Diritto d'asilo. Un’identità europea costruita sulla figura dello straniero come nemico va combattuta senza se e senza ma. I muri e il filo spinato, così come la criminalizzazione dei migranti, possono rappresentare la tomba dell’idea stessa di Europa unita
Polizia slovena ferma migranti al confine con l'Austria nel 2015 © Darko Bandic /Ap - LaPresse
C’era una volta il muro di Berlino. Tra i 12 governi dell’Ue che hanno chiesto alla Commissione Europea di tornare a erigere muri intorno ai nostri confini, molti sono i nostalgici del nazismo. «La scimmia del quarto Reich ballava la polca sopra il muro», scriveva Faber. L’ideologia dei muri e delle divisioni, che pensavamo di aver scacciato dalla nostra comune storia europea quel 9 novembre del 1989, torna prepotentemente a minare la pace e la convivenza tra i popoli del vecchio continente.
Siamo di fronte a un pesante rafforzamento del campo sovranista e razzista, soprattutto in assenza di un soggetto altrettanto forte e determinato che promuova i diritti e la democrazia. L’attacco delle destre, sempre più determinate e organizzate, ai principi dell’Ue e del diritto internazionale potrebbe far capitolare le forze democratiche, in assenza di un orizzonte comune e di una classe dirigente all’altezza della sfida che abbiamo davanti.
Questa vergognosa richiesta di finanziare la costruzione di muri e recinzioni a difesa dell’ideologia sovranista non è purtroppo una novità nelle politiche dei governi europei ed è la naturale evoluzione di quanto la Commissione propone con il «Patto Europeo su Immigrazione e Asilo».
Da anni intorno ai confini dell’Ue in Grecia, in Bulgaria, in Slovenia come nell’enclave africana della Spagna, a Ceuta e Melilla, i governi hanno eretto mura e realizzato sofisticati sistemi di controllo, simili a quelli tra Messico e Usa che tanto piacevano a Trump, per impedire che le persone possano entrare nell’Ue.
Muri e sistemi di controllo finanziati dall’Europa sono stati implementati
Leggi tutto: Contro il futuro nero dell’Europa - Filippo Miraglia
Commenta (0 Commenti)Gaetano Azzariti da “il Manifesto” del 06.10.2021
Democrazia. Vero è, dunque, che una delle ragioni del successo nella raccolta delle firme digitali è da rinvenire nella debolezza del Parlamento, ma ciò non ha nulla di positivo. Anzi, deve far riflettere e preoccupare ancor più
Dopo il successo della partecipazione «digitale» alla raccolta di firme referendarie, ora si registra il netto calo dell’affluenza al voto. Sono il sintomo della trasformazione della nostra democrazia.
Sempre più immediata, sempre meno meditata. Una democrazia divisa: da un lato il demos – il popolo – spesso indignato, ma poco propenso ad un impegno che vada oltre un click, un tweet, un’imprecazione contro lo stato di cose presenti. Dall’altra il kratos – il potere – impermeabile alle proteste. Quest’ultimo sembra seguire logiche puramente autoreferenziali, tecnocratiche, al più quelle vuote di significato della retorica populista, comunque lontane dal senso comune, dai bisogni sociali, dai problemi reali del primo. È come se la sovranità popolare non riuscisse più a manifestarsi dentro le nostre istituzioni repubblicane.
Qualcuno pensa che sia giunto il tempo di far parlare il popolo senza mediazioni. Si inganna: le «Leggi», da Socrate in poi, le fanno sempre i «Governanti». È per questo che l’essenza e il valore delle democrazie contemporanee non risiede nella decisione diretta del popolo, ma nella capacità di questo di concorre a determinare le politiche nazionali. Ai partiti e alle istituzioni rappresentative spetta poi dare forma e razionalità politica alle diverse domande sociali, dentro i luoghi del potere. Com’è scritto in apertura della nostra Costituzione: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».
Ed è per questo che non ci si può affidare esclusivamente alla partecipazione digitale. Dopo la raccolta delle firme per potere indire i referendum, saranno i poteri a decidere le sorti della richiesta. Il garante della costituzione (la Consulta) stabilirà se questi sono ammissibili, i poteri governanti (Governo e Parlamento) dovranno creare le nuove regole, sia che intervengano prima sia che provvedano successivamente all’eventuale abrogazione della vigente normativa.
Basta guardare al passato per accorgersi come il vero problema del popolo non è chiedere, quanto ottenere. Quante richieste si sono arenate perché ritenute inammissibili? Ed ancor più, quanti referendum espletati sono poi rimasti sulla carta per inerzia del legislatore?
È per questo che l’entusiasmo nei confronti degli ultimi quesiti referendari mi sembra quantomeno eccessivo. Non si tratta del merito, che è sacrosanto: tanto la liberalizzazione della cannabis, quanto la dolorosa questione dell’eutanasia sono due temi che devono da tempo trovare una regolamentazione legislativa. Nel secondo caso addirittura due decisioni della Corte costituzionale hanno chiesto al legislatore di intervenire. Questo invece è rimasto sordo, senza dare seguito alcuno. Ma proprio qui è il vero scandalo: l’inerzia delle Camere, che non troverà soluzione con un click.
Vero è, dunque, che una delle ragioni del successo nella raccolta delle firme digitali è da rinvenire nella debolezza del Parlamento, ma ciò non ha nulla di positivo. Anzi, deve far riflettere e preoccupare ancor più, solo che si ammetta che la democrazia telematica non esiste. Non è
Leggi tutto: Quell’inganno di un popolo senza potere - di Gaetano Azzariti su “il Manifesto”
Commenta (0 Commenti)Movimento 5 Stelle. Intervista a Francesco Silvestri
Francesco Silvestri
Francesco Silvestri, deputato romano e tesoriere del gruppo alla Camera, è stato il coordinatore della campagna elettorale di Virginia Raggi per il Movimento 5 Stelle. Dovendo fare un bilancio delle ultime settimane, descrive un percorso «molto difficile» segnato anche da una disparità di spesa economica: «Noi non prendiamo finanziamenti da nessuno – ricorda – Il che significa che avevamo poche risorse da investire, rispetto a uno come Carlo Calenda ad esempio».
Cosa non ha funzionato?
Per giudicare bene l’amministrazione Raggi bisogna tener conto della situazione ereditata dal passato, ovvero una città travolta dagli scandali di Mafia Capitale. Mentre il prossimo sindaco potrà contare su basi solide perché Raggi ha ricostruito la macchina amministrativa dalle fondamenta facendo tornare centrali temi come legalità e trasparenza. Persino le agenzie di rating hanno certificato tali miglioramenti, ma ciò evidentemente non è stato percepito dai cittadini. E questo è stato un problema. Poi avremo sicuramente commesso degli errori come ha ammesso la stessa Raggi, la quale – va ricordato – ha subito un’asfissiante campagna denigratoria durante l’intero mandato.
Che insegnamento ricava il M5S da tutto ciò?
Chi pensa che Conte sia un mago sbaglia: ha preso in mano i 5 Stelle ma il nostro è un progetto a medio-lungo termine. Intanto dobbiamo iniziare a prendere posizioni forti e chiare. Per fare un esempio la Bce sostiene che nei prossimi anni arriveranno circa 300 miliardi di crediti in sofferenza e che circa 300 mila immobili potrebbero finire nel mercato delle aste. Si tratta per lo più di immobili commerciali quindi non parliamo solo di famiglie e soggetti fragili ma anche del settore produttivo. Ci sono partite Iva che spariscono. Dobbiamo essere presenti nella vita reale delle persone. Questo è il Dna del M5S e su questo fronte Conte ha enormi potenzialità. Dobbiamo tornare a rappresentare chi non è mai stato tutelato dai partiti tradizionali, in fondo sono le stesse persone che in questi due anni hanno sofferto più di altre gli effetti della pandemia.
Quando parla di proposte chiare considera che il governo Draghi sia il contesto migliore per formularle?
Il governo Draghi è un esecutivo istituzionale dovuto all’emergenza pandemica e che al suo interno ha una maggioranza eterogenea. In questo contesto lo spazio esiste se riesci a guadagnartelo. Niente ci è dovuto, sta alla forza della nostra struttura ricavarsi l’agibilità politica per sostenere i cittadini in difficoltà, aiutare le imprese, riformare il fisco.
Lei è uno di quelli che ha presentato il progetto di legge sulla riforma dell’amministrazione di Roma, dei suoi poteri e dei fondi che riceve. Lavorerà su questo fronte anche con il prossimo sindaco?
Stiamo lavorando sulla macchina, non sul pilota. Lo facciamo come Movimento 5 Stelle e come parlamento, poi sta ai cittadini decidere chi guiderà quella macchina.
Michetti e Gualtieri per voi si equivalgono?
Premesso che la mia candidata era Raggi, concordo con Conte sul fatto che è impossibile una convergenza con questa destra. Non li sosterremo mai. Quello schieramento, tra l’altro, non fa parte dell’orizzonte al quale ci stiamo affacciando. Ma non possiamo spostare gli elettori come pacchi postali e dare indicazioni differenti da quelle che abbiamo dato fino a pochi giorni fa.
Quanto bisogna aspettare prima che Conte proceda con la ristrutturazione del M5S e comunichi le nomine interne?
La fretta in passato si è rivelata poco utile. Tra le nostre priorità Giuseppe Conte, giustamente, ha messo il radicamento sui territori ma ci vuole tempo per strutturarci e rafforzarci. Abbiamo appena iniziato un nuovo corso e le piazze piene in giro per l’Italia ci dimostrano che il Movimento 5 Stelle dirà ancora la sua.
La Giunta regionale ha approvato nuove norme che semplificano l’iter necessario all’avvio degli impianti solari. Tra i progetti anche il fotovoltaico galleggiante (www.ravennatoday.it)
La Regione Emilia-Romagna schiaccia l’acceleratore per dare impulso alla produzione di energia rinnovabile, con l’obiettivo della transizione ecologica. Arrivano specifiche Linee guida per favorire l’installazione di impianti fotovoltaici sulle aree di cava dove si è conclusa l’attività estrattiva. I nuovi impianti fino a 20 megawatt connessi alla rete elettrica di media tensione potranno partire con una semplice comunicazione: lo stesso nelle zone industriali e commerciali, oltre che su discariche non più attive.
La Giunta regionale, tra le prime in Italia, ha infatti approvato nuove norme che semplificano l’iter necessario all’avvio degli impianti solari e dettano indirizzi attuativi in particolare sull’utilizzo delle ex cave da applicare a tutte le istanze di nuova presentazione. Arpae, l’Agenzia regionale per la prevenzione ambientale e l’energia, darà vita ad una nuova struttura operativa interna per assicurare uniformità e coordinamento nell’applicazione delle disposizioni sull’intero territorio regionale. Si tratta di scelte che l'assessorato all'Ambiente ha portato avanti con decisione, in linea con le istanze dell'Assemblea legislativa e con gli obiettivi del Patto per il Lavoro e il Clima, per raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.
Per le aree estrattive, in particolare, se è previsto un recupero come invasi debuttano norme che disciplinano il “solare galleggiante”, posizionato direttamente sull’acqua. In quelle restituite a un uso agricolo si promuove invece “l’agrovoltaico”, con l’integrazione della presenza di coltivazioni e impianti di produzione di energia grazie al ricorso a tecnologie innovative. Nelle aree restituite a uso agricolo, potranno essere installati pannelli a terra solo se non coltivate; altrimenti vale il limite del 10% della superficie complessiva. Nessuna possibilità di sfruttamento energetico è contemplata infine nei casi in cui per la cava sia programmato un recupero ambientale, con interventi di rinaturazione, piantumazione e ripristino della vegetazione.
Nelle cave dismesse “riutilizzate” come bacino idrico, le nuove norme regionali consentono l’istallazione di impianti fotovoltaici “flottanti”, cioè galleggianti. Si fissano però alcuni paletti di tutela ambientale da rispettare. La superficie dell’invaso occupata non può però superare il 50% dell’estensione dello specchio d’acqua; i pannelli devono concentrarsi in maggior parte al centro del bacino per non ostacolare la nidificazione e lo svezzamento dei volatili, che avviene lungo le rive; non è possibile posizionarli dove si registrano meno di 3 metri d’acqua, perché i volatili procacciano il cibo in particolare in acque poco profonde. Per compensare gli impatti dell’impianto fotovoltaico sull’ecosistema, infine, la sua realizzazione richiede di effettuare un contestuale ampliamento delle aree naturali e delle aree di foraggiamento degli animali con la posa di siepi larghe almeno 5 metri nelle zone perimetrali.
Per le ex cave ritornate all’uso agricolo, invece, è previsto l’agrovoltaico con tecnologie innovative come il montaggio verticale di moduli, anche bifacciali o elevati da terra, dotati di inseguitori solari. La struttura portante dell’impianto deve comunque consentire il passaggio dei mezzi agricoli per la coltivazione. Impianti a terra sono infine consentiti nelle cave abbandonate, così come in quelle ripristinate ad uso agricolo a condizione che l’area non risulti coltivata. Per quelle coltivate, è confermato il limite del 10% di utilizzo dell’area agricola se la stessa risulta coltivata.
Commenta (0 Commenti)Purtroppo non basta un passato di impegno politico e una militanza nel territorio per convincere gli elettori a sostenere organizzazioni che, alla prova dei fatti, non superano lo zero virgola di voti
A distanza di cento anni da quando Lenin ne scrisse, a sinistra c’è ancora chi non riesce a guarire dalla malattia infantile di sempre: l’estremismo autoreferenziale. Che, nonostante una lunga e dolorosa serie di sconfitte e lacerazioni, porta tuttora a scelte, minoritarie, pavloviane. Infantili, appunto.
Vedere i risultati raggiunti alle elezioni amministrative da alcune liste, sigle, raggruppamenti (definirle “forze” potrebbe sembrare irridente), della sinistra radicale provoca più sconcerto che stupore. Perché già altre volte hanno dimostrato un’assoluta inconsistenza, e quindi non sorprendono i penosi, deprimenti risultati ottenuti in varie città. Ma stavolta è stata superata ogni logica politica, dimenticato il buonsenso, fino a sconfinare nel ridicolo.
Non mi riferisco alle aree politiche legate in particolare a Sinistra italiana, come anche a liste tipo Coraggiosa, creata da Elly Schlein, o a esperienze come quella di Riccardo Laterza a Trieste, che invece hanno ottenuto risultati dignitosi, raccontati nell’articolo pubblicato ieri, bensì a quel piccolo mondo antico immobile nella conservazione della propria identità: gli esempi della disfatta di queste liste, da Milano a Roma, parlano da soli.
Purtroppo non basta un passato di impegno politico e una militanza nel territorio per convincere gli elettori a sostenere organizzazioni che, alla prova dei fatti, non superano lo zero virgola di voti.
E se pensiamo che perfino esperienze amministrative positive (come Giovanni Caudo a Roma che ha ottenuto appena il 2 per cento con una lista di appoggio a Gualtieri), non raccolgono ampi consensi, chi vuole testimoniare una presenza di sinistra radicale dovrebbe chiedersi perché il proprio progetto subisce, e da molti anni ormai, sconfitte davvero umilianti.
Le liste che si comportano come i 4 amici al bar che volevano cambiare il mondo e che invece di restare seduti per bere un caffè, si presentano alle comunali con la proposta inverosimile dei candidati sindaci, forse dovrebbero chiedere scusa a quei pochi elettori che magari ci hanno creduto e li hanno votati. E anche chi li ha votati dovrebbe riflettere su scelte certo consolatorie ma altrettanto perniciose e impotenti a mutare lo stato di cose presenti.
Questo non vuol dire che non rispettiamo chi mette in gioco la propria storia, in nome di un ideale. Ma proprio perché crediamo che alcuni valori, idee, speranze devono non sopravvivere bensì essere al centro di un possibile cambiamento, servono gambe più forti, unità di intenti, serve dare forma alle tante esperienze vissute e ancora vive. Mettendo da parte personalismi, medaglie politiche, ambizioni velleitarie, barricate ideologiche costruite sulla carta. Superando infine l’idea che potrebbe anche bastare una sommaria unità delle differenze e delle lotte sociali perché dall’alambicco possa crearsi magicamente una forza larga, di sinistra radicale del 10%.
Noi del manifesto, fin dalla nascita, cinquant’anni fa, siamo minoranza. Che tuttavia è altra cosa dall’essere minoritari, perché cerchiamo di rappresentare una significativa comunità di donne, uomini, anziani, giovani, che possono e vogliono lottare insieme senza dividersi in mille, inutili, rivoli. E fino a quando avremo il sostegno di chi ci legge e ci sostiene, continueremo a batterci perché la sinistra, anche la più radicale, abbia lo spazio e il riconoscimento che merita. Certamente superiore allo zero virgola.
Commenta (0 Commenti)La riforma di Draghi. Due gli scontri «di classe» in atto: sul catasto e quindi sulla tassazione dei patrimoni immobiliari, e l’altro sull’Irpef, cioè sulla tassazione dei redditi da lavoro
Nei commenti del dopo voto la domanda ricorrente era se l’esito della consultazione elettorale amministrativa poteva o no rafforzare il governo. E Draghi, tralasciando i pareri dei commentatori si è detto convinto che l’esito del voto l’avrebbe rafforzato. Al punto da stringere i tempi sull’agenda di governo. È bastata la prima prova per capire che le cose erano più complesse. La sconfitta di Salvini, in termini di sindaci e consiglieri non eletti – ma non di voti assoluti, almeno nelle dieci maggiori città – ha provocato una brusca fibrillazione all’interno della maggioranza.
NON ERA DIFFICILE prevederlo. Non solo perché, come diceva il sapido Flaiano, “l’insuccesso dà alla testa”, ma soprattutto perché Draghi ha deciso di calare la carta della riforma fiscale, attorno alla quale si gioca un vero e radicato scontro di interessi. La reazione di Salvini e dei suoi sodali è stata immediata con l’assenza sbandierata alla riunione del Consiglio dei ministri. Il capo della Lega si è lamentato del troppo breve periodo di tempo tra la consegna del testo del disegno di legge e l’inizio del Cdm.
MA IL PUNTO DI SCONTRO vero è stata l’introduzione delle norme sulla revisione del catasto, su cui la destra interna ed esterna alla maggioranza aveva promesso barricate. In realtà i 10 articoli che compongono il disegno di legge governativo trattano la materia fiscale a maglie larghe. Si tratta di “una scatola di principi”, come ha detto lo stesso Draghi. Il governo non rischia certo di incorrere in quell’eccesso di delega legislativa che, con norme troppo precise e vincolanti, avrebbe potuto fare scattare la mannaia della Corte Costituzionale.Ma questo aspetto che dal versante governativo viene presentato come uno dei punti di forza, per la sua presunta inclusività, si può facilmente rovesciare nel suo esatto contrario. Il rischio concreto è che nella discussione parlamentare il testo subisca profonde modifiche se non stravolgimenti. Ipotesi tutt’altro che irrealistica viste le premesse costituite dal documento uscito dalla precedente discussione in sede di commissioni finanze di Camera e Senato, guidata dal renziano Marattin.
La revisione del catasto acquisterebbe efficacia solo a partire dal 1° gennaio 2026, come sta scritto nella legge delega. Draghi ha precisato che sul tema ci sarebbero due impostazioni completamente diverse: “La prima è costruire una base di informazione adeguata”, come ad esempio stanare le famose “case fantasma” di cui è costellato il nostro martoriato territorio; mentre “la seconda è decidere se cambiare le tasse e questa decisione oggi non l’abbiamo presa. Ci vorranno cinque anni”. Quindi – ma ciò era chiaro fin dall’inizio – non si parla di patrimoniale, ma è il governo stesso che si impegna a garantire – ben al di là della sua durata e di quella della attuale legislatura – che per almeno cinque anni non avverrà alcuno spostamento del prelievo fiscale dal lavoro alla rendita, né sarà possibile superare la crisi finanziaria che strozza le autonomie locali, come ha osservato sul manifesto Gaetano Lamanna.
NON È UN CASO CHE la legge delega non nasca alla ricerca della giustizia fiscale, ma che il primo dei quattro principi citati, che dovrebbero riempire la scatola draghiana, sia lo “stimolo alla crescita economica”. La legge intende fare evolvere il nostro sistema verso un modello compiutamente duale, quindi con la distinzione tra redditi da capitale e redditi da lavoro.
PER I REDDITI DA CAPITALE è prevista una tassazione proporzionale, tendenzialmente con un’aliquota uguale per tutti, ma con gradualità, nell’intento di rendere più efficiente il mercato dei capitali. Per i redditi da lavoro è prevista la riduzione delle aliquote effettive medie e marginali dell’Irpef, con l’obiettivo di incentivare l’offerta di lavoro, in particolare nelle classi di reddito dove si concentrano i giovani. Ove per aliquote effettive si intendono quelle formali corrette dalle detrazioni. Qui si gioca il grosso della partita, poiché vi è la possibilità che questa parte venga anticipata in legge di bilancio, vista anche la disponibilità finanziaria esistente. Ma non basta respingere le proposte, in vario modo formulate dalle destre, e non solo, sulla flat tax e sui regimi forfettari.
ANCHE QUI C’È UN BIVIO. Respinta, purtroppo, una soluzione alla tedesca modello “aliquota continua”, o si sceglie la strada di distribuire riduzioni a pioggia o bonus, come nel recente passato, facendo cassa elettorale, oppure quella di agire sulle aliquote effettive, evitando scaloni o clamorose diversità di trattamento per pochi euro di reddito, alleviando così per via fiscale l’insopportabile basso livello delle retribuzioni italiane che tutti rilevano, a parte la Confindustria nostrana.
LA LOTTA ALL’EVASIONE e all’erosione resta un principio vago, per due motivi. Il primo riguarda la razionalizzazione dell’Iva, che può essere uno strumento anche contro l’erosione, ma tutto dipende da come sono articolate le aliquote e a quali beni si riferiscono, nel cui merito la legge delega non entra. Il secondo riguarda la decisione di espungere dalla delega norme di superamento di quei vincoli sulla privacy che depotenziano gli accertamenti fiscali. Draghi ha promesso che le inserirà in un disegno di legge ad hoc. Un’altra carta coperta quindi. Mentre la battaglia è aperta. Quanto spazio per una sinistra, se ci fosse.
Commenta (0 Commenti)