e vegetali, siti e habitat naturali legati all’agricoltura”.
La decisione regionale giunge peraltro in un momento in cui le Regioni italiane sono chiamate a risolvere la procedura di infrazione (n. 2015/2163) che la Commissione europea ha aperto per la mancata designazione delle Zone speciali di conservazione (Zsc) e la mancata adozione delle misure di conservazione. La sospensione delle misure regolamentari in ambito agricolo decise dall’Emilia Romagna ritarderebbe ulteriormente la protezione dei preziosi elementi naturali tipici del nostro ambiente agricolo, e fondamentali per la tutela della biodiversità, e li lascerebbe alla mercé di azioni tali da comprometterne, in alcuni casi anche gravemente, l’adeguata conservazione.
“Come se non bastasse – aggiungono le Associazioni – ci giunge voce che la Regione ha anche deciso di azzerare i fondi del Psr (Programma sviluppo rurale) 2014-2020 destinati ai pagamenti agro-climatico-ambientali dedicati alla biodiversità. Non saranno certo provvedimenti di questo genere, peraltro presi senza coinvolgere il Comitato di Sorveglianza del Psr, organo preposto al controllo dell’attuazione del programma, a risolvere i problemi dell’agricoltura regionale mentre essi andranno ad aggravare la situazione proprio di quegli agricoltori virtuosi che hanno puntato sull’ambiente e la sua tutela”.
Con questi provvedimenti la Regione Emilia-Romagna subordina la conservazione della natura agli interessi economici legati ad un modello di agricoltura da tempo abbandonato dall’Unione europa con le ultime riforme della Pac. Oggi la tutela della biodiversità attraverso un efficace e efficiente gestione della rete Natura 2000 è infatti un obiettivo prioritario della Politica agricola comune dell’Europa.
Per tale ragione le tre Associazioni auspicano l’immediato ritiro di questi provvedimenti, ed hanno chiesto in queste ore un incontro urgente all’assessore all’Ambiente Paola Gazzolo, dichiarandosi pronte a percorrere tutte le strade democratiche e giuridiche per tutelare il patrimonio naturale dell’Emilia-Romagna, riconosciuto come bene comune dell’Europa e dell’Italia.
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Si sta ampliando il fronte di quanti sostengono la necessità di difendere l’ospedale di Faenza dal rischio di un’ulteriore, inaccettabile, dequalificazione. Potrebbe accadere se si traducesse in pratica in modo acritico e burocratico quanto prevede il “decreto Balduzzi” in materia di riordino dei presidi ospedalieri nell’ambito dell’Area Vasta Romagna.
La strada possibile per evitarlo è l’abbinamento con quello di Lugo, così da disporre di un ospedale di 1º livello – con tutto ciò che questo significa – nei territori della Romagna Faentina e della Bassa Romagna.
L’Altra Faenza prende atto delle affermazioni in tal senso del sindaco Malpezzi nel corso della seduta del Consiglio comunale del 27 giugno scorso. E prende atto delle significative dichiarazioni delle coordinatrici del Pd delle due aree.
Non ci interessa rivendicare meriti e primati, anche se – assieme alle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil – siamo stati i primi a prospettare questa ipotesi, peraltro ancora tutta da conquistare. L’abbiamo fatto con una conferenza stampa, con volantini distribuiti in migliaia di copie, con un’interrogazione e un Ordine del giorno presentati in Consiglio comunale (chiediamo che venga discusso e approvato al più presto e riteniamo utile che OdG analoghi siano votati dagli altri Consigli comunali interessati). E non ci interessano polemiche e distinguo.
Ci premono il futuro dell’ospedale, gli interessi dei faentini e dei residenti nei Comuni del comprensorio, la difesa dei posti di lavoro.
Siamo ad un passaggio decisivo: è necessario che i sindaci dei territori di Faenza e di Lugo sostengano con coerenza e determinazione questa necessità in tutte le sedi e di fronte a chiunque, facendo valere il loro ruolo di rappresentanti delle comunità interessate, di responsabili della sanità pubblica e il sostegno ampio di cui possono avvalersi.
L’Altra Faenza continuerà a fare la sua parte, auspicando convergenze a favore di soluzioni positive e possibili, rispettose dei diritti della popolazione.
Per questo parteciperemo, con le nostre motivazioni, all’iniziativa “Difendiamo la sanità pubblica” indetta per venerdì 1º luglio attorno all’ospedale di Lugo.
Faenza, 30 giugno 2016
L’Altra Faenza
Continuiamo il dibattito sui risultati elettorali delle amministrative di giugno riprendendo da RavennaSette del 23 giugno una riflessione di Officina democratica, un gruppo faentino di cittadini e di quadri politici che fanno riferimento alla cosidetta sinistra Pd
Officina Democratica nasce per promuovere una riflessione sul futuro e le prospettive della sinistra riformista. È evidente quindi come non si possa evitare una considerazione sull’esito delle elezioni amministrative 2016. Ultimamente va molto di moda affermare che destra e sinistra siano due categorie del passato, ma un dato che emerge chiaro e omogeneo dai risultati del primo turno e del ballottaggio: la destra non vota un candidato di sinistra e viceversa. Anche se la destra in Italia si presenta senza un federatore capace di tenere unite le sue tante pulsioni, anche se dall’altra parte qualcuno ha voluto proporre un modello di centrosinistra che ammicca sempre più a destra, gli elettori restano quelli che sono, al massimo più confusi e lanciati verso il non voto. La rinnovata offerta elettorale non è riuscita a plasmare anche i necessari “nuovi” elettori. È solo riuscita ad allontanarli in maniera decisamente evidente.
L'intero profilo del Partito Democratico, negli ultimi anni, è stato impostato nella ricerca di un voto di centro e di destra senza che questo sia mai arrivato. Non solo: nella ricerca di questo voto di destra si è abbandonato completamente il blocco sociale che fino a ieri ha sempre sostenuto il centrosinistra, umiliandolo, rottamando non solo le persone ma anche i valori (come se, in ogni caso, fosse possibile rottamare gli uni o gli altri) e di fatto cacciando dalle urne tutta una consistente fetta del proprio elettorato storico.
Negli ultimi due anni e mezzo abbiamo assistito da parte del Governo ad uno stile di leadership inconsueto per il centrosinistra. La quotidiana delegittimazione dei sindacati, il nazionalismo retorico, la spasmodica ricerca del nemico interno a cui dare la colpa per i propri insuccessi. Questo approccio ha portato a due risultati: da una parte ha smontato pezzo per pezzo il centrosinistra, inteso non solo come somma di partiti membri di una coalizione progressista, ma anche come settore valoriale e sociale di riferimento. Dall’altra ha messo tutti quelli che non la pensano come te (che secondo i sondaggi oscillano fra il 65 e il 70%) nelle condizioni di detestarti. Risultato? Quando si giunge al ballottaggio con una forza post-ideologica e populista come il M5S, l’elettorato di destra si salda a quello grillino e il PD perde, spesso con ampio margine.
Ma il M5S ha vinto anche perché ha lanciato messaggi che vanno anche oltre l'iniziale retorica sull'onestà. Ha parlato di reddito di cittadinanza, di sicurezza, di protezione. Ha parlato di giustizia sociale in un paese dove l'impoverimento si tocca con mano. Torino è solo la punta dell’iceberg del malcontento raccolto: si è perso in particolare nelle zone più di sinistra come Carbonia, Sesto Fiorentino, Finale Emilia. Si è perso anche contro la destra in numerose città del Nord Ovest e del Nord Est. A Milano si è tenuto perché al secondo turno si è fatta battaglia cercando di unire tutte le forze di sinistra, dove possibile, e lanciando messaggi completamente slegati dalla politica nazionale. Così come a Bologna e Ravenna.
In Italia cresce l’emarginazione e la rabbia perché dalla voce del governo lo storytelling, l’innovazione e le riforme sono arrivate come parole vuote, senza significato. Mancano risposte efficaci per diminuire le disuguaglianze economiche che si sono ampliate, per far tornare l’istruzione quell’ascensore sociale che dovrebbe essere, per creare quel lavoro senza il quale non c’è futuro e non c’è dignità. Non possiamo ridurlo solamente un problema di “simpatia” del leader, di “luna di miele” che finisce e non è sicuramente un problema solo italiano. Non c’è miele e non c’è simpatia che tengano se ogni giorno sempre più persone scivolano nel disagio e nella difficoltà di vedere la propria condizione economica sempre più a rischio.
Davanti a questa realtà la prima reazione del Governo è oscillata fra il silenzio imbarazzato e il rilanciare verso una personalizzazione ancora più spinta. Ma il principale contenuto dello storytelling che sopravvive, dopo poco più di due anni di Governo, resta quella riforma costituzionale, che può anche avere degli elementi di buon senso, ma sembra lontana anni luce dalle risposte delle quali hanno bisogno la maggior parte degli Italiani. Sarà davvero necessario spiegarla bene, se si vuole vincere il referendum. L'Italia ha bisogno di riforme che la rendano più competitiva, ma anche più attenta alle fasce deboli. Sembra invece più critica la riforma elettorale, soprattutto nel suo infilarsi tra le pieghe della riforma costituzionale rischiando di trasformarle in criticità serie. Davvero in questo momento di disgregazione politica e sociale la soluzione ai problemi del Paese sta nel forzare un meccanismo maggioritario e scollegato dalla realtà dei territori?
È necessario interrogarsi piuttosto su che cosa manca a questo, stanco, centrosinistra. Tanto abbiamo sentito parlare di connessione sentimentale col Paese in questi anni e a lungo ci siamo convinti che questo Governo l'avesse costruita, mentre quelli che lo avevano preceduto non erano stati in grado di farlo. Ma il Governo ha costruito - tentato di costruire - una connessione ben diversa col Paese, basata sulla critica del passato in quanto tale, sull'insoddisfazione, sulla rabbia. E per un po' ha funzionato, forse per questioni sociologiche e culturali intrinseche agli italiani, forse per ragioni che sono eredità del berlusconismo, forse perché la politica non era più capace di nobilitarsi ed essere percepita come qualcosa di sano e di utile. Ricostruire un agire politico che sia capace di essere sentimentale, non perché di pancia e non perché capace di regalare solo speranze, ma perché volto a costruire le basi di un rinnovato patto di cittadinanza è, a questo punto, davvero fondamentale.
Perché questo è l’agire politico che intendiamo ed è il miglior carburante per la partecipazione e la discussione con quella fetta della società che la Politica dovrebbe tornare a coinvolgere. Come Officina Democratica proveremo a stimolare il dibattito nella Romagna faentina, con ben chiaro in mente un punto di riferimento: ripartire dai temi cardine del centrosinistra deve essere il primo passo.”
Comunicato stampa di Cgil-Cisl-Uil
(22 giugno 2016)
Ospedale di Faenza: responsabilità dirette della direzione ausl per le disfunzioni
Ci sono difficoltà nel presidio ospedaliero di Faenza. All'interno delle mura del nosocomio si respira un'aria pesante, negli ultimi tempi si ha la netta sensazione che la direzione invece di operare per garantire il miglior funzionamento della struttura stia facendo tutt'altro. Un reparto dopo l'altro è coinvolto in approfondite verifiche di tipo formale, assolutamente previste dalle norme vigenti, ma dalle quali ci si aspettano poi azioni concrete di miglioramento rispetto alle eventuali criticità riscontrate. In una condizione di normale gestione quindi Cgil, Cisl e Uil e i cittadini avrebbero di che essere soddisfatti: meglio una verifica in più che una in meno se servono a garantire migliore qualità, se non fosse che questa attività, il modo in cui viene gestita e, soprattutto, i risultati che produce solleva diversi interrogativi sulle reali motivazioni dell'Azienda.
L'evidenza dei risultati ci dice che tale attività porta da tutt'altra parte.
Partiamo dalla Pediatria dove, nonostante l'apposita Commissione regionale avesse riconosciuto che permanevano i requisiti di accreditamento, la Direzione aziendale nell’estate del 2015 ha ritenuto di segnalare pubblicamente che, a suo giudizio, esistevano fattori di rischio tali da doverne ridimensionare provvisoriamente l'attività.
Cgil, Cisl e Uil, mettendo al primo posto la sicurezza dei piccoli pazienti, sottoscrissero un accordo transitorio, nel quale venivano comunque mantenuti i posti letto, se pur ospitati in chirurgia, in attesa di una soluzione strutturata che l’Azienda si era impegnata a definire. Da allora è trascorso quasi un anno e la Direzione aziendale, nonostante diversi solleciti, non è ancora stata in grado di ripristinare la normale attività della Unita Operativa di Pediatria.
Di seguito gli altri eventi più significativi:
Il risultato è che i professionisti più che sostenuti e stimolati a dare il massimo si sentono avvolti da un clima di intimidazione, anche perché le verifiche non riguardano il modo di lavorare, che si continua a giudicare eccellente nonostante la pesante carenza di personale, ma solo ed esclusivamente aspetti formali.
Non nascondiamo che esistano criticità ma le più forti, in particolare i tempi di attesa che in alcune prestazioni si sono allungate, fanno emergere un dato estremamente trasparente, come altrettanto trasparenti sono le responsabilità
In Pediatria, Ostetricia/Ginecologia, Ortopedia il numero dei professionisti è palesemente diminuito, come in Chirurgia, dove oltre alle altre carenze di organico solo ora si adottano provvedimenti per sostituire il primario mancante da oltre un anno.
In Pronto Soccorso, nonostante il numero degli accessi/anno gestiti sfiori i 40.000, dati molto simili a quelli del presidio di Forlì, il personale assegnato
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