Sparata militare La premier prova a rideclinare a modo suo il ReArm Europe (senza parlare di riarmo) e boccia la missione di peacekeeping. Nel suo primo discorso "trumpiano" la leader di Fdi mette in guardia da «reazioni emotive» sui dazi
Il governo quasi al completo in Senato (Salvini non c’è) per le comunicazioni della premier – LaPresse
In parte era un copione già scritto, quasi imposto dalle circostanze. Al Senato, nelle comunicazioni in vista del Consiglio Ue che inizierà domani, la premier doveva tenere insieme una maggioranza che sul riarmo europeo la pensa all’opposto. Per quadrare il cerchio e farsi applaudire a scena aperta tanto da Fi quanto soprattutto dalla dissenziente Lega, compito perfettamente assolto, Meloni doveva per forza rideclinare a modo suo il ReArm Eu, addirittura cancellando la parola oscena, «riarmo». Ha proceduto di conseguenza: «Chiediamo di cambiare il nome del piano non per questioni semantiche ma perché è fuorviante. Difesa è molto più del semplice riempire gli arsenali. È cybersicurezza, è difesa dei confini». Dal momento che a minacciare i sacri confini sono gli immigrati i leghisti applaudono con sincero trasporto.
TUTTO SECONDO le previsioni anche nella seconda e altrettanto necessaria manovra di sganciamento, negare di aver già preso impegni sul Piano: «Intanto ci siamo opposti con fermezza all’ipotesi di rendere obbligatorio l’uso di una parte dei Fondi di coesione: non un euro sarà distolto dalla Coesione. Dei 150 miliardi di prestiti parleremo quando saranno chiari i dettagli». Quanto ai 650 miliardi di deficit ulteriore, cosa ben diversa da fondi italiani o europei a disposizione e che potrebbero quindi essere usati altrimenti, «l’Italia valuterà attentamente l’opportunità o meno di attivare gli strumenti previsti». Nulla di deciso insomma. Si valuterà e sia per Salvini sia soprattutto per il preoccupatissimo Giorgetti per ora è sufficiente.
Non un euro sarà distolto dai fondi di Coesione. Dei 150 miliardi di prestiti parleremo quando saranno chiari i dettagli e sul ricorso al deficit l’Italia valuterà attentamenteGiorgia Meloni
ALLA LEGA LA PREMIER fa un’altra concessione. Boccia senza appello la missione di peacekeeping che continuano a ipotizzare inglesi, francesi e una trentina di Paesi “volenterosi”: «È complessa, rischiosa e poco efficace». In ogni caso «l’invio di militari italiani non è mai stato all’ordine del giorno». Senza neppure un riferimento all’eventualità di partecipare invece a una missione Onu.
Non che quell’eventualità sia scomparsa, ma perché citarla ora tanto per irritare Salvini, peraltro assente da un’aula nella quale invece la squadra di governo era al gran completo? Persino sull’esercito comune la premier è conciliante. Neppure quello è «all’ordine del giorno»: casomai il modello Nato, eserciti nazionali integrati, anche perché, come aveva spiegato il giorno prima il ministro Crosetto, quella è l’unica strada percorribile a norma di trattato Nato.
Quello che non era prevedibile è la determinazione con la quale la premier ha piegato la barra verso la sponda americana dell’Atlantico. Senza mai dirlo apertamente, Meloni ha pronunciato ieri il suo primo discorso compiutamente “trumpiano”. Sui dazi mette in guardia da «reazioni emotive» che porterebbero alla rappresaglia, «dazi su dazi», col rischio di finire strangolati dalla spirale inflazione-tassi rialzati.
Sulla tentazione di prendere le distanze dalla nuova America di Donald è drastica e tassativa: «C’è chi mira a dividere l’Europa dagli Usa ma non è immaginabile pensare di garantire la sicurezza dividendo Europa e Usa. Chi pensa che l’Europa possa fare da sola o è ingenuo o è folle».
La premier va oltre. Sul Medio Oriente invoca il ripristino della tregua ma come condizioni necessarie per arrivarci cita solo «il rilascio degli ostaggi e la deposizione delle armi da parte di Hamas». Sull’Ucraina conferma che il suo partito e l’intera maggioranza non hanno mai avuto dubbi su quale parte prendere. Nega molto offesa di aver preso le distanze da Kiev. Rivendica il merito di aver sostenuto l’Ucraina quando c’era chi la dava per spacciata in pochi giorni.
Invece solo grazie alla resistenza eroica degli ucraini e al sostegno dell’occidente oggi si può trattare. Ma va benissimo che a trattare sia il sovrano della Casa Bianca: «Sosteniamo il suo sforzo per la pace». Senza una sillaba sulla necessità che anche l’Europa sieda a quel tavolo e neppure sui 40 miliardi di nuovi aiuti che l’Alta commissaria Kallas propone di stanziare per Kiev e che per il portafogli italiano sono troppi.
MELONI È ANCORA EUROPEA, sia chiaro, la sua non è la posizione di Orbán e neppure di Salvini. Però parla con accento sempre più vicino a quello americano.
Commenta (0 Commenti)Israele rompe la tregua e lancia bombardamenti a tappeto su tutta Gaza già in macerie e senza cibo: 404 palestinesi uccisi, tra loro 150 bambini. Netanyahu: è solo l’inizio, durerà a lungo. La Casa bianca rivendica, l’Unione europea «deplora», nessuno interviene
Palestina Violenti bombardamenti su tutta la Striscia da nord a sud, senza preavviso. 150 bambini tra le vittime. Per Tel Aviv «è solo l’inizio». Colpite le case danneggiate dentro cui si riparavano intere famiglie, scuole-rifugio e tende per sfollati
Parenti e amici intorno ai cadaveri di alcuni dei palestinesi uccisi dai raid israeliani nella notte tra lunedì e martedì, all’ospedale Al-Ahli di Gaza City – Abdel Kareem Hana /Ap
Gli aerei da guerra israeliani hanno bombardato Gaza da nord a sud. Jabaliya, Beit Hanoun, Gaza City, Nuseirat, Deir el-Balah, Khan Younis e Rafah. Anche l’area di al-Mawasi, designata zona umanitaria dalla stessa Tel Aviv. Sono state colpite scuole-rifugio, tende per sfollati, le case danneggiate dentro cui si riparavano intere famiglie. Momen Qoreiqeh, un sopravvissuto, ha raccontato ai giornalisti di Al Jazeera di essere riuscito a recuperare 26 cadaveri, tutti membri della sua famiglia, ammazzati insieme mentre dormivano.
«MASSACRI DI CIVILI», li ha definiti Medici senza frontiere (Msf), che ha contato decine di morti e feriti nelle cliniche che gestisce. Nell’ospedale Nasser di Khan Younis l’unità di terapia intensiva pediatrica si era già riempita ieri mattina. Il direttore dell’Al-Shifa ha dichiarato che ogni minuto un ferito muore a causa della mancanza di risorse mediche. Medicine, attrezzature, personale: le strutture sanitarie dove vengono portati i feriti sono le stesse ridotte al collasso da quindici mesi di bombardamenti, dall’assedio dei militari israeliani, dal nuovo blocco di carburante e di aiuti. Due mesi di cessate il fuoco non sono certo bastati a recuperare la piena funzionalità.
GLI ABITANTI si sono ritrovati, ancora una volta, a organizzare preghiere funebri negli obitori improvvisati, i feriti sono stati adagiati sui pavimenti delle strutture ospedaliere, spesso senza la possibilità di essere assistiti. L’Unicef ha espresso enorme preoccupazione per la vita dei bambini, più di un milione nella Striscia, che stanno «sopportando il peso di questa guerra». Human Rights Watch ha affermato che Israele sta violando il diritto internazionale e ha chiesto ai Paesi occidentali di bloccare l’afflusso di armi verso Tel Aviv.
Insieme alle bombe sono ricominciati anche gli ordini di sfollamento forzato. Con le modalità che agenzie internazionali e organizzazioni umanitarie avevano già delineato in passato: comandi poco chiari, a volte contraddittori sulle zone sicure verso cui dirigersi.
Tutta la città di Beit Hanoun, nel nord di Gaza, è sotto ordine di
Leggi tutto: Israele scatena l’inferno promesso, 404 morti a Gaza - di Eliana Riva
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Il Families Forum, la più grande associazione di familiari di ostaggi in Israele, ha chiesto al primo ministro Benjamin Netanyahu di «smettere di uccidere» i loro cari, dopo i raid lanciati nella notte dall'Idf su Gaza. «Le famiglie degli ostaggi chiedono un incontro questa mattina con il primo ministro, il ministro della Difesa e il capo della squadra negoziale, durante il quale verranno chieste garanzie su come gli ostaggi saranno protetti dalla pressione militare e come ci si aspetta che vengano riportati indietro», afferma l'associazione in un comunicato stampa, prima di concludere: «Smettete di ucciderli (...) adesso!».
Un funzionario di Hamas ha affermato che il movimento «sta lavorando con i mediatori per frenare l'aggressione di Israele».
L'esercito israeliano (Idf) ha ordinato l'evacuazione dei residenti della Striscia di Gaza che si trovano nelle zone confinanti con Israele.
Rearm Europe Oggi e domani i voti in Parlamento: tensioni sulla risoluzione Pd. La leader: «La linea é quella uscita dalla direzione». M5S e Avs nettamente contrari al piano di von der Leyen. Possibili voti incrociati con la sinistra Pd. I riformisti tentati dallo strappo. Decaro frena: «Elly autorevole, non serve il congresso»
«Nessun arretramento sulla linea del no al piano von der Leyen sul riarmo». Dopo una giornata di contatti frenetici tra le anime del partito, i dem arrivano al voto di oggi in Senato (domani alla Camera) sulle comunicazioni della premier Meloni in vista del consiglio Ue del 20 e 21 marzo mettendo nel conto ulteriori divisioni.
SCHLEIN, DOPO I 10 VOTI favorevoli a Strasburgo della settimana scorsa (11 gli astenuti) ha deciso di tirare dritto per la sua strada. E così la risoluzione che oggi il Pd presenterà a palazzo Madama, a quanto si apprende, non conterrà passi indietro. «Non c’è da fare nessuna sintesi, la linea è quella uscita dalla direzione ed è un secco no al riarmo dei singoli stati europei», spiega un esponente dell’area Schlein. Il lavoro di mediazione delle ultime ore è stato più politico che di merito.
«Cerchiamo la massima unità possibile», spiega un altro esponente vicino alla segretaria. Mettendo nel conto che, in Parlamento, ci possano essere dei voti in dissenso rispetto alla linea ufficiale. Anche se i numeri di Camera e Senato non fanno pensare a un pareggio tra favorevoli e contrari alla linea Schlein, ma ad una netta maggioranza a favore della segretaria. Che ha dato mandato ai capigruppo Boccia e Braga, e al responsabile esteri Peppe Provenzano, di mettere giù un testo non ambiguo, poco democristiano, in cui il no al piano di riarmo da 800 miliardi della commissione Ue sia piuttosto esplicito.
STAMATTINA IL TESTO SARÀ sottoposto alla riunione congiunta di deputati e senatori, prima che Meloni prenda la parola a palazzo Madama alle 14.30. In quella sede si capirà quanto sarà ampia l’area del dissenso. «Il Pd vuole un’Europa federale e un sistema di difesa comune, ma dice no al piano di riarmo degli Stati nazionali», ha chiarito Francesco Boccia ieri sera ai tg. Secondo Schlein il mandato ricevuto dalla direzione di fine febbraio è molto chiaro: la sua relazione fu votata all’unanimità, ma molti della minoranza non presero parte al voto.
OLTRE AI DUE CAPIGRUPPO e a Provenzano, ieri pomeriggio il testo è stato esaminato da una squadra che comprende anche Alessandro Alfieri (coordinatore della minoranza riformista), Enzo Amendola e Stefano Graziano. La discussione si è incagliata ed è stata interrotta proprio sul giudizio sul piano di riarmo: la prima formulazione sulla necessità di una «modifica radicale» sarebbe stata attenuata su richiesta della minoranza, senza però cambiare il senso della risoluzione che chiede di cambiare il progetto di riarmo nazionale in direzione di una difesa e di una politica estera comuni dell’Ue.
Un piccolo segnale di apertura che però non cambia le carte in tavola: Schlein, a differenza del grosso della minoranza a partire da Paolo Gentiloni e Pina Picierno, vuole che il no al piano di riarmo sia chiaro. Ed è disposta a sfidare i riformisti fino alla conta in aula. Che non ci sarà oggi al Senato, visto che sarà messa al voto solo la risoluzione della maggioranza di centrodestra su cui tutti i dem dovrebbero votare no.
Ma che arriverò domani alla Camera. Dove si voteranno tutte le mozioni, comprese quelle del M5S, di Avs, e dei centristi. E i dem si potrebbero spaccare anche su quelle delle altre opposizioni, con l’ala sinistra disponibile a votare parte di quelle di contiani e rossoverdi e la destra interna più sensibile alle ragioni di Calenda (che ripresenterà la risoluzione approvata giorni fa a Strasburgo) e Renzi.
IL TESTO DEL M5S È MOLTO netto, chiede al governo di «sostituire integralmente il piano di riarmo europeo» con investimenti su sanità, istruzione, welfare e occupazione. E di «interrompere immediatamente la fornitura di materiali d’armamento» a Kiev. Più vicine le posizioni tra Pd e Avs. «Ribadiremo con forza la nostra contrarietà al riarmo nazionale», spiega il capogruppo in Senato pepe De Cristofaro. «La proposta von der Leyen è profondamente sbagliata e pericolosa: spendere 800 miliardi di euro in nuove armi significa uccidere l’Europa così come è stata pensata dai padri fondatori». Tutti e tre i partiti di opposizione dicono all’utilizzo dei fondi di coesione Ue per il riarmo.
SUL FRONTE PD, L’ESITO del voto in Parlamento sarà dirimente per capire se ci sarà una accelerazione dello scontro interno, fino a un congresso anticipato o a un referendum tra gli iscritti sulla politica estera. Ieri Picierno, dalla pagine del Foglio ha bombardato il Nazareno: «Arrivano decisioni dall’alto senza che ci si confronti: l’uomo solo, anzi la donna sola al comando non è un modello che va bene al Pd». Per poi correggere il tiro in serata e spiegare che «nel Pd continuiamo a lavorare per l’unità, il mio impegno è assolutamente teso nella direzione di comporre posizioni complementari. E’ la fatica che abbiamo sempre fatto nella costruzione del Pd».
Antonio Decaro, europarlamentare e in pole position per la corsa a governatore della Puglia, più volte evocato in questi giorni come candidato anti-Schlein al prossimo congresso, getta acqua sul fuoco: «C’è una segretaria autorevole ed è pienamente titolata a terminare il suo mandato. Né l’Italia né il Pd in questo momento hanno bisogno di un nostro congresso: dobbiamo lavorare, uniti, per costruire un progetto di governo credibile e alternativo alle destre».
Commenta (0 Commenti)«Parleremo di terreni e centrali elettriche, vedo ottime possibilità di porre fine alla guerra…». Trump punta tutto sulla telefonata prevista per oggi con Putin, quasi un colloquio d’affari privato per spartirsi il bottino, che taglia fuori l’Ucraina e irride il riarmo dell’Europa
Non riattaccare Sul tavolo, dicono fonti anonime, il riconoscimento della Crimea «russa». Con o senza Onu
Putin al telefono nell’ufficio di San Pietroburgo – foto Ap/Alexander Kazakov
Dopo la mezzanotte di lunedì, ora di Washington, è arrivata la notizia: dall’Air Force One che lo riportava da Mar-a-Lago alla Casa bianca, Donald Trump ha annunciato di voler parlare al telefono con Putin e che lo avrebbe fatto nella mattinata di oggi, martedì.
In un’intervista alla Cbs Steve Witkoff, inviato della Casa bianca per il Medio Oriente, aveva già annunciato la telefonata entro la settimana: stavolta, ha detto Witkoff, il confronto tra i due potrebbe segnare una svolta reale per la guerra in Ucraina, visto che «le distanze tra le due parti si sono ridotte» e ci possono essere «progressi reali» nelle trattative.
LA TELEFONATA DI OGGI è la prima conversazione nota tra i due leader da quando Putin ha esposto le sue condizioni per un cessate il fuoco e Kiev ha accettato di aderire a una tregua di un mese, accordo sostenuto dagli Usa a patto che la Russia faccia lo stesso. Trump ha detto di aspettarsi di discutere con Putin di questioni territoriali e del destino delle centrali elettriche ucraine.
Secondo fonti anonime riprese da Semafor, l’amministrazione Trump starebbe valutando il riconoscimento della Crimea come russa nel tentativo di mettere fine alla guerra, o per lo meno la possibilità per gli Stati uniti di premere sull’Onu affinché riconosca la Crimea come territorio russo. «Vogliamo vedere se possiamo porre fine a quella guerra – ha detto Trump – Forse possiamo. Forse non possiamo, ma penso che abbiamo ottime possibilità». Quando gli è stato chiesto quali concessioni avrebbe fatto la Russia, Trump ha risposto che si sono svolte conversazioni su una «divisione» dei beni: «Parleremo di terreni. Parleremo di centrali elettriche. Penso che molto di ciò sia già stato discusso a lungo da entrambe le parti, Ucraina e Russia».
MENTRE SCRIVIAMO non è ancora chiaro quali garanzie di sicurezza riceverà l’Ucraina per proteggersi da futuri attacchi russi, o se Trump otterrà delle concessioni significative da parte di Putin, ma il morale alla Casa bianca è alto.
IL SEGRETARIO di stato Marco Rubio ha definito «promettente» sia la telefonata di oggi che il recente incontro tra Witkoff e il presidente russo. Intervenendo sulla
Leggi tutto: Trump chiama Putin: «Pace vicina» - di Marina Catucci NEW YORK
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Due persone camminano tra le macerie dei bombardamenti a Gaza, via Getty Images
Oggi un Lunedì Rosso dedicato al sussulto.
Quello che dalle viscere bollenti dei Campi Flegrei serpeggia fino alle superfici, crepando i muri e le certezze di chi li abita.
O il sussulto che, innescato ormai da mesi, non accenna a calmare: cresce la protesta contro il governo in Serbia, le strade di Belgrado stordite dall’enorme folla che le attraversa.
Sussulti percorrono le borse, i board delle multinazionali e le riunioni di vertice: una guerra commerciale di dazi si profila all’orizzonte, ma a perderla potrebbero essere tutti.
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