Da Los Angeles a New York la polizia irrompe nei campus mobilitati per la Palestina: sgomberi, manganelli e oltre 1.800 arresti. Biden lascia mano libera alla repressione: «Non siamo un paese senza legge»
STATI UNITI. Gli agenti stanno a guardare quando gruppi a favore dell’intervento militare di Israele a Gaza aggrediscono gli studenti nella notte
Los Angeles, la polizia sgombera e arresta gli studenti mobilitati per la Palestina - Getty Images/Mario Tama
Sono finite con una massiccia operazione di polizia in stile militare le 24 ore di violenza e repressione che hanno segnato la fine dell’occupazione di Ucla. Poco prima dell’alba è scattata l’operazione di sgombero: centinai di agenti del Lapd, dello Sheriff’s department e della polizia stradale che avevano preso posizione sul campus si sono mossi contro gli studenti asserragliati nella tendopoli pro palestinese e altre centinaia di persone che avevano risposto all’appello lanciato dai manifestanti sui social per accorrere a dare man forte.
L’OPERAZIONE è cominciata con lanci di razzi di segnalazione che hanno illuminato a giorno lo spiazzo coperto di tende davanti a Royce Hall e le linee di agenti in assetto antisommossa sono avanzate contro i ragazzi lanciando granate di stordimento. Nelle colluttazioni vi sarebbero stati numerosi contusi. Alle prima luci dell’alba erano ancora visibili dozzine di studenti con le mani fascettate dietro la schiena, in procinto di essere caricati sui pullman che li avrebbero portati verso le carceri cittadine. I fermi si aggiungono ai quasi duemila arresti di studenti in lotta ormai effettuati in tutto il paese.
Il liberalismo anti-sommossa, dagli Usa alla Ue
Nei campus l’intensità e la violenza del conflitto di Gaza sembra aver contagiato e definitivamente compenetrato il corpo politico del paese dove vivono più ebrei di quanti ve ne siano in Israele. Ucla in particolare è sembrata restituire un’allegoria di Gaza e dei territori quando, 24 ore prima dello sgombero, l’accampamento è stato oggetto di un violento attacco da parte di squadre filo israeliane che nella notte di mercoledì hanno assalito il campo con lancio di petardi e fuochi d’artificio contro i ragazzi e ondate di picchiatori che si sono lanciati contro le barriere cercando di sfondare il perimetro difeso dagli studenti. Numerosi studenti sono stati colpiti da
Commenta (0 Commenti)Migliaia in piazza per celebrare la Festa dei Lavoratori e per mobilitarsi per la giustizia sociale. La galleria fotografica da tutta Italia
Se il presente assomiglia così tanto al passato. Se questo Primo Maggio come gli ultimi che l’hanno preceduto costringono l’opinione pubblica a riflettere sui passi indietro che la nostra società ha fatto negli ultimi due decenni, dopo la lunga fiammata di progresso, benessere e conquista dei diritti che ha caratterizzato lentamente ma inesorabilmente il secondo dopoguerra.
Se lo sfruttamento negli appalti ti lascia senza tutele, con paghe da fame e un senso di ingiustizia che sembra incolmabile.
Se la madre di quella ragazza, Luana D’Orazio, morta stritolata in un macchinario in una fabbrica tessile dei dintorni di Prato a poco più che vent’anni, ne aspetta ancora il ritorno a casa, dopo tre anni, anche se sa già che non tornerà. Se il suo bambino sta lentamente dimenticando la sua voce, il suo sorriso, il suo viso persino.
Se pensate che il presente non assomigli così tanto al passato, chiedetelo a uno di quegli edili che ogni giorno cade dall’alto in cantiere e ci rimette la vita, proprio come accadeva cinquanta o settanta anni fa.
O chiedetelo a una donna che deve scegliere tra lavoro e maternità. Perché non ci sono i nidi, perché non ci sono i soldi, perché il suo stipendio è troppo più basso di quello del collega, perché la obbligano a un part time o la scelta diventerebbe obbligata per conciliare i tempi di vita, ma a quel punto non conviene più inseguire una carriera.
Se il Presidente della Repubblica è costretto, nel giorno della Festa dei Lavoratori, a ribadire che mille morti all’anno è un prezzo inaccettabile all’incuria della politica e all’avidità dell’impresa.
Se la Cgil, se Maurizio Landini, se i sindacati sono inchiodati a parlare di questo ogni giorno perché almeno qualcuno lo ricordi al resto del mondo.
Ecco, se il presente assomiglia così tanto al passato, il Primo Maggio continuerà a essere un giorno di mobilitazione più che un giorno di festa. E le piazze continueranno a riempirsi, in attesa che la modernità e il progresso di cui tanto parlano ovunque ci porti davvero a
Leggi tutto: Primo Maggio 2024, se il presente si confonde con il passato - di GIORGIO SBORDONI
25 APRILE - 1 MAGGIO. Non si sono ancora spenti gli echi delle grandi manifestazioni del 25 aprile che arriva oggi la data simbolo della riscossa operaia, dell’autonomia di classe, del senso di dignità del […]
Una manifestazione dei Fridays for future
Non si sono ancora spenti gli echi delle grandi manifestazioni del 25 aprile che arriva oggi la data simbolo della riscossa operaia, dell’autonomia di classe, del senso di dignità del lavoro. Ed è una felice vicinanza quella del 1 maggio con la Liberazione, perché finalmente le riflessioni che vengono spontanee sono quelle sulle grandi questioni. Non solo dell’Italia ma dell’epoca digitale.
All’indomani del grande corteo di Milano, lo scrittore Giacomo Papi osservava che tra le mille voci che si erano levate dai 200 mila, pochissime, se non assenti, erano le voci sullo sfruttamento del lavoro e sulla miserabile condizione dell’occupazione giovanile. E aggiungeva che le bandiere palestinesi erano l’«unico vero collante simbolico e identitario della protesta giovanile». A noi operaisti incalliti viene subito da pensare: ma come, questi ragazzi pretendono di battersi per i diritti altrui e dimenticano o non ne vogliono sapere di battersi per i diritti propri? Poi qualcuno ci suggerisce che la cosa è più complessa. I ragazzi provano un senso d’identificazione col popolo palestinese, lo sentono simile al loro destino. Che è quello di non poter sperare in un futuro.
È vero, la catastrofe climatica ha contribuito a risvegliare la vecchia ossessione del no future ma sarebbe sbagliato sottovalutare il peso che può avere avuto la questione «lavoro» nel produrre questa disperazione.
Perché siamo anche oltre la precarietà, la gig economy, il lavoro povero, siamo entrati in un sistema dove il concetto di «lavoro» non è più legato a un progetto di vita, a un’identità professionale, mentre allo stesso tempo l’esistenza sociale dell’umanità viene sempre più ridotta al mero consumo.
Ma poi qualcuno ci tira per la giacca: «Inutile ripeterle queste cose, guardiamoci attorno. Il lavoro c’era in piazza, eccome, magari era dietro allo striscione Filcams Cgil, pieno di donne e uomini del commercio, della ristorazione, del turismo. Stavano al posto di quelle che negli anni Settanta erano le tute bianche della Pirelli o le tute blu della Breda».
Verissimo, è la forza lavoro della Milano di oggi, quella delle cucine dei ristoranti, delle consegne a domicilio, degli eventi (appena chiuso un Fuorisalone sempre più squallido), la Milano di quelle e quelli che in un anno non riescono nemmeno ad avere cinque giornate coi contributi pagati.
È la Milano degli studi professionali, anche architetti di nome, dove ti tengono in stage e ti fanno firmare disegni coi dati falsificati per ottenere la licenza edilizia. Degli impiegati comunali, delle municipalizzate, che con 1.800 mensili lordi non campano. È la Milano dei marchi della Grande Distribuzione, Auchan, Carrefour, Coin, Decathlon, Despar, Esselunga, Ikea, Leroy Merlin, Metro, Ovs, Pam, Panorama, Rinascente, Zara… che hanno aspettato il 22 aprile per firmare un contratto scaduto a dicembre 2019! E per tutta la durata della pandemia hanno fatto lavorare la gente con contratto scaduto, se accettavano di riconvocare le parti promettevano una miseria, tipo 70 euro, per tirare avanti ancora un anno senza firmare.
Viste da vicino queste storie ti danno un’immagine talmente miserabile dell’imprenditoria e del management che governano
Leggi tutto: Antifascismo e anticapitalismo, il filo tra le due feste - di Sergio Fontegher Bologna
Commenta (0 Commenti)ULTIMA CHIAMATA. Il movimento islamico chiede garanzie sulla proposta mediata dall’Egitto. I raid uccidono decine di palestinesi nel sud di Gaza
La distruzione dopo un raid aereo israeliano a Rafah - foto Ap
La vita di Ghaith Abu Raya è durata appena cinque giorni. Quella di Dhifallah Abu Taha solo un anno. I due bimbi sono morti domenica notte assieme ad altre 25 persone in un bombardamento aereo che si è abbattuto sui quartieri di Janeina, Shaboura e Salam di Rafah dove oltre un milione di persone vivono nella paura di una avanzata israeliana. Ieri sera la Protezione civile cercava i dispersi, inghiottiti dalle macerie delle case di due famiglie: Al Khatib e al Khawaja. Gli uccisi in questi ultimi raid su Rafah, riferiscono gli abitanti, sono almeno 30, tra di essi 12 donne e cinque bambini. A Nuseirat dalla polvere e dai detriti dell’abitazione della famiglia Othmani è emersa ferita ma per fortuna ancora viva Retaj, 10 anni. La bambina andrà ad aggiungersi alle migliaia di minori di Gaza che hanno perduto uno o entrambi i genitori.
A Gaza bombardamenti aerei e cannonate dell’artiglieria si sono fermati una sola volta lo scorso novembre, per sette giorni, durante l’unico cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Poi è stata solo una lunga striscia di sangue, che non ha risparmiato nessuno. Eppure, il mondo comincia a normalizzare la guerra. Pensa che morte e distruzione siano alle spalle. Non è così. E a Rafah l’offensiva israeliana è già cominciata, intermittente, dal cielo per ora, con morti e feriti quotidiani tra i civili palestinesi. Ma gli egiziani, ci spiegano, «negoziano per impedirla» convincendo Hamas a liberare gli ostaggi. Ieri si attendeva la risposta del movimento islamico alla proposta avanzata nei giorni scorsi dall’Egitto. Al Cairo è giunta anche una delegazione israeliana. Sul movimento islamico è in atto un pressing asfissiante affinché accetti quella che il Segretario di Stato Blinken ieri al World Economic Forum di Riyadh ha descritto come un accordo «estremamente generoso». A questo punto, ha detto Blinken – atteso oggi in Israele – «l’unica cosa che separa gli abitanti di Gaza da un cessate il fuoco è Hamas». Non pare proprio.
Circolano diverse indiscrezioni sulla bozza di accordo. Secondo una di queste, l’intesa in discussione prevede il
Commenta (0 Commenti)Li definiscono con la sigla “WCNSF” e sono i 19mila bambini delle 6mila madri uccise. Save the Children in campo per dare loro un futuro
10.000 donne palestinesi uccise a Gaza, di cui circa 6.000 madri che lasciano 19.000 bambini orfani. I dati sono di UN Women, l’ente delle Nazioni Unite attivo nella difesa dell’uguaglianza di genere, si riferiscono ai primi sei mesi di guerra e sono stati pubblicati nell’ultimo rapporto sulla guerra nella Striscia. Dati che ci informano anche che “un bambino viene ferito o muore ogni 10 minuti” e che “più di un milione di donne e ragazze a Gaza non hanno quasi cibo, né accesso ad acqua potabile, latrine, servizi igienici o assorbenti, con malattie che crescono in condizioni di vita disumane”.
Silvia Gison, esperta di diritto umanitario e advocacy di Save the Children spiega in quale situazione vengono a trovarsi i bambini alle quali sono state uccisi le madri: “Vuole dire non avere nessuno a cui riferirsi per riuscire ad accedere alle cure, per ristabilire la proprio rete e cercare di avere un senso di normalità all'interno della striscia di Gaza”. Il problema è così ingente e tanto elevato il numero di bambini senza stato di riferimento che per questo conflitto “gli operatori umanitari hanno creato una sigla WCNSF, ossia bambini feriti, senza familiari sopravvissuti”.
Quanto ci si chiede è anche quale sarà poi il destino di questi minori, quale futuro li attenda, e a questo proposito Gison ricorda che, come Save the Children, “la prospettiva è di cercare di lavorare il più possibile per raggiungere un cessate del fuoco illimitato e duraturo e per garantire l’accesso umanitario in modo tale che possano ricevere le cure e il supporto di cui hanno bisogno da parte della comunità internazionale, perché effettivamente avrebbe la possibilità di portare supporto, quando poi questo conflitto sarà finalmente finito.
Le prospettive però non sono positive ma, in ogni caso, “il tentativo sarà
La campagna della destra parte nel peggiore dei modi. Vannacci propone «classi separate per i disabili» e spara a zero. Alla kermesse di Fdi manager pubblici esibiscono la maglia del partito e il capogruppo Foti si scaglia contro gli studenti. Oggi Meloni in campo. È solo l’inizio
La premier oggi annuncia che correrà da capolista alle europee Ma la scena è per il generale candidato dalla Lega di Salvini
Matteo Savini e Giorgia Meloni - LaPresse
Al secondo giorno da candidato della Lega alle europee, Roberto Vannacci ne spara una delle sue e scatena un putiferio. Anche a destra, e anche nel partito che in cui sarà candidato.
PARLANDO con La Stampa, il generale della Folgore si produce in una sorta di climax delle politiche discriminatorie, riprendendo uno dei suoi classici: esiste una normalità da proteggere e restaurare contro la presunta dittatura delle minoranze, pronte ad assaltare lo stile di vita del maschio bianco italico. «L’italiano ha la pelle bianca, lo dice la statistica», comincia Vannacci. Poi passa agli omosessuali: «Chi ostenta da esibizionista deve accettare le critiche». E l’aborto? «Non è un diritto», assicura il graduato. Fin qui siamo ai giudizi espressi nei suoi libri, manuali del senso comune reazionario. Come quando, nel corso di una presentazione nel bolognese, sembra attingere all’ottuso armamentario delle burocrazia militare per ricostruire in questo modo le botte ai giovani delle scorse settimane: «Gli studenti si pongono nella condizione di essere manganellati». Infine, l’ineffabile Vannacci ribadisce il suo giudizio su Mussolini («Uno statista») e afferma che le scuole debbano differenziare gli studenti «in base alle loro capacità». «Credo che classi con ‘caratteristiche separate’ aiuterebbero i ragazzi con grandi potenzialità a esprimersi al massimo, e anche quelli con più difficoltà verrebbero aiutati in modo peculiare», teorizza il candidato catapultato (e imposto a larga parte del suo partito) da Matteo Salvini in tutte le circoscrizioni al voto di giugno.
LO SMENTISCONO tutti, non solo le opposizioni e le associazioni che si occupano di disabilità. A partire dal ministro dell’istruzione (in quota Lega, non esattamente un liberal) Giuseppe Valditara, che si affretta a rivendicare «le politiche concrete a favore dell’inclusione degli studenti con disabilità» portate avanti dal suo partito e dal governo. Per il vicepresidente della Conferenza episcopale italiana Francesco Savino, le parole di Vannacci «ci riportano ai periodi più bui della nostra storia. Mi permetto di dire, con Papa Francesco, che l’inclusione è segno di civiltà». Paolo Barelli capogruppo a Montecitorio di Forza Italia non potrebbe essere più esplicito quando parla di «elucubrazioni da Capitan Fracassa di cui non si sentiva il bisogno».
GIANCARLO GIORGETTI ci tiene a precisare che Vannacci non è leghista. Da via Bellerio trapela la ridefinizione salviniana: «È un candidato indipendente
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