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Usa/Russia. Biden nella telefonata con il leader del Cremlino, sembra quasi spingere Putin a entrare in Ucraina: minaccia ma non propone nulla. Una situazione per certi versi ineluttabile visto quanto accaduto negli ultimi vent’anni dopo essersi volontariamente cacciata nel cul de sac preparato dagli americani, con interventi militari dall’esito devastante che nel gergo comune si chiamano sconfitte, politiche e militari

 

Se l’Europa vivrà altre giornate sul filo del rasoio e delle telefonate tra i leader, come quella di ieri Putin-Biden, lo deve anche a se stessa. Biden nella telefonata con il leader del Cremlino, sembra quasi spingere Putin a entrare in Ucraina: minaccia ma non propone nulla. Una situazione per certi versi ineluttabile visto quanto accaduto negli ultimi vent’anni dopo essersi volontariamente cacciata nel cul de sac preparato dagli americani, con interventi militari dall’esito devastante che nel gergo comune si chiamano sconfitte, politiche e militari.

Sui nostri giornali campeggiano, a commento dei fatti ucraini, i cantori dell’atlantismo con frasi come queste: «Ogni Stato ha diritto di scegliersi gli alleati che vuole», «massima solidarietà agli Stati Uniti per mantenere l’ordine liberale».
Come il presidente americano Joe Biden, in caduta libera nei sondaggi e – sotto uno storico 40% di consensi – in lucidità

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Il Sindacato. Partita la tre giorni dell'Assemblea organizzativa a Rimini. Verso una nuova segreteria. «Rappresentanza e lotta a precarietà» le linee guida. Gelo con la Cisl, Bombardieri contro Confindustria

Maurizio Landini

 

Maurizio Landini © LaPresse

Una Assemblea organizzativa molto precongressuale per la Cgil. La pandemia ha dilatato i tempi e dunque a Rimini si tiene il passaggio solitamente di metà mandato nello stesso anno del congresso che a fine anno rinnoverà la confederazione guidata dal febbraio 2019 da Maurizio Landini. Nella sua relazione il segretario generale della Cgil lancia le sue parole d’ordine per il futuro del sindacato: rappresentanza e lotta alla precarietà.

Due concetti che Landini ha declinato in questi anni e che dal palco di Rimini ha rilanciato con proposte concrete. «Vogliamo costruire un sistema di rappresentanza fondato sulla partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori. Per questo a Cisl e Uil proponiamo di dare vita a una stagione di elezione delle Rsu in tutte le imprese con più di 15 dipendenti e dove ci sono le Rsa chiediamo di optare unitariamente per la loro eleggibilità e non per la nomina da parte dell’organizzazione». Una sorta di Rsu day per favorire la partecipazione.

Sulla lotta alla precarietà Landini rilancia l’idea di «introdurre un contratto unico di inserimento al lavoro a contributo formativo e finalizzato alla stabilità occupazionale, di condizionare i finanziamenti e le agevolazioni pubbliche alle imprese alla stabilità del lavoro». Ancora più esplicita l’indicazione: «Vanno aperte vertenze per la stabilizzazione dei lavoratori precari. La battaglia contro la precarietà deve diventare la carta d’identità del sindacato confederale. Per far sentire rappresentati i precari serve che chi ha il posto fisso scioperi per le stabilizzazioni», sottolinea Landini.

A queste direttrici si affianca poi il rilancio delle Camere del lavoro e il ruolo dei delegati per «mettere i lavoratori al centro del cambiamento».
Arriva poi il messaggio per il governo con cui si spera a breve in un accordo sulle pensioni post Fornero: «Serve una seria riforma fiscale – ha detto Landini – : finora l’intervento operato è per noi insufficiente. Ma il governo deve cambiare anche metodo di confronto: non è sufficiente ascoltare il sindacato, poi riunirsi con la maggioranza e richiamarci per informarci di cosa hanno deciso». Un ragionamento che vale anche per il caro energia: «Il governo si confronti con noi e rilanci le energie rinnovabili».

Nella dialettica sindacale, dopo lo sciopero separato, Landini avverte la Cisl: «Non vediamo oggi le condizioni di un generico patto sociale e di un’indistinta concertazione», rilanciando però la sua idea di unità sindacale: «Dobbiamo ragionare con un profilo diverso: nel nostro tempo non vedo ragioni di appartenenza politica e partitica che siano un ostacolo per un sindacato unitario, un soggetto plurale che deve nascere dal basso e sia fondato sulla democrazia, l’autonomia, la partecipazione e sulla rappresentanza di ogni forma di lavoro».

La risposta arriva a stretto giro dal segretario confederale della Cisl, il ravennate Giorgio Graziani, spedito a Rimini in assenza di Luigi Sbarra. «Occorra un sindacato dialogatore, partecipativo e non conflittuale. Ma oggi queste sono posizioni che non ci vedono così vicini. L’unità infatti non è uno slogan né un dogma. Si costruisce se si vuole costruire», è il messaggio della Cisl.

Molto combattivo l’intervento di Pierpaolo Bombardieri – ormai stabilmente più a sinistra di Landini – che ha attaccato frontalmente Confindustria su caro bollette e inflazione. «Il Patto della fabbrica che basa i rinnovi sull’Ipca, l’inflazione depurata dalla componente energia, per noi non esiste più e lo spiegheremo con le richieste salariali delle prossime piattaforme contrattuali. Senza risposte alle nostre richieste di aumenti salariali dico a Confindustria che la Uil non ha mai rimosso dal proprio vocabolario il termine conflitto», avverte Bombardieri, con timidi applausi della platea.

Tornando alla Cgil l’Assemblea precederà di poche settimane i cambi nella segreteria confederale. A lasciare saranno Roberto Ghiselli (per un incarico previdenziale) più Rossana Dettori e Ivana Galli per limiti di età. A sostituirli arriveranno Francesca Re David – in Fiom è da tempo pronta la successione con Michele De Palma – con la delega pesante dell’organizzazione che andrà a Luigi Giove (segretario dell’Emilia-Romagna, ex braccio destro di Vincenzo Colla) e il moderato Christian Ferrari del Veneto. Ancora da individuare l’ultimo posto che sarà comunque occupato da una donna.

La tre giorni di Rimini si chiuderà domani. Senza sorprese. La Cgil oramai è tutta unitaria.

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L'iniziativa dell'Anci. La protesta dei sindaci: «Il governo deve intervenire, a rischio anche i progetti del Pnrr». Intervista ad Antonio Decaro e Leoluca Orlando

 

Sono stati circa 3mila i comuni che ieri sera hanno spento per mezzora o un’ora i propri monumenti, da Trieste a Torino e poi Milano, Firenze, Roma, Napoli e Palermo. Iniziativa simbolica dell’Anci contro il caro bollette. «Siamo un po’ in difficoltà – spiega Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente Anci -. Il costo dell’energia per le amministrazioni oscilla intorno al miliardo e 800 milioni. Un rincaro stimato del 30% (circa 550 milioni) non ci permetterebbe di chiudere i bilanci e potremmo essere costretti a tagliare servizi essenziali. Poi c’è la pandemia: due anni fa lo Stato ci ha ristorato con 7 miliardi, 4 miliardi lo scorso anno, quest’anno ancora nulla. E aumenteranno di circa 600 milioni i costi per il rinnovo del contratto dei dipendenti. Senza un intervento del governo dovremo tagliare servizi come il trasporto, la raccolta rifiuti, il welfare o la pubblica illuminazione».

L’aumento dei costi energetici rischia di bloccare il Pnrr: «Abbiamo la possibilità di fare assunzioni extra budget per gestire i progetti ma ci ritroviamo con i bilanci in sofferenza – prosegue Decaro -. Per reggere gli impegni abbiamo bisogno del personale, possiamo assumere in deroga ai vincoli del 2009 con le risorse del comune. Ma se non ho i soldi in bilancio perché aumentano le spese non posso reclutare i professionisti che servono. Così si ferma il Pnrr. La capacità fiscale del 2019 non l’abbiamo ancora recuperata nonostante la riapertura delle attività, poi sono capitati i rinnovi dei contratti e l’incremento dell’energia. Noi capiamo i problemi del governo ma il governo deve capire i nostri».

Il fuori onda tra il sindaco di Milano Sala e il presidente della regione Lombardia Fontana sulle risorse del Pnrr («è tutto Sud, Sud, Sud, bisognerebbe farsi più furbi») ripropone la solita spaccatura nel paese: «Con Sala discutiamo spesso di investimenti – conclude Decaro -. C’è un gap da recuperare. Se avessimo utilizzato gli stessi criteri che l’Ue ha usato per assegnare le risorse al nostro paese probabilmente al Sud sarebbe arrivato il 65, 67% delle risorse. È arrivato il 40% anche perché ci sono fondi aggiuntivi per le regioni dell’Obiettivo convergenza. C’è l’opportunità per i comuni di investire e tocca ai sindaci, indipendentemente dalla posizione geografica, dalla dimensione demografica e dall’orientamento politico, impiegare bene le risorse».

Leoluca Orlando è sindaco di Palermo e presidente Anci Sicilia, ieri ha spento per 30 minuti i Quattro Canti nel cuore della città storica: «Serve a mandare questo messaggio: è l’immagine di quello che saranno i nostri centri se non saremo messi in condizione di pagare l’energia elettrica. Ci troviamo difronte a un mercato fuori controllo che sta dando un importante contributo all’inflazione. L’aumento dei costi energetici è un danno anche alle produzioni che esportiamo».

Il caro bollette pesa due volte nei bilanci comunali, spiega Orlando: «Ci sono i costi dell’illuminazione pubblica, dei locali comunali, delle scuole, degli impianti sportivi. E poi ci sono i costi delle partecipate: aziende che operano per conto del comune, come il trasporto pubblico che per definizione è in perdita. Palermo poi si trova in una condizione particolare: abbiamo un’esposizione debitoria molto modesta ma abbiamo una difficoltà di riscossione dei crediti. E in base alla normativa vigente dobbiamo accantonare i crediti di dubbia esigibilità. Fino a ottobre il recupero crediti era gestito dall’azienda delle regione Riscossione Sicilia: su 170 milioni da riscuotere ne ha incassati 6, la differenza l’abbiamo dovuta accantonare».

Al governo Orlando chiede un intervento di sostegno per famiglie, imprenditori e comuni. Peri comuni un allentamento del patto di stabilità e dell’obbligo di accantonamento dei crediti di dubbia esigibilità: «Nel 2021 solo un terzo dei comuni siciliani ha approvato il bilancio di previsione, molti sono già in dissesto o predissesto. C’è una crisi di sistema che riguarda le amministrazioni. Con le bollette piove sul bagnato». E sul fuori onda di Sala e Fontana: «Le espressioni scorrette non meritano attenzione».

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Lettera agli ex jugoslavi. . Ieri una circolare del Ministero dell’Istruzione ha paragonato le foibe alla Shoah giungendo all’estremo della falsificazione storica. Ci saranno polemiche ma basterà dichiarare che è stata una svista. Intanto però questo aberrante concetto lo faremo circolare pubblicamente ed è questo l’importante perché sarà il primo passo per una sua diffusione nel senso comune.

 

Giornata del ricordo in senato  © LaPresse

Cari amici dell’ex Jugoslavia, vi scriviamo dall’Italia mentre sta passando il «Giorno del ricordo» istituito per commemorare le vittime delle foibe del settembre-ottobre 1943 e del maggio 1945.

Sappiamo che il 10 febbraio è una data storica che riguarderebbe il Trattato di Pace di Parigi del 1947 e non le foibe, ma questa fa parte del modo italiano di rileggere il passato. Ieri una circolare del Ministero dell’Istruzione ha paragonato le foibe alla Shoah giungendo all’estremo della falsificazione storica. Ci saranno polemiche ma basterà dichiarare che è stata una svista. Intanto però questo aberrante concetto lo faremo

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Intervista. Il sociologo: «Di colpo un coro di elogi a Luigi, ma non credo che si presterà. Il M5S ha futuro solo se dà voce ai 12 milioni di poveri. Conte? Sarà rieletto e il Pd deve sperare che accada»

 

Professor Domenico De Masi, ci aiuti a fare luce nel caso del M5S. Che succede tra Conte e Di Maio?

Di Maio voleva Draghi al Quirinale, Conte no. La vittoria del secondo ha scatenato la reazione del primo.

Per fare cosa?

Tra un anno si vota e la destra, nonostante tutto, è in vantaggio. L’unico modo per impedire che vincano è un’alleanza tra Pd e M5S. Ma ad oggi è improbabile non solo che vincano, ma anche che riescano a fare un’alleanza. Tutto cospira contro.

Chi o cosa cospira contro?

Ci sono ostacoli interni ai due partiti che sono oggettivi. Ma è dall’esterno che arrivano le spinte più forti per sfasciare tutto.

Chi vuole sfasciare?

Fino a un mese fa praticamente ero l’unico a dire che Di Maio è un ragazzo intelligente. Ora lo scrive anche il Foglio. Si sono accorti di lui perché vogliono che spacchi il Movimento. Il 90% dei giornalisti parla del movimento al passato, e lo fa da almeno due anni: in realtà dall’ottobre 2019 sono fermi al 15-16%. Tutt’altro che morti.

Perché ritiene improbabile che l’alleanza giallorossa riesca a presentarsi unita alle politiche?

Dopo l’elezione del Quirinale vedo spinte fortissime, e anche rabbiose, per dissuadere Letta ad allearsi con Conte e per spaccare i 5s. E’ una operazione antisinistra, direi reazionaria. E non vedo una controreazione adeguata da sinistra per contrastarla.

I 5S ci mettono anche del loro. O no?

Certamente. La prova più forte che siano un movimento di sinistra è che si scindono continuamente.

Torniamo a Di Maio. Lei dice che sono in atto corteggiamenti per spostarlo a destra. E lui che farà?

In questi anni nel Movimento sono emersi due leader politici, lui e Conte, diversissimi, dall’anagrafe alla formazione culturale. Credo che Di Maio abbia un limite caratteriale, non sopporta di avere qualcuno sopra di lui. Ma capirà che non gli conviene uscire dal partito per inseguire altre sirene. Al centro e a destra ci sono già troppi galli nel pollaio.

Vede tra i due rivali una reale divaricazione politica?

Certamente Di Maio è più affascinato dalla personalità di Draghi, e anche dalla sua impostazione neoliberista. Il premier è forse uno dei migliori esponenti di questa cultura nel mondo.

Pensa che Conte sia più progressista?

Non c’è dubbio che sia più di sinistra. Peccato che lui usi questo termine, «progressista», che non vuole dire niente. Bisogna avere il coraggio di dire «sinistra», o «socialdemocrazia». Il vero discrimine oggi è tra questi due poli, neoliberismo e socialdemocrazia. Non solo i 5 stelle non hanno chiarito dove collocarsi, neppure il Pd.

Conte è di sinistra?

Lo ha detto lui.

Possono coabitare nello stesso partito?

Sì, perché i partiti italiani non hanno un’idea chiara della società che propongono. E contengono tante cose diverse. Mica solo i grillini.

Il Pd dovrebbe tifare per Conte?

Chi è il Pd? Al suo interno ci sono anche nemici giurati del M5S come gli ex renziani.

Diciamo Letta.

Dovrebbe tifare perché il M5S si collocasse alla sua sinistra, desse voce ai 12 milioni di poveri che non hanno rappresentanza. In parte lo hanno fatto nel 2018.

Come finirà la vicenda di carte bollate sull’elezione di Conte?

Intanto mi chiedo perché una sospensiva arrivi con 8 mesi di ritardo. In ogni caso faranno una nuova votazione e lui prenderà ancora più voti.

Grillo dice che le sentenze vanno rispettate.

Ha ragione, ci vuole tempo per preparare questa nuova consultazione.

Crede che questo 15% di elettori resterà fedele al M5S o queste eterne faide porteranno alla dissoluzione?

Partiamo da una premessa: ai 12 milioni di poveri avrebbe dovuto dare voce la sinistra. Credo che il Movimento abbia futuro se insiste su questo elettorato. Certo che queste risse non aiutano, ma non è questo il nodo.

Di Maio punta a un elettorato più trasversale, interclassista.

Questo significa rifare la Dc, è un’altra cosa. Ma il ceto medio sta diminuendo numericamente, e c’è già una enorme concorrenza tra Renzi, Calenda, Forza Italia, anche Salvini. I poveri invece aumentano.

L’alleanza Pd-5 stelle ha ancora un futuro?

Per il Pd è indispensabile, se vuole provare a vincere. Ma è necessario che alla guida restio Conte. E che si dividano meglio i compiti: Conte dovrebbe spostare i 5 stelle a sinistra del Pd.

Suvvia, Conte un leader di sinistra?

Sicuramente non è don Ciotti. Ma lo spazio politico è questo. Non ha alcun senso provare a fare concorrenza al Pd sullo stess terreno.

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Fuoriclasse. Tra gli alunni del liceo Carducci di Milano al secondo giorno di occupazione. La lezione autogestita si apre nel segno delle emozioni

La lezione autogestita nel cortile del liceo Carducci di Milano

La lezione autogestita nel cortile del liceo Carducci di Milano

A metà mattina il cortile d’ingresso del liceo si riempie di studenti usciti dalla scuola. Qualcuno porta un tavolino, qualcun altro un piccolo impianto audio, in almeno 300 siedono a terra, altri si mettono in piedi ai lati, altri ancora ascoltano affacciati alle finestre delle aule. «Il preside ha vietato l’ingresso agli esterni che avevamo invitato a parlare nelle lezioni autogestite» spiega una ragazza.

Tra gli ospiti della giornata ci sono lo psicoterapeuta Carlo Trionfi, gli attivisti di Fridays For Future Milano, l’ex candidato sindaco alle ultime elezioni Gabriele Mariani di Milano in Comune. Le cose sembrano mettersi male, gli studenti sentono ostilità da parte della dirigenza della scuola e si chiedono perché il preside Andrea Di Mario abbia scelto di ostacolare le attività autogestite. Solo qualche anno fa la reazione degli studenti sarebbe stata diversa, oggi invece i post millennial del Carducci risolvono la cosa in tutta tranquillità: «Se gli esterni non possono entrare, usciamo noi».

LA PRIMA LEZIONE autogestita la spostano così nel cortile e gli ospiti esterni parlano rigorosamente un passo fuori dal cancello d’ingresso. Prende il microfono lo psicoterapeuta Trionfi, poi lo psicologo della scuola, ed è significativo che la seconda giornata d’occupazione qui al liceo classico Carducci di Milano si sia aperta parlando delle emozioni, delle paure, delle inquietudini che questa generazione, a cui è toccata in sorte la pandemia negli anni di massima vitalità, sta vivendo. È qualcosa che hanno indagato anche prima di decidere di occupare, ci racconta Chiara, 18 anni. «Abbiamo fatto girare un questionario tra le classi per sondare quale fosse il benessere emotivo e psicologico tra gli studenti. Hanno risposto circa metà degli studenti e i risultati sono stati molto allarmanti sotto tutti i fronti». Irene, 14 anni, al suo primo anno di liceo, li definisce «scioccanti».

IL 76% DEGLI STUDENTI ha avuto attacchi di panico in relazione a una interrogazione e in diversi non stanno reggendo la pressione del rientro dopo quasi due anni di Dad. «Ma la tendenza è generale e precedente alla pandemia» aggiunge ancora Chiara. «Le scuole iper valutano la prestazione e questo genera ansia tra gli studenti. La pandemia ha peggiorato tutto perché prima almeno esisteva un rapporto con i compagni e i docenti che la Dad ha demolito parecchio. Vedere in classe i compagni, parlare con i professori, aiutava. In questi due anni questa cosa è mancata». Nei giorni scorsi i giornali hanno parlato di «generazione Dad», definizione che sta stretta a Samuele, 16 anni. «Siamo la generazione che ha subito la Dad, ma non ci piace questa definizione, siamo studenti che si interessano al futuro della scuola».

PER RIMEDIARE goffamente alle manganellate date in testa a chi protestava, nei giorni scorsi tra politici e opinionisti ha ricominciato a scorrere a fiumi la retorica dell’ascolto. Anche il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi ha scritto in una lettera che «bisogna ascoltare gli studenti», salvo poi convocare al ministero quelli che non stanno protestando contro la sua riforma della maturità. «Non ci basta essere ascoltati – dice Chiara – vogliamo essere responsabilizzati, la nostra generazione ha bisogno di essere messa nelle condizioni di poter agire e prendersi la responsabilità di quello che fa». Chiara respinge l’approccio troppo paternalista che sente appiccicato alla sua generazione. «Si sfocia sempre nel poverini, dobbiamo aiutarli, dobbiamo sostenerli. Questa cosa è vera in parte perché noi vogliamo farcela da soli, ma spesso gli adulti ci vedono come dei bambini e questo non ci aiuta».

MENTRE PARLIAMO arriva la notizia che anche un’altra scuola di Milano, il liceo scientifico Vittorio Veneto, è stata occupata dagli studenti. In altre ci sono state proteste, come al Russel dove gli studenti hanno chiesto interventi di manutenzione urgente perché il forte vento dell’altro ieri ha danneggiato la struttura: «Sono crollate alcune lastre dal muro esterno della scuola, le finestre traballavano, si sono aperti dei controsoffitti, vogliamo un rientro a scuola sicuro». Al Boccioni invece c’è stato un corteo interno di protesta perché non funzionava il riscaldamento. Anche questa è scuola, lo stato in cui è messa la scuola, e non da oggi. Ma studenti e studentesse non ci stanno più.

 

 

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