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«Arrivano i rossi». In campagna elettorale per le regionali, a Bologna la destra alza i toni. Contro gli antifascisti «violenti» e i centri sociali «da chiudere». Schierati con Casapound, Meloni e alleati coprono i pasticci di Piantedosi. E sposano l’aggressiva retorica trumpiana

Emilia Paranoica Chiusura di campagna elettorale anticipata per Meloni, Tajani e Salvini. La sfida è in Umbria. La Lega attacca: «Fino a ieri Bonaccini e Schlein erano autonomisti»

Maurizio Lupi, Matteo Salvini, Elena Ugolini e Antonio Tajani in occasione del comizio del centrodestra per le Regionali in Emilia Romagna, Bologna, - foto Max Cavallari /Ansa Maurizio Lupi, Matteo Salvini, Elena Ugolini e Antonio Tajani al comizio del centrodestra per le Regionali in Emilia Romagna

Sorpresa! I leader del centrodestra, a Bologna (salvo la premier in collegamento) per chiudere la campagna elettorale in Emilia-Romagna, si concentrano davvero sulla regione al voto. Sembra normale invece non era mai successo. La premier soprattutto aveva sempre insistito sui mirabolanti risultati nazionali del governo, addirittura, in Liguria, dedicando solo una fugace citazione alla regione.

IN EMILIA è tutt’altra musica. Salvini, accolto dal grido «Matteo, Matteo» quasi s’indispettisce: «Sì, mi chiamo così ma oggi da gridare c’è solo il nome di Elena». Al secolo la candidata Ugolini che la premier, in streaming perché la riunione con i sindacati si è prolungata troppo per il treno, dipinge con accenti che nemmeno nell’Iliade.

Non significa che la destra pensi di vincere: i sondaggi li conoscono anche loro. Però i tre leader non rinunciano a giocarsela e sanno che qui martellare troppo sulla propaganda del governo centrale sarebbe controproducente.

«DICONO che non abbiamo chance. Lo dicevano anche in Liguria e la mia, la nostra storia dice che i pronostici possono essere stravolti. Il clima è così surriscaldato perché hanno

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Lunedì Rosso 11 novembre 2024

Nella foto: Una bandiera americana via Getty Images

Oggi un Lunedì Rosso dedicato agli Stati Uniti.

Al centro, non solo la vittoria di Donald Trump, ma anche il ruolo di Elon Musk, protagonista di un’elezione che ha visto una cerchia di miliardari investire, di nuovo, sul tycoon: esponenti della classe che ha la maggiore (se non la piena) responsabilità dei disastri nei quali siamo immersi – dalla crisi economica a quella climatica alle guerre – ma che riescono a presentarsi come la via di uscita dal pantano.

Il clima, ora, è quasi di regolamento dei conti Trump ha sete di «vendetta» e il primo obiettivo saranno alcune istituzioni del paese e dei loro vertici.

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Ecco il  servizio:

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La denuncia del sindacato di polizia: “Inaccettabile quanto abbiamo potuto osservare in alcune immagini, gli agenti non siano carne da macello”

 

GUARDA IL VIDEO

BOLOGNA – "Condanniamo con fermezza la violenza, indipendentemente dalla sua origine. Tuttavia, riteniamo inaccettabile quanto abbiamo potuto osservare in alcune immagini che mostrano uno dei leader dei movimenti di estrema destra dare ordini ai funzionari responsabili dell'ordine pubblico”. La denuncia della segreteria nazionale del Silp Cgil arriva quando la polemica è più che mai cruenta. E vi si legge nero su bianco, nella nota diffusa, che c’era qualcuno di Casapound o della Rete dei Patrioti che durante il corteo neofascista “dava ordini ai funzionari pubblici”.

 

 

Un fatto gravissimo che il sindacato dei poliziotti stigmatizza, aggiungendo che chi ha deciso di consentire la manifestazione neofascista, “non ha tenuto conto del contesto delicato in cui si sono svolte le manifestazioni e ha posto i presupposti per l’intensificarsi di scontri e tensioni”.

 

 

 

La segreteria nazionale del sindacato ricorda che la sicurezza pubblica deve essere assicurata “senza infiltrazioni né pressioni esterne da alcun gruppo o movimento politico”. Il sindacato fa appello all’unita delle forze dell'ordine, “che per altro non vanno mai neppure tirate per la giacchetta”.

E ancora, il Silp Cgil esprime “la propria solidarietà alle poliziotte e ai poliziotti che sono stati coinvolti nei gravi incidenti avvenuti a Bologna, in occasione della manifestazione di movimenti neofascisti, di estrema destra e di gruppi antagonisti”. E ricorda come “questi eventi inaccettabili riportino purtroppo a situazione già conosciute, dove le lavoratrici e i lavoratori in divisa si trovano spesso a dover affrontare le conseguenze di tensioni sociali e scontri pubblici, senza che vengano adeguatamente protetti e rispettati”.

 

 

I poliziotti della Cgil attaccano ricordando che gli agenti “non sono carne da macello”, e sottolineano come “la concessione di spazi di manifestazione a movimenti con forti connotazioni fasciste, specialmente in luoghi simbolici come piazza XX Settembre a Bologna, che ricorda alcuni tra i più gravi episodi di violenza neofascista della storia italiana, appaia non solo inopportuna, ma anche irresponsabile”.

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Invado avanti Il Famine Review Committee lancia l’allarme. Per Israele gli aiuti a Gaza sono sufficienti. Il Qatar sospende la sua mediazione per la tregua e chiude l’ufficio di Hamas. Tel Aviv festeggia

Palestinesi in fila per un pasto a Rafah foto di Fatima Shbair/Ap Palestinesi in fila per un pasto a Rafah  – Fatima Shbair/Ap

«Non riuscivo a credere ai miei occhi. Tra i corpi senza vita  portati all’ospedale dopo il bombardamento israeliano c’era anche Ibrahim, mio figlio». Il dottor Hussam Abu Safiya parla con la voce rotta da emozione e stanchezza. «È un dolore immenso – dice – quello che prova ogni padre davanti al figlio morto. In questa situazione, mia moglie ed io abbiamo dovuto contenere la pena che provavamo, abbiamo pregato per Ibrahim, poi l’abbiamo seppellito a poca distanza dall’ospedale. Quindi sono tornato al lavoro, ad assistere feriti e ammalati e a seguire i lavori di riparazione dell’ospedale che cerchiamo di mantenere operativo». Da settimane il medico palestinese è la voce dell’ospedale Kamal Adwan, di cui è direttore, e di fatto del nord di Gaza sotto i bombardamenti israeliani che avrebbero fatto oltre mille morti e costretto a scappare quasi tutta la popolazione civile. Ieri invece ha raccontato il suo dramma, comune a quello di migliaia di famiglie di Gaza che hanno perduto genitori, figli, bambini piccoli.

Nelle stesse ore in cui una bomba uccideva Ibrahim Abu Safiya, a Tuffah (Gaza city), un missile sganciato da un aereo israeliano contro la scuola Fahd Al Sabah ha messo fine alla vita e al desiderio di Zahra Abu Sakheil, 23 anni, e di suo fratello Ahmad, 22, di continuare il lavoro di giornalista che tanto amavano. L’esplosione li ha uccisi all’istante assieme al padre e altri tre palestinesi. I colleghi ricordano che Zahra e Ahmed spesso andavano in giro insieme. Lei raccontava le storie degli sfollati nelle tendopoli, nei rifugi e nelle scuole. A Gaza due giorni fa era rimasto ucciso un altro giornalista, Khaled Abu Zir, redattore di una radio locale. Secondo i dati del Sindacato dei giornalisti, sono almeno 186 gli operatori dell’informazione uccisi a Gaza.

Il bilancio di palestinesi uccisi dall’offensiva israeliana è stato aggiornato a 43.552, di cui 44 tra venerdì e sabato. Nella scuola Fahd Al Sabah di Tuffah i morti sono stati 14, decine di feriti. In visita alle truppe in ciò che resta del campo profughi di Jabaliya, il capo di stato maggiore israeliano Herzi Halevi ha detto che i suoi soldati stanno inviando ad Hamas un messaggio molto chiaro. «L’esercito non si stanca. Il fatto che stia concludendo tre settimane qui con circa 1.000 terroristi uccisi e altri 1.000 catturati è un risultato significativo che infligge un duro colpo ad Hamas. Non ci fermeremo né rallenteremo». Numeri che è impossibile verificare. Di sicuro c’è che il nord di Gaza è sempre più vuoto. Non è chiaro quante persone siano rimaste in quella parte della Striscia. Inizialmente l’Onu stimava che ci fossero circa 400.000 civili. Ora sarebbero alcune decine di migliaia. I filmati sui social mostrano ondate di sfollati stanchi con bambini che camminano verso sud, verso la presunta «area sicura» di Mawasi, tra le macerie. Molti non mangiano da giorni e hanno poca acqua.

Israele ha tagliato in tre parti di Gaza. All’inizio di quest’anno ha creato il cosiddetto corridoio Netzarim, separando il nord e quella che un tempo era la densamente popolata Gaza City dal resto della Striscia. Poi ha alzato terrapieni e distrutto edifici a nord del capoluogo, lungo una linea orizzontale da est al mare, isolando Jabaliya, Beit Lahiya, Beit Hanoun e il resto del territorio settentrionale. Un funzionario dell’Onu ha descritto la situazione: «un assedio nell’assedio». È evidente l’intenzione di creare in quella parte una ampia «zona cuscinetto» controllata da Israele e in cui, malgrado le smentite, potrebbero insediarsi coloni. Così i movimenti degli oltre due milioni di civili palestinesi verrebbero ridotti al minimo: per loro si annunciano anni in condizioni di vita spaventose in appena 200 chilometri quadrati.

Torna lo spettro della carestia. Il Famine Review Committee (Frc) – parte della Integrated Food Security Phase Classification, che comprende 15 organizzazioni dell’Onu e ong che monitorano la sicurezza alimentare nel mondo – ha definito la situazione nel nord della Striscia «estremamente grave e in rapido deterioramento» e ha chiesto a tutte le parti di agire «entro giorni, non settimane» per evitare un disastro. Il rapporto punta l’indice contro Israele per l’assedio del nord di Gaza e gli ordini di evacuazione dell’intera popolazione. Tel Aviv ha respinto il rapporto e nega che l’ingresso di generi di prima necessità sia drasticamente calato nelle ultime settimane. Afferma di aver fatto passare tre giorni fa una dozzina di camion diretti a Jabaliya e Beit Hanoun.

Il governo Netanyahu festeggia un nuovo traguardo ottenuto grazie alle pressioni degli Stati uniti. Il Qatar ha annunciato il suo ritiro dalla mediazione per un cessate il fuoco a Gaza e, in questo quadro, ha stabilito che l’ufficio di Hamas a Doha «non serve più a nessuno scopo». In poche parole, il Qatar ha deciso di espellere la leadership del movimento islamico da anni sotto la sua protezione. Hamas nega di aver ricevuto l’ordine di lasciare il paese del Golfo.

 

 

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La destra ne approfitta per rilanciare il Ddl Sicurezza. Salvini: «Per i criminali rossi il posto giusto è la galera»

Polizia schierata sul ponte Matteotti per bloccare il corteo antifascista a Bologna foto di Max Cavallari/Ansa Le manifestazioni di Bologna – Ansa

Che sarebbe stato un errore lo si diceva da giorni. Eppure è stato concesso lo stesso a Casapound e alla cosiddetta Rete dei patrioti di manifestare a Bologna, peraltro in un luogo simbolico come via Gramsci, a pochi passi dal piazzale della stazione, teatro della strage neofascista del 2 agosto 1980. Naturale che i bolognesi l’abbiano presa come una provocazione e abbiano convocato diverse manifestazioni a supporto dell’identità democratica e antifascista della città. Lo stesso sindaco Matteo Lepore, per giorni, aveva chiesto di spostare il corteo dei neofascisti, senza successo.

Tuttavia la risposta dei bolognesi è stata massiccia: tre cortei molto partecipati si sono susseguiti nel corso della giornata mentre i fascisti del terzo millennio, neanche un centinaio, rimanevano bloccati a via Boldrini. Il paradosso però è che le forze dell’ordine hanno caricato gli antifascisti e non i militanti di estrema destra che hanno avuto buon gioco a fare le vittime: «Non possono esistere città ostaggio dei centri sociali», gridavano al megafono avvolti nelle bandiere tricolori. Intanto il resto della città provava a reagire all’offesa radunandosi.

Un primo presidio, organizzato da Anpi e Cgil, si era svolto in mattinata in piazza del Nettuno con la partecipazione anche di Nicola Fratoianni di Avs e la segretaria del Pd Elly Schlein. «Da bolognese – ha detto la dem – non credo che sia stata una scelta giusta quella di fare manifestare le destre estreme a pochi metri dalla stazione di Bologna, che ancora è una ferita aperta». Nel pomeriggio, mentre il centro della città veniva blindato, si sono riuniti in corteo gli anarchici e i collettivi. I primi hanno sfilato in 200 (tanti i giovanissimi) per le strade della Bolognina per poi attraversare il ponte di Galliera e raggiungere via Irnerio per ritornare al punto di partenza. I secondi, invece, hanno sfilato per il centro della città intonando «Bella Ciao». «Non era possibile dare la piazza a Casapound e ai “patrioti” e se il governo ha deciso di concedergliela era giusto opporsi, a Bologna non si passa», ha detto una partecipante mentre nel corteo, composto da più di 1.500 persone, si affacciavano anche la vicesindaca Emily Clancy e il consigliere di Coalizione Civica Detjon Begaj parlando di «provocazione che si doveva evitare».

Le tensioni con le forze dell’ordine in tenuta anti sommossa si sono registrate quando un gruppo ha tentato di raggiungere il presidio dell’estrema destra scendendo dal parco della Montagnola, tra lanci di oggetti e petardi. Alcuni manifestanti hanno riportato ferite lievi così come tre poliziotti, secondo quando riportato in serata (come da consuetudine degli ultimi tempi) dalla questura. A dispetto dell’evidenza, il questore Sbordone si è anche congratulato con sé stesso per aver «garantito a tutti il diritto di manifestare» nonostante «la sproporzione dei facinorosi rispetto agli agenti, aggrediti in modo vile». Laddove i facinorosi erano gli antifascisti e non i patrioti che a fine pomeriggio potevano «proclamare vittoria» per essere riusciti a «prendersi la piazza». Forti anche del sostegno della Lega e del partito della premier, FdI, che hanno usato gli incidenti come assist al ddl Sicurezza. «È indispensabile l’approvazione immediata del pacchetto sicurezza che contiene norme fondamentali per difendere i nostri straordinari operatori in divisa», ha dichiarato il sottosegretario all’Interno, Molteni (Lega).

E mentre la destra locale chiede le «dimissioni immediate» di Clancy e Begaj, Salvini si abbandona a una narrazione leggendaria su «centinaia di delinquenti rossi» che avrebbero «dato la caccia al poliziotto». «Per i criminali rossi il posto giusto è la galera», ha chiosato il ministro dei Trasporti chiamando in causa anche il candidato per il centrosinistra alle elezioni regionali di domenica prossima: «Voglio vedere se il signor De Pascale e la signora Schlein condanneranno». Anche il ministro dell’Interno, Piantedosi, ha scaricato le sue responsabilità sull’opposizione alla quale ha chiesto di «prendere le distanze».

Ben diversa è invece la reazione della città: «Bologna ha vinto – hanno scritto gli attivisti del Làbas – la città si è espressa in tante forme, mobilitando migliaia di persone contro il governo Meloni che ha voluto imporre i fascisti davanti alla stazione della bomba, nell’ottantesimo della battaglia di Porta Lame»

 

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