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Immigrazione Nuovo strappo. Il testo per blindare le deportazioni ora è un emendamento

Il centro di Gjader in Albania foto Ansa Il centro di Gjader in Albania – Ansa

Il governo ha deciso ieri di non far convertire dal parlamento il decreto Paesi sicuri, ma di trasformarlo in un emendamento al decreto flussi il cui iter è più avanzato. L’annuncio è stato dato alle due riunioni delle conferenze dei capogruppo di Camera e Senato, dopo che nei giorni scorsi il decreto era stato presentato prima a Montecitorio per la sua conversione, e poi ritirato e ripresentato a palazzo Madama. Sarebbe sbagliato commentare in tono irridente la decisione di ieri del governo – che ha suscitato l’indignazione delle opposizioni – perché quella in gioco non è inettitudine, bensì spregiudicatezza.

Il nostro giornale ha raccontato ieri come il governo ha presentato il 23 ottobre il decreto Paesi sicuri alla Camera, solo perché in quei giorni non erano previste sedute del Senato, necessarie per la trasmissione del provvedimento; poi, con disinvoltura, lunedì sera il testo era stato ritirato da Montecitorio e ripresentato a palazzo Madama nella seduta di martedì. Era stato infatti promesso ai senatori della maggioranza di permettere l’esame da parte loro in prima lettura.

Improvvisamente ieri il ministro Luca Ciriani ha annunciato che il governo chiede che il decreto non venga esaminato e convertito nemmeno dal Senato, perché sarà trasformato in un emendamento al decreto flussi, che la commissione Affari costituzionali della Camera sta già esaminando (martedì sera sono giunti 300 emendamenti) e che sarà convertito prima. Immediata la reazione delle opposizioni, con i capigruppo di Pd e Avs, Francesco Boccia e Peppe De Cristofaro, che hanno parlato di «umiliazione del parlamento», mentre per Dario Parrini, Pd, si è trattato di una «violenza procedurale». Infatti con questo trucco a cui l’esecutivo è già ricorso, ha evidenziato Parrini, al parlamento non vengono concessi i 60 giorni di tempo per convertire il decreto previsti dalla Costituzione. Dunque, già esiste ormai di fatto un monocameralismo alternato per l’esame dei decreti; in più alcuni di questi hanno un esame accelerato e privo di controllo parlamentare.

Questo secondo aspetto è quello che spinge a parlare di spregiudicatezza istituzionale del governo. Quando l’esecutivo presenta un provvedimento in parlamento, la commissione di merito svolge delle audizioni che possono mettere in evidenza criticità; ed è questa fase imbarazzante che il governo ha deciso di evitare per il decreto Paesi sicuri, per il quale i giuristi chiamati in audizione avrebbero potuto sottolineato l’incongruenza con le norme e la giurisprudenza Europea, e quindi la sua sostanziale inutilità e inapplicabilità. La trasformazione in emendamento evita anche il vaglio da parte del Servizio studi di Montecitorio o di palazzo Madama, che per gli atti del governo prepara un dossier di lettura in cui si segnalano eventuali punti dubbi (con eleganza i funzionari esortano «si valuti l’opportunità di modificare…»). I dossier e le audizioni sono strumenti utili ai parlamentari per il controllo dei provvedimenti del governo, che con questo escamotage impedire l’attività di controllo del parlamento, dopo che quella legislativa gli è stata sottratta da tempo.

Ci sono poi i precedenti di altri decreti di dubbia legittimità, che ci fanno cogliere la disinvoltura istituzionale, specie dei ministeri dell’Interno e della Giustizia. Nel decreto Cutro, l’articolo che impedisce alle navi delle Ong di salvare i naufraghi, è stato riformulato cinque volte con altrettanti emendamenti del governo in Senato, per la difficoltà a giungere a un testo promulgabile dal Quirinale; il decreto rave party è stato riscritto tre volte, e altrettante il decreto Caivano. Trasformato in emendamento, il decreto Paesi sicuri potrà essere scritto e riscritto senza tante disinibizioni dai due ministeri, lasciando il parlamento davanti a un prendere o lasciare

 

 

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- 5 al voto americano In Virginia la Corte suprema esclude sospetti stranieri, in Florida un trumpiano si presenta armato... Ma hanno già votato in 52 milioni

La polizia durante un comizio del candidato repubblicano Donald Trump al Madison Square Garden di New York foto Getty Images La polizia durante un comizio del candidato repubblicano Donald Trump al Madison Square Garden di New York – Getty Images

1.600 voti: all’apparenza una goccia nell’oceano dell’elettorato statunitense. Ma che assumono proporzioni giganti nella battaglia non più sotterranea per sopprimere, o contestare ex post, i voti non graditi ai repubblicani. Parliamo dei 1600 iscritti alle liste elettorali della Virginia fatti rimuovere d’autorità dal governatore Glen Youngkin con l’accusa di essere noncitizen, con il benestare, arrivato ieri, della Corte suprema.

IN UN ORDINE senza argomentazioni né firme (se non quelle delle tre giudici liberal per segnalare il proprio dissenso), la Corte ha infatti sollevato il divieto a “purgare” i 1600 elettori dalle liste, deciso da una corte federale dopo un ricorso del dipartimento di giustizia e di varie associazioni per i diritti civili. È già stato provato infatti che nella corsa di Youngkin a alimentare le fiamme del sospetto (infondato) di voti espressi da migranti illegali sono rimasti coinvolti svariati cittadini americani. Oltretutto, l’ordine è in violazione del National Voter Registration Act, che impedisce di mettere mano alle liste elettorali nel periodo immediatamente precedente alle elezioni.

La Corte suprema reagisce con una simbolica alzata di spalle, chiarendo ancora una volta come si sia ritagliata un ruolo da protagonista per indirizzare il risultato nella direzione più gradita. Ed è significativo, all’indomani dei letterali roghi dei ballot box negli stati di Washington e dell’Oregon, che un sondaggio pubblicato dal Washinton Post indichi che il 57% degli elettori di 6 swing state temano la violenza dei supporter di Trump in caso quest’ultimo non vinca le elezioni. Violenza che è continuata anche ieri: un 18enne – accompagnato da un gruppo di altri ragazzi con bandiere di Donald Trump – è stato arrestato in Florida per aver brandito un machete contro due elettori democratici fuori da un seggio elettorale, dove era in corso il voto anticipato.

«SONO PRONTO a difendere il risultato elettorale, faremo il nostro lavoro» ha affermato intanto, dalla Georgia, il segretario di Stato repubblicano Brad Raffensperger, già protagonista suo malgrado del tentativo di Trump di rovesciare il risultato nello stato: in quello che è uno degli swing state più importanti, il voto anticipato ha infatti infranto ogni record, superando già i 3 milioni di preferenze espresse. Record di voti si sono registrati anche in North Carolina e New York, e in generale in tutto il Paese. In tutto il paese hanno già votato 52 milioni di persone.

IN QUESTO CLIMA teso, i media Usa ricordano che per l’ottavo anno consecutivo gli Stati Uniti sono stati giudicati una “democrazia imperfetta” dalla società di analisi e ricerca Economist Intelligence Unit. Molti studiosi stanno mettendo in guardia dalle tendenze verso l’autoritarismo, sottolineando, come hanno fatto sia Politico che The Nation, che durante il comizio al Madison Square Garden Trump ha parlato di un “piano segreto” elaborato con il presidente della Camera Mike Johnson. Alla Cnn, Johnson ne ha confermato l’esistenza ma senza scendere in dettagli. L’ipotesi più plausibile è che Trump e Johnson stiano “segretamente” parlando di insediare Trump attraverso una “elezione contingente”, in cui la Camera, e non il Collegio Elettorale, determina il presidente.

Mentre questo accade più o meno dietro le quinte, i comizi continuano ad essere sotto i riflettori. Kamala Harris a Washington ha attirato 75mila persone scegliendo di parlare proprio dove Trump, nel 2021, aveva incitato i rivoltosi il giorno dell’assalto al Congresso. «Donald Trump ha trascorso un decennio cercando di tenere il popolo americano diviso, e le persone timorose l’una dell’altra. Ecco chi è lui. Ma sono qui stasera per dire: non è questo ciò che siamo».

POI È RIPARTITA per una serie di comizi in Pennsylvania, North Carolina e Wisconsin, “incrociando” Trump in questi ultimi due stati. In North Carolina Trump si è rivolto alla comunità portoricana dicendo che «non è colpa di nessuno», ma sono state dette «alcune cose brutte» al suo comizio del Madison Square Garden, riferendosi all’appellativo di “spazzatura” affibbiato a Portorico.

L’ARGOMENTO è stato malamente affrontato anche da Joe Biden, che ha scatenato una tempesta dicendo che «l’unica spazzatura che vedo fluttuare là fuori sono i suoi sostenitori»: si riferiva al “comico” che ha fatto la battuta, ma è sembrato parlasse della base di Trump, al punto che Harris per la prima volta ha tenuto a distanziarsi dal presidente, dicendosi «fortemente» in disaccordo.

Le elezioni pervadono ormai ogni aspetto della società americana, tanto che anche la parata di Halloween di New York, la più importante a livello nazionale, oggi avrà come tema “Meow, gatti”, un chiaro riferimento al ruolo giocato da questi felini nella campagna elettorale, a partire dalle “gattare senza figli” disprezzate da JD Vance, per arrivare alle menzogne contro i migranti haitiani che si sarebbero mangiati i felini domestici.

 

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Cento morti e molti più dispersi, danni immensi, paesi allagati e al buio. La pioggia record devasta la Spagna concentrandosi sulla regione di Valencia dove la destra ha smantellato la prevenzione e sminuito l’allarme. Il clima uccide, la minaccia si sposta su Barcellona

Spagna Comunità valenziana devastata dal fenomeno “Dana”, oltre 90 i morti e centinaia i dispersi. Colpite anche Albacete e l’Andalusia

Alluvionati per le strade di Valencia - foto LaPresse Alluvionati per le strade di Valencia – LaPresse

La situazione meteorologica nella zona sudest della Spagna è catastrofica. Ieri e l’altro ieri la Dana (“depressione isolata a alta quota”, in spagnolo), o anche “goccia fredda”, o “vortice isolato”, come preferiscono definirlo alcuni climatologi italiani, ha colpito come mai prima la penisola iberica. Secondo i dati alla chiusura del giornale, ci sarebbero almeno 95 vittime, centinaia di dispersi e danni incalcolabili soprattutto nella comunità valenziana (dove i decessi sono 92), in Andalusia e Castiglia La Mancia. L’esecutivo spagnolo ha già decretato tre giorni di lutto ufficiale, mente la situazione non accenna a migliorare.

SUI GIORNALI si parla già del peggior fenomeno del genere nell’ultimo secolo. In alcuni punti ha superato la cifra record di 500 litri d’acqua per metro quadrato in poche ore, come per esempio a Chiva in provincia di Valencia. Le immagini che le televisioni e le reti sociali trasmettono in continuazione sono dantesche e la distruzione difficile da descrivere. Strade, ferrovie, infrastrutture, edifici: tutto distrutto o gravemente danneggiato.

Montagne di centinaia di automobili trascinate per chilometri e migliaia di persone rimaste intrappolate sui tetti di camion e case, stazioni di benzina, ponti o autostrade per ore e ore, senza cibo e acqua; ieri sera, erano almeno 120 mila le persone senza collegamenti telefonici e 150 mila quelle al buio. Il collegamento dell’alta velocità fra Madrid e Valencia è tagliato almeno fino a lunedì e i collegamenti ferroviari attorno a Valencia sono stati interrotti fin dal pomeriggio di martedì. Fiumi straripati, torrenti d’acqua e fango che hanno distrutto e sommerso paesi e campi coltivati. In alcuni punti il fango ha superato i tre metri.

LA TEMPESTA ora minaccia la Catalogna, l’Aragona, Estremadura, Navarra e la parte ovest dell’Andalusia, nelle province di Cadice oltre a quella di Malaga, già colpita. Nelle zone sud della Catalogna si prevede che le precipitazioni oggi possano superare i 100 litri di acqua per metro quadrato con fortissime raffiche di vento.
La città di Valencia si è salvata dal peggio, ma sta fungendo da centro di accoglienza per tutta la provincia e la zona limitrofa, dove invece

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I tagli agli italiani Una decisione conforme allo spirito dell'Europa autoritaria: transizione verde Ko, miliardi alla guerra. La decisione presa nella manovra dal governo Meloni premia l'industria delle armi. Il settore è nel panico. I lavoratori preoccupati

Automotive: taglio di 4,6 miliardi, soldi alle armi, il governo parla d’altro Al lavoro in fabbrica – Ansa

Armi invece della transizione ecologica. All’aeronautica e alla marina andranno oltre 11,3 miliardi di euro fino al 2039, dal 2025 al 2030 saranno tagliati 4,6 miliardi al Fondo per la transizione verde, la ricerca, gli investimenti del settore automotive, cioè l’insieme delle industrie coinvolte nella produzione e nella vendita automobilistica in Italia.

Dopo avere preso nella legge di bilancio una decisione che esemplifica la tendenza verso la quale è avviata un’Europa sempre più autoritaria, ieri il governo ha cercato di cambiare discorso. Ad avviso del vicepremier ministro dei trasporti Matteo Salvini, e del ministro dell’industria («Made in Italy») Adolfo Urso i problema principale del settore è quello che accadrà nel 2035 quando l’Europa proibirà la vendita e l’acquisto dei motori endotermici.

Salvini ha parlato di cosa farà il 5 dicembre. Tra più di un mese. In effetti si sentiva l’esigenza di saperlo. Ebbene il vicepremier andrà a Bruxelles al Consiglio Europeo dei Trasporti. Ribadirà la richiesta italiana di anticipare al 2025 «la revisione della folle normativa che mette al bando i motori endotermici: è un suicidio economico, ambientale, sociale, lavorativo, commerciale» ha detto. Urso ha invece detto che «la transizione deve esserci ma occorrono le condizioni per raggiungerla. Il processo va sostenuto con una forte immissione di risorse pubbliche ad oggi fuori dalla portata dei bilanci pubblici non solo dell’Italia».

Cosa fare allora di meglio se non anticipare quello che Salvini e Urso hanno definito «suicidio» tagliando 4,6 miliardi dal fondo che dovrebbe permettere di trovare un’alternativa? Visto che le risorse erano già poche, le tagliano del tutto. E così non ci sarà alcuna transizione. Una posizione che rivela un cortocircuito in cui è piombato il governo.

Tutti gli attori industriali della filiera italiana dell’automotive sono nel panico. «Di fronte alle difficoltà che il sistema automotive sta affrontando – ha detto il presidente di Federauto, Massimo Artusi, – c’era da attendersi una manovra che mettesse in priorità misure di sostegno al settore, anziché tagli draconiani e misure penalizzanti». I concessionari ribadiscono la necessità di «avviare una profonda revisione della fiscalità sugli autoveicoli, nel solco di quanto previsto dalla Legge Delega approvata lo scorso anno».

Il problema è che qualcosa è cambiato in Italia dall’anno scorso. E sono ancora in moltissimi a non averlo capito. Nel frattempo il governo si è impegnato a rispettare il nuovo patto di stabilità Ue e ha iniziato a tagliare tutto il tagliabile.

Il cambiamento o è stato così repentino da lasciare di sasso chi, fino a pochi giorni fa, aveva ancora creduto agli annunci su un settore, come quello dell’automotive, che sta attraversando una situazione molto complicata. «La decisione del governo contraddice clamorosamente non solo le dichiarazioni di intenti del ministro Urso il 7 agosto scorso, ma anche altri autorevoli esponenti dell’esecutivo che si sono pronunciati fino a pochi giorni fa» ha sostenuto l’associazione Unrae dei rappresentanti di veicoli esteri.

Le opposizioni hanno attaccato un esecutivo in stato confusionale. Per Giuseppe Conte (5 Stelle) «ha firmato la morte del settore». «Questa è un’autentica follia, il tradimento di imprese e lavoratori» ha detto Antonio Misiani del Pd. Per Tino Magni (Avs) «il governo deve ripristinare il fondo automotive»

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A Gaza è ancora strage di sfollati. L’episodio più grave nel nord, dove è stato raso al suolo un palazzo di cinque piani: oltre cento morti, donne, bambini, intere famiglie annientate. Ma per Israele «terrorista» è l’Unrwa, l’agenzia Onu che assiste i rifugiati palestinesi

Terrorista a chi I bombardamenti israeliani fanno una nuova strage. E anche gli Usa criticano Netanyahu per i mancati aiuti umanitari a Gaza

Oltre 100 morti a Beit Lahiya. La tregua per ora è solo un’idea Gli esiti del bombardamento a Beit Lahiya – Getty Images

Nel palazzo degli Abu Nasr a Beit Lahiya ci vivevano oltre 200 sfollati. Membri di famiglie del posto che avevano avuto la casa distrutta dai bombardamenti israeliani di un anno fa. Di recente se ne erano aggiunte altre. Le vite di 109 uomini, donne e bambini ospitati in quell’edificio residenziale sono state spazzate via nella notte tra lunedì e martedì da un raid aereo che ha aggiunto un nuovo massacro di civili nel nord della Striscia dove ieri i palestinesi uccisi sono stati oltre 140. I cinque piani che i bambini salivano e scendevano più volte al giorno non ci sono più. Ora sono pietre, colonne di cemento armato frantumate, tubi di ferro contorti e una nuvola di polvere. In realtà il bilancio è ancora più alto. «Sotto le macerie ci sono altre 40 persone. Finora abbiamo estratto i corpi di 25 bambini», riferiva ieri un portavoce della Protezione civile. L’agenzia dell’Onu per l’infanzia, l’Unicef, conferma l’ennesima strage di minori. «Questa mattina (ieri) a Beit Lahiya almeno 20 bambini sono stati uccisi nel bombardamento di un’abitazione a più piani. L’attacco contro i bambini è diventato una scandalosa normalità a Gaza, dove una media di oltre 67 bambini vengono uccisi o feriti ogni singolo giorno», ha scritto su X la direttrice generale dell’Unicef Catherine Russell.

Israele fa sapere di aver ritirato parte delle sue forze dal nord di Gaza, ma la popolazione palestinese non può dire di aver visto un rallentamento degli attacchi aerei e delle incursioni di reparti corazzati. Questo mentre crescono i timori per i rifornimenti di cibo, medicine e altri prodotti di prima necessità dopo l’approvazione da parte della Knesset israeliana di leggi che limiteranno fortemente le capacità operative dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi. Il capo dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha inviato una lunga lettera al Presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Philémon Yang, in cui sottolinea la gravità della situazione dopo il voto della Knesset e che gli ultimi sviluppi «rischiano di

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Per chiedere quale sia il parametro su cui individuarli

Il Tribunale di Bologna rinvia il decreto 'Paesi sicuri' alla Corte Ue Migranti

Il Tribunale di Bologna ha rinviato alla Corte di Giustizia europea il decreto del governo sui Paesi sicuri, per chiedere quale sia il parametro su cui individuare i cosiddetti Paesi sicuri e se il principio del primato europeo imponga di ritenere che in caso di contrasto fra le normative prevalga quella comunitaria.

Il rinvio è arrivato nell'ambito di un ricorso promosso da un richiedente asilo del Bangladesh contro la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione.

Nel suo rinvio alla Corte di Giustizia europea sul decreto 'paesi sicuri' il tribunale di Bologna, entra anche nel merito sulla definizione di 'Paesi sicuri', contestando il principio per cui potrebbe definirsi sicuro un Paese in cui la generalità, o maggioranza, della popolazione viva in condizioni di sicurezza, visto che il sistema di protezione internazionale si rivolge in particolare alle minoranze. Portando anche il paradosso che la Germania nazista fosse stata estremamente sicura per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca, ad eccezione di ebrei, omosessuali, oppositori politici e rom.
   

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