Ultimo spettacolo. Il «sistema politico mediatico» che vuole abbattere il governo ha sbagliato mira. Complottava, insieme alle toghe ultraviolette, per colpire Arianna Meloni ma, nonostante gli sforzi della first sister per restare al centro del plot, ha invece affondato Gennaro Sangiuliano
Il «sistema politico mediatico» che vuole abbattere il governo ha sbagliato mira. Complottava, insieme alle toghe ultraviolette, per colpire Arianna Meloni ma, nonostante gli sforzi della first sister per restare al centro del plot, ha invece affondato Gennaro Sangiuliano.
«Stiamo facendo la storia», ha detto l’altro giorno la premier ai Fratelli raccolti intorno alla loro leader, avvertendoli: «Non sono ammessi errori». Peccato – avrebbe potuto aggiungere – se questa grande epopea per ora è un po’ così, zoppicante, anzi fa acqua da tutte le parti, ma come si dice? Dagli errori proviamo a imparare… Niente di nuovo sotto la fiamma, invece. Il solito vittimismo, condito da un tocco di berlusconismo d’antan: a rovinare un eccellente lavoro al ministero della Cultura sono stati l’odio e il gossip.
La feroce sinistra però non ha nemmeno avuto il tempo di accorgersi di avere tanto potere, manifesto o occulto che sia. La ripartenza del governo dopo le vacanze di Giorgia Meloni è stata così precipitosamente rovinosa a causa degli errori inanellati dalla stessa premier -preoccupata di dare il via a uno di quei rimpasti che sai come comincia ma non come finisce – che gli animatori del famoso «sistema politico mediatico» ostile non hanno dovuto fare molto altro che prendere i pop-corn, come Maria Rosaria Boccia suggeriva su Instragram, e assistere a uno spettacolo pieno di colpi di scena.
La redazione consiglia:
Cade lo scudo di Meloni. Il ministro esce di scena
La premier che va in tv dal sussiegoso conduttore Mediaset per annunciare le meraviglie della ripresa autunnale e butta lì giusto una frasetta per chiudere il caso Sangiuliano che sta
montando a causa del micidiale mix di supponenza e goffaggine che caratterizzano un ormai ex ministro la cui inadeguatezza era da tempo sotto gli occhi di tutti.
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La stessa presidente del consiglio che, furibonda per essere stata taggata da «questa persona» (sempre Maria Rosaria Boccia) il giorno dopo occupa un’ora e mezza del suo tempo a palazzo Chigi – con una legge di bilancio alle porte, le casse vuote e il mondo in fiamme – per mettere sotto torchio il ministro in questione. E il giorno dopo ancora lancia il boomerang fatale, scompagina i palinsesti Rai per spedire il ministro a esibirsi in un lungo e imbarazzato mea culpa. Trasformando quella che voleva derubricare a vicenda «personale» (ma senza nessuno scrupolo nei confronti di tutte le persone coinvolte, compresa la moglie del ministro) in emergenza nazionale. E oscurando la notizia di un altro ministro, Raffaele Fitto, probabile vicepresidente esecutivo della Commissione Ue.
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Da lì, un crescendo inarrestabile che non aveva altro finale possibile. Cioè una crisi autoprodotta, autarchica. Cose che possono succedere se si pretende di governare un paese con il coltello tra i denti, circondati solo dal proprio tragicomico clan