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"Attacchi terroristi a villaggi israeliani" per dire resistenza all'occupazione della Cisgiordania, proprio non possiamo farlo passare. Se è davvero apologia di reato, come sostiene Francesca Albanese (Relatrice Special ONU sulla Palestina), lo si deciderà nelle sedi opportune; ma come persone del mondo della scienza e della ricerca abbiamo il dovere di mobilitarci contro queste falsificazioni funzionali a un genocidio.

Egregio direttore,

Le scriviamo in qualità di esponenti del mondo della ricerca e della scienza, preoccupati per la circolazione di notizie false o fuorvianti nella sfera pubblica, particolarmente problematiche in caso di conflitti potenzialmente in grado di scatenare reazioni di estremismo o addirittura di odio. Ci sentiamo in dovere di segnalare al vostro giornale il frequente uso di una terminologia altamente problematica e di informazioni parziali per quanto riguarda il genocidio ad opera di Israele sul popolo palestinese, sulla quale esiste una vastissima documentazione, nonché una lunga serie di risoluzioni giuridiche che chiariscono i termini della questione

Vogliamo segnalare che un titolo dell’edizione online di ieri mattina (1 settembre) sulla situazione in Cisgiordania conteneva una gravissima falsità, reiterata nel testo dell'articolo: “Attacchi terroristici contro villaggi israeliani". E' noto che in Cisgiordania è in corso un'occupazione illegale da parte dell'esercito di Israele, in violazione dei confini stabiliti dagli accordi internazionali, al rispetto dei quali è vincolata la stessa accettazione di Israele come membro dell'ONU. Specialmente dopo il parere della Corte Internazionale di Giustizia del luglio 2024 sull’illegalità dell’occupazione israeliana nel territorio palestinese, non si può parlare di "villaggi israeliani" per riferirsi a degli avamposti militari o colonie illegali in un territorio occupato, a meno che chiamandoli così non ci si voglia apertamente dichiarare favorevoli all’occupazione illegale e contraria alle risoluzioni ONU. Per il diritto internazionale un popolo che vede violati i propri confini assegnati ha il diritto di difendersi contro l'occupante, anche attraverso l'uso delle armi. Non sussiste quindi la definizione di "terrorismo" applicata alla resistenza palestinese all'occupazione della Cisgiordania. Per maggiore comprensione del retroscena, si veda il seguente articolo pubblicato pochi giorni fa dalla professoressa Paola Caridi, autrice del libro "Hamas: dalla resistenza al regime": https://www.valigiablu.it/israele-guerra-gaza-cisgiordania-palestina/

L'errore, voluto o inconsapevole che sia, commesso dal vostro giornale è stato rilevato oggi anche dalla Relatrice speciale ONU per la Palestina e i territori occupati, Francesca Albanese, che ha ipotizzato la possibilità che configuri un’apologia di reato a mezzo stampa (https://x.com/FranceskAlbs/status/1829858032429232486), vista la recente risoluzione della Corte Penale Internazionale che condanna l'occupazione israeliana della Cisgiordania, richiedendo a tutti gli stati membri del Trattato di Roma di evitare qualunque forma di collaborazione con tale violazione. A questo proposito, segnaliamo l’articolo di Craig Mokhibar “Western media can be held legally accountable for its role in the Gaza genocide” su Mondoweiss (24 agosto 2024), in cui si analizza la possibile corresponsabilità di molti media occidentali nel genocidio del popolo palestinese da un punto di vista legale. https://mondoweiss.net/2024/08/western-media-can-be-held-legally-accountable-for-its-role-in-the-gaza-genocide/ .

Indipendentemente dalla loro rilevanza giuridica, che verrà valutata nelle apposite sedi, questo tipo di imprecisioni creano nell'opinione pubblica una interpretazione altamente fuorviante della natura degli eventi in corso, parallela a quella creata dalla diffusione di fake news sulle reti sociali, e aggravata dalla responsabilità e dall'autorevolezza della testata che le pubblica. E' noto come la diffusione di notizie false crei polarizzazione e tensione sociale, rappresentando un ostacolo per lo svolgimento di un libero dibattito nella sfera pubblica e per la stessa tenuta democratica del paese. Anche la diversa rilevanza data agli ostaggi o ai morti di parte israeliana o di parte palestinese risulta fuorviante, poiché oscura l’immensa sproporzione delle perdite subite nonchè l’asimmetria fra le posizioni delle parti coinvolte, come se solo una delle parti del conflitto abbia diritto a veder riconosciuto il proprio lutto, mentre l’altra viene ridotta a meri numeri.

Commissioni ONU e Tribunali internazionali sono gli strumenti collettivi sviluppati dalla comunità internazionale per creare una base condivisa di interpretazione e reazione agli eventi globali. Non dubitiamo che il vostro giornale ne riconosca l'importanza cruciale, soprattutto di fronte ad eventi catastrofici come quelli in corso a Gaza, e con l'ombra di un'escalation del conflitto che incombe. Chiediamo quindi di pubblicare la presente lettera, di correggere il titolo in questione, e, per il futuro, di controllare con più attenzione la correttezza delle notizie rispettando il diritto internazionale nelle definizioni usate per parlare di Palestina e Israele.

Cordialmente,

Danilo Aceto, Università di Roma Tor Vergata
Chiara Acciarini, Università di Torino
Antonino Adamo, Consiglio Nazionale delle Ricerche
Marco Adezati, ex Dirigente scolastico Genova
Marta Alacevich, illustratrice
Alessandra Algostino, Università di Torino
Marco Ammar, Università di Genova
Lucia Amorosi, Scuola Normale Superiore
Andrea Arosio, studente, Alma Mater Studiorum Università di Bologna
Andrea Balduzzi, ex Università di Genova
Antonio Banfi, Università Milano Bicocca
Rosa Barotsi, Università di Modena e Reggio Emilia
Matteo Bassoli, Università degli Studi di Padova
Alberica Bazzoni, Università per Stranieri di Siena
Claudia Bellomo, avvocata, Messina
Marta Benedetti, collaboratrice scolastica a Castelbolognese, RA,
Filippo Bianchetti, medico di base, Varese
Alessandra Bonazzi, Università di Bologna
Sara Borrillo, Università di Napoli L’Orientale
Franco Camandona, medico, Genova
Alessia Carnevale, Università di Napoli l’Orientale
Estella Carpi, University College London
Aurelio Castro, Alma Mater Studiorum Università di Bologna
Antonietta Chiodo Reporter Indipendente e Fotografo
Francesco Cipriani, medico emergenza-urgenza USL Toscana centro.
Francesca Collotto, USL Toscana centro
Stefania Consigliere, Università di Genova
Angelo Cremone, “Sardegna pulita”
Carmela Maria Cordaro Avvocata Messina
Mariateresa Crosta, Istituto Nazionale di Astrofisica
Paolo Cuttitta, Università di Genova
Alice Dal Gobbo, Università di
Pietro De Andrea, Università di Torino
Alessandra De Rossi, Università di Torino
Ilaria Del Mastro, infermiera, Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata, Roma
Nadia De Luca, infermiera, Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata Roma
Melania Del Santo, Istituto Nazionale di Astrofisica
Parisina Dettoni, Casa delle Donne, Milano
Alessia Di Eugenio, Università di Bologna
Sevgi Doğan, Scuola Normale Superiore
Marco Ferigo, Università di Padova
Francesca Forti, Università degli studi di Milano
Lia Forti, Università dell’Insubria
Federica Frazzetta, Scuola Normale Superiore
Annalisa Frisina, Università di Padova
Micaela Frulli, docente, Università di Firenze
John W. Gilbert, Università di Firenze
Silvia Giolito, infermiera Spallanzani Roma
Francesca Geymonat, Università degli Studi di Torino
Gianmarco Giovannardi, Univeristà di Firenze
Giulia Gozzelino, Università degli Studi di Torino
Arianna Grasso, Università degli Studi Napoli L’Orientale
Maria Elena Indelicato, Centro di Studi Sociali, Università di Coimbra.
Elisabetta Ladisa, Ex Università degli Studi di Bari - Aldo Moro
Michele Lancione, Politecnico di Torino
Daniela Leonardi, Università degli Studi di Torino
Roberta Lippi, autrice e giornalista
Erika Magarelli, Università di Bari
Cosimo Magnelli, insegnante, Pistoia
Bruno Maida, Università di Torino
Anna Maria Mainardi, artista
Paola Manduca, ex Università di Genova
Giorgio Mariani, Sapienza Università di Roma
Achille Marotta, Istituto Universitario Europeo
Luisa Memore, medico
Massimo Menegazzo, Lo Gnekko OdV ETS
Lorenza Morosini, psicologa
Francesca Merz, ricercatrice indipendente
Fabio Nascimbeni, ricercatore, Torino
Francesca Navarro, Università degli Studi di Milano
Alessandra Negro, Milano
Lea Nocera, Università di Napoli L’Orientale
Elvira Olivini, Milano
Lia Pacelli, Università di Torino
Carla Pagano, Università di Napoli L’Orientale
Gianna Palmieri, Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)
Carla Panico, Università di Coimbra
Cecilia Paolin, Milano
Annalisa Pascarella, IAC-CNR
Valentina Pazè, Università di Torino
Andrea Penoni, Università degli Studi dell’Insubria
Caterina Peroni, CNR-IRPPS
Antonello Petrillo, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa - Napoli
Chiara Pilotto, Università di Bologna
Daniela Pioppi, Università di Napoli L’Orientale
Stefano Portelli, Università Roma Tre
Salvatore Prinzi, Consiglio Nazionale delle Ricerche
Paola Rivetti, Dublin City University
Erica Romano, medico veterinario, Roma
Giulia Rossi, terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva, Milano/Torino
Jalna Rossi, medico veterinario, Milano
Susanna Rossi, medico oncologo, Empoli
Paola Sacchi, Università di Torino
Chiara Sambalino,medico medicina interna, USL Toscana Centro
Giovanna Santanera, Università di Milano-Bicocca
Marina Serina, insegnante di yoga
Laura Sferch, docente, Liceo scientifico Casiraghi, Cinisello Balsamo
Simone Sibilio, Università Ca’ Foscari Venezia
Andrea Sottile, Università Statale di Milano
Chiara Tenti, Università degli Studi di Padova
Andrea Teti, Università degli Studi di Salerno
Caterina Tono, Università di Padova
Valentina Trabucchi, osteopata, Milano
Simona Troilo, Università dell’Aquila
Francesco Vacchiano, Università Ca’ Foscari, Venezia
Mariangela Matilde Ventura, Università degli Studi di Napoli - Federico II
Paola Voltolina, medico, Genova
Sofia Venturoli, Università di Torino
Giuliana Zega, insegnante, Milano
Cosimo Magnelli, insegnante, Pistoia
Bruno Maida, Università di Torino
Anna Maria Mainardi, artista
Paola Manduca, ex Università di Genova
Giorgio Mariani, Sapienza Università di Roma
Achille Marotta, Istituto Universitario Europeo
Luisa Memore, medico
Massimo Menegazzo, Lo Gnekko OdV ETS
Lorenza Morosini, psicologa
Francesca Merz, ricercatrice indipendente
Fabio Nascimbeni, ricercatore, Torino
Francesca Navarro, Università degli Studi di Milano
Alessandra Negro, Milano
Lea Nocera, Università di Napoli L’Orientale
Elvira Olivini, Milano
Lia Pacelli, Università di Torino
Carla Pagano, Università di Napoli L’Orientale
Gianna Palmieri, Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)
Carla Panico, Università di Coimbra
Cecilia Paolin, Milano
Annalisa Pascarella, IAC-CNR
Valentina Pazè, Università di Torino
Andrea Penoni, Università degli Studi dell’Insubria
Caterina Peroni, CNR-IRPPS
Antonello Petrillo, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa - Napoli
Chiara Pilotto, Università di Bologna
Daniela Pioppi, Università di Napoli L’Orientale
Stefano Portelli, Università Roma Tre
Salvatore Prinzi, Consiglio Nazionale delle Ricerche
Paola Rivetti, Dublin City University
Erica Romano, medico veterinario, Roma
Giulia Rossi, terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva, Milano/Torino
Jalna Rossi, medico veterinario, Milano
Susanna Rossi, medico oncologo, Empoli
Paola Sacchi, Università di Torino
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Marina Serina, insegnante di yoga
Laura Sferch, docente, Liceo scientifico Casiraghi, Cinisello Balsamo
Andrea Sottile, Università Statale di Milano
Chiara Tenti, Università degli Studi di Padova
Andrea Teti, Università degli Studi di Salerno
Caterina Tono, Università di Padova
Valentina Trabucchi, osteopata, Milano
Simona Troilo, Università dell’Aquila
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Mariangela Matilde Ventura, Università degli Studi di Napoli - Federico II
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Sofia Venturoli, Università di Torino
Giuliana Zega, insegnante, Milano

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Li fermi chi può. Il premier israeliano descrive come fondamentale il controllo del confine tra l’Egitto e la Striscia, dove ieri ci sono stati 50 morti

 

La musica come inno alla vita e regalo ai bambini. È la sfida che lancia alla morte Yusef Saad, talento 15enne dell’oud arabo. Ogni giorno, incurante della minaccia dei raid aerei israeliani, con lo strumento legato alla schiena, Yusef percorre in bicicletta le strade devastate del campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza. Canta e suona per i bambini che da 11 mesi vivono orrori quotidiani. «Un tempo le case di Jabalia erano piene di sogni», ha detto il giovane musicista a una agenzia di stampa, osservando le macerie del campo profughi che prima della guerra era edificato e densamente popolato. «Quei sogni se ne sono andati, ma noi ragazzi della Palestina ci sforziamo di restare resilienti, anche di fronte al genocidio» ha aggiunto Yusef che studiava al Conservatorio nazionale di musica «Edward Said» ridotto dalle bombe in un cumulo di pietre e tubi contorti di metallo come gran parte della Striscia.

Essere bambini a Gaza è una lotta quotidiana per la sopravvivenza, con la speranza che restino vivi i propri genitori. Gli orfani sono alcune migliaia, vivono con parenti quando va bene o con estranei. Ieri mentre i funzionari dell’Onu e dell’Oms continuavano la campagna vaccinale che dovrà scongiurare la poliomielite – sono 187mila su 640mila i bambini già vaccinati – i bombardamenti israeliani facevano altri morti a Gaza. Quasi 50 da martedì, di cui 18 ieri. In Cisgiordania, a Kafr Dan, si sono celebrati i funerali di Lujain Musleh, la ragazza di 16 anni uccisa due giorni durante una incursione dell’esercito israeliano. Jenin e il campo profughi di Nur Shams (Tulkarem) sono al centro dell’operazione «Campi Estivi» che in una settimana ha ucciso 33 palestinesi, in gran parte combattenti ma anche civili, e distrutto strade, edifici, infrastrutture. Hebron, nel sud della Cisgiordania, è isolata da quando, a inizio settimana, un palestinese ha ucciso tre poliziotti.

Non finirà presto la guerra, non ci sarà il cessate il fuoco a Gaza nonostante a richiederlo non siano più solo i palestinesi e la società civile internazionale. Anche centinaia di migliaia di israeliani invocano lo stop alla guerra come unica strada per riportare a casa i 101 ostaggi nella Striscia. Il premier israeliano Netanyahu, durante un incontro ieri sera con la stampa estera, ha ribadito numerose volte che Israele non rinuncerà al controllo del Corridoio Filadelfia tra Gaza e l’Egitto, unica strada, a suo dire, per liberare gli ostaggi. Appena poche ore prima il ministro degli Affari strategici Ron Dermer, in un’intervista con Bloomberg aveva lasciato aperta la possibilità di un ritiro completo dell’esercito israeliano nella seconda fase dell’accordo di tregua che propongono Usa, Qatar e Egitto. Al contrario Netanyahu è stato categorico nell’escludere questa soluzione. «Gaza non può avere un futuro se rimane porosa e se si consentirà il riarmo di Hamas attraverso il Corridoio Filadelfia». Ai giornalisti che gli hanno fatto notare che le famiglie degli ostaggi lo accusano di aver scelto il controllo del confine tra Gaza e l’Egitto e di aver rinunciato a salvare i sequestrati, il primo ministro ha risposto che Hamas potrebbe far uscire gli ostaggi da Gaza per portarli in Iran o nello Yemen se Israele non controllasse più il Corridoio Filadelfia. All’inizio della conferenza stampa, Netanyahu aveva parlato di Israele come di un «piccolo paese, uno dei più piccoli al mondo» minacciato da Hamas e l’Iran. Avrebbe dovuto aggiungere che «il piccolo Israele» è uno degli Stati più forti militarmente al mondo, che possiede la bomba atomica e gode del sostegno degli Stati uniti

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Il rimpasto si chiama «perezavantazhennia»: dal governo dell’Ucraina si dimettono 5 ministri, vari boiardi e chissà chi altro ancora. Come l’incursione nel Kursk, è una fuga in avanti: pochi se ne andranno davvero. La guerra continua, senza sbocchi. E Zelensky con lei

Il gattopardo. Dopo giorni di indiscrezioni pubblicata la lista dei nuovi ministri, poche le reali novità. Continuano gli attacchi russi sulle città ucraine: a Poltava i morti sono arrivati a 53 e ieri a Leopoli ci sono state 7 vittime. I russi avanzano in direzione di Pokrovsk

Il rimpasto che non c’è. Kiev cambia i ruoli ma restano tutti Volodymyr Zelenskyy alla presentazione degli F16 ucraini - foto Ap

«Perezavantazhennia vlady» lo chiamano in ucraino. La prima parola significa «ricomposizione, reset» è la stessa che si usa quando si riavvia il telefono o il computer, oppure quando si vuole far ripartire qualcosa da zero. La seconda si riferisce al «potere» e dalla combinazione delle due si capisce chiaramente che l’apparato comunicativo di Volodymyr Zelensky ha scelto come concetto chiave non il «rimpasto di governo» ma il «nuovo inizio».

EPPURE qualcosa scricchiola in questa scelta lessicale, se si considera che ben 5 alti funzionari ucraini hanno rassegnato le proprie dimissioni ma non sono stati allontanati dal governo, anzi sono stati riassegnati ad altri incarichi, nello stesso esecutivo. Si tratta di Oleksandr Kamyshin, ministro responsabile della supervisione di armi per la guerra, Ruslan Strilets, ministro dell’Ambiente, Denys Maliuska, ministro della Giustizia, Olga Stefanishina, vicepremier ucraina per l’integrazione europea ed euro-atlantica e Dmytro Kuleba, ministro degli Esteri. Inoltre, il capo del Fondo statale nazionale, Vitaly Koval, ha annunciato che prossimamente lascerà l’incarico. Cinque figure di primo piano nel giro di 24 ore e chissà quante altre in arrivo. È il famoso rimpasto annunciato – un po’ minacciato – dal presidente Zelensky in primavera che ora sta prendendo forma. Ma si preannuncia più mediatico che reale.

Secondo le prime indiscrezioni, i funzionari che hanno già consegnato la lettera di dimissioni, sarebbero stati iscritti a una lista di ministri e alti dirigenti che il governo di Kiev intende sostituire con figure, per usare le parole di David Arakhamia segretario del partito del presidente (Servitore del popolo), «più adeguate alle mansioni richieste dal governo». Secondo Arakhamia il rimpasto non è affatto finito e riguarderà quasi la metà dell’esecutivo, ma intanto il

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Veni vidi Vichy. Ieri nuovo giro a vuoto delle consultazioni. La France Insoumise deposita la richiesta di destituzione del presidente della Repubblica

I verdi francesi: «Macron vuole un governo di destra con l’assenso di Le Pen» Marine Tondelier, segretaria ecologista - Ansa

«Macron intende appoggiarsi sulla destra dell’arco politico, con la compiacenza del Rassemblement National». Lo ha detto ieri, in un video-selfie girato dopo il colloquio con il presidente della Repubblica francese, Marine Tondelier, la segretaria degli Ecologisti, uno dei quattro partiti del Nuovo fronte popolare (Nfp). Tondelier si è detta «preoccupata» perché si tratterebbe di un governo che ha l’obiettivo di escludere la sinistra, arrivata in testa alle legislative. «I nomi ventilati incarnano la volontà di continuare il macronismo», ha detto l’esponente verde, non nascondendo la delusione per la rapidità con la quale l’inquilino dell’Eliseo ha archiviato il «fronte repubblicano» per virare prontamente a destra una volta chiuse le urne elettorali.

Le ormai interminabili «consultazioni» per la ricerca di un primo ministro che possa giustificare il rifiuto opposto da Macron alla candidata del Nfp, Lucie Castets, sono proseguite ieri con la convocazione del segretario socialista Olivier Faure e del presidente del gruppo parlamentare del Ps Boris Vallaud. Il partito guidato da Jean-Luc Mélenchon, La France Insoumise (Lfi), ha rifiutato di prendere parte a questo ennesimo round denunciando i tentativi di rompere la coalizione delle sinistre. Dal presidente ancora nessuna nomina ufficiale.

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Dietro il successo elettorale, come funziona l’organizzazione degli insoumis

Nei giorni scorsi il nome di Bernard Cazeneuve, ex-primo ministro di Hollande, sembrava agitare il microcosmo del giornalismo politico parigino. L’opposizione interna del Ps, contraria al Nfp e in particolare all’alleanza con gli insoumis, aveva chiesto a Faure di dichiarare la disponibilità a sostenere un governo di coalizione guidato, eventualmente, da Cazeneuve.

Nome che, tuttavia, è ritenuto irricevibile dalla France Insoumise, il partito principale del Nfp. Poprio ieri Lfi ha depositato la mozione per la destituzione del presidente. «Macron è stato battuto due volte alle elezioni – ha detto la capogruppo alla Camera Mathilde Panot in conferenza stampa – Eppure continua a impuntarsi. Se potesse nominare se stesso primo ministro lo farebbe».

La procedura – una specie di impeachment alla francese – sembra per ora estremamente difficile da concludere: richiede il voto dei due terzi di Camera e Senato riunite. Ma, assieme alla sfiducia promessa contro qualunque governo che non sia guidato da Castets, fa parte del trittico di azioni promosso in queste settimane dagli insoumis, con le manifestazioni del 7 settembre e lo sciopero del primo ottobre chiamato dalla Cgt

 

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Gli atti dei carabinieri. «Ne abbiamo richiesto l’intervento già a mezzanotte, non sono mai usciti»

Strage di Cutro, «la Capitaneria restia a operazioni Sar per l’approccio Salvini» Steccato di Cutro, dopo il naufragio foto di Francesco Arena/Ansa

Le 650 pagine dell’informativa finale dei carabinieri di Crotone scandiscono tempi e modi di una notte tragica attraverso le conversazioni tra gli operatori della Finanza e della Guardia costiera. Un quadro a tinte fosche emerge nelle carte dell’indagine della procura di Crotone che ha portato all’emissione da parte del sostituto procuratore Pasquale Festa di un avviso di conclusione indagini, premessa di una possibile richiesta di rinvio a giudizio, a carico di Giuseppe Grillo, capo turno della sala operativa del Comando provinciale di Vibo Valentia della Finanza e del Roan, il Reparto operativo aeronavale delle Fiamme Gialle; Alberto Lippolis, comandante del Roan di Vibo; Antonino Lopresti, ufficiale in comando e controllo tattico nel Roan; Nicolino Vardaro, comandante del gruppo aeronavale di Taranto, Francesca Perfido, ufficiale di ispezione in servizio nel Centro di coordinamento italiano di Soccorso di Roma e Nicola Nania, ufficiale di ispezione nel centro secondario di soccorso marittimo di Reggio.

Nei loro confronti vengono ipotizzati i reati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. La ponderosa relazione delinea le tante opacità della catena dei soccorsi (mancati) in occasione del naufragio di Cutro del 26 febbraio 2023. Trattasi delle prime impressioni che i vari ufficiali e sottufficiali si scambiano, sia su canali istituzionali sia su chat private. Tra le carte emergono le frizioni tra i due corpi su come muoversi in caso di avvistamenti di imbarcazioni. Un inquietante rimpallo di responsabilità in quelle interminabili 5 ore trascorse tra la prima segnalazione e lo schianto che trasformò la piccola cala di Steccato in un cimitero, con quasi 100 migranti morti (di cui 35 bambini) e un numero imprecisato di dispersi.

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Un dato è incontrovertibile. Quel caicco fu avvistato per tempo ed era carico di migranti. Ciò emerge sin dai primi momenti dopo la segnalazione. Il primo dispaccio è frutto di una triangolazione Le Castella-Varsavia-Pratica di mare. Sono le 23.03 del 25 febbraio e gli uffici polacchi di Frontex comunicano alla sala operativa dell’aeroporto militare romano l’avvistamento di un barcone intercettato alle 21.26, a circa 40 miglia dalla costa di Le Castella, dall’aereo Eagle 1, decollato dall’aeroporto di Lamezia qualche ora prima. «Una persona sul ponte superiore – possibili persone aggiuntive sottocoperta, giubbotti salvataggio non visibili, buona galleggiabilità, stato del mare 4. Portelli aperti a prua, significativa risposta termica dai boccaporti».

Da quel momento in poi è un florilegio di errori tecnici, di ordini in ritardo. Un vero plastico della inefficienza. Quella barca, intercettata dall’alto e subito identificata come barcone carico di migranti diretti in Italia, è la Summer of Love, il caicco di legno fradicio partito dalla Turchia 5 giorni prima. E che quel barcone malandato fosse carico di persone appare chiaro anche nelle chat private: «So’ migranti, poi vediamo…», scrive un minuto dopo la prima segnalazione uno degli indagati. Da allora è tutto uno scaricabarile sulle responsabilità dei corpi dello stato.

«Alla Capitaneria di porto l’abbiamo… ne abbiamo richiesto l’intervento già a mezzanotte, hanno dato disponibilità ma non sono mai usciti». È l’ufficiale vibonese Lippolis, a mettere nero su bianco queste parole, contenute nel messaggio che invia al collega tarantino Vardaro. «La Capitaneria non ha ritenuto di uscire però, insomma, abbiamo richiesto tutto eeh! Abbiamo fatto tutto quello che c’era da fare…», chiosa Lippolis nel messaggio che gli inquirenti acquisiscono perché fondamentale nella ricostruzione della catena di responsabilità in capo a chi avrebbe dovuto sorvegliare, proteggere. E che forse non lo ha fatto anche per motivi di indirizzo politico.

È quel che evidenzia l’escussione a sommarie informazioni di Alberto Catone, già comandante del Roan di Vibo: «Voglio precisare che quando sono arrivato in Calabria la Capitaneria di porto era molto restia a operare in mare in operazioni Sar laddove non c’era una situazione di conclamato pericolo. Questo aspetto dipendeva dall’approccio dell’allora ministro dell’Interno Salvini». Che ai tempi della strage era il ministro dei Trasporti, il referente delle capitanerie. Ministro dei Trasporti, Salvini, lo è tuttora. E per ora, stranamente, tace

 

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Il governo Meloni continua a sciorinare i dati record sull’occupazione ma Eurostat certifica ben altro: il reddito disponibile delle famiglie è in calo e l’Italia è fanalino di coda in Europa (Grecia a parte): dal 2008 persi 6 punti mentre la media Ue è aumentata di 10

Reddito di Esclusione. I dati Eurostat smentiscono la retorica dell’esecutivo Meloni: in calo nell’ultimo anno, dal 2008 solo la Grecia fa peggio di noi. Nel «Quadro di valutazione sociale» la confutazione dei successi su occupazione e calo della povertà

 I consumatori fanno molta attenzione ai prezzi nei supermercati - Foto LaPresse

«Record dell’occupazione», «calo della povertà». In questi mesi la gran cassa del governo Meloni continua a citare dati che delineano l’Italia come un eden in controtendenza con gli altri principali paesi europei. Ora arriva Eurostat – con i dati pubblicati nel “Quadro di valutazione sociale” che monitora il progresso sociale in tutta Europa – a confutare in gran parte questa narrazione. L’istituto statistico di comparazione europea mette nero su bianco numeri che certificano come il nostro paese sia in coda nel continente sia nell’ultimo anno che nell’ultimo decennio.

IL REDDITO DISPONIBILE REALE lordo delle famiglie nel 2023 diminuisce e si attesta oltre sei punti al di sotto di quello del 2008. Se nei 27 paesi dell’Unione – prendendo come riferimento il 2008, l’anno della grande crisi – la media dei redditi disponibili nell’ultimo anno sale da 110,12 a 110,82, in Italia cala da 94,15 a 93,74. Rispetto alla media europea, dunque, in Italia il reddito disponibile reale risulta inferiore di oltre 17 punti, a dimostrazione di come le condizioni economiche delle famiglie siano gravi e continuino a peggiore, nonostante gli annunci del governo.
Per quanto riguarda il reddito l’Italia rispetto al 2008 ha fatto meglio solo della Grecia – qui nel 2022 il reddito lordo disponibile era al 72,1 rispetto a quello del 2008 – mentre resta lontana dalla Germania con il 112,59 nel 2023. La Francia supera il 2008 – 108,75 nel 2022 – mentre la Spagna è ancora indietro (95,85) ma è in fortissima ripresa.

«I DATI EUROSTAT confermano che il miglioramento degli indici del mercato del lavoro non rappresenta di per sé una buona notizia se non affiancato da qualità e stabilità dei rapporti di lavoro: l’occupazione è uno strumento di protezione dal rischio di povertà solo quando il lavoro è stabile, tutelato, sicuro e dignitoso. Per noi le priorità restano il contrasto ad ogni forma di precarietà, sfruttamento e illegalità nel lavoro e l’aumento delle retribuzioni – commenta la segretaria confederale della Cgil Maria Grazia Gabrielli – . Le condizioni di discontinuità e povertà della condizione del lavoro, dovute ad esempio a part-time, appalti e subappalti, che si riscontrano in molti settori pubblici e privati, sono le condizioni che vanno rimosse per costruire una nuova cultura del lavoro con standard più alti: è la strada per colmare le distanze rispetto al resto dei paesi europei, soprattutto per giovani e donne», conclude Gabrielli.

«Nel nostro paese c’è un’emergenza legata ai redditi ma resta anche quella del lavoro povero – spiega il segretario confederale della Uil Santo Biondo – . Non si rinnovano i contratti e quindi non si riesce a recuperare il potere d’acquisto perso con l’inflazione. L’aumento dell’occupazione – sottolinea – non ci dà grandi input in

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