Per Salvini i numeri dell’Istat che ieri hanno attestato l’aumento dell’occupazione ad aprile, e il calo della disoccupazione ai minimi da 15 anni, sarebbero una «smentita dei profeti di sventura e della negatività a senso unico di certi giornali». L’aumento di 516 mila occupati in un anno e il tasso di occupazione salito al 62,3% sarebbero la prova che «con il centrodestra al governo il lavoro cresce».
IL MESSAGGIO ELETTORALE del vicepremier ministro delle infrastrutture è stato rilanciato nella serata di ieri dalla presidente del Consiglio Meloni che si è concentrata sull’aumento dei salari. A suo dire, infatti, «l’aumento dei salari del 3% superiore all’inflazione avvenuto da ottobre 2023» sarebbe merito del governo. Sono dati presi dall’indice delle retribuzioni contrattuali orarie del primo trimestre 2024. Rispetto all’anno precedente c’è stato un aumento, in virtù di alcuni rinnovi dei contratti anche nella pubblica amministrazione che, in realtà, hanno recuperato il triennio precedente. Resta invece scoperto il triennio in corso, ad esempio nella scuola. Senza contare che oltre 5 milioni di dipendenti attendono ancora un rinnovo.
CIÒ CHE MELONI non ha detto è anche molto altro. Se l’inflazione cala, questo non significa che i salari abbiano recuperato ciò che hanno perso nel triennio 2022-2024. Sarà pari al 16,9%, stando all’Indice dei prezzi al consumo (Ipca) al netto dei beni energetici importati. Nell’intervento di ieri Meloni ha inoltre fatto balenare la possibilità irrealistica che un modestissimo aumento, per di più parziale, potrebbe avere invertito una storia trentennale costruita sui bassi salari e sull’alta precarietà.
FUORI DALLE NARRAZIONI strumentali la realtà è diversa. Se l’occupazione aumenta questo non significa che i salari tengono il passo. Può invece significare che aumenta il lavoro povero. E, con esso, la povertà relativa e assoluta, insieme a quella minorile. Lo ha dimostrato ieri la ricerca «Domani (im)possibili» curata dalla Caritas con Save The Children secondo la quale la deprivazione materiale degli adolescenti tra i 15 e i 16 anni è aumentata. Quasi uno su dieci – centomila persone – vivono in condizioni di povertà, il 67,4% teme che il lavoro non permetterà di uscire dalla povertà, uno su quattro pensa di non concludere la scuola. Le più scoraggiate sono le ragazze che sanno che le donne in Italia sono le più penalizzate. Per loro il «futuro è una pagina bianca». Va ricordato che, per l’Istat, i minori in povertà sono 1,3 milioni. I poveri assoluti sono 5,7 milioni, la quota di popolazione in povertà relativa è al 22,8%. E 120mila giovani vanno via dall’Italia ogni anno anche a causa della situazione economico-sociale davanti alla quale anche questo governo è totalmente impotente.
VA INOLTRE ANALIZZATA la condizione contrattuale dell’occupazione. «Ci sono 4,5 milioni di lavoratori con il part-time, di cui il 75% donne, soprattutto nel Mezzogiorno, che non arrivano a 10mila euro lordi all’anno – ha ricordato ieri il segretario della Cgil Maurizio Landini – Ci sono 3 milioni di contratti a termine, che lavorano per sei, sette, otto mesi in media all’anno. Ci sono un milione di persone che lavorano a chiamata, vuol dire che lavorano una media di 50-60-70 giorni all’anno. C’è un milione di persone che fa lavoro somministrato, sono aumentate le collaborazioni e le partite Iva».
C’È POI LA CONDIZIONE generazionale. Raffaella Milano di Save The Children ha denunciato «una grave ingiustizia generazionale e di origine sociale, sono i giovani i più colpiti dalla povertà». Questa realtà trova riscontro proprio scorporando i dati dell’Istat che hanno generato il tripudio del governo. Se ne ricava un’immagine esattamente opposta a quella ufficiale. Dai dati risulta un forte l’aumento dell’inattività tra i 25-34enni che subiscono anche un calo del tasso di occupazione dello 0,5% e anche di quello di disoccupazione