Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

L'OTTIMISMO DEL PRESIDENTE. «Le cose non vengono mai da sole e spesso non vengono così rapidamente»

Il premier italiano torna sconfitto ma non si scompone: non sono deluso Draghi al Consiglio Europeo - Ap

«Non sono deluso. Non immaginavo una data precisa per la discussione ma il solito rinvio con linguaggio un po’ vago». Insomma, meglio del previsto. Draghi non si smentisce: il bicchiere è sempre mezzo pieno, di fronte ai colpi di freno si fa buon viso e si continua a martellare. Se trapela qualcosa di quella delusione che il premier nega, è nella formula che ripete più volte nella conferenza stampa al termine del Consiglio europeo: «Le cose non vengono mai da sole e spesso non vengono così rapidamente come uno pensava dovessero avvenire».

Il tentativo di accelerare sul tetto al prezzo del gas, il price cap, è riuscito solo in piccola parte. L’ipotesi di un Consiglio eccezionale in luglio, proposto proprio da Draghi, è sfumata. «Giustamente mi è stato fatto osservare che

Commenta (0 Commenti)

AMERICA SPROFONDA. Cancellata la storica sentenza Roe v. Wade del ’73 che lo tutelava a livello costituzionale. La decisione della Corte suprema firmata dai sei giudici della supermaggioranza conservatrice

Attacco ai diritti delle donne, sull’aborto cala la mannaia La reazione delle attiviste alla sentenza della Corte suprema - Ap

La Corte suprema ha revocato il diritto costituzionale all’aborto in vigore da mezzo secolo, ribaltando la storica sentenza del 1973, Roe vs Wade con un voto 5-4, e spianando così la strada al divieto di aborto agli Stati gestiti dal Gop.
I giudici conservatori Clarence Thomas, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett si sono uniti all’opinione di Samuel Alito, che ha scritto l’opinione vincente, con il giudice capo John Roberts che ha presentato un’opinione concordante nel giudizio per sostenere la delibera, ma in disaccordo con il ragionamento alla base della decisione della maggioranza. Sfumature, quelle di Roberts, che non hanno cambiato la traiettoria di una sentenza che getta il Paese in un territorio inesplorato a livello politico, legale, sociale e sanitario.
Tutto è stato un terremoto al rallentatore.

LA SENTENZA della Corte Suprema riguarda la richiesta dello Stato del Mississippi di riconoscere la loro legge che vieta l’aborto dopo le 15 settimane. La sentenza del 1972 Planned Parenthood vs. Casey aveva stabilito, invece, che l’aborto è praticabile fino alla viabilità del feto, vale a dire quando è in grado di sopravvivere al di fuori dell’utero. Il parere di Alito, poi condiviso dagli altri giudici, è stato diretto: «La sentenza Roe v.Wade è nata sbagliata».
La decisione della Corte Suprema di ieri è stata il frutto di una battaglia legale che il Mississippi, con i gruppi politici e religiosi che si oppongono al diritto all’aborto, hanno cominciato partendo dalla causa costituzionale intentata dalla Jackson Women’s Health Organization contro la legge delle 15 settimane varata nel 2018, con l’intento specifico di arrivare alla Corte suprema.
Il principio era abbastanza semplice: con una Corte super conservatrice e praticamente nominata da Trump, cancellare Roe vs Wade sarebbe stata una passeggiata, ma per arrivare là era necessario superare una serie di passaggi intermedi rappresentati dai verdetti delle corti minori, molto più liberal. L’esame della Corte era poi iniziato lo scorso autunno.
La decisione di ieri era stata anticipata a inizio maggio, quando il portale di notizie online Politico aveva fatto trapelare la bozza della decisione scritta da Alito.

IL LEAK aveva scatenato una tempesta di reazioni e un’ondata di manifestazioni dei sostenitori del diritto all’aborto che si sono svolte in tutto il Paese, inclusa una protesta di più giorni davanti alla Corte suprema a Washington DC che aveva riportato le transenne attorno al palazzo, come non se ne vedevano dai tempi delle manifestazioni di Black Lives Matter di due anni fa.
Appena diffusa la notizia della decisione della Corte Suprema, il Congressional Black Caucus, guidato dal democratico Joyce Beatty, ha chiesto al presidente Biden di dichiarare un’emergenza nazionale, sostenendo che la decisione di limitare l’accesso alle cure per l’aborto «metterà in pericolo in modo sproporzionato» la vita dei neri americani. «Abbiamo visto com’era la vita prima di Roe vs. Wade, e l’America non può permettersi di tornare indietro», ha scritto Beatty.

LA CASA BIANCA si stava preparando silenziosamente per questo momento da mesi, ma il presidente ha affermato che nessuna azione esecutiva può colmare il vuoto sul diritto all’aborto lasciato dalla decisione della Corte. «La Corte ha fatto ciò che non aveva mai fatto prima: togliere espressamente un diritto costituzionale fondamentale per tanti americani che era già stato riconosciuto», ha affermato Biden durante un discorso alla Nazione che è arrivato poche ore dopo la pubblicazione della sentenza. Il problema ora si allarga, e sono in pericolo anche i diritti all’accesso alla contraccezione: il presidente ha affermato di stare dirigendo il dipartimento della Salute e dei servizi umani per garantire che la contraccezione resti disponibile per tutti, anche se gli stati cercano di limitarla. «La maggioranza conservatrice della Corte suprema mostra quanto sia estremista – ha detto Biden – La mia amministrazione utilizzerà tutti i suoi poteri legali appropriati, ma il Congresso deve agire, e con il vostro voto anche voi potete agire». Questa decisione infatti è destinata a condizionare le elezioni, poiché governatori, procuratori generali e altri leader locali avranno il potere di decidere quando e se l’aborto sarà consentito.
Una serie di dichiarazioni sono arrivate dai democratici, da Obama a Kamala Harris, da Nancy Pelosi a Elizabeth Warren, e i politici degli Stati a guida Dem hanno rassicurato sulla forza delle loro posizioni in difesa del diritto all’aborto. Ma questo non può bastare.

«CERCHIAMO di essere chiari al 100% – ha sintetizzato in un tweet il senatore dem del Connecticut Chris Murphy – Se tra 2 anni i repubblicani prenderanno il controllo della Camera, del Senato e della Casa bianca, passeranno il divieto nazionale dell’aborto». E a prescindere dallo stato «donne e medici saranno incarcerati per il fatto di esercitare l’assistenza sanitaria»

Commenta (0 Commenti)
«Un allarme per l’umanità». Così ieri all’apertura ufficiale del vertice (virtuale) dei Brics ospitato dalla Cina – primo consesso internazionale ad accogliere Vladimir Putin – il presidente Xi Jinping ha […]
Xi «allarmato dalla guerra». Peskov: «Dialogo possibile se Kiev rispetta le nostre condizioni» Vladimir Putin in videocollegamento al vertice dei Brics 2022 - Mikhail Metzel /Sputnik via Ap

«Un allarme per l’umanità». Così ieri all’apertura ufficiale del vertice (virtuale) dei Brics ospitato dalla Cina – primo consesso internazionale ad accogliere Vladimir Putin – il presidente Xi Jinping ha definito la guerra in Ucraina. Allarmante sì, ma Pechino evita ancora di condannare l’invasione russa, come del resto fanno gli altri esponenti di quel mondo non occidentale che tenta la propria via verso la globalizzazione.

Nessuna condanna da Brasile, India e Sudafrica, mentre la Cina ha proseguito con la narrativa cara a Xi: «No all’espansione delle alleanze militari e alla ricerca di sicurezza a spese degli altri». Messaggio molto poco velato alla Nato.

Xi Jinping
«No all’espansione delle alleanze militari e alla ricerca di sicurezza a spese degli altri»

Di soluzioni in merito alla guerra in Ucraina però il presidente cinese non ne ha date. Le ha, a modo suo, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ieri in conferenza stampa ribadiva la posizione di Mosca: la ripresa dei negoziati e la definizione di un piano di pace sono possibili se Kiev rispetterà le condizioni poste dalla Russia. Alla domanda dei giornalisti, su quali fossero, Peskov ha risposto con un secco: «Kiev sa tutto molto bene».

 
Commenta (0 Commenti)
IL LIMITE IGNOTO. La Ue «esplora» il tetto dei prezzi chiesto da Draghi . E ordina di riempire tutti i serbatoi. Gabriel Haufe, ministero dell’economia: Alla faccia del clima, Berlino vuole riaccendere le centrali a carbone. Ma non quelle atomiche: «Oltre il 2022? Fuori discussione»
Europa alla canna del gas,  in Germania scatta l’allarme Condutture di gas nell’impianto di Wolfersberg - Ap

Esattamente nel giorno in cui a Bruxelles il Consiglio europeo apre al price-cap imprescindibile per non fare esplodere le bollette del gas, a Berlino scatta il secondo livello del piano d’emergenza predisposto dal governo Scholz: ultimo stadio prima dell’extrema ratio che prevede il razionamento e la distribuzione controllata da parte dello Stato.

Si passa così dalla semplice «allerta» al vero e proprio «allarme» provocato dal progressivo, inarrestabile, sempre meno sostenibile, maxi-taglio delle forniture di Gazprom attraverso il Nordstream-1.

«IL GAS IN GERMANIA oggi è diventato una merce rara» è costretto ad ammettere il ministro dell’Economia, Robert Habeck, più che preoccupato per la crisi energetica che ha investito come un treno la Locomotiva d’Europa, molto più rapidamente e pesantemente rispetto perfino alle peggiori previsioni.

Di fatto, nella prima economia del continente è iniziata ufficialmente la corsa contro il tempo, «perché l’estate è ingannevole e presto arriverà l’inverno; e noi dobbiamo riempire i depositi prima che sia troppo tardi» è il ragionamento obbligato del vice-cancelliere dei Verdi.

PERFETTAMENTE in linea con il nuovo regolamento sulle riserve energetiche approvato ieri dall’Europarlamento con 490 voti favorevoli, 47 contrari e 55 astenuti. Imperativo categorico per tutti Stati membri, già concordato dai ministri Ue: raggiungere almeno l’80% della capacità di stoccaggio entro il 1 novembre per poi innalzare il livello al 90% nei prossimi anni, in parallelo all’efficientamento delle reti e alla diversificazione delle fonti.

«Ci aspettano mesi difficili sotto il profilo della sicurezza energetica» riassume da Bruxelles la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, soddisfatta perché il Consiglio ha messo nero su bianco (almeno) la volontà di «esplorare» il price-cap quanto allarmata di fronte all’inquietante «aumento del costo della vita per i cittadini provocato dalla guerra in Ucraina». Da giorni è la prima degli sherpa che mediano sul price-cap tra la posizione della proponente Italia (cui ieri si è aggiunto il placet del premier greco Kyriakos Misotakis), la titubante Germania, la contrarissima Olanda e le variazioni sul tema di Spagna e Portogallo orientate ad applicare il tetto solo al prezzo “retail” riportato nelle bollette con compensazione dei costi-extra ai produttori di energia.

Mentre il pulsante dell’allarme premuto ieri dal ministro Habeck permetterà al governo Scholz soprattutto di varare la legge che autorizza le imprese fornitrici a scaricare i costi aggiuntivi direttamente sui consumatori finali.

NORMA PER ADESSO soltanto teorica, anche se «sarebbe necessaria fin da subito», almeno a sentire i vertici di Uniper (primo importatore di gas nella Repubblica federale) che anche ieri hanno pressato il ministro dei Grünen per girare «prima possibile» gli oneri extra che hanno già mandato il business plan aziendale a carte quarantotto.

L’esatto contrario delle aziende municipalizzate: ieri hanno ringraziato il governo Scholz per non aver attivato la devastante clausola dell’adeguamento dei prezzi. «La mossa avrebbe avuto effetti drammatici sugli utenti» taglia corto Ingbert Liebing, direttore generale dell’Associazione delle imprese comunali. Appeso, come tutti agli scenari apocalittici che nessuno può davvero escludere a priori. A partire proprio da Habeck: «Il contingentamento? Spero che non ci arriveremo mai, ma non lo posso certamente garantire» confessa il responsabile della transizione energetica tedesca, sempre meno coincidente con le promesse elettorali del suo partito.

DA QUI L’ENNESIMO «accorato appello» ai tedeschi, ripetuto ormai come un mantra: «Serve uno sforzo nazionale per evitare che si realizzi la volontà di Putin. La Russia usa il gas come arma, per questo è necessario mettere in campo tutte le misure politiche per evitare di restare senza gas».

Tradotto, vuol dire riaccendere le inquinantissime centrali a carbone (come ha appena fatto l’Austria) ma non il nucleare: «Prorogare la vita degli impianti atomici oltre dicembre 2022 è fuori discussione. Per motivi di sicurezza ma anche perché il taglio del gas pone un problema di calore mentre le centrali nucleari producono solo elettricità» ha ribadito Gabriel Haufe, portavoce del ministero dell’Economia

 
 
Commenta (0 Commenti)

STIAMO FRESCHI. La Pianura Padana è al collasso e il centro sud è in allerta rossa sulla crisi idrica. Regioni in pressing. Ma per il governo è avversità atmosferica. Studio Enea, dati allarmanti sul riscaldamento del Mediterraneo: 4 gradi in più 

Siccità, lo stato d’emergenza può attendere Il Po vicino a Piacenza - Pierpaolo Ferreri /Ansa

Pur di non citare l’emergenza climatica, si preferiscono formule neutre, al limite dell’acrobazia lessicale, come «stato di eccezionale avversità atmosferica». Così il governo si prepara al dpcm che dovrà rispondere alle conseguenze della siccità estrema che sta attanagliando il Paese, a partire dalle regioni settentrionali. E non è una gestazione tranquilla, all’esecutivo si rimprovera una scarsa prontezza d’intervento.

Le Regioni sono in pressing da giorni per chiedere «lo stato di emergenza», ma ora vanno in ordine sparso. Il Piemonte, epicentro della grave crisi idrica non certo alleviata dalle precipitazioni delle ultime ore, invita con il presidente Alberto Cirio il governo a far partire lo stato d’emergenza proprio da Torino: «Almeno in modo parziale da chi, come noi, già sette giorni fa ha anticipato i tempi». Tira il freno, invece, il collega Attilio Fontana che, da Milano, dice che quella dello stato d’emergenza è «una richiesta che eventualmente faremo quando ci saranno delle specifiche necessità».

La situazione ai tavoli del governo si è sbloccata dopo una

Commenta (0 Commenti)

CRISI UCRAINA. La Cei condanna anche le agromafie, che causano caporalato, sfruttamento e inquinamento

«Assurde le scelte politiche di investire in armi anziché in agricoltura» Un contadino in un campo di grano a Donetsk - Ap/Efrem Lukatsky

Nelle settimane in cui il conflitto in Ucraina si combatte usando il grano come «arma di guerra» – denunciava papa Francesco poco tempo fa – e nei giorni in cui il Parlamento italiano si appresta ad approvare nuovi aiuti militari a Kiev, la Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della Conferenza episcopale italiana lancia un messaggio per la tutela dell’agricoltura e contro le agromafie che avvelenano il mercato, sfruttano i lavoratori e distruggono l’ambiente, in nome del profitto.
Il legame con l’attualità della guerra è il punto di partenza. «L’agricoltura è un’attività umana che assicura la produzione di beni primari», scrivono i vescovi nel messaggio – diffuso ieri – per la 72esima Giornata nazionale del ringraziamento, del prossimo 6 novembre. Ecco perché, proseguono, «apprezziamo oggi più che mai questa attività produttiva in un tempo segnato dalla guerra, perché la mancata produzione di grano affama i popoli e li tiene in scacco. Le scelte assurde di investire in armi anziché in agricoltura fanno tornare attuale il sogno di Isaia di trasformare le spade in aratri, le lance in falci».

Oltre alla decisione di privilegiare le bombe piuttosto che il grano, c’è un’altra “industria” che colpisce l’agricoltura. Si tratta, si legge nel messaggio della Cei, della «fiorente attività delle agromafie, che fanno scivolare verso l’economia sommersa anche settori e soggetti tradizionalmente sani, coinvolgendoli in reti di relazioni corrotte. Il riciclaggio di denaro sporco o l’inquinamento dei terreni su cui si sversano sostanze nocive, il fenomeno delle “terre dei fuochi” che evidenziano i danni subiti dagli agricoltori e dall’ambiente, vittime di incendi provocati da mani criminali, sono esempi di degrado». E poi «comportamenti che minacciano ad un tempo la qualità del cibo prodotto e i diritti dei lavoratori coinvolti nella produzione».
«Strutture di peccato – le chiamano i vescovi – che si infiltrano nella filiera» produttiva, dando vita a varie «forme di caporalato che portano a sfruttamento e talvolta alla tratta, le cui vittime sono spesso persone vulnerabili, come i lavoratori e le lavoratrici immigrati o minorenni, costretti a condizioni di lavoro e di vita disumane e senza alcuna tutela». Ma agromafie significano anche «pratiche di agricoltura insostenibili dal punto di vista ambientale e di sofisticazione alimentare» e «uso di terreni agricoli per l’immagazzinamento di rifiuti tossici industriali o urbani».

L’appello dei vescovi è rivolto a due soggetti: le «autorità pubbliche», perché mettano in atto «un’azione continuativa di prevenzione delle infiltrazioni criminali e di contrasto ad esse»; e i cittadini, perché siano consumatori critici e responsabili, cioè acquistino «prodotti di aziende agricole che operano rispettando la qualità sociale e ambientale del lavoro».
A proposito di caporalato – soprattutto in agricoltura, ma anche in altri settori – l’associazione “Vittorio Bachelet” e la Fondazione “don Tonino Bello”, insieme all’università del Salento, hanno lanciato le «Dieci tesi per il contrasto ai caporalati»: attività investigativa e repressione per colpire i «generali» più che i «caporali», ma anche «contratti di filiera», riapertura dei flussi migratori, «integrazione e inclusione dei migranti», rafforzamento del sindacato nei luoghi più a rischio, promozione del consumo consapevole e responsabile anche attraverso una corretta informazione.

Commenta (0 Commenti)