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Riace, Consiglio di Stato respinge ricorso del Viminale. Progetto Spar non doveva essere revocato. L’ex sindaco Lucano: “Chi pagherà?”

Nel 2018 era stato al centro di un’inchiesta della procura di Locri che ha ipotizzato l’esistenza di un sistema criminale dentro quello che era stato ribattezzato il “paese dell’accoglienza”. La reazione dell'ex sindaco: "Sono amareggiato. Non me l’aspettavo. Oggi finisce tutto"

L’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano è stato condannato in primo grado a 13 anni e 2 mesi, quasi il doppio della pena richiesta dell’accusa. Nel 2018 Lucano era stato al centro di un’inchiesta della procura di Locri che ha ipotizzato l’esistenza di un sistema criminale dentro quello che era stato ribattezzato il “paese dell’accoglienza” dei migranti. L’ex sindaco era accusato di essere il promotore di un’associazione a delinquere che aveva lo scopo di commettere “un numero indeterminato di delitti (contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio), così orientando l’esercizio della funzione pubblica del ministero dell’Interno e della prefettura di Reggio Calabria, preposti alla gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti SprarCas e Msna e per l’affidamento dei servizi da espletare nell’ambito del Comune di Riace”.

Lucano era sotto processo anche per

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Clima, Thunberg e Cingolani a confronto. Il ministro: “Proteste utili, ma aiutateci sulle soluzioni”. L’attivista: “I leader fanno finta di ascoltarci”

La manifestazione che anticipa la Pre-Cop26 è stata aperta a Milano dal titolare del dicastero alla Transizione ecologica. La fondatrice dei Fridays for future attacca la politica: "Basta blablabla, sono 30 anni che sentiamo chiacchierare"

Greta Thunberg e Roberto Cingolani a confronto sullo stesso palco, davanti alla platea di 400 giovani delegati del Youth4Climate. L’ennesimo duro attacco all’inconcludenza della politica da parte della fondatrice dei Fridays for future è arrivato dalla manifestazione di Milano, pochi minuti dopo che il ministro della Transizione ecologica italiano, che faceva gli onori di casa, aveva chiesto ai giovani che oltre le “utili proteste” “aiutino a trovare nuove soluzioni”. “I nostri leader difettano di azione ed è intenzionale”, è stata la risposta dell’attivista. “Fanno finta di avere ambizioni contro i cambiamenti climatici, ma continuano ad aprire miniere di carbone e a sfruttare giacimenti, senza aumentare i fondi ai Paesi vulnerabili. Selezionano giovani come noi facendo finta di ascoltarci, ma non è vero. Non ci hanno mai ascoltati”. Greta Thunberg si è scagliata contro le parole vuote dei nostri esponenti politici: “Dobbiamo lavorare per una transizione senza traumi, perché non c’è un piano B o un piano blabla. Sentiamo dai nostri leader parole, parole altisonanti che non sono diventate niente. Basta blablabla, sono 30 anni che sentiamo chiacchierare e dove siamo? La crisi climatica è sintomo di una crisi di più ampio respiro, la crisi sociale della ineguaglianza, che viene dal colonialismo. Una crisi che nasce dall’idea che alcune persone valgono più di altre”.

 
 

Thunberg: “Le nostre speranze annegano nelle promesse vuote dei leader” – Entrando nel merito, Thunberg ha anche detto che “quando parlo di cambiamento climatico” pensa “a posti di lavoro, posti di lavoro verdi. Il cambiamento climatico non è solo una minaccia, è soprattutto un’opportunità di creare un pianeta più verde e più sano. Dobbiamo cogliere questa opportunità. E’ una soluzione win-win, sia per lo sviluppo che per la conservazione”. Ma, ancora una volta, sono politica e capi di Stato a fermare ogni evoluzione: “Le nostre speranze, i nostri sogni annegano nelle vuote promesse dei leader di tutto il mondo, ma possiamo farcela. Possiamo avere una soluzione per lo sviluppo e la conservazione, ma servono collaborazione e forza di volontà per fermare i cambiamenti. Non si può risolvere una crisi che non si conosce”. Il suo intervento si è chiuso con la platea che in coro rispondeva agli appelli di Greta Thunberg: “Cosa vogliamo? Giustizia climatica. Quando la vogliamo? Ora”. Dopo Cingolani e prima della fondatrice dei Fridays for future ha parlato Vanessa Nakate, attivista ugandese contro il cambiamento climatico, che ha ricevuto la standing ovation della sala. Il suo discorso ha posto l’accento sulle disuguaglianza sociali e di come il cambiamento climatico abbia effetti e costi diversi in ogni Paese. “L’Africa è responsabile solo del 3% delle emissioni globali, ma gli africani subiscono gli impatti maggiori del cambiamento climatico” ha dichiarato.

 

Cingolani: “Io e Greta abbiamo detto le stesse cose, ma in modo diverso” – Ad aprire i lavori della Youth4Climate, che anticipa appunto la Pre Cop26 dei leader, è stato proprio il ministro Cingolani, che con i Fridays for future ha avuto già numerosi scontri: l’ultimo e il più netto è stato dopo che ha accusato “gli ambientalisti radical chic e oltranzisti” di essere “peggio” dell’emergenza climatica”. Ma non era la prima volta che si registravano tensioni sui dossier curati da Cingolani: dalle trivelle agli inceneritori fino alle auto elettriche. Gli stessi Fridays for future italiani lo hanno accusato di “lavorare per interessi diversi da quelli della scienza”. Oggi il ministro ha esordito chiedendo un contributo concreto da parte dei giovani delegati: “Vogliamo ascoltare le vostre idee, le vostre proposte, le vostre raccomandazioni perché abbiamo bisogno della vostra visione, della vostra motivazione e del vostro coinvolgimento”, ha detto. “Uniamo le forze, non dobbiamo rinunciare al nostro futuro, al futuro del nostro pianeta. Siete intervenuti per questo, ma ricordate per cortesia, e questo ve lo dico da scienziato e da padre di tre bambini, che il cambiamento climatico e le disuguaglianze sociali globali vanno trattati insieme”. E ha aggiunto: “Non esiste un’unica soluzione. E spero che oltre a protestare, estremamente utile, ci aiuterete ad identificare nuove soluzioni visionarie. Questo è quello che ci aspettiamo da voi”.

Il ministro della Transizione ecologica, parlando poi con i giornalisti, ha commentato l’attacco di Greta Thunberg alla politica. “Lo avevo detto in termini un po’ diversi”, ha spiegato il Ministro, “dicendo che è impossibile separare il cambiamento climatico dalle disuguaglianze globali. La stessa definizione di transizione ecologica cambia a seconda del Paese in cui si vive, se in uno del G7 o in uno molto vulnerabile”. “Questo – ha proseguito Cingolani – non ci aiuta e complica le cose in quello che è successo e in questo processo in cui tutti abbiamo fretta”. “Al di là dei modi di esprimersi diversi, legati anche a fattori generazionali sono state dette le stesse cose: la crisi climatica è chiara a tutti, ma c’è anche una crisi di disuguaglianza globale che pesa su quella climatica e subisce la crisi climatica in modo diverso, lo hanno tutti chiaro”.

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Il lavoro uccide. Il giorno dopo un'intesa annunciata dal governo con i sindacati la strage sul lavoro continua: da Milano a Capaci sei lavoratori sono morti soffocati dall’azoto, precipitando dalle impalcature, schiacciati sotto un tir, decapitati da una trebbiatrice. Il bilancio è terrificante: solo nei primi 7 mesi del 2021 i morti sono 677

La strage del lavoro: flash mob di Cgil, Cisl e Uil a piazza Montecitorio a Roma

La strage del lavoro: flash mob di Cgil, Cisl e Uil a piazza Montecitorio a Roma  © Ansa

Si muore ustionati o soffocati dall’azoto liquido. Si muore precipitando dalle impalcature a pochi metri dal suolo. Si muore schiacciati da un tir o decapitati dalle lame di una trebbiatrice. Il lavoro uccide, non per fatalità, ma per una fitta serie di concause, molte prevedibili e altre no. Tutte comunque create dagli esseri umani che operano dentro e fuori le imprese, in proprio o in subappalto, e ancora per contratto.

JAGDEEP Singh, 42 anni, e Emanuele Zanin, 46 anni lavoravano per la ditta «Autotrasporti Pe» di Costa Volpino che lavora in subappalto per la monzese «Sol Group spa». Ieri hanno perso la vita soffocati dall’azoto liquido durante un rifornimento della sostanza all’ospedale Humanitas di Pieve Emanuele in provincia di Milano. L’imbianchino Valeriano Bottero di 52 anni è morto precipitando da un’impalcatura mentre lavorava per la ditta «Lavor Metal nella zona industriale di Loreggia in provincia di Padova. Leonardo Perna, 72 anni, titolare di un’azienda meccanica, caduto da una scala a due metri d’altezza ha perso la vitae a Nichelino vicino a Torino. Giuseppe Costantino, 52 anni, aveva finito le operazioni di carico e scarico della merce a Capaci vicino a Palermo. Si era spostato nella parte posteriore del Tir. Ma il mezzo si è messo in movimento e le sue ruote lo hanno stritolato. Verso le 20.30 di ieri sera il corpo decapitato di un lavoratore agricolo di 54 anni dalle lame di una trebbiatrice è stato trovato a Pontasserchio in provincia di Pisa. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco per liberare il corpo rimasto intrappolato nella macchina.

IN ITALIA, da ieri, ci sono sei vite in meno alle quali rendere giustizia. Insieme alle altre 677 che,

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Governo. Industriali e sindacato fanno la loro parte in commedia e probabilmente non è la loro canonica reazione a colpire ben poco gradevolmente palazzo Chigi

Il premier Draghi

Il premier Draghi  © LaPresse

«Il salario minimo? C’è già, almeno nell’industria». Mentre la mezza maggioranza di governo targata centrosinistra insiste col salario minimo, il presidente di Confindustria Bonomi tira fuori l’industria dal dibattito pur concedendo che in altri settori «i minimi sono davvero molto bassi». Ma sul Patto proposto da lui stesso, poi rilanciato da Draghi, «la risposta dei sindacati è positiva», puntualizza. Industriali e sindacato, insomma, fanno la loro parte in commedia e probabilmente non è la loro canonica reazione a colpire ben poco gradevolmente palazzo Chigi.

La sorpresa è la virulenza con la quale i partiti si sono lanciati sulla proposta, fraintendendola come un ritorno alla concertazione e cercando di cogliere l’occasione per riconquistare una parte del ruolo perduto. Quel modello di concertazione, però, è il contrario di quel che ha in mente il premier. Implica estenuanti e lunghe trattative. Comporta mediazioni e quindi progetti continuamente in forse e in divenire. Draghi, al contrario, ha bisogno di tempi rapidi e obiettivi certi. Il coinvolgimento delle parti sociali, alle sue condizioni o meglio alle condizioni dettate dall’Europa in cambio del Recovery Fund, può essere necessario per evitare quell’impennata della tensione sociale che campeggia nella temuta lista degli ostacoli che potrebbero mandare all’aria il disegno del governo e la sua tempistica. L’irruzione dei partiti, invece, presenta solo lati preoccupanti.

Il rapporto con l’Europa oggi è un’incognita. Se dalle prevedibilmente lunghe trattative per la formazione di un nuovo governo in Germania dovesse uscire una maggioranza-semaforo, con i liberali essenziali, la sterzata almeno parziale verso un ritorno all’austerità sarebbe quasi inevitabile. Non si tornerebbe quasi di certo alla situazione pre Covid, ma i controlli sull’attuazione dei programmi nazionali nei tempi dati diventerebbero ancora più rigidi. A maggior ragione, dopo il terremoto tedesco, Draghi non può permettersi un metodo destinato a rallentare i tempi e a rendere meno tassativo il mantenimento preciso degli obiettivi concordati con Bruxelles.

Ma i partiti, a propria volta, hanno le loro priorità, sin qui tenute in sordina ma riemerse necessariamente con l’approssimarsi delle amministrative. Quelle esigenze hanno già comportato un ritardo sulla tabella di marcia: le riforme del fisco e della concorrenza, due dei capitoli più delicati nel lunghissimo elenco di Draghi, arriveranno solo per la fine di ottobre. Parlarne prima dei ballottaggi sarebbe per i partiti un suicidio, come lo è stato sinora l’affrontare il tema alla vigilia del primo turno.

La fase elettorale, però, si chiuderà con i ballottaggi solo sulla carta. Un attimo dopo la chiusura delle urne, i partiti inizieranno infatti a sentirsi calati nella lunghissima campagna per le politiche, tanto più che nessuno, fino all’elezione del prossimo capo dello Stato, può essere certo di non ritrovarsi alle prese con la sfida elettorale già nella prossima primavera. Il ruolo dei partiti continuerà a essere subordinato, perché questa è la natura stessa del governo Draghi.

Però la fase nella quale i partiti erano letteralmente inesistenti è probabilmente finita ed è in questa nuova temperie che il governo dovrà affrontare un ulteriore passaggio politicamente molto delicato: non tanto la definizione del Def entro settembre, essendo il Documento stavolta ampiamente predeterminato, quanto quella della legge di bilancio entro il 20 ottobre. Sul tavolo infatti, quasi in contemporanea con le riforme difficili del fisco e della concorrenza, ci saranno questioni vitali per i partiti di maggioranza come quota 100 e la revisione del Reddito di cittadinanza.

Tra politica interna e quadro europeo Draghi si accinge quindi ad affrontare una fase ben più difficile di quella precedente. Se in un simile momento il disagio sociale dovesse saldarsi con la protesta contro l’emergenza sanitaria, limitata ma non insignificante, tutto diventerebbe ancora più difficile.

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Il Reichstag a Berlino

Il Reichstag a Berlino © Ap - LaPresse

Prima ancora di cimentarsi nel risiko delle possibili coalizioni converrà chiedersi quale paese e quale clima sociale rispecchi il risultato delle elezioni federali in Germania della scorsa domenica. Per quel tanto che l’espressione di un voto sia in grado di farlo.

A partire dalle due sorprese che ci ha riservato. Ovverosia la miracolosa ripresa di una agonizzante socialdemocrazia e il mancato sfondamento dei Grünen, in un contesto fortemente dominato dalle loro tematiche, nonostante il raggiungimento del miglior risultato della loro storia di partito.

Che il cambiamento climatico e la tutela dell’ambiente occupino i primi posti tra le preoccupazioni dei tedeschi è una circostanza assodata. Ma altrettanto forte resta il timore che un intervento radicale su questo terreno comporti un impatto negativo sulla struttura industriale e produttiva della Germania. Cosicché un governo a preponderanza verde avrebbe rischiato di attivare una fase di transizione troppo rapida e traumatica per milioni di lavoratori e lavoratrici impiegati nell’industria tradizionale.

Tutto sommato la percezione della Germania come un modello di successo in grado di garantire la continuità di accettabili livelli di benessere è ancora piuttosto radicata.

Di certo la crescita delle diseguaglianze sociali si è fatta sentire ed è stata messa a tema, così come le numerose falle nel sistema di Welfare. Ne è conseguita la

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Intervista. Il leader di SI: «Su fisco e lavoro serve un’agenda alternativa. Patto per il lavoro? Con questa maggioranza vince Confindustria»

Nicola Fratoianni

 

«Draghi uomo della necessità? Ci mancava solo che Bonomi lo definisse uomo della provvidenza. Da Confindustria sempre le solite richieste: più mano libera sui licenziamenti, più soldi alle imprese. Di fronte a questo ritornello, dal premier non arrivano le risposte necessarie. È ormai evidente che l’agenda Draghi non è in grado di rispondere alla crisi sociale, all’impoverimento, allo sfruttamento del lavoro».

Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, non si è affatto pentito di aver detto no al governo di larghe intese. «Sei mesi dopo la nostra scelta trova conferme nei fatti: se governi con tutti o resti immobile, come sul fisco, oppure fai scelte sbagliate come lo sblocco dei licenziamenti. Prevale la tutela dei soliti noti.

Enrico Letta plaude invece al «patto per il lavoro» lanciato dal premier. Lo paragona a Ciampi.

Su questo abbiamo una valutazione diversa. Se il premier vuole un patto per il lavoro cominci subito da un decreto vero contro le delocalizzazioni, e dal salario minimo. Il caso Gkn rivela una crisi di sistema del nostro sistema industriale che non si risolve senza scelte forti. Ma Drtaghi non le farà perché non lo vuole una larga parte della sua maggioranza. Per affrontare questi problemi questo governo non basta: serve un’agenda chiara del centrosinistra che inverta la tendenza.

Eppure col Pd siete alleati, anche a queste comunali.

Lo siamo e vogliamo esserlo anche alle politiche. Ma un’alleanza per essere efficace deve avere dei contenuti e soprattutto un’idea di paese. Possiamo vincere se presentiamo un’alternativa riconoscile: sul fisco, sui diritti del lavoro, su scuola e sanità pubblica. Letta dice tassa di successione, noi patrimoniale sulle grandi ricchezze. Discutiamone, il lavoro è appena iniziato.

Teme che il Pd venga risucchiato nella spirale che vuole Draghi a palazzo Chigi anche dopo il 2023 sostenuto da un fronte europeista?

L’europeismo è una condizione non sufficiente per costruire una proposta politica di centrosinistra. Renzi ad esempio è un sincero europeista con ricette di destra in campo economico: vuole abolire il reddito di cittadinanza e considera produttivi solo i sostegni alle imprese, mentre quelli alle persone più deboli sono sprechi. Rispetto al Pd vedo questa discussione, ma sto ai fatti: con Letta stiamo costruendo un fronte alternativo alle destre. A mio avviso Draghi è il perfetto interprete di questa maggioranza che tiene dentro tutto e per questo è immobile: sul fisco vuole limitare la progressività, considera un’eresia la tassa di successione sopra i 5 milioni proposta dal Pd, sulle delocalizzazioni il provvedimento perde di vigore da una bozza all’altra. Il governo è quello che vediamo: con un premier che agisce in modo verticale, senza confronto con i sindacati che pure gli avevano fatto un’apertura di credito. Resto dell’idea che questo impianto piaccia tanto a Confindustria proprio perché non tocca le rendite di posizione. Ma così facendo la crisi sociale cresce invece di attenuarsi.

Il partito di Bersani, Articolo 1, ha deciso di partecipare alle agorà del Pd per spostarlo a sinistra. E voi?

Si tratta di un’iniziativa del Pd cui guardo con rispetto. Art.1 vuole compartecipare a questa loro discussione, ed è legittimo. Io credo che nella coalizione ci sia invece bisogno di una forza di sinistra autonoma. In questi anni abbiamo discusso molto di cantieri della sinistra, ora è il tempo di parlare del paese.

Però tra le opposizioni Meloni cresce e voi no. Perché?

Da un lato perché soffiano sul fuoco di chi non vuole i vaccini e le restrizioni anti-Covid; dall’altro vedo un travaso di voti dalla Lega a Fdi. Tra loro prevale chi è meno ondivago.

Alle comunali siete presenti in quasi tutte le città con liste aperte, ambientaliste, di sinistra, ma senza il vostro simbolo. E alle politiche?

In molte città abbiamo dato vita a liste ambientaliste, con un alto tasso di civismo. Credo sia arrivato il momento di ridurre il tasso di sperimentazioni elettorali. Per questo alle politiche vogliamo investire su Sinistra italiana, su un partito che c’è, che non è destinato a sparire o a fondersi nell’ennesimo cantiere. Questo non vuol dire chiudersi nel proprio orticello, ma ricostruire con determinazione un soggetto di sinistra dentro la coalizione con Pd e M5S.

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