ROMA. Il presidente brasiliano chiude la sua visita italiana incontrando la stampa. «Nel mondo l’investimento più sacro è sull’educazione»
Il presidente del Brasile Luiz Inacio Lula da Silva durante la conferenza stampa a Roma - foto Ansa
Il modo migliore per aprire un racconto a volte è iniziare proprio dalla fine: così potrebbe essere per la conferenza stampa di Lula ieri a Roma, quando il presidente del Brasile, senza che ci sia stata nessuna domanda al riguardo e in modo del tutto inatteso, denuncia il caso di Julian Assange e cerca di scuotere la stampa ad essere solidale e a richiederne finalmente la liberazione.
«Mi sento indignato con i presunti difensori della libertà di stampa nel mondo – afferma Lula – non è possibile che stia accadendo quello che vediamo: Julian Assange è in carcere perché ha denunciato lo spionaggio americano. Sarà mandato negli Stati uniti dove è probabile che prenderà l’ergastolo, neanche il giornale che ha pubblicato i suoi articoli lo difende, e questo si chiama codardia. Il lavoro che ha fatto meriterebbe rispetto ed elogio da parte di qualsiasi giornalista. Lui ha avuto il coraggio di divulgare e denunciare lo spionaggio Usa, perfino sulla presidente Dilma, come Kirschner in Argentina o Angela Merkel in Germania… E perché la stampa resta così tranquilla mentre questo cittadino è in carcere e sarà estradato? È importante che ci uniamo per dire che bisogna liberare Julian Assange e che ci dicano qual è il crimine che ha commesso. Quindi, voglio esprimere tutta l’indignazione per la mancanza di solidarietà con un giornalista che ha denunciato quello che tutti i giornalisti dovrebbero denunciare».
L’INDIGNAZIONE è un leitmotiv del suo discorso e del dialogo con la stampa presente: indignazione per la guerra, per le diseguaglianze, per i fiumi di soldi spesi in armi, piuttosto che per combattere la fame, ma per fermare questa guerra, non è possibile che le condizioni vengano solo da una parte, come vorrebbero Usa e Ue: «Un accordo di pace non è una resa, ma vuol dire che entrambe le parti debbano
ottenere qualcosa, altrimenti è un’imposizione. Chi sa cosa è necessario per arrivare a un accordo sono gli ucraini e i russi. Il Brasile ha condannato l’occupazione territoriale dell’Ucraina, che sta portando morte e distruzione, ma la Russia non è certamente l’unico Paese ad essere invasore… pensiamo agli Usa in Iraq o Inghilterra e Francia con la Libia». Tra l’altro tutti membri del consiglio di sicurezza dell’Onu, che abusano del loro potere ed esautorano lo stesso consiglio.
«Prima fermare la guerra e poi sedersi per parlare fino a trovare un denominatore comune». Un processo lento ma urgente, secondo Lula, che prosegue. «L’Unione europea avrebbe le condizioni per impegnarsi per la pace, ma è totalmente coinvolta nella guerra… Deve arrivare il momento in cui la ragione prevarrà».
Il presidente brasiliano crede in un terzo fronte non allineato che pur riconoscendo il crimine dell’invasione Russa, possa farsi portatore di un processo diplomatico per la pace: Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Argentina, insieme ad alcuni paesi dell’Africa, con il sostegno fondamentale del papa e della sua personalità autonoma, dal forte spessore giuridico-morale.
NON INVESTIRE IN ARMI E GUERRA, quindi, ma sulla pace e l’educazione, come accaduto in Brasile per l’università nei suoi governi precedenti: «Per quanto non abbia un diploma universitario, sono il presidente del Brasile che ha maggiormente investito nell’università, abbiamo costruito più campus, investito nell’estensione universitaria (terza missione), scuole tecniche e istituti federali… Ora investiamo su un Centro nazionale di ricerca, stiamo facendo scuole a tempo pieno per garantire che i giovani restino il giorno intero, vogliamo alfabetizzare gli studenti nei giusti tempi, visto che dopo la pandemia abbiamo un’enorme quantità di bambini e ragazzi che non sanno né leggere né scrivere… Nel mio governo è proibito utilizzare la parola “peso” quando si tratta di investimenti nell’educazione, il più sacro investimento che possiamo fare in Brasile, come in qualsiasi Paese del mondo, perché così si formano persone qualificate che possono aiutare il Paese ad essere più competitivo. Non esiste nessun modello di Paese che si sia sviluppato senza fare prima investimenti nell’educazione, una priorità insieme al lavoro e alla lotta alla fame».
QUANTO ALLA SINISTRA, in Europa e America latina, deve avere più coraggio nel contrapporsi ai settori conservatori, in particolare sul tema dell’immigrazione: «Dobbiamo costruire un’utopia in grado di sconfiggere l’utopia della destra secondo cui lo Stato non vale niente, lo Stato deve essere debole e l’iniziativa privata risolve tutto. Bisogna fare in modo che il transito delle persone sia tanto libero quanto quello economico. Il denaro circola tra tutti i Paesi senza mostrare il passaporto, ci vuole, quindi, più pazienza, più maturità per difendere i migranti. Persone che fuggono perché non sanno come sopravvivere. L’essere umano è per natura nomade. Alla ricerca di cosa mangiare e come lavorare». Ma precisa che «le differenze ideologiche con Meloni non riguardano la costruzione di relazioni diplomatiche, come in qualsiasi altro Paese del mondo». Completamente assente dal suo discorso invece qualsiasi riferimento a Bolsonaro.
Insomma, un Lula che non nomina l’innominabile e che di fronte a guerre, ad accordi sul clima non rispettati da nessuno, neanche da chi li ha congeniati e stipulati, alla relazione molto tesa tra il presidente del Nicaragua Daniel Ortega, e la chiesa cattolica, a una transizione ecologica sempre più intransitiva, ai problemi con la Francia per l’accordo Ue-Mercosur, veste i panni del mediatore a 360 gradi. E annuncia l’appuntamento in Amazzonia, per la cop – convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – 2025 – perché è lì, con la preservazione della foresta e la valorizzazione della biodiversità, che si possono creare le possibilità affinché la barca del pianeta Terra non affondi sotto i suoi stessi colpi.