Il Segretario Generale della CGIL, Maurizio Landini, ha visitato, questa mattina, la sede della CGIL di Faenza, in via Chiarini. Dopo aver parlato con i segretari territoriali, ha voluto vedere personalmente i locali alluvionati della camera del lavoro, poi si è soffermato con i giornalisti ricordando la necessità che arrivino al più presto i fondi, mettendosi a disposizione del territorio per ritornare a breve per una manifestazione di sostegno.
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Commenta (0 Commenti)Dai vaccini all’alluvione. Il governo annuncia la nomina del generale Figliuolo a commissario per i territori di Emilia, Marche e Toscana. Le risorse non ci sono, ma intanto Bonaccini e il Pd sono spiazzati: Meloni copia Draghi e sceglie anche Panetta alla guida di Bankitalia
I due nomi decisi ieri in Consiglio dei ministri. Per il commissario alla Ricostruzione post alluvione occorre però un decreto ad hoc. Meloni nella partita europea: resta vacante il posto sin qui occupato dal governatore in pectore nel board di Bce, e si tratta di una postazione fondamentale per l’Italia
Sotto il segno di Mario Draghi: il cdm ha deciso ieri due nomine, una importante, l’altra importantissima, entrambe ispirate al modello dell’ex premier “tecnico”. Il nome importante è quello di Mario Figliuolo, il generale degli Alpini a cui Marione affidò nel 2021 la campagna di vaccinazione. Ha bruciato la candidatura di Guido Bertolaso, l’ex capo della Protezione civile il cui nome spunta fuori ogni volta che c’è qualcosa da commissariare, attualmente assessore al Welfare nella Regione Lombardia, e diventerà commissario per la Ricostruzione dell’Emilia Romagna.
Il nome importantissimo è quello di Fabio Panetta, discepolo prediletto di Draghi, futuro governatore di Bankitalia. Il governo ha avviato ieri l’iter che si concluderà, dopo una serie di passaggi, con l’insediamento di Panetta, oggi membro italiano del board Bce, al posto di Ignazio Visco il cui secondo mandato di sei anni scade il prossimo primo novembre.
LA NOMINA DI FIGLIUOLO è definitiva ma perché diventi operativa sarà necessario un provvedimento ad hoc, da vararsi quando il dl Ricostruzione sarà in vigore. È una mossa astuta da parte del governo. Il generale ha svolto con plauso unanime il compito di vaccinare l’Italia ed era stato scelto dal premier adorato dal Pd. Il suo nome non basterà a placare le polemiche suscitate dalla decisione di soprassedere sulla nomina più logica e naturale, quella del governatore dell’Emilia-Romagna Bonaccini, ma certo le stempererà. «È un modello centralistico, scelta che riteniamo sbagliata. Ma con Figliuolo abbiamo collaborato bene durante la pandemia e siamo pronti a lavorare insieme: resta da vedere con quali strumenti e risorse potrà agire perché non c’è un minuto da perdere», si tiene in equilibrio lo stesso Bonaccini.
A METTERE IL VETO SU DI LUI era stato Salvini, che non voleva
Leggi tutto: Le nomine draghiane: Panetta in Bankitalia, Figliuolo in Romagna - di Andrea Colombo
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Paola Taverna in provincia di Ravenna per visitare le realtà colpite dall’alluvione a quasi due mesi dai primi allagamenti di inizio maggio. La vicepresidente e vicaria del Movimento 5 Stelle sabato mattina era a Faenza per un incontro con la giunta guidata dal sindaco Massimo Isola. Dal territorio è arrivato sostanzialmente un grido di aiuto: da lunedì le aziende, che fino adesso hanno lavorato a credito per ripristinare gli argini dei fiumi, potrebbero non lavorare più. C’è bisogno urgentemente dello stanziamento di nuove risorse da parte del Governo. Solo a Faenza ci sono due grandi brecce ancora da chiudere e da finire di consolidare gli argini nel tratto urbano del Lamone.
Insieme a Paola Taverna il senatore Marco Croatti. Martedì dovrebbero iniziare le commissioni in Parlamento dedicate all’alluvione. Il Movimento 5 Stelle ha presentato 98 emendamenti. Presenti a Faenza anche i principali rappresentanti del Movimento in provincia di Ravenna (gli assessori Igor Gallonetto, di Ravenna, e Massimo Bosi, di Faenza, coordinatore provinciale del Movimento, e i consiglieri comunali Marco Neri, di Faenza, e Giancarlo Schiano, di Ravenna).
DIETRO FRONTE. Il capo della Wagner, nascosto chissà dove, all’attacco dei vertici militari russi. Il presidente risponde, fiacco, in serata: «Il leader sono io». Il ministro Shoigu riappare al fronte. Poco chiaro il destino degli ammutinati: nell’esercito o a Minsk
Miliziani della Wagner a Rostov prima del ritiro - Ap
Dopo l’eclissi della «marcia della giustizia» di Evgenij Prigozhin, le autorità russe cercano di riportare il paese alla normalità. Il compito più difficile per il Cremlino è spiegare alla popolazione il senso di quanto avvenuto nel fine settimana: implicherebbe mettere mano a numerose questioni sollevate dal clamoroso ammutinamento, che per ora si vogliono evitare.
Così, dopo il breve appello di sabato alla nazione, Putin ha taciuto fino a lunedì sera quando ha rivolto un altro laconico messaggio.
Contrariamente a quanto annunciato dal portavoce Peskov («Determinerà i destini della Russia»), il discorso è stato alquanto generico: il presidente ha ringraziato i militari e il popolo russo per l’unità e la fermezza dimostrata di fronte alla minaccia esistenziale posta dalla fronda interna.
Putin ha affermato che all’accaduto non sono stati estranei «il regime di Kiev e i suoi sponsor occidentali», alludendo come la sua leadership non sia mai venuta meno durante le ore convulse di sabato così da evitare la tragedia nazionale ricercata dai nemici della Russia.
In precedenza, simili messaggi erano venuti dal ministro degli esteri Lavrov che ha in particolare sottolineato la questione di eventuali coinvolgimenti dei servizi d’intelligence occidentali nei torbidi del 24 giugno, su cui l’Fsb starebbe indagando.
Speculazioni sul tema sono state avanzate da numerose fonti ostili alla politica occidentale e ovviamente benvenute a Mosca per occultare le responsabilità del regime nella creazione del fenomeno Prigozhin. Lavrov ha anche sfatato le accuse di isolamento sulla scena internazionale in seguito alla crisi, affermando come molti suoi colleghi abbiano espresso solidarietà alla Federazione russa, «ma alcuni hanno chiesto di non parlarne pubblicamente».
Dal lato governativo da segnalare, infine, l’apparizione al fronte del ministro della difesa Shoigu. L’uomo indicato da Prigozhin quale principale causa degli insuccessi militari del paese è stato così per il momento confermato nel suo dicastero. Dal lato degli ex ammutinati la situazione non è più chiara.
Contrariamente a quanto annunciato sabato, l’imputazione per organizzazione di ribellione armata (art. 279 del codice penale) contro Prigozhin non è stata archiviata e l’Fsb sta seguendo il caso.
Secondo gli accordi verbali intercorsi con il presidente bielorusso Lukashenko, l’imprenditore della violenza si trova al momento a Minsk, in attesa che sia definito il suo destino. Ieri Prigozhin, che di nuovo non è stato nominato da Putin, ha fatto circolare un audio-messaggio di 11 minuti in cui ha ribadito la sua versione.
Dopo le decisioni governative relative all’integrazione dei mercenari nell’esercito regolare, nonostante la maggioranza degli uomini della Wagner rifiutasse una soluzione che considerava la fine della propria eccellenza bellica, la compagnia di ventura era pronta a consegnare gli armamenti pesanti alla Difesa.
È stata invece bombardata e 30 suoi uomini uccisi: «Questo ha scatenato la nostra mobilitazione immediata». Prigozhin continua vantando le prodezze dimostrate dai suoi sabato, rinnovando gli affondi contro i suoi rivali militari.
La «marcia per la giustizia» avrebbe evidenziato i gravi problemi di sicurezza della Russia. Prigozhin aggiunge beffardo: «Se l’operazione speciale contro l’Ucraina fosse stata affidata a noi sarebbe probabilmente durata qualche giorno».
Atteggiandosi a capo-popolo, ha anche sottolineato la simpatia con cui larghi settori della popolazione hanno guardato all’azione della Wagner, fatto altrettanto preoccupante per il Cremlino. Allo stesso tempo Prigozhin si è limitato a esprimere «rammarico» per i danni inferti dai suoi uomini all’aviazione dell’esercito (almeno quattro elicotteri e un aereo da ricognizione Il-22 abbattuti), atti estremamente gravi, costati la vita ad almeno 13 piloti.
Prigozhin ha detto che i suoi uomini sono stati obbligati a rispondere agli attacchi e ha promesso di pagare 50 milioni di rubli di risarcimento alle famiglie dei piloti caduti.
Infine, l’ex «cuoco di Putin» ha ribadito che lo scopo della «marcia» non era il rovesciamento del regime ma la protesta contro le sue disfunzioni. Gli analisti indipendenti russi osservano come Prigozhin abbia interrotto la sua avventura nel momento in cui si è reso conto che la maggior parte dei quadri militari non lo avrebbe seguito, al pari di molti miliziani della stessa Wagner.
L’attenzione è ora tutta rivolta alla Bielorussia di Lukashenko, che secondo Prigozhin ha offerto le condizioni affinché la Wagner possa continuare a operare e dove si starebbero trasferendo i mercenari rimastigli fedeli.
Il loro destino è anche stato oggetto del discorso di Putin che ne ha elogiato il coraggio, suggerendo come siano stati manipolati e confermando che chi non vuole integrarsi nell’esercito può andarsene in Bielorussia. Si tratta di capire come il regime di Minsk si ingegnerà a gestire una situazione del tutto inedita. Ieri sera era anche atteso un discorso alla nazione del leader bielorusso
Commenta (0 Commenti)DA SAPERE . Le origini del gruppo Wagner e la sua affermazione in vari paesi dell'Africa
I mercenari di Wagner sono saliti alla ribalta per la prima volta durante l’invasione della Crimea del 2014, quando hanno sostenuto l’esercito russo. Li abbiamo poi visti in Siria, accanto alle forze di Bashar Al-Assad, per arrivare nel continente africano in Libia, dove hanno sostenuto il generale Khalifa Haftar.
Il Gruppo Wagner è una compagnia militare privata, ma anche una rete opaca di aziende e organizzazioni di influenza politica che godono dell’appoggio implicito dello stato russo. Guidato da Evgueni Prigojine, un oligarca inizialmente vicino al presidente russo Vladimir Putin. Nel gennaio 2023, gli Stati Uniti l’hanno designata «organizzazione criminale internazionale» anche a causa di «numerose esecuzioni sommarie e brutalità contro civili», come documentato dall’Onu nella Repubblica Centrafricana ed in Mali.
Secondo vari studi il gruppo Wagner ha la propria «base operativa ed economica in Africa» dove svolge attività in tredici diversi paesi: Libia, Eritrea, Sudan, Algeria, Mali, Burkina Faso, Camerun, Sud Sudan, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Madagascar, Mozambico e Zimbabwe. Ha attivato collaborazioni in alcuni casi di tipo militare, in altri solo commerciali: l’obiettivo è da un lato di ottenere vantaggi economici, con lo sfruttamento delle risorse locali, dall’altro creare nel continente una rete di governi vicini alle posizioni russe e in opposizione ai paesi occidentali.
I mercenari del gruppo avevano iniziato a operare in Libia dopo la fine del regime di Muammar Gheddafi e l’inizio della guerra civile, e avevano affiancato le milizie del maresciallo Khalifa Haftar nella guerra contro il governo di Tripoli, sostenuto dai paesi occidentali.
La Wagner volta le spalle a Putin e marcia su Mosca: i miliziani si fermano a sud della Capitale
Ma è nella Repubblica Centrafricana che hanno stabilito «la loro partnership più proficua», stima la Global Initiative against Transnational Organised Crime (Gi-Toc) in un rapporto pubblicato nel febbraio 2023. Arrivato nel 2018 per facilitare i trasferimenti di armi e fornire addestramento e protezione, il personale Wagner ha rapidamente preso parte alle operazioni militari contro i ribelli armati che cercavano di attaccare il governo del presidente Faustin-Archange Touadéra. Le loro aziende sono passate dalla sicurezza anche al settore delle risorse naturali, con accesso privilegiato alle miniere d’oro e di diamanti, oltre al controllo di alcuni ministeri.
Una situazione simile si è verificata in Mali. In seguito a due colpi di stato, i rapporti tra Bamako e Parigi, ex potenza coloniale, si sono deteriorati e, dopo il fallimento dell’operazione Barkhane – la forza antiterroristica francese– il ritiro francese ha lasciato campo libero ai russi. Il Mali nega la presenza di mercenari, riconoscendo solo quella di istruttori e addestratori russi, arrivati in virtù di un accordo di cooperazione con la Russia. Ma il capo dell’Africa Command degli Stati Uniti, il generale Stephen Townsend, ha sostenuto lo scorso luglio che il Mali stava pagando a Wagner «10 milioni di dollari al mese, sotto forma di risorse naturali come oro e pietre preziose».
In Sudan, Wagner ha approfittato dell’instabilità per ottenere profitti. Le aziende della rete Prigojine hanno avuto per anni accesso a concessioni minerarie e trafficato in prodotti auriferi sudanesi. Nel conflitto in corso nel paese, Wagner sostiene i paramilitari delle Rapid Support Forces (Rsf) del generale Mohamed Hamdane Daglo, detto Hemetti, ai quali ha fornito in particolare missili terra-aria e sostegno logistico, in particolare nella zona del Darfur.
Dopo i fatti di oggi, bisognerà vedere quali ripercussioni ci saranno anche per i governi locali africani legati sia a Mosca con rapporti economici e militari, ma intrinsecamente affiliati in numerose operazioni militari ai miliziani di Wagner
Commenta (0 Commenti)A MOSCA E RITORNO. Le prove tecniche della guerra civile chiuse da un colpo di scena: la Wagner fa dietrofront
Contrordine. Dopo una giornata convulsa in cui la Russia è sembrata precipitare nella guerra civile, il capo dei mercenari Prigozhin ferma la sua “marcia della giustizia” a 200 km da Mosca. Delusione a Kiev. Ma niente, per Putin, sarà più come prima
Un carro armato della Wagner a Rostov sul Don - Epa
Ieri, la «marcia della giustizia» dell’imprenditore della violenza Evgenij Prigozhin ha marcato un giorno decisivo nella storia della Russia contemporanea, apparentemente conclusosi senza tragedie ma destinato a segnare ancora a lungo gli sviluppi del grande paese. Nella notte di giovedì, l’oligarca ribelle ha raggruppato le sue forze dimostrando di voler fare sul serio nei confronti dei «traditori» a capo del Ministero della Difesa responsabili degli attacchi denunciati contro i suoi mercenari della compagnia Wagner.
LE PRIME scoordinate reazioni dal lato del Cremlino hanno dimostrato come il regime di Putin sia stato colto alla sprovvista dalle mosse di Prigozhin. In particolare, mentre Prigozhin si rivolgeva ai militari, Mosca è parsa esitante sulla fedeltà delle forze di sicurezza di fronte alla sfida. È sembrato che un certo panico serpeggiasse dentro la “verticale del potere” (la catena di comando piramidale facente capo a Putin), in particolare ai livelli intermedi, incerti su cosa e come riferire gli sviluppi sul campo al leader supremo, riflesso di un problema da sempre endemico alla macchina burocratica russa.
IN OGNI CASO, a Mosca scatta lo stato d’emergenza. Posti di blocco vengono allestiti dalle varie branche dell’apparato di sicurezza russo, in particolare l’Fsb (ex Kgb) e la recente Rosgvardija (Guardia nazionale), creata da Putin quale reparto pretoriano a puntello del regime. All’alba, i blindati cominciano a circondare i palazzi del potere a Mosca e a San Pietroburgo.
Iniziano anche i tentativi per far desistere Prigozhin. Il primo viene dal generale Surovikin, a lungo considerato un sodale del capo popolo ribelle, che lo esorta a «fermare le colonne».
IMPASSIBILE, alle 7.30 locali Prigozhin parla da Rostov. Quale un novello Pugaciov, il capo della rivolta cosacca narrata da Pushkin che nel 1773 fu sul punto di rovesciare Caterina la grande, si erge a padrone della principale città del sud della Russia e rinnova gli anatemi contro il Ministero della Difesa. «Le perdite sono state 3-4 volte maggiori di quello dichiarato da Mosca, fino a 1.000 caduti al giorno…Ci arrivano messaggi di sostegno dalle truppe, ci incitano a regolare i conti a fargliela finalmente pagare, a chi ci ha mandato al massacro». Le notizie si susseguono convulse. Fonti vicine alla Wagner riferiscono che Millerovo, importante snodo logistico a Nord di Donetsk e a ridosso del fronte risulta in mano ai ribelli, a cui si arrendono 180 soldati a Bugaevka, nella regione di Voronez.
Mentre Putin continua a tacere, i principali nemici di Prigozhin, il capo della Difesa Shoigu e dello Stato Maggiore Gerasimov, inviano i loro vice a trattare con il dissidente. Spicca in particolare la figura del generale Junus-Bek Evkurov, l’eroe della marcia su Prishtina del 1999, il quale però può solo registrare la determinazione di Prigozhin a «far giustizia e mettere fine a questa vergogna».
Alle 12.00 italiane, infine, Putin rompe gli indugi. Il leader sfidato sgombra il campo da
Leggi tutto: Il giorno più lungo per Vladimir Putin - di Fabrizio Vielmini
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