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Partiti. È sicuro che il soggetto unificante non si potrà costruire con un misto tra politica delle alleanze, scontri interni, spot un po’ più a sinistra di quelli delle altre forze politiche

Un murale di Banksy a Venezia

Un murale di Banksy a Venezia

Tra le innumerevoli analisi che sono state fatte del dopo voto ne manca una: quella che riguarda la scomparsa della sinistra. Viene riconosciuto il successo del Pd e la sua nuova centralità che coincide con la quasi débâcle del movimento 5stelle; si sottolinea come il movimento 5stelle a guida Conte si stia sempre più omologando come forza responsabile di governo che può supportare la centralità egemonica del Pd (ma non si dice nulla rispetto a quale base sociale e a quali interessi il nuovo movimento potrà corrispondere una volta annacquate le pulsioni populiste); si spera che le varie +Europa, Italia Viva, Azione, con l’aggiunta di qualche Carfagna diano insieme vita ad una realtà politica ancora una volta liberal/centrista da aggregare all’interno di una specie di nuovo Ulivo.

In questo quadro la sinistra non viene neppure nominata, semplicemente perché la sinistra come ipotesi organizzata con un proprio peso politico non esiste o è irrilevante.

Le cinque sigle “comuniste” che hanno conquistato ciascuna tra lo zero qualcosa e lo zero qualcosa alle elezioni romane, ma anche il fatto che le formazioni minimamente più strutturate come SI e Art.1 siano scomparse tra le civiche di supporto a Gualtieri, ne sono la plastica dimostrazione.
Ciò detto, i casi sono due.

Può essere che posizioni più a sinistra di quelle che può esprimere il Pd nelle sue articolazioni non abbiano basi materiali a cui corrispondere e dunque non servano. In questo caso il Pd agirà come calamita del pulviscolo che ancora esiste al suo esterno in un processo destinato a concludersi presumibilmente prima delle prossime elezioni politiche.

Può essere al contrario, come io credo, che queste basi materiali esistano, che il Pd, per sua natura, riferimenti sociali e collocazione strategica, non abbia alcuna possibilità di rappresentarle, e che queste basi materiali semplicemente non abbiano ancora trovato una forza capace di esprimerle e di aggregarle.

In questo caso, compito di chi ha una visione del mondo di sinistra, vale a dire di chi pensa che una soluzione ai due temi di fondo della nostra epoca, quello ambientale e quello della crescita ininterrotta delle diseguaglianze, possa essere trovata solo ribaltando gli attuali rapporti tra capitale finanziario e mondo produttivo e ribaltando gli attuali modi di produzione capitalisti, compito di costoro dicevo, è di lavorare indefessamente perché questo punto di vista trovi una ricaduta programmatica e organizzativa e diventi progressivamente egemone dal punto di vista culturale.

Sembrerebbe un compito immane e comunque certamente al di fuori delle forze e della stessa consapevolezza che la sinistra ha mostrato negli ultimi decenni; eppure se usciamo dal nostro particolare vediamo che la letteratura internazionale ha ampiamente elaborato le basi critiche necessarie alla costruzione di un programma politico di questa natura, e che la tripla crisi, economica, pandemica e geopolitica, ne ha generato le basi politiche e sociali. Per dirla un po’ enfaticamente, esiste già un nuovo Marx, rappresentato dal potente pensiero collettivo che ci sta dicendo praticamente tutto su “come funziona il mondo” e quali sono le strade per farlo funzionare in modo diverso; ed esiste quella condizione di crisi generalizzata che prelude e crea le condizioni per un’epoca nuova.

Manca il soggetto che interpreti e organizzi tutto ciò, anche se vi è una pluralità di soggetti che, agendo ciascuno nelle proprie condizioni e dal proprio angolo visuale, già costituiscono il tessuto connettivo consapevole di quel “soggetto inesistente”. E dunque il percorso non dovrebbe essere così lungo: a partire dall’analisi delle contraddizioni del sistema dominante a livello sovranazionale e del suo funzionamento di cui sono a disposizione i termini fondamentali, lo sviluppo di una analisi delle classi e delle articolazioni sociali della realtà italiana potrebbe portare rapidamente ad un programma strategico facilmente comunicabile e unificante delle visioni che alimentano la parte progressista e di sinistra del nostro paese e un programma minimo, o di fase, coerente con quel programma strategico, che ne dimostri la progressiva realizzabilità. Troppo illuminista? Troppo leninista?

È sicuro che il soggetto unificante che riproponga una sinistra decente in Italia non potrà essere costruito attraverso un misto tra politica delle alleanze, scontri interni, tentativi sparsi di collegamento sociale, proposte spot un po’ più a sinistra di quelle che vengono dalle altre forze politiche, un po’ di fondamentalismo ambientalista, un po’ di diritti. Da anni si va avanti in questo modo e i risultati sono sotto agli occhi di tutti.

 

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In una parola. Mi piacerebbe sapere, a questo proposito, che cosa pensano i cattolici Enrico Letta, vincitore della tornata elettorale, e Mario Draghi, immagino non dispiaciuto di questi risultati, del messaggio che il Papa ha inviato proprio sabato scorso al quarto incontro mondiale dei Movimenti popolari

 

Tra gli idranti e i candelotti lacrimogeni contro i no-green pass a Trieste, la piazza San Giovanni piena con Landini e gli altri sindacati, e le brillanti vittorie dei candidati di centro sinistra a Roma e a Torino, sia pure con il vistoso calo dei votanti, non si sa bene che cosa pensare del momento che vive il paese.

Forse la domanda è questa: se l’affermazione del centrosinistra in grandi città italiane e europee come Roma, Milano, Napoli e Torino (senza dimenticare casi significativi come Varese o Latina) può aiutare un risveglio di capacità progettuale, questo potrà avvenire solo se i vincitori (e il plurale maschile parla in effetti di soli uomini) sapranno ascoltare il silenzio delle periferie urbane e sociali astenute dal voto, e anche il disagio profondo che non sa più esprimersi nella crisi dell’ipotesi a 5 stelle, o lo fa con molte contraddizioni nei movimenti no vax e no green pass.

Mi piacerebbe sapere, a questo proposito, che cosa pensano i cattolici Enrico Letta, vincitore della tornata elettorale, e Mario Draghi, immagino non dispiaciuto di questi risultati, del messaggio che il Papa ha inviato proprio sabato scorso al quarto incontro mondiale dei Movimenti popolari. Un discorso che la maggioranza dei media, presi dalle vicende da cui sono partito, ha ignorato. Ho visto la notizia sull’Ansa e sono andato a leggermi il testo integrale.

Parole che mi hanno colpito fin dall’inizio, con quel rivolgersi ai movimenti con l’appellativo di «poeti sociali». «Così mi piace chiamarvi – ha detto – perché voi siete poeti sociali, in quanto avete la capacità e il coraggio di creare speranza laddove appaiono solo scarto ed esclusione. Poesia vuol dire creatività, e voi create speranza». E di creatività e di speranza ha bisogno il mondo di cui parla Francesco: il mondo periferico, appunto, fatto di migranti, poveri, lavoratori precari, la cui condizione si è ulteriormente aggravata in due anni di pandemia. Un mondo sempre escluso da un approfondito discorso dei media. Per riscattare il quale il pontefice ha indirizzato a chi ha potere una serie di richieste stringenti, tutte invocate «in nome di Dio», con enfasi drammatica.

Le riassumo in breve: la liberalizzazione dei brevetti e la diffusione a tutto il mondo dei vaccini; la remissioni del debito ai paesi poveri; la fine della distruzione delle foreste e della diffusione dell’inquinamento; la fine della speculazione che alza il prezzo dei generi alimentari; la cessazione «totale» dell’attività dei trafficanti di armi; l’uso di internet per una reale diffusione della cultura; la ricerca della verità da parte dei media, inquinati da una «attrazione malata per lo scandalo e il torbido»; la fine delle aggressioni, dei blocchi e delle sanzioni unilaterali da parte dei «paesi potenti».

Una requisitoria contro un sistema che «con la sua logica implacabile del guadagno, sta sfuggendo a ogni controllo umano. È ora di frenare la locomotiva, una locomotiva fuori controllo che ci sta portando verso l’abisso. Siamo ancora in tempo».

Francesco rivendica infine la capacità di «sognare insieme» secondo i principi della dottrina sociale della Chiesa, e anche di «agire». E le prime azioni che propone sono «un reddito minino (l’Rmu) o salario universale, affinché ogni persona in questo mondo possa accedere ai beni più elementari della vita». E la riduzione della giornata lavorativa: «Non ci possono essere tante persone che soffrono per l’eccesso di lavoro e tante altre che soffrono per la mancanza di lavoro».

Non sarebbe un buon programma?

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Pochi ma buoni. Dei 5 milioni di cittadini chiamati ai ballottaggi, circa la metà votava a Roma, dove per il neosindaco è andato ai seggi un elettore su quattro, con un collasso della rappresentanza che ci restituisce la sostanza di una pallida democrazia

 

Un anno dopo le elezioni regionali celebrate in piena pandemia, quando la cartina geografica, dal Piemonte alla Sicilia, era dominata dal centrodestra, l’orientamento restituito dal voto comunale questa volta porta le insegne vincenti del centrosinistra, con un risultato per molti versi sorprendente. E dunque ieri ha avuto buon gioco il segretario del Pd nel sottolineare come «i nostri elettori siano più avanti di noi», perché i voti piddini e quelli pentastellati «si sono mescolati», a Roma come a Torino.

Le leadership di Letta e di Conte ne escono rafforzate, sia all’interno dei rispettivi recinti, sia all’esterno, su quanti, da Renzi a Calenda, mal digeriscono l’alleanza giallorossa. Naturalmente quando verrà il turno delle elezioni politiche (e ancor prima quella del presidente della Repubblica) i giochi saranno di altra natura, e nulla autorizza trionfalistiche conclusioni.

Godiamoci dunque il pesante cappotto del 5 a 0 subito dalle destre nelle

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Democrazia costituzionale. L’assalto alla sede della Cgil e lo spettro del fascismo, la rabbia sociale che trova sfogo nei cortei “no green pass”, l’astensionismo come (non)voto di maggioranza, la corsa ai click per sottoscrivere referendum, la condanna di Mimmo Lucano, l’invocazione della “pace sociale”: fenomeni diversi, che, ancora una volta, svelano la fragilità della democrazia e il suo svuotamento

L’assalto alla sede della Cgil e lo spettro del fascismo, la rabbia sociale che trova sfogo nei cortei “no green pass”, l’astensionismo come (non)voto di maggioranza, la corsa ai click per sottoscrivere referendum, la condanna di Mimmo Lucano, l’invocazione della “pace sociale”: fenomeni diversi, che, ancora una volta, svelano la fragilità della democrazia e il suo svuotamento.

Primo: la democrazia costituzionale. La democrazia costituzionale si regge su delicati equilibri nei rapporti fra gli organi costituzionali, fra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, sul ruolo di garanzia della Corte costituzionale, sull’indipendenza e sulla tutela dei diritti da parte del potere giudiziario. Lo (s)-bilanciamento di un elemento si riflette sull’intero sistema, revocando in dubbio il suo obiettivo: la limitazione del potere e la garanzia dei diritti.

All’esautoramento e all’auto-marginalizzazione del Parlamento, alla verticalizzazione del potere, processi in corso da tempo, di cui la pandemia si rivela cartina di tornasole e fattore di accelerazione, si accompagnano altri segnali preoccupanti, fra i quali, una torsione degli strumenti penali (e non solo) in chiave di repressione e criminalizzazione della solidarietà e del dissenso da parte della magistratura (e una magistratura in crisi di legittimazione), e, da ultimo, il rischio che referendum facili creino un cortocircuito nei rapporti con un Parlamento già debole e gettino la Corte costituzionale in pasto a giochi politici che ne minano il ruolo.

Secondo: la politica. Le istituzioni democratiche non possono prescindere da forze che diano sostanza all’involucro. Partiti liquidi e avvitati in un moto centripeto e autoreferenziale, atomizzazione della società, negazione del conflitto sociale: la democrazia è vuota, o, meglio, occupata da un potere senza più legame con la società, incapace di rappresentare il pluralismo e i conflitti che la attraversano. È un meccanismo di gestione del potere che della democrazia mantiene solo la maschera. E fenomeni come i 500.000 “click” in pochi giorni sono solo l’ennesima denuncia dell’assenza della politica; la raccolta delle firme on line rischia di veicolare null’altro che grida frammentate e disperse: un’espressione episodica non una partecipazione consapevole. La via non è una democrazia digitale che si propone come immediata e che decolla sulla leggerezza del click, ma la costruzione di una partecipazione effettiva e solida: dal basso, nel «vivente movimento delle masse» (Luxemburg), così come nella costruzione di forze politiche organizzate capaci di esprimere una visione radicalmente alternativa, nella convergenza in un blocco storico delle lotte sociali, sul lavoro, per l’ambiente.

Terzo: l’abbandono della democrazia sociale. Scavando alle radici, dietro l’asfissia della democrazia politica, la degradazione della rappresentanza, dietro i rigurgiti fascisti e la loro strumentalizzazione della rabbia sociale, c’è l’abbandono di un progetto di società nel segno della giustizia sociale, e il tradimento della Costituzione; un abbandono frutto di rapporti di forza che segnano la vittoria di una classe e di una visione del mondo, il neoliberismo, con la colpevole acquiescenza di partiti che hanno rinunciato a perseguire una “società più giusta”.
Occorre recuperare la sostanza che dà linfa alla democrazia costituzionale: il suo essere necessariamente insieme politica, economica e sociale, il suo imprescindibile legame con il conflitto. La democrazia costituzionale è fragile perché non è riuscita a essere sociale, a limitare e controllare il potere economico, che si è insinuato e ha imposto una razionalità altra rispetto a un progetto di emancipazione personale e sociale, perché non persegue come fine e strumento una partecipazione effettiva e consapevole ma non risponde che ai poteri che la occupano.

E dal senso profondo della Repubblica fondata sul lavoro, sull’uguaglianza sostanziale e sulla partecipazione effettiva che occorre ripartire, mettendo al centro i lavoratori, e non l’impresa; ragionando di emancipazione e non di espulsione e ghettizzazione del disagio sociale. La camera del lavoro si presidia contro il fascismo, oltre che sciogliendo le organizzazioni che ad esso si richiamano, attuando il disegno costituzionale, tutto, non solo la XII disposizione transitoria e finale, rispondendo alla rabbia sociale con i diritti sociali, sostituendo all’immagine di una “pace sociale” imposta e unilaterale il riconoscimento dei conflitti e la tutela dei diritti.

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Una piazza San Giovanni gremita, come non si vedeva da tempo: 200mila persone, secondo gli organizzatori, hanno preso parte alla manifestazione “Mai più fascismi” indetta dai sindacati a Roma dopo l’assalto alla sede della Cgil di sabato scorso

“Questa bellissima piazza parla a tutto il paese”, afferma il segretario della Cgil Maurizio Landini, salendo sul palco. Questa “non è solo una risposta allo squadrismo fascista, è qualcosa di più: questa piazza rappresenta tutta l’Italia che vuole cambiare il Paese, che vuole chiudere la storia della violenza politica. Essere antifascisti si è per garantire la democrazia di tutti e i principi fondamentali della nostra Costituzione”. E ancora: “Questa piazza chiede atti concreti, dalla solidarietà si deve passare all’azione concreta, lo Stato dimostri la sua forza democratica nell’applicare le leggi e i principi della Costituzione”. 

 

RICCARDO ANTIMIANI - ANSA
Un momento della manifestazione nazionale organizzata da Cgil, Cisl e Uil a Roma con lo slogan "Mai più fascismi"

 https://www.huffingtonpost.it/entry/sindacati-al-via-manifestazione-oltre-60mila-in-piazza_it_616ac15ee4b01f6f7e49c542

 

 

 

 

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Intervista. Parla il segretario generale della Filt Cgil: "Nella fase più acuta della pandemia, quando i vaccini erano solo una speranza, i protocolli sulla sicurezza hanno permesso a un comparto molto ramificato di reggere l'urto del virus. Invece questa volta il governo non ha colto la complessità del settore sul tema dell'accesso al lavoro".

Stefano Malorgio, segretario generale della Filt Cgil

 

Stefano Malorgio, segretario generale della Filt Cgil

Di fronte alla circolare del Viminale che martedì “invitava” solo le imprese del settore portuale a offrire gratis i tamponi, i sindacati confederali della logistica e del trasporto hanno subito fatto notare l’incongruenza (“Riteniamo si debba richiedere l’estensione della raccomandazione della circolare a tutti i settori dei trasporti, e dei servizi ausiliari ed accessori collegati”). E pur cercando di non polemizzare troppo con il “governo dei migliori”, il segretario generale della Filt Cgil, Stefano Malorgio, che ben conosce i protocolli di sicurezza adottati nella fase più acuta della pandemia, grazie all’accordo congiunto fra governo dell’epoca (il Conte bis) imprese e sindacati, ora osserva: “Quei protocolli esistono ancora. E hanno avuto alcuni grandi meriti: i lavoratori e le lavoratrici si sono sentiti in sicurezza, nelle fabbriche come nel nostro settore, dove moltissimi addetti arrivano dall’estero. In quell’occasione fu colta la complessità del sistema e infatti il sistema ha retto, in mesi in cui i vaccini erano solo una speranza lontana. Questa volta no, non sta funzionando, a causa di alcune rigidità di troppo”.
Appena uscito da un’audizione alla commissione lavoro della Camera, dove Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti hanno chiesto regole negli appalti privati come quelle degli appalti pubblici; il rafforzamento legislativo del contratto nazionale vista la proliferazione dei contratti pirata; l’internalizzazione delle attività oggi spesso appaltate, e una particolare attenzione all’autotrasporto perché il 90% delle merci passa di lì, Malorgio guarda a quanto sta accadendo.

– Segretario, al porto di Trieste venerdì scioperano, e anche negli altri scali portuali c’è una forte fibrillazione. Si poteva evitare questa situazione?

“Viste le caratteristiche dell’area del nord-est, che ha una propensione alla non vaccinazione più alta che nel resto della penisola, penso che quello di Trieste sia un caso a sé. Premesso questo, non bisogna dimenticare che il sistema dei trasporti è un sistema fragile. A tal punto che, in tempi non sospetti, avevamo chiesto che fosse inserito ai primi posti nella campagna vaccinale. Perché anche una piccola percentuale di addetti non vaccinati, parliamo del 6-8%, ma operativi, rischia di mettere in default l’intero comparto. Inoltre non si è ancora trovata una soluzione per i moltissimi addetti che vengono dall’estero. Si va dagli autotrasportatori dell’est europeo che non sono vaccinati o hanno lo Sputnik che la Ue non riconosce, ai marittimi con vaccino cinese o privi anche loro di vaccinazione”.

– E’ un’analisi corretta quella di chi punta il dito, come ha fatto oggi il segretario generale della Cisl, contro un governo tentennante e diviso al suo interno, che ha scaricato sul mondo del lavoro e sui sindacati la patata bollente di una conflittualità montante sui vaccini, e soprattutto sul green pass?

“E’ chiaro che l’utilizzo del green pass per poter accedere al proprio lavoro si scarica sugli stessi lavoratori. Intendiamoci, qui non si tratta di essere contrari al green pass, ma di capire se sta funzionando o meno la misura della sospensione delle proprie funzioni e dello stipendio. La mia impressione è che non si sia preparato a sufficienza il terreno, e quindi oggi si devono rincorrere gli eventi. Per giunta non abbiamo avuto alcun ruolo, e questo ci mette in una posizione non facile, nella preparazione del decreto governativo che ha dato alle imprese i compiti di controllo”.

– Così alla fine siamo arrivati alla circolare di ieri del Viminale. Come la giudica?

“Come un elemento di disparità e di disuguaglianza. In parallelo, per la prima volta, c’è una cambio di rotta del governo. Con due difetti: non considerare la complessità del settore, escludendo ad esempio l’autotrasporto, e non considerare l’elemento ideologico del ‘no’ al green pass. Per questo abbiamo risposto, unitariamente, chiedendo l’estensione all’intero settore dell’ ‘invito’ alle aziende a fornire i tamponi gratuitamente”. In definitiva, credo che questa volta il governo non abbia colto la complessità del sistema dei trasporti e della logistica sul tema dell’accesso al lavoro con il green pass”.

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