Riarmo Il leader M5S rinnova l’invito al Pd per la prima manifestazione senza incursioni di Grillo. Raggi assente «per motivi familiari». Barbero, Travaglio, Montanari e Onufrio sul palco insieme alla Rete dei numeri pari
Quella del 5 aprile sarà la prima manifestazione nazionale del Movimento 5 Stelle senza Beppe Grillo. Nella primavera di due anni fa, in occasione del corteo che l’avvocato aveva voluto dedicare ai temi del lavoro precario e al reddito di cittadinanza, il fondatore spuntò ai lati del palco per guadagnare il centro della scena e invocare la nascita di «brigate di cittadinanza» che si dedicassero «in passamontagna» alla cura di strade e giardini. Ottenne l’effetto di oscurare il neo-leader, che pure aveva pazientemente costruito quell’evento e ottenuto che vi si affacciasse, per un saluto a favor di telecamere, anche Elly Schlein.
NON SI SA ancora se e in che modo la segretaria del Partito democratico comparirà, dopo aver fatto della difesa comune Ue e del no al piano von der Leyn la linea del suo partito. Di certo Conte sta provando a costruire un evento che provi a esprimere al tempo stesso la centralità del suo M5S e la contaminazione con altre forze. «Abbiamo aperto a tutte le forze politiche, le associazioni, i singoli cittadini – spiega a questo proposito il leader dei 5 Stelle – Quindi confido assolutamente che ci sia anche il Pd e che ci siano tutte le altre forze che ritengono questo piano di riarmo una prospettiva completamente folle che farà malissimo all’Italia e distruggerà anche l’unità e l’integrazione dell’Europa».
NEL FRATTEMPO, tra conferme e nuove indiscrezioni, prende corpo la lista degli ospiti che parleranno dal palco dei Fori imperiali: ci sarà lo storico Alessandro Barbero. Assieme a lui il direttore del Fatto quotidiano Marco Travaglio, Giuseppe Onufrio di Greenpeace e il rettore dell’Università per stranieri di Siena Tomaso Montanari. Ieri è arrivata anche l’ufficializzazione della partecipazione dei due leader di Alleanza Verdi Sinistra. «Io e Bonelli saremo presenti – dice Nicola Fratoianni – Conte ci ha invitato e quindi andremo. Condividiamo gli elementi di fondo di questa manifestazione, su molte di queste questioni abbiamo posizioni che sono molto convergenti e quindi non abbiamo difficoltà ad esserci».
NON CI SARÀ, come è noto da tempo, la Cgil. Maurizio Landini ha spiegato una volta per tutte che il sindacato non aderisce a iniziative di partito. Ci sono state fasi in cui l’asse tra lui e Conte pareva più evidente: il M5S partecipò con grande evidenza alla piazza del 5 novembre 2022. In seguito, l’elezione di Schlein a segretaria ha un po’ riequilibrato lo stato dei rapporti tra Corso Italia e forze d’opposizione. Dal palco della manifestazione romana di sabato parlerà comunque Elisa Sermarini della Rete dei Numeri pari, che unisce diversi nodi territoriali e campagne contro la povertà e la cui agenda sociale ha più volte trovato il sostegno dei 5 Stelle.
ASSENTE, ma «per motivi familiari», l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi, che ha assicurato sostegno alle cause della manifestazione. La sua non partecipazione pare fare il paio con quella, meno inattesa, di Alessandro Di Battista. La sua figura avrebbe rappresentato un’apertura a mondi del M5S dell’era (fortunata dal punto di vista elettorale) «né di destra né sinistra» ma sarebbe anche stata ingombrante per la gestione Conte. Tra le altre adesioni quelle degli ex parlamentari Paolo Cento, Loredana de Petris e Stefano Fassina, oggi promotori del Polo Progressista che alle ultime regionali nel Lazio ha corso insieme ai pentastellati.
SARÀ INTERESSANTE vedere se arriverà in piazza un altro ex sindaco di Roma: Ignazio Marino, dopo essere stato eletto al parlamento europeo nelle liste di Avs, in quota Europa Verde, pare molto attivo sul fronte della corsa del 2027 per la guida della capitale. Secondo alcuni scenari, starebbe lavorando al suo ritorno al Campidoglio. Da tempo contesta a Roberto Gualtieri soprattutto la gestione dei rifiuti e la costruzione del mega-inceneritore di Santa Palomba, nella periferia sud-ovest. Se davvero volesse scendere in campo, Marino non potrebbe fare a meno dell’appoggio di Conte. E la piazza del 5 aprile, sussurrano in molti, sarebbe un ottimo palcoscenico per sondare le sue aspirazioni.
Commenta (0 Commenti)Alle 22 ora italiana, nel Giardino delle Rose alla Casa Bianca, Donald Trump dichiarerà oggi la guerra mondiale dei dazi. Il grande obiettivo è l’Europa. Von der Leyen: «Pronti a reagire». Ma tra i singoli paesi cresce la tentazione di trattare da soli. È ciò che Trump vuole
Conti separati Il piano di contromisure di von der Leyen mira a dove fa più male ma pezzi di singoli paesi pensano a sè. E Londra va avanti da sola. Per l’Europa è il giorno della paura. Il sondaggio di YouGov: la maggioranza vuole i controdazi
Operai di un'acciaieria italiana – Getty Images
Davanti ai dazi di Trump, che ha provato in tutti i modi a scongiurare, l’Europa ha paura. Ma se lo scenario tanto temuto si verifica, come tutto lascia pensare, non mettere in campo misure per colpire l’economia Usa diventa impossibile. L’Europa non vuole farlo ma deve. Soprattutto perché, data la sua forza economica, è in grado di fare male a Washington. Altra cosa è se vuole, perché questo riguarda le decisioni politiche, su cui i governi del Vecchio continente parlano con più voci o rischiamo di dividersi di fronte alle tentazioni trumpiane di trattamenti diversificati.
PRIMA A PARLARE, la Commissione europea si dice pronta a rispondere alle misure che The Donald annuncerà stasera. A quanto si apprende da ambienti Ue, la replica europea non è ancora decisa nei dettagli, ma sarà modulata a seconda delle tariffe speciali che Donald Trump imporrà a cinque settori in particolare, tra cui quello dell’automotive, dei semiconduttori e dei prodotti farmaceutici: tutti ambiti strategici per l’economia europea. Sulla base dell’intensità del colpo inferto dagli Usa a Bruxelles, l’Ue si prepara a colpire a sua volta settori dell’economia Usa in modo mirato, anche scegliendo i prodotti che arrivano dalle aree degli Usa in cui il sostegno elettorale al leader repubblicano è stato più forte.
UNA LISTA DI BASE delle contromisure, uscita dalla consultazione con le realtà produttive europee, l’esecutivo Ue ce l’ha già nel cassetto. Si va dalla carne bovina al pollame, fino alla soia e al legname, alle Harley-Davidson e al whiskey. Negli ambienti della Commissione si è sperato fino all’ultimo nella possibilità di un accordo, che però sembra essere sfumato, a meno di improbabili sorprese dell’ultimo minuto. Rimane aperta l’ipotesi di sanzioni che possono fare ancora più male, come quelle contro le Big Tech e la finanza, entrambi fiori all’occhiello dell’economia Usa. Si parte da una considerazione: se l’Ue ha un surplus sui beni verso gli Usa, questi ultimi ne hanno un riguardo ai servizi digitali. Bruxelles poterebbe così decidere di prendere di mira aziende dome Meta, Google, Amazon o X, così come istituti finanziari del calibro di JP Morgan o Bank of America. «Questi giganti pagano poco alla nostra infrastruttura digitale, da cui però traggono molto vantaggio», ha sottolineato il leader Ppe Manfred Weber.
Questo scontro non l’abbiamo iniziato noi e non vogliamo necessariamente reagire. Però abbiamo un piano forte, se serve Ursula von der Leyen
«Saremo in una posizione di forza, perché l’Europa ha molte carte in mano: il commercio, la tecnologia, le dimensioni del nostro mercato», ha argomentato ieri la presidente della Commissione Ursula von der Leyen parlando davanti agli eurodeputati riuniti a Strasburgo per la sessione plenaria dell’Eurocamera. «Questo scontro non l’abbiamo iniziato noi e non vogliamo necessariamente reagire. Però abbiamo un piano forte, se serve», ha aggiunto Ursula. Oltre al braccio di ferro con Washington, nel delineare la strategia europea, la presidente della Commissione ha elencato anche la via d’uscita degli
Commenta (0 Commenti)Diritto internazionale Il viaggio in Ungheria e il salvacondotto offerto da Orbán pongono questioni radicali sul diritto. E sfidano l’Ue: è ancora una potenza civile o è già quella del riarmo?
Sostenitori di Israele a Budapest – foto Janos Kummer/Getty Images
Il primo ministro ungherese Orbán accoglierà a Budapest con tutti gli onori un latitante. Dal 20 maggio scorso sul premier israeliano Netanyahu pende un mandato di arresto della Corte penale internazionale (Cpi) per crimini di guerra (affamamento, omicidio, attacchi intenzionali contro i civili) e crimini contro l’umanità (sterminio, persecuzione).
Sembra che si parlerà della deportazione degli abitanti di Gaza – il sogno di Trump – e Orbán appare a suo agio nel ruolo del bambino che esclama «il re è nudo». Ma il re era da tempo ben poco vestito.
Tutti gli Stati dell’Ue fanno parte della Cpi e sono obbligati a eseguire i suoi mandati, ma dopo la ripresa del massacro di Gaza il primo ministro greco Mitsotakis ha incontrato Netanyahu, con cui ha discusso di cooperazione nella difesa. È stato preceduto a Gerusalemme dall’Alta rappresentante per la politica estera dell’Ue, Kallas. E il governo tedesco ha criticato subito la decisione della Cpi facendo riferimento alla «grande responsabilità» che la Germania sente nei confronti di Israele per la Shoah: siccome i nostri bisnonni hanno sterminato gli ebrei, noi dobbiamo chiudere un occhio sulla mattanza dei palestinesi. Appena vinte le elezioni, Merz, imminente Bundeskanzler, ha dichiarato assurdo il mandato di arresto e invitato Bibi in Germania. Sempre ineffabile, il nostro Tajani dopo qualche tentennamento ha detto di aver «le carte» e che le scelte della Corte, «ispirate a principi politici», non sono fondate. Il ministro degli esteri di una repubblica democratica dovrebbe concedere qualche argomento in più ai suoi concittadini, ma noialtri i ricercati dalla Cpi li accogliamo simpaticamente o li riaccompagniamo a casa con un volo di Stato, come è avvenuto con Almasri. I francesi sono più seri: il governo ha fatto riferimento all’articolo 98 dello Statuto di Roma della Cpi. Il quale effettivamente stabilisce che nelle richieste di assistenza e di consegna la Corte non può violare gli obblighi che uno Stato ha in merito all’immunità diplomatica o a trattati sottoscritti. Ma l’articolo 27 stabilisce chiaramente che l’essere presidente, premier, parlamentare o diplomatico «non esonera in alcun caso una persona dalla sua responsabilità penale» e che «Le immunità o regole di procedura speciale eventualmente inerenti alla qualifica ufficiale di una persona in forza del diritto interno o del diritto internazionale non vietano alla Corte di esercitare la sua competenza».
Negarlo contraddirebbe il principio fondamentale della Cpi, esattamente la responsabilità penale per gli individui (articolo 25) per aggressione, genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra (articoli 5-8) . Del resto, i governi europei non si sono sognati di contestare il mandato di arresto per Putin.
Questo principio era visto dal giurista Hans Kelsen come decisivo perché si potesse realizzare la «pace attraverso il diritto». Le sue prime applicazioni dopo la
Leggi tutto: Netanyhau a Budapest, la chiamata è per l’Europa- di Luca Baccelli
Commenta (0 Commenti)Centrosinistra La leader Pd: «No ad accordi di palazzo, scelga dove stare. Con il M5S punti in comune sulla difesa europea». I dem avvisano Azione: a rischio le alleanze locali. Conte a Salvini: vota contro le armi
Elly Schlein con Carlo Calenda – Ansa
«Penso che Carlo Calenda debba decidere: non si può stare con i due piedi in due scarpe». Elly Schlein tira una riga dopo la due giorni di congresso di Azione, da cui si è tenuta debitamente alla larga. Due giorni in cui Calenda ha flirtato con Meloni, sparato a zero contro il M5S («Andrebbe cancellato») e auspicato la nascita in Italia di un gruppo di «volenterosi» pro-riarmo con Fi, + Europa e la destra Pd. Una sorta di forza di rincalzo pronta a sostituire la Lega in caso di crisi di governo dovuta ai ripetuti no di Salvini al piano von der Leyen.
UNO SCENARIO DA INCUBO, da cui hanno preso le distanze anche i riformisti Pd. Nonostante la presenza chez Calenda di Pina Picierno e Paolo Gentiloni, indicato come premier ideale. «Non mi è mai passato per la mente anche il solo pensiero di lasciare il Pd, i terzi poli hanno fallito», la risposta di Dario Nardella, uno dei citati dal capo di Azione.
Schlein ieri ha voluto mettere in chiaro un punto, che va molto oltre le sparate di Calenda, e riguarda il tentativo di arruolare il Pd nel fronte pro-riarmo. E addirittura come possibile ruota di scorta di Meloni, in uno scenario che lascerebbe fuori solo Lega, M5S e Avs. «La linea del Pd è una, è chiara: noi torneremo al governo vincendo le elezioni con una coalizione progressista, senza larghe intese, senza accordi di palazzo», ha detto a Tagadà su La7. «Questo è il mandato molto chiaro che ho ricevuto alle primarie che ho vinto. Calenda decida da che parte stare».
PER IL PD SOTTRARSI ad abbracci mortali con la destra nel nome delle larghe intese e dell’emergenza è sempre stato impossibile: da Bersani con Monti fino a Zingaretti con Draghi, anche le leadership più a sinistra sono sempre state risucchiate nel nome della responsabilità. Schlein fa capire che lei non seguirà l’esempio dei predecessori.
Quanto a Calenda, il messaggio che arriva dal responsabile organizzazione Igor Taruffi è secco: «Non si può continuare con la politica dei due forni. Anche sui territori». In autunno si voterà in 6 regioni, Azione è in trattativa per far parte delle coalizioni progressiste, dalla Campania alla Toscana. Sta nel centrosinistra anche a Genova, dove si voterà a maggio per il Comune.
«Contraddizione imbarazzante», fanno notare da Forza Italia. «Qui andiamo avanti, c’è la fiducia di tutti nel mio progetto», prova a scansarsi la candidata sindaca Silvia Salis. Ma è un tema destinato a riemergere, come alle scorse regionali d’autunno, quando Conte mise il veto sul simbolo di Italia viva nelle coalizioni in Emilia-Romagna e Umbria. E stavolta, dopo i proclami distruttivi di Calenda, nessuno potrà obiettare se Conte dirà no ad Azione nelle coalizioni di centrosinistra.
CALENDA, TONIFICATO dalla visibilità mediatica del weekend, replica ai dem. «Cara Schlein, noi stiamo al centro dove ci hanno messo gli elettori. Non andiamo dietro ai populisti filo putiniani e non ci asteniamo quando si tratta di Ucraina, riarmo europeo e difesa. Il resto è fuffa».
Quanto ai 5 stelle, la leader Pd usa i guanti di velluto: «Ci sono delle differenze tra di noi ma anche punti in comune sulla politica estera e, in particolare, sul tema della difesa europea», ha detto ieri. «Ho sentito spesso anche M5s e Conte parlare di difesa comune e ci sono anche delle similitudini nelle critiche fatte al piano Rearm». Sul sostegno militare all’Ucraina «è una delle differenze che ci sono tra noi. Dopodiché segnalo che si parla sempre delle differenze tra le opposizioni quando la responsabilità di una politica estera grava soprattutto sul governo e lì ci sono tre partiti con tre linee diverse».
Divisioni, quella nella destra, che secondo Schlein vengono poco enfatizzate dai media, mentre la premier la accusa di volere un’Europa come una «comunità hippy» e senza armi. «Si è mai visto un governo che in mancanza di una politica estera passa il tempo a attaccare l’opposizione? Un governo diviso che ha dovuto scrivere una mozione che non citava né la difesa europea né il piano di riarmo», l’attacco di Schlein. «La cosa assurda è che la presidente del Consiglio sostenga che non ci sia alternativa tra abbassare testa di fronte a dazi di Trump ee uscire dalla Nato».
CONTE ACCUSA Calenda di aver detto «cose gravissime e profondamente antidemocratiche» sul M5S. «Vogliamo cancellare il vostro modo di fare politica fondato sul trasformismo, populismo e prese in giro degli elettori», replica il leader di Azione. L’avvocato sfida Salvini sulle armi: «Non contano le chiacchiere nei talk show ma come voti in Parlamento. E Salvini è rigorosamente allineato alla maggioranza nella prospettiva guerrafondaia. Noi abbiamo presentato una mozione contro il piano di riarmo: la voti e vedremo se alle chiacchiere seguiranno i fatti».
Quanto al Pd, il leader 5S usa toni pacati: «Schlein, con fatica, sta provando a invertire la rotta rispetto alle componenti del suo partito che spingono per il riarmo. Mi auguro che ce la faccia». Dal Nazareno ancora nessuna conferma sulla partecipazione alla piazza 5S di sabato. E Renzi si dice pronto ad allearsi anche con Conte: «Se non ci uniamo regaliamo altri 5 anni a Meloni. Calenda la considera brava, io no»
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Inseguito da un mandato di cattura della Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità commessi a Gaza, Netanyahu è atteso domani a Budapest. Il diritto è carta straccia per Orbán ma non solo: anche per Roma, Parigi e Berlino, Bibi può stare tranquillo
Israele/Europa Il premier ungherese ignora il mandato d’arresto spiccato dalla Corte penale. I media filo-governo occultano la notizia, i paesi europei non parlano. Il leader di Fidesz sfida il diritto internazionale in nome di una radicata alleanza e dei suoi interessi
Il premier ungherese Orbán e l’israeliano Netanyahu a Gerusalemme nel 2019 – Ap/Ariel Schalit
Benjamin Netanyahu sarà a Budapest dal 2 al 6 aprile, ospite di Viktor Orbán. La presenza del primo ministro israeliano in Ungheria a partire dalla serata di domani, mercoledì 2 aprile, è stata confermata da fonti interne di Tel Aviv domenica sera. Non sarà una semplice visita di cortesia, ma un gesto di sfida congiunto del governo ungherese e di quello israeliano al diritto internazionale e alle istituzioni europee.
SU NETANYAHU pende infatti un mandato di cattura. Lo ha emesso il 21 novembre scorso la Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja, confermando le accuse di crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nella Striscia di Gaza «dall’8 ottobre 2023 fino ad almeno il 20 maggio 2024» rivolte al premier israeliano. Tale pronunciamento rende Netanyahu latitante punibile con l’arresto nei 123 Stati che aderiscono allo Statuto di Roma.
Fra questi non ci sono Israele, Russia e Stati uniti, ma è presente l’Ungheria, che ratificò lo Statuto nel 2001, durante il primo mandato di Orbán al governo, e quindi dovrebbe attenervisi. Come assicurato a novembre dall’Alto rappresentante europeo per gli Affari esteri, Josep Borrell, il parere della Cpi «è vincolante per tutti gli Stati che fanno parte della Corte, che comprende tutti i membri dell’Ue, vincolati ad attuarla».
Parole a cui ha fatto eco ieri un portavoce della Cpi: «La corte si affida ai singoli Stati per fare rispettare le proprie decisioni. Non è soltanto un obbligo legale nei confronti della Corte stessa, come stipulato dallo Statuto di Roma, ma anche una
Leggi tutto: Orbán calpesta l’Aja: Netanyahu ospite d’onore a Budapest - di Lorenzo Berardi
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Operazioni di ricerca dei sopravvissuti dopo il crollo di un grattacielo in costruzione a Bangkok in seguito al devastante terremoto con epicentro in Myanmar. via Getty Images
Oggi un Lunedì Rosso dedicato alla riappropriazione di spazi.
Come quello pubblico e politico della piazza, rioccupato da centinaia di migliaia di cittadine e cittadini turchi contro il governo Erdogan, nonostante i divieti e la repressione.
Spazio riappropriato come quello di centinaia di edifici, molti dei quali fatti rivivere dall’abbandono, i luoghi vivi di una storia lunga e importante: quella della sinistra movimentista e dei centri sociali.
Riappropriarsi dello spazio vuol dire sapere di averne diritto, lo spiega bene la crisi abitativa italiana e non solo. Adesso un piano di edilizia accessibile si discute anche Bruxelles.
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