Comunicato stampa
Il dibattito sul riordino dei presidi ospedalieri nell’ambito dell’Ausl Romagna registra di quando in quando interessanti interventi, ma nel suo insieme appare frammentario e inadeguato rispetto alla rilevanza del tema. Ci pare, innanzi tutto, che non colga due dati ineludibili:
1 – il sistema sanitario è oggetto di un evidente processo di privatizzazione che, di fatto, sta determinando la possibilità di accedere alla prevenzione e alle cure sulla base del reddito e non di un diritto universale. Va in effetti profilandosi un assetto a due facce, con la parte pubblica sempre meno efficiente e riservata alle categorie sociali più deboli. Ciò avviene mentre si assiste ad un progressivo aumento delle malattie croniche (ipertensione, diabete, patologie cardiovascolari, tumori, disturbi cognitivi), dovuto anche all’invecchiamento della popolazione, e mentre si sta smantellando uno dei fattori che qualificavano la sanità nel nostro Paese: la prevenzione. Il decreto sulla “appropriatezza prescrittiva”, a ragione contestato dai medici, non è che un aspetto di questa politica;
2 – i pesantissimi effetti della crisi (con la chiusura di molte aziende, la perdita di posti di lavoro, la precarietà, l’estendersi di aree di povertà, il diffuso senso di insicurezza e di smarrimento), determinano un contesto che rende necessari maggiori protezioni sociali e servizi prossimi e inclusivi. Non cogliamo segnali di attenzione in questo senso. Anzi, resta tuttora senza risposta la richiesta più volte avanzata da parte de “L’Altra Faenza” di attivare un osservatorio in grado di monitorare le dinamiche economiche e dell’occupazione e quindi gli effettivi bisogni dei faentini, anche sul versante dei servizi socio sanitari.
Riassumiamo, in premessa, i riferimenti contenuti nel “decreto Balduzzi” (proposta di Giunta della Regione Emilia Romagna 2189/2015) a proposito dell’assistenza ospedaliera e dei possibili effetti per il faentino:
numero di posti letto al 3,7/mille, incrementato al 3,9/mille per mobilità attiva (utenza proveniente da altri territori): allo stato attuale non si prevedono ulteriori riduzioni di posti letto a carico dell’ospedale di Faenza, ma poiché si prende a riferimento l’Area vasta Romagna, si tratta di verificare la situazione nei singoli presidi;
indicatore del tasso di ospedalizzazione: anche in questo caso è indicato il dato riferito all’Area vasta Romagna;
indicatore OM (occupazione media) dei posti letto: Faenza risulta nella media alta con l’85,2%;
indicatore bacino di utenza: il dato è ancora indicato, in via temporanea, sulla base degli ex Distretti, con Faenza che dispone di un bacino attorno agli 85mila utenti;
indicatore volumi ed esiti: vengono calcolati prendendo a riferimento l’Area vasta Romagna.
Ciò chiarito, quale futuro si prospetta per l’ospedale di Faenza?
si può rientrare nell’obiettivo del 3,7/mille dei posti letto riconvertendo i posti del Day hospital in prestazioni ambulatoriali, soprattutto per la rete oncologica; andrebbe tuttavia garantita l’esenzione dal pagamento del ticket;
la Regione ha fino ad oggi evitato la classificazione degli ospedali, tuttavia resta concreto il rischio che i presidi di Faenza e di Lugo vengano considerati Ospedali di Base, vale a dire dotati unicamente di reparti tali da giustificare la presenza del Pronto soccorso (chirurgia generale, medicina, ortopedia, anestesia), con la scomparsa di tutte le altre specialistiche (rianimazione, neurologia, oncologia, cardiologia, otorinolaringoiatria, oculistica, neonatalità, pediatria, ecc.);
appare evidente che ciò significherebbe un’ulteriore gravissima dequalificazione del nostro ospedale, rendendo più aleatori - ovvero improbabili - gli investimenti in strutture e in dotazioni strumentali e tecnologiche, oltre a provocare un’inevitabile minor presenza di professionisti e una consistente diminuzione di posti di lavoro;
una prospettiva simile porrebbe i faentini, e gli utenti di altri Comuni che gravitano sull’ospedale di Faenza, nella necessità di decidere a quale struttura ospedaliera di primo livello o specializzato fare riferimento. Su questo argomento, importante e delicatissimo, le opinioni appaiono discordi, mentre permangono difficoltà nel potersi rivolgersi a tutte le strutture dell’Area vasta per accertamenti diagnostici e visite specialistiche. Il direttore generale dell’Ausl Romagna, Marcello Tonini, non esclude che ci si possa orientare verso Forlì (Vecchiazzano); nei mesi scorsi le coordinatrici del Pd della Romagna faentina e della Bassa Romagna, pur sollecitando la nomina del direttore sanitario e l’assegnazione dei primari, hanno insistito perché Faenza e Lugo facciano riferimento all’ospedale di Ravenna per prestazioni specialistiche di alto livello.
“L’Altra Faenza” considera inaccettabile la “politica del carciofo” in atto ormai da troppo tempo, tradottasi in un progressivo depauperamento di quello che era unanimemente considerato un buon ospedale. Chi governa la sanità in ambito locale – amministratori, politici e tecnici – deve chiarire in termini certi e impegnativi cosa si intende farne, così da consentire alle popolazioni interessate di conoscere – com’è loro diritto – e di giudicare.
Se la decisione non può prescindere da valutazioni di ordine economico, al tempo stesso essa deve puntare al migliore utilizzo delle strutture, delle strumentazioni e delle professionalità esistenti. Deve inoltre tener conto del bacino d’utenza che gravita sul presidio ospedaliero di Faenza così da non esporre migliaia di persone, in particolare quelle residenti nei Comuni collinari, a evidenti disagi, a maggiori costi e a rischi qualora dovessero rivolgersi a strutture distanti decine e decine di chilometri.
Dell’ospedale di Faenza non va inoltre sottovalutata la positiva configurazione strutturale, tale – a differenza di altri – da consentire interventi rapidi da parte degli specialisti nei casi di urgenze. E’ superfluo a tale proposito ricordare che pochi minuti possono fare la differenza fra la vita e la morte.
La strada percorribile per impedire un declassamento dell’ospedale al rango di struttura di base, con le conseguenze sopra richiamate, è un accordo con Lugo che renda possibile disporre sui due territori (con oltre 200 mila abitanti, ai quali va aggiunta la mobilità attiva) di un ospedale di primo livello articolato su due presidi, quello di Faenza e quello di Lugo.
Le confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil della nostra provincia si sono già pronunciate in tal senso. “L’Altra Faenza” condivide e sostiene questa ipotesi. Perché essa si concretizzi è necessario un impegno coerente dei sindaci dei due comprensori, in primo luogo di quelli delle due città più grandi, in sede di Conferenza sanitaria.
Quanto alla possibilità di rivolgersi a strutture in grado di fornire prestazioni di alto livello, dev’essere chiaro a tutti che i cittadini sono e devono essere liberi di scegliere se andare a Ravenna, a Forlì, a Bologna o altrove. E che debbono poter avvalersi comunque del trasporto gratuito da parte del Servizio sanitario.
In ogni caso, le situazioni nuove che vanno configurandosi implicano di fatto il superamento dei vecchi Distretti socio-sanitari.
Punto nevralgico dell’ospedale è il Pronto soccorso. I lavori in corso per il suo ampliamento, stando alle dichiarazioni rese al momento dell’avvio del cantiere, stanno prolungandosi ben oltre i tempi previsti. E’ necessario procedere speditamente affinché possano essere superate situazioni inaccettabili: tempi di attesa che per un codice Verde raggiungono e superano le dieci ore, pazienti in barella spesso sofferenti parcheggiati nei corridoi in condizioni di scarso rispetto sul piano umano e della riservatezza, spazi di accoglienza e servizi inadeguati. All’adeguamento strutturale dovranno dunque accompagnarsi l’assegnazione di personale medico e paramedico e le opportune misure organizzative. Rientra in questo quadro la necessità di alleggerire la domanda di prestazioni che si riversa quotidianamente sul Pronto soccorso, attraverso il potenziamento della Guardia medica (anche dotandola di strumentazioni), attivando la Casa della salute e promuovendo un’informazione costante e puntuale che metta in condizione gli utenti di sapere a chi rivolgersi: medico di base, Casa della salute, Guardia medica, Pronto soccorso.
A monte di tutto, il nodo centrale resta la difesa dell’ospedale di Faenza – pur nell’ambito della riorganizzazione dei presidi e del raggiungimento degli obiettivi proposti dalla Regione – per ciò che rappresenta in termini di servizio, di dotazioni, di posti di lavoro e di professionalità.
Dobbiamo rilevare – altri l’hanno già fatto – come in occasione del decesso nei mesi scorsi di un nascituro nel punto nascita di Faenza, si sia dato spazio impropriamente a versioni che finivano per mettere sotto accusa l’affidabilità della struttura e il comportamento del personale. In realtà il punto nascita di Faenza risulta in linea con le statistiche in ambito romagnolo per questi infausti episodi.
La sensazione, piuttosto, è che si sia voluto cogliere l’occasione per alimentare un clima di sfiducia tale da far ritenere preferibile, o comunque accettabile, la chiusura del punto nascita a Faenza. I rischi sarebbero forse minori se un parto in emergenza dovesse essere portato a termine a 40 o 50 km di distanza?
C O M U N E di F A E N Z A
PROGETTO PER FAVORIRE LA RIDUZIONE DEI RIFIUTI, IL VUOTO A RENDERE E L'ECONOMIA CIRCOLARE NEL TERRITORIO COMUNALE
Il presente documento è stato redatto su iniziativa delle associazioni CIF Comitato contro gli Inceneritori Faenza; Comitato Acqua Bene Comune Faenza e comprensorio; Comitato ambiente e paesaggio di Castel Bolognese; Comitato Brisighella Bene Comune; Comitato Debito pubblico: decido anch'io; Circolo Legambiente Lamone di Faenza; Ecoistituto Ecologia scienza e società Faenza; Fuori dal Coro; Gruppo Famiglie Rifiuti Zero, Gruppo Acquisto Solidale di Faenza; Gruppo Allattando a Faenza; Referente Rete rifiuti zero Emilia Romagna; Sì rinnovabili No nucleare e viene proposto al Consiglio Comunale di Faenza su proposta della Conferenza dei Capigruppo e della Commissione III “Ambiente ed Assetto del Territorio”..
Considerato che
In base all’ultimo Report sulla gestione dei rifiuti in Emilia-Romagna nel 2014 a Faenza sono stati prodotti in media 724 kg di rifiuti pro-capite all'anno, di cui 344 kg di rifiuti indifferenziati;
nella spesa quotidiana c’è uno spreco eccessivo di materiali da imballaggio, si calcola che ogni anno in Italia vengano prodotti circa 11 milioni di tonnellate di imballaggi;
gli imballaggi nell'atto di produzione e smaltimento consumano grandi quantità di materie prime: ad esempio per produrre 1 kg di plastica ad esempio si consumano 4 litri di petrolio e 400 litri di acqua; per produrre 1 kg di carta vergine si consumano 3 kg di risorse vegetali, 9 kg di collanti e resine, 268 litri di acqua e energia equivalente a 0,7 litri di petrolio;
sulla base delle analisi merceologiche condotte dalla Regione Emilia-Romagna nel 2014 in media l’8% del rifiuto urbano indifferenziato è rappresentato da pannolini e altri ausili assorbenti usa e getta;
Tenuto conto che
nella Regione Emilia Romagna la plastica viene differenziata solo al 40% e nemmeno la metà (47%) di quella differenziata viene riciclata, quindi complessivamente solo il 19% della plastica buttata viene riciclata (dati Arpae, Atersir, Conai);
il restante 81% viene avviato a incenerimento o a smaltimento in discarica con notevoli ripercussioni ambientali e sulla qualità dell'aria che respiriamo;
lo stesso riciclo impegna risorse energetiche e non tutti i materiali possono riciclarsi infinite volte;
lo smaltimento dei rifiuti impegna ingenti risorse economiche che vengono sottratte a tutta la comunità.
Riconosciuto che
la prevenzione dei rifiuti, come bere acqua di rubinetto, portarsi il contenitore e la sporta da casa, comprare alla spina, usare pannolini lavabili, fare vuoto a rendere, sono semplici azioni virtuose che vanno sostenute, promosse e incentivate da ogni amministrazione. All'estero (Olanda, Germania...) si praticano già da decenni. Anche in Italia molti Comuni Virtuosi sostengono progetti di questo tipo, seguendo la strategia Rifiuti Zero;
la Legge Regionale 16/2015 impegna tutti i comuni a raggiungere almeno il 73% di RD nel 2020, e il 20-25% di riduzione a monte dei rifiuti urbani e una produzione pro-capite massima di 150 kg di rifiuti non inviati a riciclaggio;
la medesima Legge Regionale 16/2015 prevede un fondo di incentivazione alla trasformazione del servizio e alla riduzione dei rifiuti con una linea specifica di finanziamento ai progetti comunali di riduzione della produzione di rifiuti;
a Faenza, secondo il Piano d'ambito per la gestione dei rifiuti urbani, si è finalmente scelto di puntare sul porta a porta misto che, dopo la fase di avvio, troverà ulteriori miglioramenti a partire dalla tariffazione puntuale;
anche il collegato ambientale art.219 bis approvato in Parlamento nel dicembre 2015 e in attesa di decreto attuativo, prevede incentivi alla sperimentazione del vuoto a rendere con cauzione per birra e acqua minerale.
Visto che nel nostro territorio negli ultimi anni:
i gestori hanno chiuso tutti i distributori di latte crudo alla spina che erano presenti in città;
i piccoli produttori di miele, latte, conserve o succhi che facevano vuoto a rendere non praticano più questa azione e sono tornati all'usa e getta. I produttori lamentano che non c'è chiarezza sulle regole igienico sanitarie e sulle procedure Haccp da seguire. Il problema è anche economico: i piccoli produttori non possono permettersi grandi e costose autoclavi e non sanno se ci sono mezzi alternativi;
nei mercati del contadino e in alcuni negozi si continuano a distribuire shopper in plastica non trasparente in violazione della Legge 116/2014;
nonostante l'eccellente qualità dell'acqua faentina, in molte mense lavorative, aziendali e commerciali si utilizza acqua in bottigliette da 1/2 litro; in tutte le scuole faentine ci sono distributori di bottigliette di acqua e bibite zuccherate, totalmente in contrapposizione con l'educazione ambientale e alla salute che si vuole dare ai bambini e ai ragazzi;
la maggior parte dei bar e dei ristoranti non somministra acqua di rubinetto e utilizza bustine monodose di zucchero. L'Unione dei consumatori ha calcolato uno spreco annuale (in Italia) di 7000 tonnellate di zucchero buttato oltre alla carta;
la carta nella pubblica amministrazione e nelle scuole è il più delle volte vergine e non riciclata e non proveniente da foreste gestite in maniera responsabile.
Si chiede al Comune di Faenza di:
creare un tavolo di confronto permanente sui temi della gestione consapevole dei rifiuti che coinvolga l’Amministrazione comunale, le associazioni ambientaliste, le associazioni di categoria, l’Ausl, le autorità competenti, i rappresentanti dei mercati diretti, piccoli produttori e commercianti;
promuovere, sostenere e se possibile incentivare tutti quei produttori e quelle attività che fanno vuoto a rendere con cauzione, che vendono prodotti sfusi, alla spina o senza imballaggi;
chiarire, con tutti gli stakeholder interessati, quali sono le procedure e le norme igienico sanitarie da seguire per fare il vuoto a rendere del vetro, per i vari alimenti (birra, latte, marmellata, miele...) e quali macchinari sono adatti a sterilizzare i vuoti. Il tutto calato nella realtà della piccola distribuzione locale, che non può permettersi grandi e costosi macchinari;
coinvolgere rappresentanti della GDO (grande distribuzione) per promuovere progetti di riduzione degli imballaggi, anche nei supermercati;
sensibilizzare con campagne informative i cittadini a portarsi le sporte da casa, anche quelle necessarie all'ortofrutta, evitando così lo spreco di nuovi shopper in nylon usa e getta. I mercati diretti e i supermercati potrebbero far pagare 0,20 cent gli shopper per l'ortofrutta, incentivando così i clienti a portarsi da casa tutte le sportine necessarie, secondo il progetto Porta la Sporta http://www.portalasporta.it;
sensibilizzare i cittadini a portarsi il contenitore (pulito e richiudibile) da casa, laddove si vendono prodotti sfusi da bancone come in macelleria, gastronomia, pescheria, gelateria, ecc.;
controllare maggiormente i mercati diretti ortofrutticoli e i negozi affinché non vengano più distribuiti shopper in plastica non trasparente vietati dalla Legge 116/2014;
sensibilizzare i bar, gli alberghi, i Bed & breakfast e altri punti di consumo a sostituire le bustine monodose di zucchero, miele e marmellata, con dosatori. (Sono infatti vietate unicamente le zuccheriere apribili, mentre i dosatori si possono usare, come chiarito nella risoluzione del Ministero delle Attività Produttive n. 769422 del 28 maggio 2004);
promuovere, sostenere e, se possibile, incentivare le attività (bar, mense, ristoranti, ecc.) che utilizzano e propongono acqua dal rubinetto (o tramite impianti di microfiltraggio) ai propri clienti;
promuovere, sostenere e se possibile incentivare le scuole che decidono di non rinnovare gli appalti per le macchinette distributrici di acqua e bibite in bottiglia, invitando tutti a bere acqua dal rubinetto e portarsi borracce da casa. Sostenere le scuole che vogliono dotarsi di erogatore e/o impianti di microfiltraggio di acqua potabile;
sensibilizzare i cittadini e i negozianti affinché sappiano che ci si può portare il contenitore da casa laddove si vendono prodotti sfusi da bancone come in macelleria, gastronomia, pescheria, gelateria, ecc;
patrocinare l'iniziativa Disimballiamoci (in allegato) ideata dalle associazioni scriventi, divulgarla e promuoverla anche tramite le associazioni di categoria;
Valutare lo stato degli acquisti diretti dell'Amministrazione Comunale, secondo la procedura GPP (Green Public Procurement), per migliorare il mix di prodotti riciclati e con minor impatto ambientale;
effettuare e pubblicizzare la raccolta differenziata in tutti i luoghi pubblici;
promuovere, sostenere e se possibile incentivare gli organizzatori delle feste (sagre, feste scolastiche, ecc.) affinché si dotino di bicchieri e stoviglie lavabili e riutilizzabili o, se questo non è possibile, biodegradabili, redigendo un apposito vademecum scaricabile dal sito del Comune;
promuovere, sostenere e se possibile incentivare l'acquisto di pannolini lavabili, ad esempio con buoni sconto spendibili in tutti i negozi del territorio comunale che trattano tali merceologie; favorire l'uso dei pannolini lavabili anche nei nidi comunali coinvolgendo le mamme volontarie del Gaaf che gestiscono la “pannolinoteca” comunale;
prendere spunto dalle idee di realtà che da anni stanno già lavorando con ottimi risultati su questi temi anche confrontandosi direttamente con essi e coinvolgendoli in prima persona;
promuovere, tramite tutti i mezzi a disposizione dell’amministrazione, anche con la collaborazione di associazioni presenti sul territorio, una dettagliata formazione dei cittadini (anche nelle scuole) sensibilizzando ai benefici etici, culturali, ambientali e sanitari insiti nella riduzione dei rifiuti e della loro gestione quotidiana.
Il presente Ordine del Giorno impegna l'Amministrazione Comunale a predisporre progressivamente i necessari e opportuni atti deliberativi per il raggiungimento di questi obiettivi.
di MASSIMO VILLONE E DOMENICO GALLO E ALFIERO GRANDI
27 Maggio 2016
1. Perché raccogliere le firme, se il referendum è stato già chiesto dai parlamentari?
Non si può lasciare al Palazzo la scelta se votare su una vasta modifica della Costituzione, facendone un plebiscito Renzi sì-Renzi no. La richiesta dei cittadini corregge la torsione plebiscitaria, inaccettabile perché impedisce la discussione di merito su una modifica pessima e stravolgente, che va respinta a prescindere dalla sorte del governo.
2. Ma anche Renzi ha avviato la raccolta delle firme.
Lo ha fatto non per amore di democrazia, ma solo perché i sondaggi hanno dimostrato che la via del plebiscito personale era per lui pericolosa. È anche un tentativo di scippare la bandiera della raccolta firme ai sostenitori del no. Tutto deve essere nel nome del governo.
3. Finalmente si riesce dove tutti avevano fallito.
È decisivo il come. Un Parlamento illegittimo per l’incostituzionalità della legge elettorale, e una maggioranza raccogliticcia e occasionale, col sostegno decisivo dei voltagabbana, stravolgono la Costituzione nata dalla Resistenza. L’irrisione e gli insulti rivolti agli avversari vogliono nascondere l’incapacità di rispondere alle critiche.
4. La legge Renzi-Boschi riduce i costi della politica, cancellando le indennità per i senatori non elettivi.
Il risparmio è di spiccioli. La gran parte dei costi viene non dalle indennità, ma dalla gestione degli immobili, dai servizi, dal personale. Mentre anche il senatore non elettivo ha un costo per la trasferta e la permanenza a Roma, nonché per l’esercizio delle funzioni (segreteria, assistente parlamentare, etc). Risparmi con certezza maggiori si avrebbero – anche mantenendo il carattere elettivo – riducendo la Camera a 400 deputati, e il Senato a 200. Avremmo in totale 600 parlamentari, invece dei 730 che la legge Renzi-Boschi ci consegna.
5. I senatori eletti dai consigli regionali nel proprio ambito, insieme a un sindaco per ogni regione, rappresentano le istituzioni di autonomia. È la Camera delle Regioni, da tempo richiesta.
Falso. Un consigliere regionale è espressione di un territorio limitato e infraregionale, cui rimane legato per la sua carriera politica. Lo stesso vale per il sindaco-senatore. Avendo pochi senatori, ogni regione sarà rappresentata a macchia di leopardo. Pochi territori avranno voce nel Senato, e tutti gli altri non l’avranno. È la Camera dei localismi, non delle regioni.
6. Sarebbe stato meglio con l’elezione diretta?
Certo, perché i senatori eletti avrebbero dato rappresentanza a tutto il territorio regionale e a tutti i comuni. Una vera Camera delle regioni richiede l’elezione diretta, mentre l’elezione di secondo grado apre la via ai localismi e agli egoismi territoriali.
7. Il riconoscimento del seggio senatoriale può essere la via per creare un circuito di eccellenza nel ceto politico regionale e locale.
È vero piuttosto, al contrario, che si rischia un abbassamento della qualità nei massimi livelli di rappresentanza nazionale. Basta considerare le cronache
Leggi tutto: Costituzione e Italicum, 30 ragioni per votare No al referendum di ottobre
Abbiamo appreso, pur senza la benché minima discussione in Consiglio Comunale, che la Giunta di Faenza ha promosso, già dall'autunno scorso, “un percorso per revisionare, aggiornare e attualizzare i contenuti della Conferenza Economica Comprensoriale tenutasi nel lontano 2009”.
Dopo diversi annunci, dopo la costituzione di quattro gruppi di lavoro (ristretti alle sole Associazioni economiche) che si sono riuniti da febbraio ad aprile, dopo l'indicazione di svolgere la Conferenza nella seconda quindicina di maggio (più precisamente il 20), il 13 maggio scorso si sarebbe indicata una nuova data per lo svolgimento della Conferenza attorno al 15 giugno.
Che problemi sono sorti? Ma soprattutto, a cosa deve servire questa Conferenza?
E perché prepararla con un percorso che ha escluso completamente il Consiglio Comunale - non solo le forze di opposizione, ma anche quelle di maggioranza (così almeno ci risulta) – le istanze della società civile, dell'associazionismo e gli stessi Comuni dell'Unione, cosa piuttosto strana per una Conferenza che vorrebbe essere comprensoriale?
Ben altro coinvolgimento e metodi furono usati per preparare la Conferenza del 2009.
Abbiamo l'impressione che si tratti semplicemente di un’operazione di immagine, volendo imitare lo stesso stile di Renzi e del suo Governo: un uomo solo al comando, che non si confronta con nessuno e che lancia qualche slogan e annunci che vorrebbero essere rassicuranti. Non funziona a livello nazionale, tanto meno può funzionare in periferia.
Abbiamo potuto visionare il documento preparatorio e da questo prendere spunto per fornire alcuni argomenti di discussione e farli conoscere alla collettività, dato che la questione economica deve essere prioritaria per la nostra città, attanagliata com’è da una crisi che vede erodere sempre più posti di lavoro.
E' piuttosto inquietante che il documento preparatorio si apra dichiarando una “concezione di città come organizzazione imprenditoriale il cui output è la creazione d'impresa” e poi ricicli l'ormai trito concetto di marketing territoriale.
Una città “desiderabile” non dovrebbe essere organizzata come un’impresa, ma piuttosto come un luogo accogliente socialmente, con al primo posto i beni comuni, la socialità, l'equità. Un luogo, quindi, dove le attività produttive, commerciali, dei servizi, le imprese e lo stesso lavoro - che deve essere il più possibile garantito per tutti - sono un mezzo e non un fine.
Il problema è che questa Amministrazione (in carica ormai da oltre sei anni) non ha un progetto, un’idea di città sostenibile, da proporre alle forze sociali ed economiche del territorio. La “vision” di lungo termine comporta la definizione di un obiettivo di outcome, (era più semplice dire risultato) di trasformazione della realtà socio-economica del territorio faentino, traguardata al 2020 - citata nel testo - pare semplicemente accompagnare le tendenze di mercato, ed in particolare le richieste che possono venire da alcuni poteri forti. Il 2020 è dietro l’angolo, sappiamo come azioni di questo tipo abbiano bisogno di tempo per vedere realizzati i propri obiettivi: il tempo per mettere in campo azioni di marketing territoriale e per lo sviluppo del territorio c’era.
L'Altra Faenza chiede formalmente che si apra una discussione pubblica e vengano coinvolti anche i Consigli Comunali dell'Unione, per affrontare una situazione economica e occupazionale – e i suoi effetti sociali - particolarmente pesante nei nostri territori.
Sappiamo bene che gli strumenti e i poteri degli Enti Locali per promuovere uno sviluppo equilibrato del territorio sono limitati, ma qualche scelta importante può essere indicata.
Giusto per non essere facilmente etichettati dalla solita litania di “opposizione che sa dire solo no”, oppure “che sa criticare senza proporre mai nulla”, mettiamo sul tavolo alcune proposte, riservandoci di argomentarle se ci sarà data la possibilità di farlo:
Fin dalla campagna elettorale della primavera 2016 abbiamo sollecitato l’attivazione di un Osservatorio in grado di monitorare gli effetti della crisi (aziende chiuse e in difficoltà, posti di lavoro persi, lavoratrici e lavoratori disoccupati e in Cassa integrazione, nuove aree di povertà, ecc.); se non si conosce la realtà è difficile destinare le poche risorse possibili a favore di chi più ha bisogno;
Nei mesi scorsi, proprio in considerazione della gravità della situazione, abbiamo pubblicamente proposto che “tutta la città si unisca nel fronteggiare la crisi”; lo abbiamo fatto perché riteniamo utili il confronto, il dialogo, la collaborazione.
E’ necessario individuare i settori sui quali puntare nel nostro territorio, evitando espressioni generiche quali quelle contenute nel documento della Giunta; è necessario elaborare un vero e proprio piano strategico territoriale e promuoverlo con un tangibile processo partecipativo allargato;
Si deve dare corso al Piano di Azione per l'Energia Sostenibile – il PAES (approvato più di un anno fa e non ancora partito) - e iniziare a tradurre in fatti concreti i principi sull'”economia circolare” contenuti nella recente Legge Regionale, particolarmente di attualità vista la “crisi dei rifiuti” che coinvolge tutti.
Lo ripetiamo: L'Altra Faenza chiede di poter esprimere il proprio contributo, al pari di altre realtà attive nel territorio: forze politiche, associazioni, volontariato, movimenti. Su temi quali quelli che la Conferenza economica dovrebbe essere chiamata ad affrontare - così da poter fornire una lettura puntuale e articolata della situazione e le conseguenti indicazioni e scelte di prospettiva - procedere escludendo espressioni della società in grado di fornire un apporto positivo costituirebbe una scelta miope e di basso profilo.
Faenza, 25 maggio 2016
L'Altra Faenza
Comunicato
(I 10 passi della strategia Rifiuti Zero)
La vicenda dei subappalti per il servizio di raccolta rifiuti, che Hera ha fatto al massimo ribasso, sta diventando una “telenovela”, mentre i disservizi continuano. (Ritiro dell'affidamento alla “chiacchierata” società Ambiente 2.0; proposta di assegnazione al consorzio Ciclat, che giustamente ad un ribasso del 14% ha rifiutato; necessità di una nuova gara...).
E' necessaria una riflessione più approfondita sul ruolo delle multiutility (nel nostro caso di Hera) ancora formalmente a partecipazione e maggioranza pubblica, ma senza che gli Amministratori pubblici abbiano un vero ruolo di orientamento e decisione.
“Mai più questi disservizi” hanno detto molti Amministratori locali. Ma cosa pensano di fare perché non si ripetono?
L'Altra Faenza avanza alcune questioni sulle quali vorremmo aprire una discussione pubblica.
I Comuni del comprensorio forlivese, gestiranno la raccolta dei rifiuti con una propria società pubblica, perché non si può fare anche nei nostri territori? In ogni caso, in vista della prossima gara europea di affidamento del servizio, indichiamo alcuni punti:
1) Per evitare pericolose commistioni, andrebbe separata la fase di raccolta da quello dello smaltimento (Hera non può gestirle entrambe, peraltro subappaltando gran parte della raccolta);
2) I bacini di raccolta dovrebbero essere più piccoli (tra i 30 e 100 mila abitanti) per poter applicare meglio gli obiettivi dalla nuova legge regionale (riduzione, differenziazione, riuso, raccolta porta a porta e tariffa puntuale);
3) La durata dell'affidamento dovrebbe essere di 5 anni (eventualmente prorogabili) e non 15 anni, come ipotizzato dalla Regione.
4) Per preparare il bando è necessario avere un quadro esatto del ciclo di raccolta e smaltimento nei nostri territori, serve una relazione dettagliata, da rendere pubblica.
5) Nel bando di gara vanno indicati con precisione i termini del servizio che deve essere svolto e le necessarie penalizzazioni nei casi di inadempienza.
6) La preparazione del bando di gara non può essere lasciata all'Agenzia Territoriale dell'Emilia-Romagna per i Servizi Idrici e Rifiuti (Atersir), ma deve essere definita con la partecipazione dei cittadini e dei lavoratori coinvolti, anche attraverso le associazioni dei cittadini, degli ambientalisti, delle organizzazioni sindacali, chiamando i Consigli Comunali a discutere e deliberare.
Maggio 2016
Comunicato stampa del Comitato Salviamo la Costituzione di Ravenna
Siamo in buona compagnia Con Roberto Benigni e con Valerio Onida Altro che Casa Pound
www.salviamolacostituzione.ra.it
La nostra forza sta nella partecipazione, nel sostegno che riceviamo dalla cittadinanza, e nel nostro capillare impegno, che continua in tanti diversi luoghi della provincia.
Diamo importanza ai numeri, ma non soltanto ai numeri.
Ci conforta sapere che siamo in buona compagnia, nel nostro quotidiano sforzo di informare e chiedere attenzione.
Roberto Benigni, uno dei pochi “eroi popolari” del nostro tempo, sta informandosi sulla “riforma” e orientandosi verso il NO al referendum costituzionale del prossimo ottobre.
Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale, con il quale abbiamo intensamente collaborato nella campagna referendaria del 2006,
si impegna - e ci impegna - in una argomentata e approfondita valutazione delle ragioni del NO a QUESTA “riforma” costituzionale. In un recente articolo pubblicato su “Il Sole 24 Ore” ( 3 maggio 2016), Onida sottolinea il valore che ogni Costituzione deve avere, e che la nostra ha sicuramente avuto, nella sua origine e nella storia della Repubblica, fino a vent’anni fa: essere espressione di unità.
La Costituzione è tale se è “casa comune”.
Non lo è più se diventa
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