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Emergenza Smog:
In occasione dell’avvio della campagna itinerante Città2030,
Legambiente diffonde i dati di bilancio 2024 di Mal’Aria di città sull’inquinamento atmosferico nei capoluoghi di provincia
 
Nel 2024, in Emilia-Romagna 5 città capoluogo su 9 hanno sforato le giornate concesse di superamento dei limiti di concentrazione di PM10
 
Rispetto ai nuovi target europei previsti al 2030, situazione ancora più critica: tutti i nostri capoluoghi dovrebbero adottare misure correttive importanti
 
Legambiente: “Il 2030 è alle porte, servono scelte coraggiose ora. È fondamentale investire nella mobilità sostenibile, potenziando il trasporto pubblico e rendendo le città più vivibili, con spazi pedonali e ciclabili. Urgente anche intervenire su riscaldamento domestico e agricoltura, riducendo l’impatto degli allevamenti intensivi e integrando le politiche su clima, energia e qualità dell’aria”.
 
Al via oggi da Milano, la campagna itinerante Città2030, come cambia la mobilità che fino al 18 marzo farà tappa in 20 città
 
 
Solo cinque anni ci separano dai nuovi limiti europei sulla qualità dell'aria, ma le città italiane sono drammaticamente impreparate: l'aria resta irrespirabile e i livelli di inquinamento attuali sono ancora troppo distanti dai parametri che entreranno in vigore nel 2030. È quanto emerge dal nuovo report di Legambiente "Mal'Aria di città 2025", che l’associazione ambientalista lancia oggi, a Milano, nel giorno di avvio della sua campagna itinerante Città2030, come cambia la mobilità che, fino al 18 marzo, attraverserà le città italiane per capire quanto manca alle aree urbane per avere un sistema di trasporto sostenibile, efficiente, accessibile e che renda le strade più sicure, a partire dagli utenti più deboli come i pedoni e i ciclisti.
 
Il report Mal’Aria ha analizzato nei capoluoghi di provincia i dati relativi alle polveri sottili (PM10) e al biossido di azoto (NO2). Nel 2024, 25 città, su 98 di cui si disponeva del dato, hanno superato i limiti di legge per il PM10 (35 giorni all'anno con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo), con 50 stazioni di rilevamento – dislocate in diverse zone dello stesso centro urbano.
Una situazione di picco, quella dello sforamento del limite giornaliero di PM10, che in molti casi ha riguardato molte centraline della stessa città. Un quadro che secondo Legambiente rivela come l'inquinamento atmosferico sia un problema diffuso e strutturale, ben più esteso di quanto amministratori locali e cittadini vogliano ammettere.
 
In Emilia-Romagna ben 5 città su 9 hanno superato i giorni di sforamento del limite di PM10; Modena è la peggiore con 52 sforamenti in un anno, seguita da Piacenza e Rimini a 40, Ferrara a 38 e Ravenna a 37.
 
Se andiamo poi a vedere la media annuale della concentrazione di PM10 rileviamo un dato positivo, ovvero che nessuna città ha superato i limiti attualmente vigore (40 µg/mc); ma se considerassimo i limiti inseriti nella nuova direttiva approvata a livello comunitario, che entrerà in vigore nel 2030 e che per il PM10 fissa la concentrazione media a 20 µg/mc, solo Forlì rispetterebbe il parametro
 
La situazione è migliore per quanto riguarda l’NO2, inquinate principalmente dovuto al trasporto su strada; nessun capoluogo di regione ha sforato i giorni di limite e il confronto con i nuovi valori richiesti dalla direttiva comunitaria (20 µg/mc) vede solo due città, Modena e Rimini, con necessità di interventi correttivi.
 
 
Città
medie annuali 2024 (µg/mc)*
riduzione delle concentrazioni necessaria (%)
PM10
NO2
PM10
NO2
Bologna
21
19
-6%
-
Cesena
23
17
-13%
-
Ferrara
23
14
-13%
-
Forlì
20
19
-
-
Modena
28
21
-29%
-5%
Parma
26
19
-23%
-
Piacenza
27
17
-26%
-
Ravenna
24
16
-17%
-
Reggio Emilia
26
20
-22%
-
Rimini
26
22
-22%
-9%
 
* I dati sono aggiornati sul sito di Arpa Emilia Romagna fino al 03/11/2024. La media
riportata fa riferimento quindi al periodo 01/01/2024 - 03/11/2024
 
 
 
"I dati per la nostra regione non sono del tutto negativi, le azioni messe in campo in questi anni stanno dando risultati. Occorre però essere più incisivi, perché al 2030 mancano solo 5 anni – commenta il presidente di Legambiente Emilia-Romagna, Davide Ferraresi. – Occorre potenziare il trasporto pubblico locale e abbandonare i progetti obsoleti di nuove autostrade e di allargamento delle esistenti per favorire il trasporto su ferro. Occorre anche incentivare l’efficientamento energetico degli edifici, la dismissione delle caldaie a gas e del riscaldamento a biomassa in città insieme alla produzione di energia da fonti rinnovabili.”
“Se da un lato alcune politiche regionali sono state coerenti con gli obiettivi da raggiungere, dall’altro permangono progetti che vanno in senso opposto come, sul versante delle infrastrutture trasportistiche, l’autostrada Cispadana o il Passante di Bologna; insieme a queste vi sono gli impianti in fase di realizzazione per la distribuzione del gas metano, come il rigassificatore di Ravenna e i nuovi metanodotti. Occorre, ultima ma non ultima, una nota sul mondo dell’agricoltura. Abbiamo visto in questi anni un impegno progressivo su diversi fronti per ridurre le emissioni inquinanti, ma restano forti criticità proprio nel settore agrozootecnico: se nel bacino padano vogliamo un’aria più pulita occorre che anche i soggetti di questo ambito facciano la loro parte”.
 
"I dati del 2024 confermano che la riduzione dell’inquinamento atmosferico procede a rilento" – spiega Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – "con troppe città ancora lontane dagli obiettivi target. Le conseguenze non si limitano all’ambiente, ma coinvolgono anche la salute pubblica e l’economia. Alla luce degli standard dell'OMS, che suggeriscono valori limite molto più stringenti rispetto a quelli di legge attuali e che rappresentano il vero obiettivo per salvaguardare la salute delle persone, la situazione diventa è ancora più critica: il 97% delle città monitorate supera i limiti dell'OMS per il PM10 e il 95% quelli per l'NO2. L'inquinamento atmosferico, infatti, è la prima causa ambientale di morte prematura in Europa, con circa 50.000 morti premature solo in Italia".
 
Per uscire dall'emergenza smog - evidenzia Legambiente - servono politiche strutturali che incidano tutti i settori corresponsabili dell'inquinamento. Le priorità sono:
  • Ripensare la mobilità urbana, mettendo le persone al centro: da un lato potenziare con forza il trasporto pubblico che deve essere convertito con soli mezzi elettrici entro il 2030, dall'altro avviare uno stop progressivo ma anche incisivo ai veicoli più inquinanti nei centri urbani, creando una rete diffusa di aree pedonali e percorsi ciclopedonali, perseguendo il modello della "città dei 15 minuti”, creando Low Emission Zones e usando politiche come Città30, già attivata con successo a Bologna, Olbia e Treviso.
  • Accelerare la riconversione degli impianti di riscaldamento, mappando quelli esistenti e programmando l'abbandono progressivo delle caldaie a gasolio, carbone e metano in favore di sistemi come le pompe di calore a gas refrigeranti naturali;
  • Intervenire sul settore agrozootecnico, specialmente nel bacino padano dove le condizioni geografiche e meteorologiche favoriscono l'accumulo di inquinanti, riducendo gli allevamenti intensivi e le conseguenti emissioni di metano e ammoniaca attraverso l'implementazione di buone pratiche come la copertura delle vasche e il controllo degli spandimenti;
  • Integrare le politiche su clima, energia e qualità dell'aria, considerando anche il ruolo del metano nella formazione dell'ozono troposferico.
  •  
La campagna Città2030: come cambia la mobilità. Oggi, 4 febbraio, prende il via la nuova edizione di Città2030, la campagna itinerante di Legambiente che, fino al 18 marzo, attraverserà le città italiane per promuovere una mobilità sostenibile, chiedendo centri urbani più vivibili, accessibili e sicuri. Il programma prevede incontri con amministrazioni locali, esperti e cittadini per discutere le sfide della mobilità da vincere entro il 2030, anno in cui entrerà in vigore la nuova la nuova Direttiva europea sulla qualità dell’aria (AAQD).  Inoltre, il Piano Nazionale sulla Sicurezza Stradale, fissa l’obiettivo di dimezzare le vittime sulla strada proprio entro il 2030, rendendo ancora più urgente una trasformazione del modo di muoversi nei centri urbani.  Accanto al dibattito, la campagna porterà in piazza iniziative pubbliche come flash mob, presidi e attività di bike to school, con focus su Tpl, sharing mobility, mobilità elettrica e Città30.
 
Due tappe spin-off a Cassino e Pomigliano d'Arco saranno dedicate alla crisi del settore automotive e anticiperanno l’evento conclusivo della campagna, in occasione della tappa di Roma: il “Forum Mobilità: dalle politiche urbane a quelle industriali. Come cambia la mobilità in Italia?”. L’appuntamento finale, in programma il 18 marzo, presso la Sala delle Bandiere, Commissione europea Rappresentanza in Italia, riunirà rappresentanti del settore automotive del nostro Paese, i sindacati, i player della mobilità elettrica, della micromobilità e gli amministratori dei capoluoghi impegnati nella transizione verso un nuovo modello di mobilità.
 
Il tour 2025 parte oggi a Milano, dove tornerà il 14 febbraio, per poi proseguire verso Genova (11 -12/02), Firenze (13 -14/02), Prato (14/02), Modena (22/02), Bologna (24/02), Torino (27/02), Padova (28/02-1/03), Perugia (28/02-1-2/03), Pescara (05/03), Trieste (06/03), Napoli (7/03), Messina (7-8/03), Olbia (7-8/03), Avellino (10/03), Reggio Calabria (13/03), Brindisi (14/03)  e concludersi a Roma (17-18).
 
Anche quest'anno, Legambiente rilancia la petizione online “Ci siamo rotti i polmoni. No allo smog!”, chiedendo al Governo interventi urgenti per contrastare l'inquinamento atmosferico, a partire da nuove misure per la mobilità e l’uso dello spazio pubblico e della strada. Firmala anche tu >> https://attivati.legambiente.it/malaria
 
*Note metodologiche: l’unità di misura con la quale vengono espresse le concentrazioni di NO2, e PM10 è microgrammi per metro cubo di aria (µg/mc). Per quanto riguarda il biossido d’azoto (NO2), le città capoluogo di provincia di cui è stata ricavata la media annuale sono 98; per il PM10 (sia per le medie annuali che per gli sforamenti giornalieri) sono 98. La media annuale è stata calcolata come media delle medie annuali delle singole centraline di monitoraggio ufficiale delle Arpa classificate come urbane (fondo o traffico). 

IMAGOECONOMICA IMAGOECONOMICA

Mentre metà dei lavoratori dipendenti attendono il rinnovo del contratto collettivo nazionale, il governo resta immobile, impegnato a difendere gli interessi di pochi privilegiati invece di garantire dignità a chi manda avanti il Paese. Operai, impiegati pubblici, infermieri, farmacisti, addetti delle telecomunicazioni: 6,6 milioni di lavoratori abbandonati a se stessi, ostaggio di un esecutivo pericoloso e inadeguato.

Nei prossimi sei mesi altri contratti scadranno e, nonostante lo storytelling rassicurante di Palazzo Chigi, il ticchettio della bomba sociale si fa sempre più pressante. I dati dell’Istat sono impietosi: a dicembre 2024 le retribuzioni contrattuali sono aumentate di un ridicolo 0,1%, mentre su base annua si registra addirittura un calo. Un disastro annunciato, conseguenza diretta dell’ostinazione di Meloni & co. a negare un’emergenza salariale sempre più drammatica. È bene ripeterlo fino allo sfinimento: siamo l’unico Paese Ocse con gli stipendi bloccati da almeno trent’anni.

Davanti a questo sfacelo, l’esecutivo non solo si rifiuta di agire, ma boicotta ogni soluzione possibile. Ha bocciato la proposta di un salario minimo a 9 euro l’ora e ha persino impugnato la legge della Regione Puglia che garantiva questa soglia. Una scelta ideologica, figlia di una precisa scelta politica: difendere rendite e privilegi piuttosto che garantire il diritto di milioni di cittadini a vivere dignitosamente.

Sui contratti siamo all’accanimento terapeutico. Il tempo medio di attesa per il rinnovo è salito a 22 mesi. Un’agonia insopportabile. I lavoratori della sanità privata scendono in piazza sotto il ministero della Salute, i metalmeccanici minacciano nuovi scioperi, altre categorie alternano stati agitazione a mobilitazioni ma l’esecutivo se ne frega, barricandosi dentro la sua bolla di arroganza e incompetenza.

Nel pubblico impiego la situazione è fuori controllo: i contratti del triennio 2022-24 sono bloccati e il ministro dell’Economia Giorgetti offre briciole. Meno di 42 euro per gli infermieri, poco più di 38 euro per gli operatori socio-sanitari, meno di 38 euro per i funzionari pubblici. Una vera e propria umiliazione, tanto che i sindacati hanno rispedito al mittente questa presa in giro.

Per non parlare dell’economia, impantanata nelle sabbie mobili dello zero periodico. Il 2024 si è chiuso con una crescita risibile dello 0,5%, mentre il 2025 è partito senza slancio. Invece di intervenire con politiche espansive, si insiste su tagli lineari e austerità mascherata, aggravando il declino industriale e occupazionale di un Paese in crisi di credibilità.

I soldi per invertire la rotta ci sarebbero eccome. Chiedere a chi detiene grandi profitti, evade le tasse o possiede grandi patrimoni. Ma anche qui l’esecutivo se ne frega e preferisce lisciare il pelo ai potenti, smantellare la Costituzione e picconare la magistratura. Tutte priorità di una destra sempre più infastidita dalla democrazia.

Mercoledì 5 febbraio alle 20,30 a Faenza, presso l’aula 3 di Faventia Sales in via San Giovanni Bosco n.1, la professoressa Anna Foa, docente emerita di Storia moderna
all’Università “La Sapienza” di Roma, presenterà il suo ultimo libro “IL SUICIDIO DI ISRAELE” (Ed. Laterza, 2024).


L’iniziativa è promossa da “Overall Rete Multiculturale Faenza”. L’ingresso è aperto a tutti.

L’autrice, presente in collegamento online, dialogherà con Loretta Pezzi, esponente di Overall, e con il pubblico.

La professoressa Anna Foa, ebrea della diaspora, dopo aver analizzato nel suo libro la sofferta storia del rapporto tra israeliani e palestinesi culminato nella tragica vicenda della guerra di Gaza, ha scritto: 

“Quello che succede oggi in Medio oriente è per Israele un vero e proprio suicidio.

Un suicidio guidato dal suo governo, contro cui – è vero – molti israeliani lottano con tutte le loro forze, senza tuttavia finora riuscire a fermarlo. E senza nessun aiuto, o quasi, da parte degli ebrei della diaspora...Qualunque sostegno ai diritti di Israele – esistenza, sicurezza – non può prescindere da quello dei diritti dei palestinesi. Senza una diversa politica verso i palestinesi Hamas non potrà essere sconfitta ma continuerà a risorgere dalle sue ceneri. Non saranno le armi a sconfiggere Hamas, ma la politica”.

 

Anna Foa è autrice di numerosi studi di “Storia culturale” della prima età moderna e di opere sulla storia degli ebrei in Italia e in Europa. Insignita nel 2019 dal presidente Sergio Mattarella della Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica, ha pubblicato molti volumi tra i quali ricordiamo:

Ateismo e magia, Giordano Bruno; Eretici. Storie di streghe, ebrei e convertiti; Andare per ghetti e giudecche; Ebrei in Europa. Dalla Peste Nera all’emancipazione XIV-XIX secolo; Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento; Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ’43; La famiglia F.; Gli ebrei in Italia. I primi 2000 anni.

L’Italia è in prima fila in questo percorso, con quasi 3,2 milioni di posti di lavoro attivi nell’economia verde, ma è fondamentale accelerare il passo

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Storie e protagonisti della transizione ecologica italiana. Nonostante la strada in salita, mette in evidenza Legambiente, l’Italia crede nella transizione ecologica come dimostrano le tante imprese che puntano sempre più su decarbonizzazione, sostenibilità ambientale ed economia circolare. Sono 30 i “campioni nazionali” censiti da Legambiente con un tour itinerante, partito 20 mesi fa, nell’ambito della campagna nazionale “I cantieri della transizione ecologica”. Storie che, spiega l’associazione ambientalista, arrivano dal Nord al Sud e dalle Isole della Penisola e che dimostrano con concretezza la forza della transizione ecologica in diversi ambiti: rivoluzione energetica, adattamento alla crisi climatica, agroecologia, rigenerazione urbana, mobilità sostenibile, riconversione industriale, economia circolare, lotta alle illegalità, aree protette e biodiversità, giovani e università.

SI va dalla Cartiera Pirinoli che a Roccavione (CN) utilizza il 100% di materiale proveniente dalla raccolta differenziata al più grande impianto fotovoltaico per autoconsumo in ambito aeroportuale d’Europa a Fiumicino (RM); dal riciclo delle terre rare dai RAEE da parte dello Stabilimento Itelyum Regeneration a Ceccano (FR) al recupero degli oli minerali usati e dei rifiuti pericolosi da parte di CONOU, Mecomer a San Giuliano Milanese (MI).

Ancora: dalle attività di riciclo degli pneumatici fuori uso da parte di Ecopneus e della Tyres Recycling Sud a Balvano in Basilicata alla chiusura del cerchio dal rottame di vetro per l’imbottigliamento del vino in Sicilia (CoReVe, il Centro di trattamento Sarco, la vetreria O-I Italy); dall’acciaieria di Lonato del Garda (BS) che lavora nel forno elettrico il 99% di rottami ferrosi (Ricrea e Feralpi group) agli impianti di produzione di elettricità da fonti rinnovabili (eolico e fotovoltaico) in provincia di Trapani (gruppo A2A); dall’esperienza degli scarti della coltivazione degli ulivi, della raccolta e lavorazione delle olive per la produzione di oli, trasformati in biometano e compost in provincia di Foggia (CIB e l’impianto a biometano dell’azienda agricola Arca a Cerignola) alla centrale a biomassa in Veneto che utilizza il legno proveniente anche dagli schianti verificatesi con la tempesta Vaia, per fornire energia alla vetreria locale (Assovetro, Zignago Vetro, Fossalta di Portogruaro), fino alla produzione di pannelli in cartongesso da parte della Fassa Bortolo, puntando su recupero degli scarti e tecniche di estrazione da cave in sotterranea a basso impatto ambientale a Calliano (AT); dall’infrastrutturazione digitale a servizio del monitoraggio antincendio nelle riserve naturali abruzzesi (INWITT) a un modello virtuoso di separazione e riciclo della plastica da raccolta differenziata in provincia di Caserta.

La strategia

La strategia che accomuna queste realtà è quella di innovare produzioni e prodotti, decarbonizzare l’economia italiana per moltiplicare i posti di lavoro e competere sui mercati internazionali. Ed è anche la ricetta che Legambiente propone per accelerare in Italia la transizione ecologica. L’associazione ambientalista ha presentato a Roma, in occasione della seconda edizione del Forum “L’Italia in cantiere”, la “Bussola per la competitività” dell’economia italiana. Lo ha fatto fa nel giorno in cui la Commissione Europea fa altrettanto, ovvero presenta il piano di legislatura incentrato proprio sul tema della competitività, al centro del recente rapporto presentato da Mario Draghi. La bussola si compone di 14 proposte su quattro aree di intervento - iter autorizzativi, energia, economia circolare e controlli ambientali, su cui secondo l’associazione è fondamentale lavorare per avere un’Italia davvero decarbonizzata, circolare e competitiva a livello internazionale.

Per quanto riguarda gli iter autorizzativi, secondo Legambiente occorre completare l’organico della Commissione PNRR - PNIEC del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e rafforzare il personale degli uffici regionali e comunali preposti alle autorizzazioni; sull’energia rinnovabile occorre rivedere il decreto sulle aree idonee, accorciare i tempi del regime transitorio per l’entrata in vigore del prezzo zonale al posto del PUN, prezzo unico nazionale, snellire gli iter autorizzativi dei progetti di repowering dei parchi eolici esistenti, estendere alle aree agricole all’interno dei Siti di interesse nazionale (SIN) e regionale (SIR) da bonificare la possibilità di realizzare impianti fotovoltaici a terra, rendere obbligatoria l’installazione di impianti fotovoltaici nei parcheggi di superficie superiore a 1.500 mq, garantire il completamento dei percorsi avviati con gli accordi tra GSE e i principali settori industriali energivori. Per quanto riguarda l’economia circolare occorre monitorare e velocizzare gli iter di autorizzazione e realizzazione degli interventi previsti dal PNRR, sostenere lo sviluppo delle filiere e dei settori strategici nel panorama nazionale e internazionale, dal tessile alle materie prime critiche, dai rifiuti speciali ai RAEE, semplificare l’iter tortuoso di approvazione dei decreti End Of Waste (EOW), estendere l’obbligo di utilizzare i Criteri Ambientali Minimi (Green Public Procurement) agli affidamenti di qualsiasi tipologia di opere, beni e servizi da parte della Pubblica Amministrazione). Sui controlli ambientali va completata l’approvazione dei decreti attuativi della legge 132 del 2016 cha ha istituito il Sistema nazionale di protezione ambientale per fermare la concorrenza sleale degli operatori che non rispettano le regole.

La grande spinta, osserva l’associazione ambientalista, arriva soprattutto da due settori di punta: dall’economia circolare e da quello energetico incentrato sulle fonti pulite, dove tra l’altro l’Italia fa scuola con i primati raggiunti in diverse filiere come quelle del vetro, carta, acciaio, oli minerali esausti e vantando una produzione di elettricità da rinnovabili che nel 2024 ha raggiunto il record storico del 41,2% di copertura del fabbisogno annuale (dati Terna) – nonostante gli ostacoli non tecnologici.

Green jobs

Parlare di transizione ecologica significa parlare di green jobs. Stando ai dati del rapporto GreenItaly 2024 di Fondazione Symbola, Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne, nel 2023 le figure professionali legate alla green economy rappresentavano il 13,4% degli occupati totali, pari a 3.163.400 unità. Inoltre, i nuovi contratti attivati nelle filiere dell’economia verde sono stati 1.918.610, pari al 34,8% del totale dei nuovi contratti in Italia attivati nel 2023. in Italia le Regioni che registrano l’incidenza più elevata di green jobs sul totale degli occupati sono la Lombardia e l’Emilia-Romagna, con il 15%, seguite da Umbria (14,7%), Piemonte (14,3%), Trentino-Alto Adige (14,3%). Nella parte centrale della classifica delle Regioni ci sono Lazio (13,7%), Toscana (13,6%), Veneto (13,6%), Friuli-Venezia Giulia (13,4%), Abruzzo (13,1%), Molise (12,6%), Marche (12,3%), Puglia (12%), Basilicata (11,7%), Liguria (11,6%), Valle d’Aosta (11,5%), Campania (11.5%) e Calabria (11,4%); chiudono la classifica Sicilia e Sardegna rispettivamente con il 10,5% e il 10%.

 

Un gruppo di manifestanti si è riunito in piazza per portare alla luce una situazione che si starebbe verificando in un centro di accoglienza della provincia
 La manifestazione in piazza (foto Argnani)
Nel centro di accoglienza mancherebbero i servizi minimi. Questo è quanto hanno denunciato questa mattina in piazza del Popolo alcune decine di manifestanti, tra attivisti e persone ospitate nel Cas di Bagnacavallo che sorge all'interno dell’ex Hotel Gemelli. "Siamo qui per chiedere alla Prefettura di Ravenna di agire per garantire la corretta applicazione capitolato d'appalto sull'accoglienza. Le persone sono una cosa seria. Quando si parla di accoglienza, si parla di persone", si legge nei cartelloni affissi al centro della piazza.

 Come si legge nei documenti esposti in piazza, la cooperativa che gestisce il Centro d'accoglienza di Bagnacavallo sarebbe "la più grande in termini di capienza e utenza nella provincia di Ravenna, con oltre 30 Cas sparsi in tutta la provincia". Quello che i manifestanti hanno voluto denunciare, e per il quale chiedono un intervento delle istituzioni, è che le persone accolte nel Cas non avrebbero l'accesso "ai pasti regolari, alle medicine, ai pannolini, al materiale scolastico per minori, a standard abitativi e igienici minimi". Servizi che, per i promotori del presidio, sarebbero previsti dal capitolato d'appalto e garantiti in altri centri di accoglienza straordinaria sul territorio ravennate.


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Gli ospiti del Cas protestano davanti alla Prefettura: "Mancano medicine, pasti regolari e igiene minima"
https://www.ravennatoday.it/cronaca/cas-protesta-prefettura-medicine-pasti-regolari-igiene-minima.html
© RavennaToday

Aumento di carichi e orari di lavoro, e pochissimi incrementi salariali. Vannini, Fp Cgil: “Il rinnovo proposto da Aran svuoterà la sanità pubblica, anche per via contrattuale”

No, proprio non conviene ai lavoratori e alle lavoratrici firmare l’ipotesi di rinnovo contrattuale presentata dall’Aran ai sindacati. Non conviene dal punto di vista degli incrementi economici e non conviene dal punto di vista normativo. E quanto hanno affermato il presidente dell’Aran Naddeo e il ministro Zangrillo assomiglia molto al gioco delle tre carte, ma i numeri reali sono altri.

Le menzogne dalle gambe corte

Dice Naddeo lo scorso 15 gennaio su Quotidiano Sanità: “Un infermiere di pronto soccorso, a decorrere da gennaio 2024, avrebbe avuto un incremento di stipendio di 150 euro, e di indennità di 240 euro al mese, che sarebbero saliti a 305 euro dal 2025 per arrivare a circa 360 euro nel 2026. Cioè 510 euro a regime. Poi era previsto un aumento di 35 euro delle indennità per le ostetriche nel 2024 che diventano 40 nel 2025. E poi a tutti i professionisti della salute nel 2026 venivano riconosciuti ulteriori 58 euro”.

Dice il ministro Zangrillo sullo stesso giornale nello stesso giorno: “Proponevamo un incremento che corrispondeva al 6,8%, quindi 172 euro di aumento, e la possibilità di firmare questo contratto ci avrebbe poi consentito di aprire immediatamente la trattativa per il contratto successivo, quello della tornata 2025-27, che prevedeva un ulteriore 6,9% con altri 186 euro di incremento salariale”.

 

La verità sugli aumenti contenuti nella proposta di rinnovo

Partiamo dall’inizio, il rinnovo contrattuale di cui si parla è quello per il biennio 2022-24, gli aumenti dovrebbero servire a riconquistare il potere di acquisto dei salari intaccato dall’inflazione. Tra il 2022 e il 2024 il tasso di inflazione è stato del 16,5%. L’incremento contrattuale proposto dal governo per tutto il lavoro pubblico è del 5,75%. Manca oltre il 10% di incremento, e non è affatto poco.

Veniamo alle cifre. L’aumento tabellare medio per un infermiere, se l’intesa fosse stata firmata, sarebbe stato di 135 euro lordi al mese che decurtato dell’Indennità di vacatio contrattuale già erogata si sarebbe ridotto a 45,87 euro lordi al mese. Analoghe cifre sarebbero entrate nelle buste paga degli altri lavoratori e lavoratrici del comparto: circa 50 euro lordi al mese.

 

E i 510 euro di cui parla Naddeo? Sarebbero toccati solo agli infermieri dei pronto soccorso: mettendo insieme aumenti tabellari e indennità varie, stiamo parlando di meno del 4%, 23 mila in tutto degli infermieri e delle infermiere sugli oltre 580mila in servizio.

Michele Vannini Fp Cgil

Ma l’inganno è ben peggiore

Lo spiega Michele Vannini, segretario nazionale della Fp Cgil: “Il governo non ha stanziato le risorse necessarie per aumenti contrattuali dignitosi, le ha previste da una parte per la flat tax sulle prestazioni orarie aggiuntive che altro non sono che ore di lavoro straordinario pagate di più rispetto allo straordinario ordinario, e sull'abbattimento della tassazione al 5% solo ed esclusivamente per gli infermieri. Il messaggio – aggiunge Vannini – è chiaro: se vuoi guadagnare di più devi essere disponibile a lavorare di più”. Insomma, non si assume personale, non si aumentano gli stipendi ma si paga di più solo lo straordinario oltre quello previsto. Davvero una specie di truffa, e per di più è bene ricordare che, sebbene sia sbagliato “strizzare” i dipendenti, il 70% del personale è donna e per loro è assai più difficile accedere a tanto straordinario dovendo conciliare vita professionale e vita familiare.

Privatizzazione surrettizia

La conseguenza di tutto ciò è semplice e duplice, da un lato l’invecchiamento del personale, tanto più che in manovra c’è il blocco al 75% del turn over, e dall’altro la fuga dal pubblico degli operatori e operatrici sanitari che non ce la fanno più. È ancora Vannini a spiegare: “Se non si corregge questo processo, inevitabilmente si arriverà a esternalizzare i servizi. Quando il pubblico non ce la fa, il privato è pronto a entrare”.

Il contratto, si sa, serve anche a migliorare condizioni di lavoro e di carriera e invece nella proposta dell’Aran “non ci sarebbero stati strumenti sufficienti per la valorizzazione dei professionisti, e l’introduzione dell’assistente infermiere, così come proposta, servirebbe solo ad abbassare la qualità dell’assistenza e il costo del lavoro”. Ancora, nulla per il welfare aziendale e nessun aumento dei buoni pasto e nemmeno l’eliminazione di 1/5 a carico di lavoratori e lavoratrici.

E per la parte normativa non va meglio

Le richieste sindacali non hanno ricevuto risposte positive, nulla per i profili amministrativi e tecnici, né per le progressioni di carriera. E per quanto riguarda le ferie nessuna risposta: “Nessuna modifica alla retribuzione per le ferie, nonostante le sentenze della Cassazione abbiamo affermato che durante i periodi di ferie spettino tutte le indennità percepite relativamente alle mansioni ordinariamente svolte”.

La vertenza proseguirà

Inevitabile continuare la vertenza aperta e che ha visto nello sciopero generale dello scorso novembre un momento importante. Sottolinea il dirigente sindacale: “Questo rinnovo contrattuale in realtà altro non è che spremere i lavoratori e le lavoratrici il più possibile. E serve per continuare anche per via contrattuale a svuotare la sanità pubblica. Continueremo la vertenza per questo come per gli altri contratti pubblici che ancora non sono stati sottoscritti, e lavoreremo anche con le regioni, molte di loro si sono pronunciate sulla necessità di nuove risorse per il Ssn”.