In Cassazione le firme dei cittadini che hanno sottoscritto il referendum contro la legge Calderoli. Ferrari, Cgil: “Una festa di partecipazione”
In soli due mesi si è raddoppiata la soglia minima prevista per la richiesta di referendum. Due mesi che hanno attraversato l’estate e la giusta voglia di vacanza, eppure in tanti e tante si sono fermati ai banchetti o hanno aperto il pc per esprimere la propria contrarietà al disegno di Calderoli e della Lega, sostenuto dalla maggioranza di destra, di spaccare il Paese, dare più risorse alle regioni del Nord e lasciare quelle del Sud al proprio destino, dimenticando la Costituzione che afferma: L’Italia è una Repubblica indivisibile, tutti i cittadini e le cittadine hanno diritto alla sanità all’istruzione, alla mobilità, nello stesso modo in tutto il Paese.
Quanti hanno sottoscritto il quesito non si sono espressi soltanto contro l’autonomia di Calderoli, ma hanno contemporaneamente espresso uno straordinario bisogno e volontà di partecipazione. Vogliamo essere noi cittadini e cittadini a esprimerci sulle cose fondamentali che ci riguardano. Ne parliamo con Christian Ferrari, segretario nazionale della Cgil.
Ben oltre il milione di firme in Cassazione in calce al quesito referendario per abolire la legge sull’autonomia differenziata. Il doppio di quelle necessarie in meno di due mesi. Un successo?
Si tratta, indubbiamente, di un successo, che in pochi prevedevano. Va anche sottolineato che il risultato è stato raggiunto non solo sulla piattaforma on line, ma anche grazie alle firme cartacee raccolte nelle migliaia di banchetti che abbiamo organizzato capillarmente in tutto il Paese: dalle grandi città ai piccoli comuni, dalle feste di partito ai luoghi di vacanza, in un periodo per nulla favorevole a questo genere di iniziative come quello estivo, con il “generale agosto” che solitamente addormenta completamente il dibattito pubblico. Vanno ringraziate, per questo, i nostri militanti, tutte le compagne e i compagni che hanno reso possibile un esito inaspettato.
Perché, secondo te, tanta partecipazione contro la legge Calderoli?
C’è stata una partecipazione trasversale, sia geograficamente che politicamente. Hanno sicuramente firmato il quesito molti elettori dei partiti di opposizione, ma abbiamo registrato la condivisione anche di cittadine e cittadini che alle ultime elezioni hanno votato per le forze di maggioranza. Del resto, sono tanti gli amministratori di centrodestra che hanno espresso perplessità, se non aperta contrarietà alla Legge Calderoli. Va sottolineato, in particolare, il protagonismo dei sindaci sia delle realtà urbane più importanti che di quelle interne. Evidentemente hanno capito benissimo che questo progetto ha l’obiettivo di sostituire a un presunto neocentralismo statale, un neocentralismo regionale, che marginalizza i territori. E che questo sia l’indirizzo del governo lo dimostra, senza tema di smentita, il ritorno dei tagli lineari agli Enti locali già in corso e che rischiano di peggiorare con la prossima manovra di bilancio.
Tante le firme al Sud, ma anche il Nord non si è tirato indietro. Quale il messaggio che comincia a passare?
Il messaggio che noi abbiamo provato a far passare è che le persone che rappresentiamo, lavoratori e pensionati, non hanno nulla da guadagnare dall’Autonomia differenziata, ovunque risiedano. Perché mette in discussione il contratto collettivo nazionale (hanno rispolverato perfino le gabbie salariali); frammenta la legislazione su salute e sicurezza sul lavoro, favorendo il dumping anche su questo terreno, sulla pelle dei lavoratori; regionalizza l’Istruzione pubblica, un pilastro dell’identità culturale nazionale; lasciando il residuo fiscale nelle Regioni più ricche, rende praticamente impossibili le politiche industriali di cui abbiamo urgente bisogno per contrastare il declino che sta subendo il nostro sistema economico; accelera la privatizzazione della sanità, assestando un colpo definitivo al Ssn, che è ormai sull’orlo dell’implosione; e potrei proseguire. È evidente che a pagare il prezzo più salato sarebbe il Meridione, ma questa deriva non conviene neppure al sistema produttivo settentrionale che, a quanto pare, se ne sta rendendo conto. Cominciano a comprendere che venti regimi giuridici diversi su materie cruciali costituirebbero una giungla burocratica inestricabile per le stesse imprese. Il dato di fondo è che, senza rilanciare la domanda interna, a partire da dove è più bassa, l’Italia – con le crisi geopolitiche in corso e le loro inevitabili ricadute sulle esportazioni – non avrebbe alcuna possibilità di agganciare una crescita solida e duratura.
Un obiettivo concreto e si materializza il desiderio forte di partecipazione. È così? E se sì come non disperdere questa voglia?
È la dimostrazione che quando si mette al centro la condizione materiale di vita delle persone in carne e ossa si raccoglie un interesse e si risveglia la voglia di partecipare. Dobbiamo insistere, continuare a spiegare che non è vero che non ci siano alternative alle politiche economiche e sociali che svalorizzano il lavoro, riducono il welfare pubblico e universalistico, aumentano le diseguaglianze e i divari territoriali, sacrificano sull’altare del profitto i diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione. Collettivamente, anche utilizzando gli strumenti di democrazia diretta, le cose possono cambiare.
Il valore di questa esperienza è anche nella composizione del comitato promotore: tantissime organizzazioni, dal sindacato ad alcuni partiti politici, e soprattutto tante associazioni. È l’onda lunga della via maestra? E quale eredità?
Con la “Via Maestra”, in tempi non sospetti, abbiamo fatto un investimento politico che sta dando i suoi frutti: mettere insieme un largo arco di forze sindacali e della società civile per difendere la Costituzione da quello che, per noi, era chiaro fin dall’inizio di questa legislatura: il tentativo della destra di sovvertire la Carta e di snaturare la nostra democrazia, facendola sempre più somigliare a una democratura, con il superamento della centralità del Parlamento, l’indebolimento dei corpi intermedi, una verticalizzazione del potere che non ha precedenti né paragoni in nessun altro paese occidentale. E tra i valori che abbiamo difeso con grandi e partecipatissime manifestazioni di piazza c’è stato anche quello della pace, che per noi rappresenta il prerequisito di tutte le altre nostre battaglie. È il caso di ribadirlo, in un momento in cui i conflitti anziché risolversi si moltiplicano, con il rischio di escalation addirittura nucleare sempre più dietro l’angolo. Sull’Autonomia differenziata il fronte è diventato ancora più largo e questo non è solo positivo, ma indispensabile per raggiungere il quorum. E nemmeno basta, perché dobbiamo saper parlare – come dicevo all’inizio – anche agli elettori dei partiti di governo, molti dei quali sono sensibili al tema dell’unità nazionale e della coesione sociale.
Se così è il filo che lega è quello della difesa e della attuazione della Costituzione
Qualcuno vorrebbe far passare l’idea che il problema dell’Italia sia la sua Costituzione, che sarebbe superata dai tempi e dagli eventi. Noi pensiamo esattamente il contrario: il problema è la distanza che separa quanto vi è previsto dalla condizione materiale, di vita e di lavoro delle cittadine e dei cittadini italiani. Per questo, la nostra difesa della Costituzione non ha nulla di conservativo o di astratto, ma equivale ad esigere l’attuazione del diritto a un lavoro libero e dignitoso; del diritto alla salute da garantire a tutte e tutti a prescindere dal luogo di residenza e dalla condizione economica; del diritto a un’Istruzione pubblica di qualità il tutto il territorio nazionale; del diritto a un fisco progressivo e tutto il resto che sappiamo.
A New York la presidente del Consiglio vota il “Patto per il futuro” che impegna gli Stati membri su numerosi temi. Dai quali, però, poi diverge
“Patto per il futuro” è il nome di un documento votato al summit che ha anticipato il dibattito generale dell’Assemblea delle Nazioni unite che si è aperta al Palazzo di vetro di New York e che proseguirà per un’intera settimana. Quarantadue pagine per chiedere ai capi di Stato e di governo dei 193 Paesi membri dell’Onu di “allontanare il multilateralismo dal baratro”, come ha dichiarato il segretario generale Antonio Guterres, allo scopo di migliorare, rendere più sicura, pacifica e sostenibile la vita degli oltre otto miliardi di abitanti del pianeta.
Ci sono voluti i mesi di una gestazione perché Germania e Namibia conducessero la negoziazione giungendo a un testo che contiene le sfide del futuro: dai cambiamenti climatici all’intelligenza artificiale, dai conflitti armati alla povertà crescente e alle disuguaglianze. Quindi il voto all’unanimità. Un voto che, volendo pensare male, non è costato molto ai Paesi che hanno dato il loro sì, visto che si tratta di una dichiarazione non vincolante.
Tanto è vero che la presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni, nel suo intervento, si è subito premurata di bocciare la proposta di riforma del Consiglio di sicurezza dell’Onu, impegno contenuto nel documento, sostenendo che creerebbe “Paesi di serie A e B”. Quella della riforma è un’annosa questione che negli ultimi decenni ha già visto fallire alcuni tentativi. Lo scopo dichiarato nel documento è rendere le Nazioni unite un organo più in linea con il XXI secolo e “affrontare la storica ingiustizia fatta nei confronti dell’Africa”, ancora priva di un seggio permanente.
A onor del vero bisogna aggiungere che, nelle operazioni di voto al Patto per il futuro, è stata bocciata la proposta di emendamento di alcuni Paesi, come Russia, Iran, Corea del Nord e Siria, che chiedeva il non-intervento in qualsiasi questione di sovranità nazionale e il primato del metodo intergovernativo, marginalizzando il ruolo della società civile. In tema di multilateralismo, comunque, Meloni ha voluto anche in questo caso implicitamente obiettare, ribadendo con forza che “non dobbiamo vergognarci di parole come nazione e patria” come valori dell’Occidente.
Nel merito del documento votato, gli Stati si impegnano, senza vincoli, per 56 azioni. Oltre ai temi già citati ci sono pace e sicurezza, sviluppo, cooperazione digitale, cybersicurezza, diritti umani, empowerment femminile e giovani. Secondo Guterres, il Patto rappresenta “la prima espressione di sostegno multilaterale al disarmo nucleare da oltre un decennio”. Annessi al Patto anche altri due documenti, il Global digital compact e la Dichiarazione per le generazioni future.
Oggi si entra nel vivo della 79esima Assemblea, che nell’agenda vede prioritari i conflitti in corso, primo fra tutti la crisi medio-orientale, seguita all’avvicinarsi del terzo anno di guerra in Ucraina e alla guerra in Sudan
Il Quadrato rosso di Ravenna e di Forlì Cesena chede che “si eroghino subito i contributi per l’immediato sostegno e per l’assistenza alloggiativa”
In queste difficili giornate le Camere del Lavoro Cgil di Ravenna e di Forlì Cesena sono a fianco della popolazione, sia con le squadre di volontari che si sono messi a disposizione per le zone più colpite, sia con le strutture sindacali per le difficoltà accorse nei luoghi di lavoro e per raccogliere i bisogni sociali nel territorio in particolare delle persone più fragili.
In questo momento è necessario evitare perdite di tempo nel definire i sostegni alla popolazione, scrive il sindacato. Con l'apertura dello Stato di emergenza, “si ripristinino e si eroghino subito i contributi di immediato sostegno e i contributi per l'assistenza alloggiativa (i CIS e i CAS) considerando che si contano migliaia di persone colpite per cui un ristoro urgente diventa fondamentale”.
“Bene la nomina di Irene Priolo a Commissaria per l’Emergenza alluvione 2024, ma rimangono tutti i nodi di ciò che tuttora resta in capo al Generale Figliuolo Commissario alla Ricostruzione. Non vorremmo rivedere gli errori di questo ultimo anno. Per questo, quando sentiamo da parte di esponenti del Governo innescare una polemica verso la Regione Emilia-Romagna, per mancanze che sono della stessa struttura commissariale nazionale nominata dal Governo, diciamo che a questo teatrino non ci stiamo”.
“La Regione, nel 2023, è stata nei fatti esautorata quando non è stato nominato Commissario per la ricostruzione il Presidente della Regione, una scelta oltretutto tardiva nei tempi che ha determinato la perdita di mesi preziosi, oltre che sbagliata determinando un modello di Commissario in smart working, con l'assenza di strutture nel territorio che potessero definire scelte e aiutare la popolazione. Di fatto è mancato quel modello organizzativo costituito dal rapporto con le parti sociali, tra cui le organizzazioni sindacali e le associazioni di categoria, che negli anni ha permesso a questa regione di affrontare grandi difficoltà, come il terremoto del 2012. Ciò che ancora manca, inoltre, è il piano di ricostruzione che dopo 16 mesi non solo non vede cantieri attivi ma è ancora nelle mani del Commissario, che se non eroga ristori e non apre i cantieri per la ricostruzione, ci chiediamo cosa stia facendo?”, Scrive ancora la Cgil.
È passato poco più di un anno e molte famiglie, mentre aspettano ancora gli aiuti promessi dal Governo, si trovano a rivivere l’allagamento delle loro abitazioni rendendo così vani gli interventi di bonifica e riqualificazione fatti sostanzialmente a loro spese. Inoltre, dopo aver promesso i rimborsi al 100% dal Governo, oggi ci sentiamo dire mentre stiamo ancora mettendo in sicurezza le persone, che la soluzione che si immagina è un’assicurazione privata obbligatoria per le abitazioni. Una scelta a cui ci opponiamo con forza, una scelta che è nei fatti l'ennesima privatizzazione di questo Governo, che arriva a privatizzare i risarcimenti dopo che non è stato in grado di mantenere le promesse. Una vergogna – denuncia il sindacato – che serve solo a riempire le tasche di banche e di assicurazioni, lasciando tutti gli oneri ai cittadini che già pagano le tasse, senza alcun ragionamento di progressività e di tutela verso i nuclei più fragili.
“Infine, in tanti abbiamo espresso fin da subito un ringraziamento alle operatrici e agli operatori del sistema pubblico di soccorso e di emergenza di tutti i corpi dello Stato che sono intervenuti in questi giorni drammatici. La situazione più critica è passata, vorremmo sottolineare che queste donne e questi uomini sono eroi tutto l'anno e che il miglior modo che avrebbe il Governo per ringraziarli, in qualità di datore di lavoro pubblico, è rinnovare i contratti nazionali del settore pubblico, erogando i giusti aumenti delle retribuzioni ferme in alcuni casi da anni. Chiediamo, dunque, maggior rispetto per le cittadine e cittadini romagnoli e rivendichiamo di essere ascoltati perché i danni di questi ritardi, lungaggini e mancate scelte, finiscono sulla pelle di chi vive in questo territorio e non possiamo nuovamente accettarlo”, si conclude la nota.
La manifestazione spontanea - non autorizzata, ma estremamente composta - che gli alluvionati faentini hanno messo in atto domenica pomeriggio (nonostante una tentata provocazione da parte di Forza Nuova, subito respinta dai Comitati) ha molto ben espresso lo stato d'animo di chi, per la terza volta in 16 mesi, è andato sott'acqua e il sostegno dell'intera città.
Le carriole piene di fango, che aprivano il corteo, erano indirizzate a tutti gli interlocutori istituzionali: Von der Leyer, Meloni, Figliuolo, Regione, Autorità di distretto del Po, Sindaco, Hera.
Non c'è dubbio che le responsabilità siano diverse, sia rispetto alle scelte strategiche generali sia rispetto agli interventi diretti per prevenire ulteriori danni, ma legittimamente le comunità colpite chiedono a tutti di rendere conto.
Certo ci siamo trovati di fronte ad un evento eccezionale, in meno di 48 ore sono caduti 350 mm di pioggia, praticamente 350 bottiglie da un litro al metro quadro, praticamente è caduta quasi più acqua che durante i due eventi del maggio 2023 messi insieme.
Questa volta il terreno è riuscito ad assorbirne una certa quantità e la prevenzione in parte ha funzionato. Gli allagamenti sono stati meno estesi, ma comunque violenti, segno inconfutabile del fatto che il cambiamento climatico ci sta presentando il conto.
Oggi sembra siano molti di più coloro che ammettono che ci troviamo di fronte a mutamenti del clima che produrranno eventi estremi sempre più frequenti, ma si continua con le stesse scelte che li hanno prodotti: investimenti nel fossile, inquinamento, cementificazione....
La Commissione tecnico-scientifica istituita dalla Regione Emilia-Romagna aveva sconfessato le tante "stupidaggini" che avevamo sentito nelle settimane successive ai primi due eventi, sia per giustificare le cause sia per indicare le soluzioni.
Lo studio, indica alcune raccomandazioni circa gli interventi strutturali e non strutturali che sarebbe necessario mettere in opera. Sono raccomandazioni condivisibili che ricalcano in buona parte ciò che sosteniamo da anni. Gli eventi alluvionali vengono definiti “spartiacque tra passato e futuro” e pertanto obbligano a intervenire con approcci innovativi e non “semplicemente” con il ripristino di ciò che c’era.
Da qui il “piano speciale” che doveva avviare questi interventi “strutturali e non strutturali”, ma che ancora non è stato reso operativo.
Naturalmente - come ci ricordano opportunamente gli esperti più accorti - per questi interventi strutturali servono molti soldi (non certo i 20 milioni stanziati da ultimo dal Governo Meloni) si tratta di opere importanti: spostare gli argini, realizzare casse di espansione, controllare le tracimazioni... Per fare tutto ci vuole tempo, anni, forse decenni. E proprio per questo bisogna partire subito, con il coinvolgimento e la partecipazione delle comunità.
Esattamente l'opposto delle polemiche politiche strumentali che arrivano in particolare dal governo centrale.
La novità, di queste ultime ore, della nomina della Presidente facente funzione della Regione Irene Priolo a Commissaria per l'emergenza, potrebbe essere un' occasione, non solo per intervenire sulle emergenze immediate, ma anche per sollecitare i necessari interventi di adattamento per la messa in sicurezza del territorio, recuperando i ritardi della struttura commissariale di Figliuolo.
Adesso la priorità è contribuire al sostegno alle popolazioni colpite dall'alluvione, sul quale anche noi siamo impegnati come associazione, ma nella campagna elettorale, di fatto già aperta per il rinnovo del Consiglio Regionale, occorre contrastare polemiche strumentali e pretendere impegni coerenti da parte di chi si candida a governare questa Regione.
Faenza, 23 settembre 2024
Circolo Legambiente Lamone Faenza
Circolo Legambiente Forlì-Cesena
I lavoratori si fermano, presidio in viale Mazzini dalle 10.30. Saccone, Slc Cgil: “Il servizio pubblico oggi è al collasso”
Quattro le ragioni principali per cui le lavoratrici e i lavoratori Rai sono in sciopero per l’intero turno di lunedì 23 settembre, su tutto il territorio nazionale. Dalle 10.30, appuntamento a Roma, davanti alla sede di viale Mazzini, per un presidio con i dipendenti e i cittadini, promosso da Slc Cgil. Il segretario generale della categoria, Riccardo Saccone, fa il punto sulla situazione attuale del servizio pubblico.
I motivi dello sciopero sono molteplici, partiamo dal primo. L’estate scorsa il voto dei dipendenti ha bocciato l’ipotesi di rinnovo contrattuale. Facciamo il punto.
Si trattava essenzialmente di un’ipotesi di carattere economico per dare risposte immediate alle lavoratrici e ai lavoratori, soprattutto per quel che riguarda il tenore di vita. E devo dire che il 52 per cento ha giudicato - più che legittimamente - questo accordo insufficiente. Abbiamo preso questa decisione in maniera compatta con le altre quattro sigle sindacali, tranne Liber, che non aderisce allo sciopero. Siamo convinti che a questo punto il tema del rinnovo contrattuale non possa essere svincolato dalle sorti più generali dell’azienda, che non ha un contratto nazionale, ha un contratto aziendale. Le prospettive future dell’azienda sono direttamente collegate alle condizioni economiche. E oggi, in Rai, si respira un sentimento complessivo di isolamento. Si produce poco, si innova ancora di meno, si continua a dare le produzioni in appalto all’esterno. L’azienda vive costantemente con la paura delle compatibilità quotidiane.
A proposito di compatibilità, parliamo di quelle “politiche”. I tempi sono maturi per provare una volta per tutte a scardinare un meccanismo di lottizzazioni che non paralizza solo la governance, ma arriva a condizionare perfino le scelte artistiche relative al palinsesto?
È normale che un servizio pubblico debba intrattenere dei rapporti con le istituzioni. Ma il vulnus forte che ha introdotto la legge Renzi è stato lo spostamento del baricentro dal Parlamento all'esecutivo. Questi cicli politici velocissimi a cui assistiamo nel nostro Paese si ripercuotono sulla Rai, dove c’è un cda schizofrenico, che cambia continuamente colore, e questo non ha fatto che paralizzare la televisione pubblica. Oggi però abbiamo una grande occasione grazie al Media Freedom Act, che va proprio nella direzione di tutelare i servizi pubblici degli Stati membri Ue. La tv di Stato è una cosa, ed è propria degli Stati meno democratici. Ma il servizio pubblico è, e deve essere, tutt’altra cosa: un presidio di informazione sociale e culturale. Come Slc Cgil abbiamo salutato con favore l’annuncio della maggioranza di aprire un tavolo permanente di confronto sulla riforma dell’editoria. L’informazione nel nostro Paese non versa in buone condizioni. Pensiamo a forti concentrazioni come quella del gruppo Angelucci. Quindi è bene che si apra questo focus, ma non c’è tavolo sull’informazione che si possa aprire senza parlare di Rai, un’azienda oggi al collasso, abbandonata a se stessa.
A proposito di collasso, in Rai continua a esserci un divario incolmabile tra i compensi milionari degli ingaggi artistici e gli stipendi di lavoratrici e lavoratori. Senza dimenticare i tanti precari.
Sono convinto che per migliorare le condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori si debba ristabilire il patto fra il Paese e la Rai. Parliamo di un servizio pubblico, un bene pubblico, ma se ne è perso il valore e il significato. Se facessimo un esperimento empirico, e chiedessimo a dieci persone a caso se sono contente di pagare il canone, non credo che reagirebbero molto positivamente alla domanda. Il problema da porsi è come siamo arrivati a questo punto, a questa sistematica demolizione di un bene pubblico. Il tema del divario salariale rispecchia quello più generale che riguarda tutti i settori produttivi. Ma, come dire, almeno stessimo parlando di star che partecipano a programmi innovativi, che fanno ascolti. Invece quest’azienda non sembra più nemmeno libera di creare, di inventare. Pensiamo al programma di Saviano, che è rimasto bloccato per un anno. Va in onda adesso che Matteo Messina Denaro è addirittura morto. Ma così un programma lo ammazzi.
Tra le ragioni della mobilitazione c’è anche la paventata vendita delle quote di maggioranza di Ray Way. Perché questa eventualità vi preoccupa?
L’azienda ha la pretesa di attuare un piano industriale, come quello immaginato qualche mese fa, trasformandosi con 225 milioni in una digital media company. Viene da ridere, ma la cosa più triste e preoccupante è che per finanziare il piano industriale si pensa di vendere un’ulteriore quota di partecipazione a Rai Way. Ora, a me hanno insegnato che quando ti devi vendere un bene per tirare a campare un mese, la situazione è grave. Poi c'è tutto il tema infrastrutturale, che riguarda l’ipotesi di fusione con Ei Towers. Questo vorrebbe dire annacquare ulteriormente la presenza del capitale pubblico in Rai. C’è chi sostiene che il 35% sia sufficiente a mettere in piedi una governance, ma non certo una governance pubblica.
Infine, c’è un tema sempre di natura economica, ma che riguarda tutti i cittadini, quello del canone. Come, dove e quando arriverà?
Noi non sappiamo ancora a quanto ammonterà il canone per l'anno prossimo, ma un ulteriore taglio questa azienda non lo regge. Mi compiaccio che il governo abbia annunciato di voler riformare il settore dell’informazione e i finanziamenti ad esso destinati. Ad oggi noi non sappiamo nemmeno come pagheremo il canone nel 2025. E se lo pagheremo con la bolletta, l’evasione sarà un grosso problema. Sappiamo solo che c’è una guerra fra i partiti della maggioranza a chi la spara più grossa: chi lo vuole togliere e chi lo vuole dimezzare. E poi c’è chi lo difende, come Forza Italia. Perché se tu abbassi il canone, devi alzare la pubblicità in Rai. A scapito di Mediaset.
“È difficile oggi, a 48 ore da questi ultimi eventi, dare voce ai Cittadini che, come Comitati faentini, rappresentiamo.” Con queste parole giunge nelle redazioni dei giornali la lettera firmata da tutti i comitati degli alluvionati costituiti dopo gli eventi del maggio 2023. Un testo equilibrato e riflessivo, nonostante la rabbia degli ultimi giorni. Un testo duro, che richiama alla responsabilità e all’autocritica tutti coloro all’interno di quella macchina istituzionale, che ha faticato a partire e, una volta fatto, ha proceduto lentamente con i risultati che oggi sono sotto gli occhi di un’intera nazione.
(Nella foto la protesta del 22 settembre dei Comitati degli Alluvionati – Credit: Il Piccolo)
La lettere è firmata da Comitato Orto Bertoni, Comitato Borgo 2, Comitato Via Borgotto, via della Valle, via Chiarini, Comitato Bassa Italia, Comitato Marzeno, Comitato alluvionati Castel Bolognese
Di seguito il testo completo.
“Isentimenti prevalenti, passata la terribile paura vissuta, sono di rabbia, umiliazione, disperazione, collera e non abbiamo mai sentito come in queste ore la parola “forconi”. Innanzitutto vogliamo fermare chi vorrà attribuire valenza o trarre conseguenze politiche da questo comunicato: a tacere sembra di dare ragione ad una parte, a criticare dare ragione ad un’altra.
Con questo comunicato esprimiamo la voce di una grande parte dei Cittadini faentini che, a distanza di 500 giorni (e non 500 anni come ci avevano detto i tecnici-statistici) hanno visto, alcuni per la terza volta, le proprie case violate o devastate dall’acqua e dal fango di un fiume ed un torrente o (e sono quelli più “fortunati”), dalla putrida acqua rigurgitata dalle fogne.
Per 16 mesi a nome dei Cittadini abbiamo dialogato con serietà e costanza con le Amministrazioni ad ogni livello e dato il nostro contributo con spirito collaborativo, segnalando le criticità che via via emergevano. Abbiamo, inoltre, sollecitato innumerevoli volte risposte che non sono mai arrivate, intrappolate com’erano dalla burocrazia, dai rimpalli e dai rinvii.
Quanto avvenuto il 19 settembre, dimostra quanto il “ripetersi di un evento eccezionale ed inatteso” sia un ossimoro, una contraddizione. “L’evento eccezionale ed inatteso” è diventato la norma e davanti a questa nuova regola si devono attuare comportamenti diversi.”
“L’alluvione di settembre ha evidenziato, a Faenza, due criticità enormi: la mancata risposta al problema della sicurezza del territorio e la mancata attuazione di interventi efficaci sulla rete fognaria. In merito alla prima non possiamo esimerci dal rilevare che i principali interventi strutturali, che avrebbero dovuto essere di massima urgenza ed inderogabili e perciò da attuarsi con priorità rispetto alla consolidata programmazione (e burocrazia) regionale, sono rimasti sulla carta: il “piano speciale” e soprattutto la realizzazione di quegli interventi che ieri abbiamo visto, unici, avrebbero salvato la città di Faenza e la provincia dal disastro (ovvero i bacini di laminazione, le casse di espansione, le zone ad allagamento controllato, e la realizzazione di strutture di contenimento del Marzeno) sono rimasti lettera morta, sono solo sulla carta e secondari alla approvazione di un ben più importante “piano di riassetto idrogeologico” e/o “piano di bacino” che forse vedrà la luce nel