Michele Serra tra vessilli Ue e bandiere della pace: «Non abbiamo risposte, solo domande»
La manifestazione "L'Europa siamo noi" a Piazza del Popolo – Cecilia Fabiano/LaPresse
C’è un momento, nel mezzo della manifestazione, in cui dal bastione che dà sulla piazza, dal lato opposto del Pincio dove si trova il palco, vengono calati due striscioni. Uno accanto all’altro. Il primo porta la scritta «Riarmo sì, anche così» ed è sorretto da un gruppetto di giovani che sventolano bandiere dell’Ucraina e della Georgia. L’altro dice «L’Italia ripudia la guerra, No Rearm Europe» e viene esposto da una coppia di mezz’età accompagnata da tre ragazzini. Le due indicazioni, speculari e opposte, si affiancano come se nulla fosse e in fondo in pochi notano la contraddizione evidente, neppure le teste che fanno capolino dietro gli stendardi.
PIÙ SOTTO, in una piazza del Popolo gremita, la gran parte dei manifestanti che ha risposto all’appello di Michele Serra porta, come da copione, le bandiere blu con le stelle gialle in cerchio dell’Unione europea. Sono un po’ di meno, ma comunque saltano all’occhio, i vessilli arcobaleno della pace, che Cgil, Anpi e altre associazioni avevano invocato per arginare le derive belliciste, esprimendo un’adesione travagliata all’evento. Spiccano un paio di bandiere della Palestina. Davanti al palco si agita un Donald Trump di cartapesta che si ingozza di banconote.
IN NOME dell’antiberlusconismo, ormai venti anni fa, i girotondi misero insieme chi sosteneva l’allargamento dei diritti e quelli che roteavano manette. Ora si è erosa la base sociale di quello che Paul Ginsborg aveva definito «ceto medio riflessivo», la spina dorsale di quel fenomeno, l’età è piuttosto alta (sia tra gli oratori che nell’uditorio) e i punti di riferimento si moltiplicano. Dunque in nome dell’antitrumpismo possono stare insieme pacifisti e bellicisti? Il padrone di casa, Michele Serra, non può fare finta che le contraddizioni non ci siano. «Questa piazza non ha risposte – dice – Ma ha ben chiare le domande. Siamo un grande punto interrogativo di colore blu e consegniamo queste domande al parlamento italiano e a quello europeo». E ancora: «Non sappiamo oggi come si fa a ottenere la pace ed evitare la guerra». E così per un Roberto Gualtieri, il sindaco di Roma che ha parlato a nome dei suoi colleghi e che ha dato una grossa mano logistica alla manifestazione, che suggerisce che il tratto distintivo dell’Europa siano i diritti e il welfare, e che dunque non si debba parlare solo di sicurezza e armi, c’è un Corrado Augias che sostiene che l’Ue potrebbe essere «una potenza, potremmo essere il quarto attore in questo scontro globale». O ancora, Francesca Vecchioni, figlia del cantautore Roberto, dice che «l’inclusione per Trump è un problema, per noi una ricchezza» ma suo padre subito dopo ci tiene a precisare che «non si può accettare qualsiasi pace». Passa per molti l’idea un po’ astratta che l’Europa sia un’oasi di civiltà in un mondo che sta impazzendo anche se Andrea Riccardi, per la Comunità di Sant’Egidio, è uno dei pochi a ricordare la questione migrante e la necessità di non ridurre il continente a una fortezza escludente.
TRA LA GENTE si aggira Fabrizio Barca, del Forum disuguaglianze e diversità. Elenca i passaggi necessari su cooperazione, riconversione industriale ed ecologica e politiche sociali e infine una politica di difesa comune che razionalizzi le spese. «Esattamente il contrario di quanto proposto dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen – precisa Barca – E cioè il rafforzamento degli eserciti nazionali sotto il titolo del riarmo, quando invece alla difesa comune dovrebbe accompagnarsi la ripresa di tavoli negoziali di disarmo». Ci sono anche gli attivisti della Costituente Terra con Luigi Ferraioli, sostengono che l’Ue debba essere una «tappa esemplare del processo di unificazione del genere umano sulla base di pace e uguaglianza».
L’IDEA di ricomporre a unità questa massa di persone, di un popolo europeo senza simboli di partito, sembra svanire quando ognuno prende la sua via nel sabato del centro di Roma e la piazza si svuota. Dopo il 15 marzo viene il 16 e chi chiede un’Europa di pace e diritti, oltre l’atomizzazione e la rappresentazione, ha ancora un po’ di strada da percorrere