Paride Antolini, presidente dell'Ordine dei geologi dell'Emilia Romagna
Esiste una mappa del rischio per le alluvioni? “Certo, nella nostra regione la cartografia è un’eccellenza – risponde Paride Antolini, presidente dell’Ordine dei geologi dell’Emilia-Romagna – Un fiume ha la parte montana, l’uscita a valle e il tratto in pianura: questa è la distinzione, solo che si tratta di interventi complicati. Io vengo additato come ambientalista, ma alle persone vanno dette le cose come stanno. Bisogna capire che possiamo ridurre il rischio, ma non azzerarlo del tutto...”.
Quali gli interventi prioritari?
“La pulizia dei fiumi va bene, ma non basta. Servono interventi strutturali e molti soldi”. Quanti? “Cinque, 10 o 20 milioni non sono sufficienti. Sono opere importanti: spostare gli argini, realizzare casse di espansione, controllare le tracimazioni. Un anno e mezzo non basta, servono decenni. E bisogna partire subito, remando tutti assieme, senza polemiche politiche”.
Parlavamo di una mappa...
“Si parte dal settore montano: qui non si possono fare casse di espansione, non c’è spazio. A Meldola ad esempio ha piovuto tantissimo, più che a maggio 2023 e il paesino si è allagato”. Come si può intervenire? “Trattenere le acque in montagna non è fattibile, l’unica speranza restano i boschi, che però non risolvono tutto. Non c’è molto margine, se non liberare e sgomberare le cosiddette aree di pertinenza fluviali”.
Le dighe ?
“Non bastano. A Ridracoli è stata fatta una grande opera perché il territorio lo permetteva. Se facessimo una diga a Modigliana, dopo non molto tempo sarebbe già colma”. Si arriva così in collina... “Parliamo del tratto fino a Faenza, dove c’è stato il caso di Marzeno e dell’omonimo torrente. Qui l’onda è arrivata violenta e ci sono case che hanno 200 anni, costruite con altre aspettative: i muri sono praticamente sul bordo del fiume. Anche facendo determinati lavori, il rischio alluvioni non si azzererebbe, non c’è nemmeno l’argine: c’è l’alveo e poi, dopo cinque metri, inizia una piana allagabile”.
Un muro?
“Creerebbe una barriera che finirebbe solo per spostare il problema nelle zone vicine. Bisogna capire dove intervenire, magari nelle abitazioni dove arrivano appena 30 o 40 centimetri d’acqua, e dove delocalizzare”.
E a valle?
“C’è il tratto più critico: Cesena, Castel Bolognese, Faenza che è diventata una sorta di cassa di espansione, a discapito
Commenta (0 Commenti)Alluvione La presidente della regione replica agli attacchi della destra: «Mattarella mi ha chiamato, Meloni no». Rientra l’allarme sui dispersi. Priolo: «Attendiamo con impazienza che sia approvato il piano della ricostruzione»
Traversara, frazione del Comune di Bagnacavallo, devastato dalla rottura del fiume Lamone foto LaPresse
Dopo la terza alluvione in due anni in Emilia-Romagna, e con le elezioni regionali in programma il 17 e 18 novembre, si è subito acceso lo scontro politico. Per il governo Meloni, il cataclisma sembra un’occasione da sfruttare per racimolare voti e tentare di strappare il territorio al centrosinistra. Il ministro Musumeci e il viceministro Bignami hanno lanciato le loro accuse in una conferenza stampa convocata mentre in alcune città si stavano ancora soccorrendo le persone sui tetti. Secondo loro, la giunta Bonaccini non avrebbe speso tutti i fondi stanziati dal governo, né fatto un adeguato lavoro di prevenzione in seguito al grave evento di maggio 2023.
IERI LA PRESIDENTE facente funzioni della regione Irene Priolo ha ridimensionato le cifre fornite dal governo e ha affermato che tutti gli oltre 400 interventi previsti sono in corso o completati, per un importo complessivo che supera il miliardo di euro. «Ci eravamo illusi che, almeno stavolta, la destra non facesse becero sciacallaggio. Non è passata la notte che hanno invece già replicato il film dell’anno scorso, diffondendo fake news e moltiplicando attacchi a uso e consumo elettorale», ha detto Priolo, che ha lanciato una frecciata alla premier: «Meloni non mi ha chiamato, ma Mattarella sì, e lo ringrazio tanto».
L’ex governatore Bonaccini, oggi europarlamentare, ha aggiunto che «attaccare i nostri sindaci e amministratori mentre l’emergenza è in corso significa non avere rispetto né delle comunità alluvionate, né delle istituzioni. Se a farlo sono il ministro Musumeci e il viceministro Bignami per il governo, che dovrebbe assicurare sostegno e leale collaborazione, allora siamo precipitati nel punto più basso del senso istituzionale».
DURANTE LA CONFERENZA, Musumeci-Bignami non hanno citato le Marche, colpite negli stessi giorni da frane e allagamenti, ma amministrate dalla destra. E in Emilia-Romagna il governo non è esente da responsabilità, avendo accentrato la struttura commissariale a Roma e affidata a chi non conosce la regione né la visita. Anche le procedure per ottenere i risarcimenti sono state molto complicate, portando tanti alluvionati a rinunciare in partenza.
Ma per i cittadini che in queste ore stanno spalando il fango nelle loro case, più che giocare allo scaricabarile, è fondamentale discutere su come evitare un’altra catastrofe. Il 3 maggio 2023 un’intensa precipitazione provocò la prima alluvione a Faenza, e due settimane dopo, un’altra perturbazione si abbatté su un suolo già compromesso e pieno come una spugna.
Le conseguenze furono apocalittiche: 21 fiumi esondati, allagamenti in 37 comuni, 250 frane, 17 morti e 20.000 sfollati.
Tre giorni fa, in 24 ore è caduta quasi più acqua che nell’intero maggio 2023. Alla fine dell’estate il suolo era più asciutto e le allerte hanno funzionato; perciò gli allagamenti sono stati violenti ma meno estesi, gli sfollati mille e nessuna vittima (i due dispersi a Bagnacavallo sono stati smentiti). Ma se fra 15 giorni dovesse arrivare un altro ciclone Boris, le conseguenze potrebbero essere drammatiche.
A QUESTO PROPOSITO, Priolo ha affermato che «tutti gli interventi programmati sin qui dal commissario e realizzati da regione, enti locali e consorzi avevano l’obiettivo di ripristinare le infrastrutture esistenti (argini, canali, strade). Ma per reggere eventi di questa portata, come ci hanno indicato tutti gli esperti, occorrono interventi strutturali di più ampio respiro. Sono quelli individuati dal piano della ricostruzione che abbiamo concordato col commissario e che attendiamo con impazienza che sia approvato. Per realizzarlo serviranno molti miliardi
Leggi tutto: Emilia-Romagna, lotta elettorale nel fango - di Alex Giuzio
Commenta (0 Commenti)Mille sfollati, si cercano due dispersi, quattro i fiumi esondati: a poco più di un anno di distanza l’Emilia-Romagna, dall’Appennino alla pianura, è ancora travolta da una devastante alluvione. Il governo dei mancati ristori punta tutto sulla polemica politica e attacca la Regione
Dove eravamo Mille sfollati, si cercano due dispersi a Bagnacavallo, quattro i fiumi esondati. E il governo punta tutto sulla polemica politica. Il ministro Musumeci e il viceministro Bignami attaccano la Regione
Soccorsi a via Cimatti, Faenza – foto Ansa
Gli esperti dicevano che le precipitazioni avvenute a maggio 2023 in Emilia-Romagna accadono ogni due secoli. Invece si sono ripetute dopo 16 mesi, in maniera ancora più intensa. 350 millimetri di pioggia caduti in 48 ore, mentre un anno e mezzo fa furono 400 in un intero mese. Dall’Appennino alla pianura, a franare o finire sott’acqua sono gli stessi territori colpiti dalla precedente alluvione, seppure in maniera più ridotta. Ravenna, Forlì-Cesena e Bologna le province più colpite, 4 i fiumi esondati, mille gli sfollati. Il mare in burrasca ha impedito ai corsi d’acqua di scaricare e ha eroso la spiaggia nel riminese. La perturbazione si è accanita anche sulle Marche, provocando allagamenti ad Ancona e frane a San Benedetto del Tronto. Sono le conseguenze del riscaldamento globale di causa antropica, che provoca cataclismi sempre più frequenti e violenti.
SE QUESTA VOLTA ci sono stati meno danni e nessuna vittima (ma resta in dubbio il destino di due dispersi a Bagnacavallo), è perché le precipitazioni si sono abbattute su un suolo più secco e pronto ad assorbire acqua. Anche la prevenzione ha funzionato: con la memoria del drammatico evento ancora fresca, le allerte sono state diffuse, la precauzione elevata, gli ordini di evacuazione rispettati. Resta l’interrogativo sul destino di un territorio molto fragile, più esposto del resto della penisola alle conseguenze della crisi climatica, con l’aggravante di un’eccessiva cementificazione che rende il suolo impermeabile.
SE FINO A POCHI ANNI FA l’Emilia-Romagna era associata a una buona qualità della vita, oggi è percepita come un’area inquinata e antropizzata, dove non si dorme ogni volta che piove forte, e che rischia di diventare invivibile. La riflessione sull’adattamento dovrà essere la priorità di chi governerà la regione dal prossimo novembre; ma finora non è stata al centro del dibattito tra i candidati.
La situazione ha iniziato a essere critica mercoledì pomeriggio, quando stava piovendo da più di 24 ore. Le prime rotture degli argini sono avvenute tra la notte e la mattina di ieri. I fiumi Marzeno, Senio, Lamone e Montone sono esondati in più punti, allagando alcuni quartieri di Faenza, Lugo, Castelbolognese, Bagnacavallo, Casola Valsenio, Forlì e Modigliana. Un’ordinanza regionale aveva imposto la chiusura delle scuole e suggerito di evitare gli spostamenti, la circolazione ferroviaria è stata sospesa. A Traversara, nel ravennate, la forza dell’acqua ha fatto crollare i muri di alcune case e i vigili del fuoco hanno soccorso gli abitanti sui tetti. Resta l’allerta rossa per oggi: le piogge dovrebbero essere meno intense, ma si abbatteranno su un suolo ancora più debole e compromesso.
IN TUTTO CIÒ, IL GOVERNO Meloni ha deciso di fare polemica politica. Protagonisti del teatrino, il ministro della protezione civile Nello Musumeci e il viceministro alle infrastrutture Galeazzo Bignami, che hanno convocato una conferenza stampa per ricordare che «la prevenzione strutturale e infrastrutturale è di competenza delle regioni». I due hanno ripetuto spesso di «non voler fare polemica politica», salvo poi farla: «Ciò che accade quando piove in maniera abbondante è frutto di ciò che abbiamo fatto e non abbiamo fatto in tempo di pace», ha detto il ministro, ricordando che «l’Emilia-Romagna è una delle regioni più cementificate, e questo alimenta il ruscellamento dell’acqua».
Musumeci ha insinuato che la giunta Bonaccini non avrebbe speso tutto il denaro stanziato dal governo dopo l’alluvione del 2023, che «è accaduta perché negli anni precedenti non si è attrezzato il territorio», e ha detto che la regione ha ricevuto quasi 600 milioni di euro negli ultimi 10 anni per interventi ordinari contro il dissesto idrogeologico, invitandola a «fare lo sforzo di dirci come hanno speso questi soldi». Non una parola sulle cause antropiche dell’evento; ma da un governo negazionista, non c’era da aspettarsi altro.
Immediata la replica della segretaria del Pd Elly Schlein: «La destra di governo si è messa subito a fare sciacallaggio politico per fini elettorali». Raggiunto al telefono, il sindaco di Ravenna Michele De Pascale, candidato in regione per il centrosinistra, si è limitato a dire di essere «concentrato nella gestione dell’emergenza. Pensavo che la conferenza stampa desse informazioni utili sulla situazione; ma quando ho capito che era stata convocata solo per fare polemica politica, ho spento la tv e mi sono rimesso al lavoro».
DOPO L’EMERGENZA, bisognerà però ripensare alla gestione del territorio. «Le riparazioni non sono più sufficienti», ha replicato De Pascale. «L’acqua ha colpito le zone dove era stata fatta un’adeguata manutenzione post-alluvione. Bisognerà affrontare il tema in modo strutturale; occorre una riflessione ampia e anche veloce». Sperando che si parta dall’ammettere gli errori del passato
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Su Facebook il meteorologo romagnolo, professionista AMPRO, Pier Luigi Randi, ha dato una spiegazione scientifica del fenomeno che sta investendo in modo drammatico la Romagna.
“… siamo in presenza di un sistema mare-atmosfera “dopato”. Il doping è in quel grafico che evidenzia, nel cerchio rosso, le mostruose anomalie di temperatura superficiale dell’acqua dell’alto Adriatico nel periodo luglio-settembre (fino alla prima decade) 2024. Se ricordate in più di una circostanza si è arrivati a 30°C. Quel calore accumulato in eccesso viene rilasciato, “consumato” e dissipato molto lentamente (l’acqua è pigra) e viene messo “a disposizione” per la parte più bassa dell’atmosfera. Cosa comporta? Stringendo proprio all’osso per non comporre un poema e per facilitare la comprensione:
1) Fornisce una maggiore quantità di vapore acqueo all’atmosfera;
2) Aumenta l’instabilità e il sollevamento atmosferico (più l’aria è calda e umida e più rapidamente si solleva, oltre a contenere più vapore; insomma è più instabile);
3) Rilascia più energia sotto forma di calore latente, rafforzando i sistemi perturbati e/o precipitanti;
4) Favorisce la formazione di rovesci e temporali più intensi sotto il profilo dei ratei di precipitazione.
Ecco che quando arriva un sistema perturbato, nemmeno così intenso come in questi giorni, il “doping” agisce. Peraltro, lo stesso effetto è in buona parte all’origine della catastrofe sui paesi danubiani (nel centro est Europa nei giorni scorsi, ndr): prima una profonda depressione si forma sul Mare Mediterraneo come risposta a un’intensa irruzione fredda dal Mare del Nord e si carica di energia sopra un mare bollente; poi essa si muove verso nord-est in zone dove fino a 24 ore prima c’erano 7/8°C in più della norma con temperature da piena estate, e in più, con la sua circolazione, va a richiamare altra aria calda e umida proveniente da un Mar Nero anch’esso rovente. Ed ecco servito il disastro, amplificato da questo squilibrio. Quindi il “che bello, oggi al mare l’acqua era caldissima e si stava da re” prima o poi presenta il conto.”
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Ursula von der Leyen disegna la nuova Commissione europea a sua immagine. Rigida in economia, in frenata sul Green deal e dura sull’immigrazione. L’ideale per allargare ai conservatori, con l’Italia a fare da battistrada. E cresce il peso dei paesi dell’Est
Fianco destro Oscilla tra europeismo e sovranismo la Commissione presentata da Ursula von der Leyen. Rigidità sui conti e niente sociale
Ursula von der Leyen presenta la nuova Commissione europea – foto di Mathieu Cugnot
Una Commissione molto più a destra di quella precedente, situazione che dipende dai colori dei governi dei 27, a cui si è adeguata con grande agio la presidente Ursula von der Leyen, che oggettivamente aumenta il suo potere personale di esponente del Ppe, anche grazie alla debolezza dei due grandi in Consiglio, la Francia in piena crisi politica e la Germania con il governo Scholz incalzato dalle destre.
È una Commissione liquida, con attribuzioni fluide e spezzettate, che si incrociano, dove a qualche apertura si affianca immediatamente la chiusura, all’europeismo il sovranismo. Il compito della nuova Commissione sarà di rispondere all’angoscia del rischio della «lenta agonia» indicato dal rapporto Draghi: la scelta di bilanciare le appartenenze politiche, mettendo sempre un guardiano pro business per temperare eventuali velleità sociali, segnala la volontà di sacrificare sull’altare della riconquista della competitività regole e protezioni.
L’esempio più chiaro è la transizione climatica: il clima è bilanciato tra la socialista spagnola Teresa Ribera alla Transizione, grande lottatrice che è stata anche negoziatrice Onu sull’ecologia, e l’olandese Wopke Hoekstra al Clima, un rigido ex ministro delle Finanze “frugale”. Per l’Energia c’è il danese socialdemocratico Dan Jørgensen e all’Economia circolare la svedese (partito dei moderati) Jessika Roswall, una seconda scelta per Stoccolma. Le cariche dedite alla spesa sono sotto controllo del polacco Piotr Serafin, esponente del più grosso paese a guida Ppe, molto apprezzato dai “frugali”, che avrà un rapporto diretto con Ursula von der Leyen per tenere stretti i cordoni della borsa.
L’EST è in netta crescita di importanza e la prima certezza, con lo spostamento del potere dalla «vecchia Europa», è la conferma dell’appoggio all’Ucraina: accanto a Kaja Kallas (Estonia, ex prima ministra e candidata sfortunata alla segreteria Nato), che alla Politica estera sostituisce Josep Borrell – e si esporrà anche molto meno a favore dei palestinesi – c’è un
Leggi tutto: A sua immagine, un’Unione più nera e pro business - di Anna Maria Merlo
Commenta (0 Commenti)Il premier inglese Starmer da Meloni per sigillare l’intesa sulle politiche migratorie: «Grande attenzione per il protocollo Roma-Tirana». Il modello italiano fa scuola: sulla deportazione di chi cerca asilo, laburisti e destra vanno a braccetto
Il Labour sporco La premier italiana esulta per l'interesse del governo britannico sul protocollo Roma-Tirana. Rispetto al via libera per i missili a lunga gittata dall’Ucraina alla Russia, invece, resta il disaccordo
Il premier britannico Starmer e la presidente del consiglio italiana Meloni – Ansa
«Secondo me il deterrente più probabile per contrastare l’immigrazione irregolare è colpire le organizzazioni criminali che permettono questa attività. Il precedente governo britannico aveva un approccio di facciata costato 700 milioni di sterline, con il piano Ruanda. Il nostro è più pragmatico: abbiamo già rimpatriato 3mila persone, compreso il volo più grande mai decollato». Bastano queste frasi pronunciate ieri dal premier Uk Keir Starmer alla fine della conferenza stampa con l’omologa italiana Giorgia Meloni per capire che tra i due non c’è solo un feeling occasionale, ma un’intesa profonda. Almeno sulle politiche migratorie, perché sull’altro grande tema del bilaterale, l’Ucraina, le differenze restano.
STARMER E MELONI, ovvero il Labour e Fratelli d’Italia, quindi un certo centro-sinistra e la destra-destra, condividono la stessa interpretazione delle migrazioni: un fenomeno che dipende sostanzialmente dalle organizzazioni criminali. Infatti lei cita Falcone e Borsellino e il loro «follow the money», lui l’esperienza da direttore dell’ufficio del procuratore generale Uk impegnato nella lotta alle organizzazioni jihadiste. Mafia e terrorismo: a questo pensano i due leader quando discutono di migranti.
Da premesse uguali derivano uguali soluzioni: intensificare la lotta ai trafficanti; aumentare la collaborazione giudiziaria, di polizia e intelligence; usare più e meglio Interpol ed Europol creando, propone la leader FdI, sezioni specifiche per il controllo delle frontiere. A dare l’impressione che le ricette italiane funzionino c’è il calo degli sbarchi: -60% sul 2023. Tra Starmer e Meloni aleggia poi il fantasma dell’Albania. Quando al primo, criticato in patria da altri esponenti labour e alcune Ong, viene chiesto se sta ragionando sulla delocalizzazione dei richiedenti asilo, la risposta è elusiva. Dunque è un Sì. Anche perché Meloni è esplicita: «Sul protocollo Roma-Tirana il governo britannico dimostra grande attenzione».
PER LA PREMIER è decisivo incassare questo sostegno. Le recenti pronunce dei tribunali di Palermo e Catania sulle norme per il trattenimento dei richiedenti asilo sono
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