Città
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medie annuali 2024 (µg/mc)*
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riduzione delle concentrazioni necessaria (%)
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PM10
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NO2
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PM10
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NO2
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Bologna
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21
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19
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-6%
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-
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Cesena
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23
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17
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-13%
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-
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Ferrara
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23
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14
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-13%
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-
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Forlì
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20
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19
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-
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-
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Modena
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28
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21
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-29%
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-5%
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Parma
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26
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19
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-23%
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-
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Piacenza
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27
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17
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-26%
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-
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Ravenna
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24
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16
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-17%
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-
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Reggio Emilia
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26
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20
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-22%
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-
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Rimini
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26
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22
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-22%
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-9%
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* I dati sono aggiornati sul sito di Arpa Emilia Romagna fino al 03/11/2024. La media
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riportata fa riferimento quindi al periodo 01/01/2024 - 03/11/2024
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Mentre metà dei lavoratori dipendenti attendono il rinnovo del contratto collettivo nazionale, il governo resta immobile, impegnato a difendere gli interessi di pochi privilegiati invece di garantire dignità a chi manda avanti il Paese. Operai, impiegati pubblici, infermieri, farmacisti, addetti delle telecomunicazioni: 6,6 milioni di lavoratori abbandonati a se stessi, ostaggio di un esecutivo pericoloso e inadeguato.
Nei prossimi sei mesi altri contratti scadranno e, nonostante lo storytelling rassicurante di Palazzo Chigi, il ticchettio della bomba sociale si fa sempre più pressante. I dati dell’Istat sono impietosi: a dicembre 2024 le retribuzioni contrattuali sono aumentate di un ridicolo 0,1%, mentre su base annua si registra addirittura un calo. Un disastro annunciato, conseguenza diretta dell’ostinazione di Meloni & co. a negare un’emergenza salariale sempre più drammatica. È bene ripeterlo fino allo sfinimento: siamo l’unico Paese Ocse con gli stipendi bloccati da almeno trent’anni.
Davanti a questo sfacelo, l’esecutivo non solo si rifiuta di agire, ma boicotta ogni soluzione possibile. Ha bocciato la proposta di un salario minimo a 9 euro l’ora e ha persino impugnato la legge della Regione Puglia che garantiva questa soglia. Una scelta ideologica, figlia di una precisa scelta politica: difendere rendite e privilegi piuttosto che garantire il diritto di milioni di cittadini a vivere dignitosamente.
Sui contratti siamo all’accanimento terapeutico. Il tempo medio di attesa per il rinnovo è salito a 22 mesi. Un’agonia insopportabile. I lavoratori della sanità privata scendono in piazza sotto il ministero della Salute, i metalmeccanici minacciano nuovi scioperi, altre categorie alternano stati agitazione a mobilitazioni ma l’esecutivo se ne frega, barricandosi dentro la sua bolla di arroganza e incompetenza.
Nel pubblico impiego la situazione è fuori controllo: i contratti del triennio 2022-24 sono bloccati e il ministro dell’Economia Giorgetti offre briciole. Meno di 42 euro per gli infermieri, poco più di 38 euro per gli operatori socio-sanitari, meno di 38 euro per i funzionari pubblici. Una vera e propria umiliazione, tanto che i sindacati hanno rispedito al mittente questa presa in giro.
Per non parlare dell’economia, impantanata nelle sabbie mobili dello zero periodico. Il 2024 si è chiuso con una crescita risibile dello 0,5%, mentre il 2025 è partito senza slancio. Invece di intervenire con politiche espansive, si insiste su tagli lineari e austerità mascherata, aggravando il declino industriale e occupazionale di un Paese in crisi di credibilità.
I soldi per invertire la rotta ci sarebbero eccome. Chiedere a chi detiene grandi profitti, evade le tasse o possiede grandi patrimoni. Ma anche qui l’esecutivo se ne frega e preferisce lisciare il pelo ai potenti, smantellare la Costituzione e picconare la magistratura. Tutte priorità di una destra sempre più infastidita dalla democrazia.
Mercoledì 5 febbraio alle 20,30 a Faenza, presso l’aula 3 di Faventia Sales in via San Giovanni Bosco n.1, la professoressa Anna Foa, docente emerita di Storia moderna
all’Università “La Sapienza” di Roma, presenterà il suo ultimo libro “IL SUICIDIO DI ISRAELE” (Ed. Laterza, 2024).
L’iniziativa è promossa da “Overall Rete Multiculturale Faenza”. L’ingresso è aperto a tutti.
L’autrice, presente in collegamento online, dialogherà con Loretta Pezzi, esponente di Overall, e con il pubblico.
La professoressa Anna Foa, ebrea della diaspora, dopo aver analizzato nel suo libro la sofferta storia del rapporto tra israeliani e palestinesi culminato nella tragica vicenda della guerra di Gaza, ha scritto:
“Quello che succede oggi in Medio oriente è per Israele un vero e proprio suicidio.
Un suicidio guidato dal suo governo, contro cui – è vero – molti israeliani lottano con tutte le loro forze, senza tuttavia finora riuscire a fermarlo. E senza nessun aiuto, o quasi, da parte degli ebrei della diaspora...Qualunque sostegno ai diritti di Israele – esistenza, sicurezza – non può prescindere da quello dei diritti dei palestinesi. Senza una diversa politica verso i palestinesi Hamas non potrà essere sconfitta ma continuerà a risorgere dalle sue ceneri. Non saranno le armi a sconfiggere Hamas, ma la politica”.
Anna Foa è autrice di numerosi studi di “Storia culturale” della prima età moderna e di opere sulla storia degli ebrei in Italia e in Europa. Insignita nel 2019 dal presidente Sergio Mattarella della Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica, ha pubblicato molti volumi tra i quali ricordiamo:
Ateismo e magia, Giordano Bruno; Eretici. Storie di streghe, ebrei e convertiti; Andare per ghetti e giudecche; Ebrei in Europa. Dalla Peste Nera all’emancipazione XIV-XIX secolo; Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento; Portico d’Ottavia 13. Una casa del ghetto nel lungo inverno del ’43; La famiglia F.; Gli ebrei in Italia. I primi 2000 anni.
Storie e protagonisti della transizione ecologica italiana. Nonostante la strada in salita, mette in evidenza Legambiente, l’Italia crede nella transizione ecologica come dimostrano le tante imprese che puntano sempre più su decarbonizzazione, sostenibilità ambientale ed economia circolare. Sono 30 i “campioni nazionali” censiti da Legambiente con un tour itinerante, partito 20 mesi fa, nell’ambito della campagna nazionale “I cantieri della transizione ecologica”. Storie che, spiega l’associazione ambientalista, arrivano dal Nord al Sud e dalle Isole della Penisola e che dimostrano con concretezza la forza della transizione ecologica in diversi ambiti: rivoluzione energetica, adattamento alla crisi climatica, agroecologia, rigenerazione urbana, mobilità sostenibile, riconversione industriale, economia circolare, lotta alle illegalità, aree protette e biodiversità, giovani e università.
SI va dalla Cartiera Pirinoli che a Roccavione (CN) utilizza il 100% di materiale proveniente dalla raccolta differenziata al più grande impianto fotovoltaico per autoconsumo in ambito aeroportuale d’Europa a Fiumicino (RM); dal riciclo delle terre rare dai RAEE da parte dello Stabilimento Itelyum Regeneration a Ceccano (FR) al recupero degli oli minerali usati e dei rifiuti pericolosi da parte di CONOU, Mecomer a San Giuliano Milanese (MI).
Ancora: dalle attività di riciclo degli pneumatici fuori uso da parte di Ecopneus e della Tyres Recycling Sud a Balvano in Basilicata alla chiusura del cerchio dal rottame di vetro per l’imbottigliamento del vino in Sicilia (CoReVe, il Centro di trattamento Sarco, la vetreria O-I Italy); dall’acciaieria di Lonato del Garda (BS) che lavora nel forno elettrico il 99% di rottami ferrosi (Ricrea e Feralpi group) agli impianti di produzione di elettricità da fonti rinnovabili (eolico e fotovoltaico) in provincia di Trapani (gruppo A2A); dall’esperienza degli scarti della coltivazione degli ulivi, della raccolta e lavorazione delle olive per la produzione di oli, trasformati in biometano e compost in provincia di Foggia (CIB e l’impianto a biometano dell’azienda agricola Arca a Cerignola) alla centrale a biomassa in Veneto che utilizza il legno proveniente anche dagli schianti verificatesi con la tempesta Vaia, per fornire energia alla vetreria locale (Assovetro, Zignago Vetro, Fossalta di Portogruaro), fino alla produzione di pannelli in cartongesso da parte della Fassa Bortolo, puntando su recupero degli scarti e tecniche di estrazione da cave in sotterranea a basso impatto ambientale a Calliano (AT); dall’infrastrutturazione digitale a servizio del monitoraggio antincendio nelle riserve naturali abruzzesi (INWITT) a un modello virtuoso di separazione e riciclo della plastica da raccolta differenziata in provincia di Caserta.
La strategia che accomuna queste realtà è quella di innovare produzioni e prodotti, decarbonizzare l’economia italiana per moltiplicare i posti di lavoro e competere sui mercati internazionali. Ed è anche la ricetta che Legambiente propone per accelerare in Italia la transizione ecologica. L’associazione ambientalista ha presentato a Roma, in occasione della seconda edizione del Forum “L’Italia in cantiere”, la “Bussola per la competitività” dell’economia italiana. Lo ha fatto fa nel giorno in cui la Commissione Europea fa altrettanto, ovvero presenta il piano di legislatura incentrato proprio sul tema della competitività, al centro del recente rapporto presentato da Mario Draghi. La bussola si compone di 14 proposte su quattro aree di intervento - iter autorizzativi, energia, economia circolare e controlli ambientali, su cui secondo l’associazione è fondamentale lavorare per avere un’Italia davvero decarbonizzata, circolare e competitiva a livello internazionale.
Per quanto riguarda gli iter autorizzativi, secondo Legambiente occorre completare l’organico della Commissione PNRR - PNIEC del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e rafforzare il personale degli uffici regionali e comunali preposti alle autorizzazioni; sull’energia rinnovabile occorre rivedere il decreto sulle aree idonee, accorciare i tempi del regime transitorio per l’entrata in vigore del prezzo zonale al posto del PUN, prezzo unico nazionale, snellire gli iter autorizzativi dei progetti di repowering dei parchi eolici esistenti, estendere alle aree agricole all’interno dei Siti di interesse nazionale (SIN) e regionale (SIR) da bonificare la possibilità di realizzare impianti fotovoltaici a terra, rendere obbligatoria l’installazione di impianti fotovoltaici nei parcheggi di superficie superiore a 1.500 mq, garantire il completamento dei percorsi avviati con gli accordi tra GSE e i principali settori industriali energivori. Per quanto riguarda l’economia circolare occorre monitorare e velocizzare gli iter di autorizzazione e realizzazione degli interventi previsti dal PNRR, sostenere lo sviluppo delle filiere e dei settori strategici nel panorama nazionale e internazionale, dal tessile alle materie prime critiche, dai rifiuti speciali ai RAEE, semplificare l’iter tortuoso di approvazione dei decreti End Of Waste (EOW), estendere l’obbligo di utilizzare i Criteri Ambientali Minimi (Green Public Procurement) agli affidamenti di qualsiasi tipologia di opere, beni e servizi da parte della Pubblica Amministrazione). Sui controlli ambientali va completata l’approvazione dei decreti attuativi della legge 132 del 2016 cha ha istituito il Sistema nazionale di protezione ambientale per fermare la concorrenza sleale degli operatori che non rispettano le regole.
La grande spinta, osserva l’associazione ambientalista, arriva soprattutto da due settori di punta: dall’economia circolare e da quello energetico incentrato sulle fonti pulite, dove tra l’altro l’Italia fa scuola con i primati raggiunti in diverse filiere come quelle del vetro, carta, acciaio, oli minerali esausti e vantando una produzione di elettricità da rinnovabili che nel 2024 ha raggiunto il record storico del 41,2% di copertura del fabbisogno annuale (dati Terna) – nonostante gli ostacoli non tecnologici.
Parlare di transizione ecologica significa parlare di green jobs. Stando ai dati del rapporto GreenItaly 2024 di Fondazione Symbola, Unioncamere e Centro Studi Tagliacarne, nel 2023 le figure professionali legate alla green economy rappresentavano il 13,4% degli occupati totali, pari a 3.163.400 unità. Inoltre, i nuovi contratti attivati nelle filiere dell’economia verde sono stati 1.918.610, pari al 34,8% del totale dei nuovi contratti in Italia attivati nel 2023. in Italia le Regioni che registrano l’incidenza più elevata di green jobs sul totale degli occupati sono la Lombardia e l’Emilia-Romagna, con il 15%, seguite da Umbria (14,7%), Piemonte (14,3%), Trentino-Alto Adige (14,3%). Nella parte centrale della classifica delle Regioni ci sono Lazio (13,7%), Toscana (13,6%), Veneto (13,6%), Friuli-Venezia Giulia (13,4%), Abruzzo (13,1%), Molise (12,6%), Marche (12,3%), Puglia (12%), Basilicata (11,7%), Liguria (11,6%), Valle d’Aosta (11,5%), Campania (11.5%) e Calabria (11,4%); chiudono la classifica Sicilia e Sardegna rispettivamente con il 10,5% e il 10%.
Un gruppo di manifestanti si è riunito in piazza per portare alla luce una situazione che si starebbe verificando in un centro di accoglienza della provincia La manifestazione in piazza (foto Argnani)
Nel centro di accoglienza mancherebbero i servizi minimi. Questo è quanto hanno denunciato questa mattina in piazza del Popolo alcune decine di manifestanti, tra attivisti e persone ospitate nel Cas di Bagnacavallo che sorge all'interno dell’ex Hotel Gemelli. "Siamo qui per chiedere alla Prefettura di Ravenna di agire per garantire la corretta applicazione capitolato d'appalto sull'accoglienza. Le persone sono una cosa seria. Quando si parla di accoglienza, si parla di persone", si legge nei cartelloni affissi al centro della piazza.
Come si legge nei documenti esposti in piazza, la cooperativa che gestisce il Centro d'accoglienza di Bagnacavallo sarebbe "la più grande in termini di capienza e utenza nella provincia di Ravenna, con oltre 30 Cas sparsi in tutta la provincia". Quello che i manifestanti hanno voluto denunciare, e per il quale chiedono un intervento delle istituzioni, è che le persone accolte nel Cas non avrebbero l'accesso "ai pasti regolari, alle medicine, ai pannolini, al materiale scolastico per minori, a standard abitativi e igienici minimi". Servizi che, per i promotori del presidio, sarebbero previsti dal capitolato d'appalto e garantiti in altri centri di accoglienza straordinaria sul territorio ravennate.
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Gli ospiti del Cas protestano davanti alla Prefettura: "Mancano medicine, pasti regolari e igiene minima"
https://www.ravennatoday.it/cronaca/cas-protesta-prefettura-medicine-pasti-regolari-igiene-minima.html
© RavennaToday
Aumento di carichi e orari di lavoro, e pochissimi incrementi salariali. Vannini, Fp Cgil: “Il rinnovo proposto da Aran svuoterà la sanità pubblica, anche per via contrattuale”
No, proprio non conviene ai lavoratori e alle lavoratrici firmare l’ipotesi di rinnovo contrattuale presentata dall’Aran ai sindacati. Non conviene dal punto di vista degli incrementi economici e non conviene dal punto di vista normativo. E quanto hanno affermato il presidente dell’Aran Naddeo e il ministro Zangrillo assomiglia molto al gioco delle tre carte, ma i numeri reali sono altri.
Dice Naddeo lo scorso 15 gennaio su Quotidiano Sanità: “Un infermiere di pronto soccorso, a decorrere da gennaio 2024, avrebbe avuto un incremento di stipendio di 150 euro, e di indennità di 240 euro al mese, che sarebbero saliti a 305 euro dal 2025 per arrivare a circa 360 euro nel 2026. Cioè 510 euro a regime. Poi era previsto un aumento di 35 euro delle indennità per le ostetriche nel 2024 che diventano 40 nel 2025. E poi a tutti i professionisti della salute nel 2026 venivano riconosciuti ulteriori 58 euro”.
Dice il ministro Zangrillo sullo stesso giornale nello stesso giorno: “Proponevamo un incremento che corrispondeva al 6,8%, quindi 172 euro di aumento, e la possibilità di firmare questo contratto ci avrebbe poi consentito di aprire immediatamente la trattativa per il contratto successivo, quello della tornata 2025-27, che prevedeva un ulteriore 6,9% con altri 186 euro di incremento salariale”.
Partiamo dall’inizio, il rinnovo contrattuale di cui si parla è quello per il biennio 2022-24, gli aumenti dovrebbero servire a riconquistare il potere di acquisto dei salari intaccato dall’inflazione. Tra il 2022 e il 2024 il tasso di inflazione è stato del 16,5%. L’incremento contrattuale proposto dal governo per tutto il lavoro pubblico è del 5,75%. Manca oltre il 10% di incremento, e non è affatto poco.
Veniamo alle cifre. L’aumento tabellare medio per un infermiere, se l’intesa fosse stata firmata, sarebbe stato di 135 euro lordi al mese che decurtato dell’Indennità di vacatio contrattuale già erogata si sarebbe ridotto a 45,87 euro lordi al mese. Analoghe cifre sarebbero entrate nelle buste paga degli altri lavoratori e lavoratrici del comparto: circa 50 euro lordi al mese.
E i 510 euro di cui parla Naddeo? Sarebbero toccati solo agli infermieri dei pronto soccorso: mettendo insieme aumenti tabellari e indennità varie, stiamo parlando di meno del 4%, 23 mila in tutto degli infermieri e delle infermiere sugli oltre 580mila in servizio.
Lo spiega Michele Vannini, segretario nazionale della Fp Cgil: “Il governo non ha stanziato le risorse necessarie per aumenti contrattuali dignitosi, le ha previste da una parte per la flat tax sulle prestazioni orarie aggiuntive che altro non sono che ore di lavoro straordinario pagate di più rispetto allo straordinario ordinario, e sull'abbattimento della tassazione al 5% solo ed esclusivamente per gli infermieri. Il messaggio – aggiunge Vannini – è chiaro: se vuoi guadagnare di più devi essere disponibile a lavorare di più”. Insomma, non si assume personale, non si aumentano gli stipendi ma si paga di più solo lo straordinario oltre quello previsto. Davvero una specie di truffa, e per di più è bene ricordare che, sebbene sia sbagliato “strizzare” i dipendenti, il 70% del personale è donna e per loro è assai più difficile accedere a tanto straordinario dovendo conciliare vita professionale e vita familiare.
La conseguenza di tutto ciò è semplice e duplice, da un lato l’invecchiamento del personale, tanto più che in manovra c’è il blocco al 75% del turn over, e dall’altro la fuga dal pubblico degli operatori e operatrici sanitari che non ce la fanno più. È ancora Vannini a spiegare: “Se non si corregge questo processo, inevitabilmente si arriverà a esternalizzare i servizi. Quando il pubblico non ce la fa, il privato è pronto a entrare”.
Il contratto, si sa, serve anche a migliorare condizioni di lavoro e di carriera e invece nella proposta dell’Aran “non ci sarebbero stati strumenti sufficienti per la valorizzazione dei professionisti, e l’introduzione dell’assistente infermiere, così come proposta, servirebbe solo ad abbassare la qualità dell’assistenza e il costo del lavoro”. Ancora, nulla per il welfare aziendale e nessun aumento dei buoni pasto e nemmeno l’eliminazione di 1/5 a carico di lavoratori e lavoratrici.
Le richieste sindacali non hanno ricevuto risposte positive, nulla per i profili amministrativi e tecnici, né per le progressioni di carriera. E per quanto riguarda le ferie nessuna risposta: “Nessuna modifica alla retribuzione per le ferie, nonostante le sentenze della Cassazione abbiamo affermato che durante i periodi di ferie spettino tutte le indennità percepite relativamente alle mansioni ordinariamente svolte”.
Inevitabile continuare la vertenza aperta e che ha visto nello sciopero generale dello scorso novembre un momento importante. Sottolinea il dirigente sindacale: “Questo rinnovo contrattuale in realtà altro non è che spremere i lavoratori e le lavoratrici il più possibile. E serve per continuare anche per via contrattuale a svuotare la sanità pubblica. Continueremo la vertenza per questo come per gli altri contratti pubblici che ancora non sono stati sottoscritti, e lavoreremo anche con le regioni, molte di loro si sono pronunciate sulla necessità di nuove risorse per il Ssn”.