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Sabato pomeriggio a Granarolo abbiamo assistito alla presentazione delle criticità collegate all’ampliamento del biodigestore di Granarolo, esposte dal
professor Gianni Tamino (in passato parlamentare ed eurodeputato per i Verdi). E’ apparso chiaro che gli attuali proprietari dell’impianto (società del gruppo SNAM) sono interessati unicamente ad accaparrarsi gli incentivi per la
produzione del biometano. Tamino ha dimostrato infatti molto chiaramente che impianti del genere sarebbero economicamente in passivo, se non godessero di incentivi pubblici. Uno dei problemi emersi è quello della viabilità: ci sarebbero centinaia di autocarri sia in entrata nell’impianto per portare la materia prima (materiale vegetale,
liquami, ecc.) sia in uscita per portare via con carri bombolai il gas metano prodotto, in transito su una strada di campagna larga 2,75 metri.
Che questo aspetto non sia stato risolto è stato esposto chiaramente anche dal comunicato stampa dell’amministrazione comunale di Faenza: “L’attuale
impianto fu pensato e realizzato anni fa… con una previsione di traffico di mezzi limitato. Si tratta di un equilibrio che verrebbe alterato dall’aumento dei
mezzi pesanti della nuova centrale in transito dal centro abitato,”. Ancora più problematico l’impatto in tema di alluvione; sempre da quanto annunciato dal Comune: "Non possono essere esclusi a priori problemi di sicurezza
in caso di nuove alluvioni ,… mancano le indicazioni degli enti sovraordinati su come realizzare opere e investimenti garantendo la piena sicurezza idraulica".
Altre criticità ambientali rilevate da Tamino: lo smaltimento dei fanghi residui che potrebbero favorire la proliferazione di insetti ed epidemie negli allevamenti zootecnici circostanti e un ulteriore aumento di emissioni maleodoranti su un territorio già molto penalizzato. Auspichiamo che queste pesanti criticità non vengano sottovalutate quando fra pochi giorni verranno formalizzati i pareri ufficiali. Come ha detto sabato scorso Tamino (anche rispondendo ad alcune domande sulla importanza delle fonti di energia rinnovabili): gli incentivi servono per
accelerare e dare gambe alla transizione ecologica; non per fare comparire un utile là dove le attività non si sostengono da sole e creano inquinamento.
A Granarolo c’è un equilibrio che va mantenuto con l’impianto così come esistente; non c’è spazio per un ampliamento, che non è compatibile con questi
luoghi; non siamo contrari in assoluto, in via pregiudiziale ad impianti di biodigestione per riutilizzare le materie seconde; ma non ci convincono i grandi
impianti in cui le biomasse vengono fatte arrivare da lontano; se verranno fatte altre proposte, se i progetti verranno illustrati, condivisi e valutati dal punto di
vista dell’impatto ambientale, senza scorciatoie imposte dai finanziamenti, sarà giusto prenderli in considerazione.
Ma il Comune non deve rinunciare al suo ruolo di indirizzo politico in materia di sviluppo economico e di ambiente e deve salvaguardare il territorio di
Granarolo. Europa Verde / Verdi - Faenza Massimo Donati Francesco Banzola
Bene che, anche l'Amministrazione Comunale, sul biodigestore di Granarolo Faentino, condivida le preoccupazioni di cittadini e associazioni. Preoccupazioni che, da tempo, ci hanno portato a sostenere che “quell'impianto non è compatibile con l'assetto territoriale”.
Come è noto, Legambiente non è contro impianti di biogas e biometano, quando questi sono “fatti bene”. Ossia, quando sono opportunamente progettati, alimentati con i previsti materiali di scarto e di recupero (non con colture agricole dedicate) recuperati da zone limitrofe e collocati in aree dove possano avere il minimo impatto ambientale e territoriale. Non è questo il caso del progetto di BYS società agricola impianti S.R.L. di SNAM.
Intanto, più che di “riconversione” si deve parlare di nuova costruzione, infatti si tratta di un nuovo impianto che amplia di circa una volta e mezzo la superficie attualmente occupata. Nell'area in questione, secondo l'art.32 della L.R.24/17, “sono da escludere i rilasci di titoli abilitativi riguardanti le nuove costruzioni...”; inoltre, essendo l'area di impianto inserita tra quelle allagate negli eventi di maggio 2023, il Piano Speciale preliminare redatto a seguito degli eventi alluvionali di maggio 2023, “ esclude nuove costruzioni nelle aree allagate “.
Ma oltre a questi riferimenti, già sufficienti per bocciare il progetto, vorremo riportare alcuni dati, reperiti attraverso l'accesso agli atti sulla documentazione prodotta dalla società, che dimostrano un impatto ambientale e territoriale non sostenibile sia per la mole dei materiali movimentati che per incremento del traffico dei mezzi di trasporto , circa 6000 mezzi pesanti/anno.
Sui dati – stato attuale e stato di progetto - di riepilogo delle biomasse utilizzate, si evince che si passerebbe dalle 22.190, 22 Ton/anno attuali, a 49.600 Ton/anno future, più 6.000 Ton/anno di consumo di acqua. Oltre alle grandi quantità di materiali, sulla tipologia risultano esserci quote di cereali che presumibilmente proverebbero da colture dedicate.
Rimarchiamo poi l'impatto insostenibile che avrebbero i trasporti, citando i documenti redatti dall'azienda:
“Il numero totale annuo dei mezzi in ingresso e in uscita dall'impianto è quindi pari a 4.818.
Il mese con il maggior numero di mezzi è agosto: mese in cui il mais viene trasportato in impianto per l'insilamento.
Nel caso di consegna del gas alla rete tramite carri bombolai, è da prevedere un traffico o giornaliero su strada di questi mezzi, assimilabili a camion con rimorchio.
Pertanto ai 4.818 mezzi sopra calcolati sarà necessario aggiungere 1.095 mezzi/anno costituiti da carri bombolai per il trasporto del biometano al punto di consegna.
I mezzi da e per l'autostrada utilizzeranno il percorso che, ad eccezione di via Fabbra (via di accesso all'impianto) si svolge tutto sulla SP8.
I mezzi che invece trasportano in impianto i prodotti da insilare o che trasportano il digestato ai campi utilizzeranno le strade circostanti l'impianto.
Si evince che la strada su cui insiste la totalità del traffico indotto è la via Fabbra, strada di accesso all'impianto”.
Per chi non conoscesse via Fabbra, ricordiamo che ha una larghezza di 2,75 metri ( i carri bombolai sono 2,47 metri ) che è interna all'impianto storico della centuriazione romana e quindi non può essere modificata come recita l'art. 23 del RUE ancora in vigore.
A noi pare che queste ultime dichiarazioni, testuali del progetto dell'azienda, confermino, ancor più le ragioni per le quali questo progetto non può essere autorizzato.
Circolo Legambiente Lamone Faenza
L’Amministrazione comunale di Faenza con una nota intende “fare chiarezza sul progetto di ampliamento e trasformazione dell’impianto di Biogas sito in via Fabbra a Granarolo – recentemente acquisito da BYS società agricola impianti S.R.L. controllata al 100% da SNAM – che sta suscitando dubbi e perplessità.”
Per chi amministra Faenza “occorre innanzitutto evidenziare che gli iter autorizzativi di ampliamento e riconversione a biometano degli impianti già destinati alla produzione di biogas godono di corsie preferenziali. Se da una parte ciò non sorprende vista l’importanza strategica a livello nazionale di incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili e pulite in alternativa al gas fossile, dall’altra le procedure semplificate riducono la possibilità di confronto tra le parti.”
Il progetto è stato in ogni caso più volte oggetto di incontri con diversi residenti del posto, tenuti costantemente aggiornati, dice la nota, e dunque non c’è “nessuna reticenza, quindi, come qualcuno ha voluto far intendere ma la semplice necessità, in tempi ristrettissimi – il parere dell’Ufficio Tecnico dell’Unione della Romagna faentina dovrà essere formalizzato tra poche settimane – di maturare una posizione non pregiudiziale circa la compatibilità del nuovo impianto con il contesto territoriale.”
Per l’Amministrazione faentina sono due, in particolare, gli aspetti maggiormente critici del progetto di riconversione e ampliamento presentato: “In primo luogo, la viabilità. L’attuale impianto fu pensato e realizzato anni fa in aperta campagna a servizio dell’economia locale e con una previsione di traffico di mezzi limitato. Si tratta di un equilibrio che verrebbe alterato dall’aumento dei mezzi pesanti della nuova centrale in transito dal centro abitato, rendendo contestualmente inadeguato il reticolo di strade di campagna, molto strette e di difficile manutenzione, che caratterizzano l’area. In secondo luogo, non possono essere esclusi a priori problemi di sicurezza in caso di nuove alluvioni. Come per tutte le aree censite come allagate a seguito degli eventi meteorologici dell’ultimo anno e mezzo, anche per le zone a valle di Faenza come quella di via Fabbra, compresa tra i canali di scolo, la massicciata ferroviaria e il canale emiliano-romagnolo, mancano le indicazioni degli enti sovraordinati su come realizzare opere e investimenti garantendo la piena sicurezza idraulica.”
Per concludere l’amministrazione comunale “riconosce il contributo derivante dallo sviluppo di tecnologie che incrementano la produzione di energia rinnovabile e pulita e giudica positivamente ogni investimento diretto a migliorare la sostenibilità ambientale presente e futura. Allo stesso tempo non può sottovalutare l’impatto dei nuovi impianti di produzione di biometano rispetto ai biodigestori agricoli, che rischiano di peggiorare le condizioni di vita dei residenti.”
Circolo Legambiente Lamone Faenza giudica positivamente le parole espresse dall’Amministrazione comunale, poichè come sostiene da tempo “quell’impianto non è compatibile con l’assetto territoriale. Legambiente non è contro impianti di biogas e biometano, quando questi sono “fatti bene”. Ossia, quando sono opportunamente progettati, alimentati con i previsti materiali di scarto e di recupero (non con colture agricole dedicate) recuperati da zone limitrofe e collocati in aree dove possano avere il minimo impatto ambientale e territoriale. Non è questo il caso del progetto di BYS società agricola impianti S.R.L. di SNAM.”
Ricostruzione post alluvione. Il presidente de Pascale incontra i comitati dei cittadini: “Un momento di confronto che proseguirà, siamo aperti a proposte ecritiche.
Tre le priorità: velocizzare le procedure dei rimborsi, potenziare la manutenzione e avviare il piano di opere di messa in sicurezza”
L’incontro in viale Aldo Moro a Bologna insieme alla sottosegretaria Rontini.
Presenti oltre una trentina di comitati
Bologna – Giudizio positivo sulla nomina dell'Ing. Fabrizio Curcio, la volontà di migliorare, senza determinare blocchi, la macchina degli indennizzi e dei rimborsi. L’impegno a potenziare le attività di manutenzione e realizzare un piano di opere di messa in sicurezza che sia aggiornato e all’altezza degli eventi climatici degli ultimi due anni. E la disponibilità a mantenere aperto il tavolo di confronto con i comitati dei cittadini colpiti dal maltempo nati in questo anno e mezzo in Emilia-Romagna.
E’ quanto ribadito dal presidente della Regione, Michele de Pascale, nel primo incontro da governatore con i comitati degli alluvionati in viale Aldo Moro, a Bologna. Al confronto ha partecipato anche la sottosegretaria con delega alla Protezione Civile, Manuela Rontini. Presenti circa una sessantina di persone in rappresentanza di oltre una trentina di comitati.
“Questo tavolo di confronto, nato nella scorsa legislatura regionale - ha ricordato de Pascale- deve proseguire e penso che in questa nuova fase possa essere ancora più funzionale, mantenendolo a scadenza periodica, con uno scambio costante di idee, proposte e critiche. L’ascolto di chi ha vissuto quella tragedia sulla propria pelle e continua a viverne le conseguenze è per noi molto importante”.
Tre le priorità indicate da de Pascale. “Non dobbiamo correre il rischio, nel passaggio di consegne di rallentare, la macchina degli indennizzi e anzi lavorare perché la nomina del nuovo commissario Curcio sia un’occasione per portare nuove semplificazioni alle procedure di rimborso”, ha spiegato il presidente della Regione.
La altre due saranno quelle di “potenziare ed accelerare tutte le attività di manutenzione e parallelamente mettere in campo nelle zone più critiche e più fragili un piano di opere di maggiori dimensioni, rispetto a quello già previsto, che sia in grado di garantire la messa in sicurezza del territorio di fronte all’attuale emergenza climatica”.
Un impegno, ha aggiunto de Pascale, “che necessiterà un potenziamento delle strutture, che sia capace di progettarle, appaltarle e metterle in campo”.
/Red/
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