Usa/Russia. Biden nella telefonata con il leader del Cremlino, sembra quasi spingere Putin a entrare in Ucraina: minaccia ma non propone nulla. Una situazione per certi versi ineluttabile visto quanto accaduto negli ultimi vent’anni dopo essersi volontariamente cacciata nel cul de sac preparato dagli americani, con interventi militari dall’esito devastante che nel gergo comune si chiamano sconfitte, politiche e militari
Se l’Europa vivrà altre giornate sul filo del rasoio e delle telefonate tra i leader, come quella di ieri Putin-Biden, lo deve anche a se stessa. Biden nella telefonata con il leader del Cremlino, sembra quasi spingere Putin a entrare in Ucraina: minaccia ma non propone nulla. Una situazione per certi versi ineluttabile visto quanto accaduto negli ultimi vent’anni dopo essersi volontariamente cacciata nel cul de sac preparato dagli americani, con interventi militari dall’esito devastante che nel gergo comune si chiamano sconfitte, politiche e militari.
Sui nostri giornali campeggiano, a commento dei fatti ucraini, i cantori dell’atlantismo con frasi come queste: «Ogni Stato ha diritto di scegliersi gli alleati che vuole», «massima solidarietà agli Stati Uniti per mantenere l’ordine liberale».
Come il presidente americano Joe Biden, in caduta libera nei sondaggi e – sotto uno storico 40% di consensi – in lucidità
(in tv confonde Afghanistan, Iraq e Ucraina). devono esser stati sconnessi da alcuni eventi e massacri recenti dove i princìpi occidentali, così propagandati, sono stati clamorosamente sbeffeggiati proprio dagli americani e dall’Alleanza atlantica.
Quale «ordine» liberale propugnano gli Stati uniti e la Nato? Quello che ha spinto Washington a usare i jihadisti contro l’Urss negli Ottanta? Quello dell’Afghanistan 2021? L’«ordine» dell’intervento inventato di sana pianta in Iraq nel 2003? Quello della guerra in Libia nel 2011 i cui disastri sono ancora sotto i nostri occhi?
L’«ordine» americano che ci ha portato attentati in Europa e milioni di migranti trattati come oggetti e ricacciati nella disperazione, privandoci anche delle risorse energetiche dei nostri vicini? L’ «ordine» della Turchia, Paese Nato utile a massacrare i curdi con il Sultano Erdogan? L’«ordine» che silenzia e cancella i palestinesi?
Americani e atlantisti si arrogano il diritto di decidere cosa va bene e cosa va male aggrappandosi a principi di autodeterminazione dei popoli che sono i primi a violare.
Prendiamo la Siria: per anni Washington e Bruxelles hanno dichiarato che «Assad se ne doveva andare» ma per destabilizzarlo hanno incoraggiato Erdogan a mandare migliaia di tagliagole jihadisti dall’altra parte del confine. Hanno chiesto alla Siria di rompere i suoi legami con l’Iran e poi è intervenuta la Russia, storico alleato di Damasco.
Che cosa voleva l’Occidente, forse il bene dei siriani, tenuti ancora sotto drammatico embargo?
Che cosa pretendevano gli americani dall’Afghanistan? Vendicarsi dell’11 settembre 2001, come ha ammesso lo stesso Biden? Bene dopo l’uccisione di Bin Laden avrebbero potuto andarsene ma sono rimasti ad ammazzare più civili che talebani, ai quali hanno riconsegnato in mano il Paese e ora si vendicano contro la popolazione congelando i fondi afghani e ostacolando l’invio di aiuti umanitari.
Per non parlare dell’Iraq, attaccato nel 2003 per il presunto possesso di armi distruzione di massa che non esistevano e lasciando poi il Paese a uno dei maggiori massacri della storia.
E quali sono i diritti? Gli ucraini hanno diritto alla loro identità nazionale ma ce l’hanno pure i russi che vivono in quel Paese. A un’identità nazionale avrebbero diritto pure i palestinesi e mentre non si esita a imporre sanzioni a Mosca, a Teheran e Damasco non si possono neppure nominare eventuali sanzioni a Israele per gli insediamenti illegali secondo la comunità internazionale e le Nazioni unite. Sono questi i princìpi occidentali? Questo è doppio standard.
E se parliamo dei curdi si arriva al paradosso. Usati dagli americani come fanteria contro i jihadisti, sono stati lasciati da Washington nel 2019 ai massacri di Erdogan e dei «suoi» jihadisti, che poi il “reiss” turco ha usato anche in Tripolitania e in Azeebaijan. Ma la Turchia non è un Paese della Nato e suo baluardo a sud? E di quali princìpi è mai portatore questo Paese se non il massacro dei suoi avversari? I cantori dell’atlantismo sono assai male informati.
Gli ucraini ora si sono affidati per il riarmo alla Turchia di Erdogan, accolto a Kiev come un salvatore. Francamente è difficile dire se sia una fortuna o meno. Putin trova dall’altra parte un suo nemico – in Siria, Libia, Azerbaijan – ma anche un autocrate con cui si mette d’accordo e al quale vende le batterie anti-missile. Putin ha persino riconosciuto Erdogan come possibile mediatore nella crisi ucraina. La Turchia è pur sempre un Paese della Nato, con le galere piene di oppositori: che cosa si può chiedere di meglio? Forse per Kiev è un passo avanti per sentirsi dentro l’Alleanza e in un mondo migliore. Auguri, come si dice.
Anche qui però, tra i cantori dell’atlantismo, c’è qualche segno di resipiscenza. E arriva stavolta, incredibilmente, dall’Italia
Il ministro degli Esteri Di Maio, in seduta congiunta delle commissioni esteri e difesa del parlamento, ha evocato l’articolo 10 della Nato secondo il quale ogni allargamento dell’Alleanza atlantica deve soddisfare un requisito che è quello di «contribuire all’accrescimento della sicurezza collettiva». In poche parole non si fa entrare un Paese se costituisce un elemento di destabilizzazione. Qualcuno per favore dica se l’allargamento della Nato a est ha portato alla nostra sicurezza o no.