Ieri sera, il Consiglio Comunale di Faenza ha approvato all'unanimità la delibera che sancisce il via libera al Progetto di Fattibilità Tecnico-Economica per le opere di regimazione idraulica.- Il progetto prevede la realizzazione di un'area di regimazione idraulica a protezione del quartiere Borgo dalle esondazioni del torrente Marzeno tra via San Martino e via Cimatti.
L'intervento, del costo di 7 milioni di euro, riguarda l'area a destra del fiume Lamone, nei pressi di via Cimatti, ed è finalizzato a ridurre il rischio di esondazione del torrente Marzeno, dopo le alluvioni del 2023 e 2024. Il progetto, elaborato dallo studio Enser grazie al lavoro dei tecnici dell'Unione e dell'Università di Bologna, prevede diverse opere:
* la costruzione di un nuovo argine parallelo a via Cimatti,
* il rinforzo dell'argine esistente del fiume Lamone,
* la realizzazione di una pista a monte del nuovo argine,
* un sistema di drenaggio delle acque e un punto di raccolta finale delle acque stesse. Quest'ultimo sistema verrà dotato di un pozzetto verticale con sistema di pompe, che garantirà lo svuotamento controllato dell'area in caso di allagamenti.
Il volume massimo contenibile sarà di 398.000 metri cubi.
Non è stato facile, ma ce l'abbiamo fatta.
- Nel pieno dell'emergenza alluvionale abbiamo scelto di agire subito, senza attendere, anche sostituendoci ad altri enti per superare l'immobilismo e la burocrazia. Abbiamo rimesso al centro il tema della riduzione del rischio idrogeologico, adottando scelte coraggiose e anticipando fondi senza la certezza del rimborso.
Questa 'disobbedienza civile' non ha mai significato eludere la legalità, ma assumersi responsabilità che altri evitavano.
È stato possibile grazie all'enorme impegno di tutta la giunta, in particolare del Vicesindaco Andrea Fabbri che ha coordinato gran parte del lavoro, e del personale dell'Unione, che ringrazio di cuore per il lavoro instancabile, spesso sotto pressione.
Il risultato, nato da un'idea condivisa con i comitati e presentata alla struttura commissariale più di un anno fa, è oggi concreto: un progetto strategico per il torrente Marzeno, l'unico esecutivo in grado di ridurre il rischio di allagamenti in via Cimatti. Siamo consapevoli dell'importanza di quest'opera, ma allo stesso tempo sappiamo che si tratta solo di un primo passo rispetto alla complessità del rischio idraulico.
Se da un lato c'è l'orgoglio di essere riusciti a compiere questo primo passo in tempi brevi, dall'altro cresce la frustrazione per le opere che gli enti superiori devono ancora realizzare e che chiederemo con ancora più determinazione e caparbietà.
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Una commessa da oltre 250mila euro per centinaia di componenti di metallo, “impacchettati” in un carico da 14 tonnellate. Destinazione: Israele. Sulla carta figuravano come “manovelle, lamiere, bracci, cilindri”. Pezzi prodotti in piena regola in Italia, ma che una volta assemblati sarebbero serviti a fabbricare armamenti.
Al porto di Ravenna se ne sono accorti poco prima che quei container, passati fino a quel momento inosservati, prendessero il mare alla volta del Medio Oriente, dove ad attenderli c’era il committente. Basta “googlare” il nome per capire quale sia il core business della Imi System ltd: armi.
E’ stato sequestrato tutto. Perché - scontato dirlo - per certe esportazioni sono necessarie speciali autorizzazioni. E ora a rischiare è il legale rappresentante dell’azienda fornitrice. Si tratta di un 57enne di Lecco, amministratore unico di una società che si occupa di stampaggio a caldo e fucinatura di metalli.
E’ indagato per avere violato la legge che regolamenta il commercio e - in questo caso - l’esportazione di materiale bellico.
L’articolo integrale sul Corriere Romagna, in edicola oppure acquistabile online nell’edicola digitale
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Il caso La denuncia della Cgil e del Caaf ha fatto cambiare idea al ministero dell'Economia che ha ammesso l'esistenza di un pasticcio sulle tasse dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Le nuove aliquote dell'Irpef saranno applicate anche per gli acconti. Senza una modifica si rischia di pagare fino a 260 euro in più per somme non dovute
Il ministro dell'economia Giancarlo Giorgetti – LaPresse
Marcia indietro del governo dopo che la Cgil e il Caaf hanno denunciato un altro pasticcio sull’Irpef con il quale lo Stato avrebbe preso più del dovuto dai redditi dei lavoratori dipendenti che hanno i salari più bassi d’Europa, fermi al 2008 come ha mostrato l’Ilo.
È accaduto ieri quando Alberto Gusmeroli, responsabile Fisco della Lega, e il ministero dell’Economia guidato dal collega di partito Giancarlo Giorgetti, hanno annunciato un intervento, quantificato in 250 milioni di euro, che rimedierà a uno dei problemi creati dalla riforma fiscale a tappe che il governo Meloni sta cercando faticosamente di impostare.
Il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari e la presidentessa del Consorzio nazionale Caaf della Cgil Monica Inviglia hanno dimostrato che i contribuenti sarebbero stati chiamati a pagare da 75 euro a 260 euro in più nella prossima dichiarazione dei redditi. I contribuenti che pagano l’Irpef – ma non quelli che hanno una rendita da capitale o che affittano un immobile – avrebbero dovuto versare gli acconti 2025 e 2026 in base agli scaglioni e alle aliquote precedenti l’ultima riforma, cioè 23%, 25%, 35% e 43%, Queste aliquote non sono più in vigore, perché ridotte da quattro a tre. Parliamo di redditi compresi tra i 15 mila e i 28 mila euro.
Il ministero dell’Economia ha spiegato ieri che intendeva «sterilizzare» gli effetti delle modifiche all’Irpef solo in relazioni agli acconti dovuti da chi ha un reddito ulteriori rispetto a chi ha una ritenuta d’acconto. L’intenzione non era di intervenire sulla maggioranza dei lavoratori dipendenti e dei pensionati che, in mancanza dei altri redditi, non sono tenuti alla presentazione della dichiarazione dei redditi. L’intervento riparatore sarà realizzato nei tempi opportuni al fine di evitare «aggravi». «Siamo soddisfatti per avere difeso le persone che rappresentiamo – hanno risposto Ferrari e Inviglia che hanno scritto a Giorgetti chiedendo di abrogare la norma – Se alle parole seguiranno i fatti, i salari e le pensioni di milioni di cittadini già colpiti dall’inflazione, non subiranno ulteriori riduzioni».
Diverse sono le interpretazioni dell’episodio. Da un lato, c’è Gusmeroli che ha parlato di un «refuso determinato dal mancato coordinamento tra vecchie e nuove norme». Di questi tempi non è facile ammettere un errore. Dall’altro lato, nella ricostruzione di Ferrari e da Inviglia, il governo è sembrato volere fare cassa con anticipi non dovuti.
Il problema è anche più generale e riguarda l’uso politico dell’Irpef. Su questa tassa è basato il taglio del cuneo fiscale. La misura-faro del governo Meloni è finanziata in gran parte con l’extragettito Irpef da 17 miliardi versato dai dipendenti e pensionati. Più volte la Cgil ha denunciato una «partita di giro»: da un lato, si tagliano le tasse; dall’altro lato, si usano i soldi degli stessi lavoratori che dovrebbero beneficiare degli effetti del taglio. Inoltre, a parere della Cgil, il passaggio dalla decontribuzione alla fiscalizzazione sul quale è stato organizzato da quest’anno il taglio del cuneo fiscale penalizza i redditi tra gli 8.500 e i 9 mila l’anno lordi con una perdita fino a 1200 euro all’anno. E la detrazione fissa per i redditi fino a 32 mila euro e quella variabile fino ai 40 mila penalizza chi ha meno.
Commenta (0 Commenti)Il limite ignoto Il secondo passo voluto dalla Russia per l’apertura dei negoziati è entrato in vigore tra le incertezze e gli attacchi ininterrotti
«Gli Stati uniti e l’Ucraina hanno concordato di garantire una navigazione sicura, eliminare l’uso della forza e impedire l’uso di navi commerciali per scopi militari nel Mar Nero». Tre giorni di colloqui a Riyadh, in Arabia saudita, hanno portato a quello che per la Russia è il secondo passo per l’attuazione della tregua definitiva. Tuttavia, il Cremlino ha specificato che l’accordo entrerà in vigore solo dopo la revoca delle sanzioni alla Banca agricola russa (Rosselkhozbank) e ad altre «istituzioni finanziarie coinvolte nel commercio internazionale di prodotti alimentari», e dopo che gli istituti finanziari russi saranno collegati nuovamente al sistema di pagamento internazionale Swift.
KIEV ha ribadito con forza la propria contrarietà alla revoca delle sanzioni ma ha fatto sapere di essere favorevole a una riapertura dei commerci nel Mar Nero. Per Volodymyr Zelensky «è troppo presto per dire che funzionerà, ma questi sono stati gli incontri giusti, le decisioni giuste, i passi giusti. Nessuno può accusare l’Ucraina di non muoversi verso una pace sostenibile dopo questo». Kiev «rispetterà la sua parte degli accordi», ma l’intesa sarà monitorata da Paesi terzi. «Il movimento delle navi militari russe oltre il Mar Nero orientale sarà considerato una violazione dello spirito di questo accordo» ha specificato il presidente, nonché «una violazione degli obblighi di garantire la libertà di navigazione nel Mar Nero e una minaccia alla sicurezza nazionale dell’Ucraina». In altri termini la Verkhovna rada si riserva il diritto di «esercitare l’autodifesa» e di rompere la tregua. Il Cremlino, nella sua nota conclusiva della tre giorni mediorientale, ha chiarito che «l’iniziativa include garanzie di sicurezza per la navigazione nel Mar Nero, l’interdizione all’uso della forza e la prevenzione dell’utilizzo di navi commerciali per scopi militari attraverso l’organizzazione di misure di controllo appropriate per mezzo dell’ispezione di tali navi».
STAVOLTA le reazioni statunitensi sono state meno euforiche rispetto ai colloqui precedenti. Washington ha ribadito «l’imperativo del presidente Trump di porre fine alle uccisioni da entrambe le parti come passo necessario per raggiungere un accordo di pace duraturo», ma non abbiamo assistito a nessun annuncio entusiastico sull’imminenza della tregua. Le indiscrezioni sul cessate il fuoco «entro Pasqua» e sul fatto che «non si è mai stati così vicini alla fine della guerra» stavolta non hanno occupato i canali social del tycoon e dei suoi fedelissimi.
I cinque punti dell’accordo concordato con gli emissari di Putin a Riyadh sono: navigazione sicura nel Mar Nero e divieto d’uso di navi commerciali per scopi militari; supporto degli Usa alla Russia per ripristinare l’accesso al mercato mondiale per le esportazioni agricole e di fertilizzanti, per abbassare i costi delle assicurazioni marittime e migliorare l’accesso ai porti e ai sistemi di pagamento per queste transazioni; accordi tripartiti per vietare gli attacchi contro le strutture energetiche; una coalizione di paesi terzi che sostenga l’attuazione degli accordi energetici e marittimi e, in ultimo, il prosieguo degli sforzi «per il raggiungimento di una pace duratura e sostenibile». Non si è parlato dei territori occupati dalle truppe di Mosca e del loro ruolo nei trattati, ma è evidente che la Casa bianca al momento cerca di tenere la discussione in camera caritatis per evitare di arrivare a una rottura con i due belligeranti. A tale proposito, Mosca ha anche insistito sul fatto che servirebbe «un ordine diretto degli Usa a Kiev su cosa bisogna fare nel Mar Nero e sul fatto che bisogna farlo esattamente come viene loro detto»
INTANTO, SUL CAMPO, la guerra continua. Secondo le autorità ucraine è salito quasi a 100 il numero dei feriti nel bombardamento della scorsa notte a Sumy, la regione ucraina che confina con il Kursk. Gli ordigni caduti su un comprensorio densamente abitato hanno causato diversi danni, ferendo tra l’altro anche 14 minori. Dall’altro lato del fronte gli ucraini hanno colpito un avamposto russo uccidendo 30 soldati russi a Kondratovka, uno dei posti di comando che i militari di Mosca hanno stabilito per guidare la controffensiva delle ultime settimane. Nel Mar Nero, invece, gli ucraini avrebbero utilizzato per la prima volta il missile Long Neptune contro una base russa in Crimea.
Governo militare, un’enorme zona cuscinetto, l’intera popolazione di Gaza schiacciata e chiusa in una tendopoli a sud in attesa dell’«emigrazione». È questo il progetto a cui sta lavorando Israele. Senza Onu, senza ong e senza amministrazione palestinese
Piano di riserva Il progetto rivelato dal Financial Times: governo militare, niente Onu, aiuti distribuiti sulla base della tabella calorica minima. La riserva palestinese, senza amministrazione autonoma locale, partirà dalla tendopoli lungo la costa. È lì che i militari stanno già ordinando ai gazawi di dirigersi. Save the Children: in una settimana, dalla rottura della tregua, 270 bambini uccisi dai raid israeliani
Palestinesi in fuga da Rafah verso Khan Younis – Getty Images/Ali Jadallah
«Combattimento, vittoria e amministrazione». Il piano israeliano per l’occupazione della Striscia di Gaza non lascia spazio alla presenza internazionale: niente Onu, niente organizzazioni umanitarie, niente Hamas e niente Autorità nazionale palestinese.
L’esercito solamente, che occupa, amministra, riceve aiuti e li distribuisce secondo le proprie regole e i propri calcoli di fabbisogno alimentare. Gli altri possono dare soldi, se vogliono, per consentire la sopravvivenza di una popolazione palestinese che non avrà possibilità di lavorare, costruire, di spostarsi. Più di due milioni di persone chiuse e schiacciate in una riserva lungo la costa mediterranea, tra l’esercito e il mare.
A TEL AVIV tutto il resto, una gigantesca zona cuscinetto da colonizzare, nell’attesa che quel che resta dei palestinesi di Gaza decida di adeguarsi al piano di «evacuazione volontaria» infiocchettato da Israele o di morire in cattività. Per costruire la «Riviera del Medio Oriente» forse sarà necessario un po’ di tempo in più rispetto ai piani del presidente Donald Trump ma è questa la condotta storica con cui Israele modifica i fatti sul campo: esercito e amministrazione.
Un’inchiesta del Financial Times ha rivelato i passaggi essenziali del progetto di cui da diverso tempo affioravano indiscrezioni. I piani, elaborati dall’esercito sotto le direttive del nuovo capo di stato maggiore Eyal Zamir, non sono ancora stati approvati dal gabinetto di sicurezza. Il quotidiano israeliano Haaretz aveva già parlato della volontà di Zamir di istituire nell’enclave un governo militare, approfittando dell’appoggio di Washington.
Per attuare il suo proposito, Tel Aviv dovrà eliminare dalla Striscia qualsiasi presenza umanitaria internazionale mentre i suoi soldati, a colpi di carri armati, bombardamenti e ordini di evacuazione, spingeranno tutta la popolazione verso la costa. Probabilmente la riserva palestinese, in cui non sarà possibile organizzare un’amministrazione autonoma locale, partirà dalla zona in cui oggi si trova la cosiddetta «area umanitaria» di Al-Mawasi, una gigantesca tendopoli per gli sfollati lungo la costa, al confine con l’Egitto.
È lì che i militari stanno ordinando ai gazawi di dirigersi. Solo Tel Aviv controllerà gli aiuti umanitari, da cui la popolazione sarà totalmente dipendente, e ne consentirà l’accesso in base al numero di calorie che riterrà più opportuno, come in effetti già accadeva prima del 7 ottobre. Ora, però, l’esercito non governerebbe solo l’ingresso degli aiuti ma anche la loro distribuzione. Al massimo, dicono le fonti, sarebbe disposto a valutare il supporto di appaltatori privati.
L’unico modo per appropriarsi totalmente di una gestione che attualmente è garantita da Nazioni unite e ong, sarebbe obbligare tutto il personale umanitario internazionale ad abbandonare la Striscia, sospendendone i permessi d’ingresso e interrompendo qualsiasi forma di collaborazione. Dichiarando, quindi, di non essere più responsabile per la loro sicurezza.
Non che in questa guerra se ne sia preoccupato più di tanto, se si pensa alle uccisioni degli operatori umanitari, ma per la maggior parte si trattava di palestinesi e dopo gli attacchi al complesso Onu di Deir al-Balah, l’Onu ha effettivamente cominciato ad andar via. Il 30% del personale straniero, che è solo una parte minima dei 13mila dipendenti nell’enclave, sarà presto evacuato. Tel Aviv ha ammesso, inoltre, la responsabilità dell’attacco agli uffici della Croce rossa internazionale a Rafah, dichiarando che si è trattato di un «errore».
INTANTO, quindici membri della protezione civile e nove paramedici della Mazzaluna rossa risultano ancora scomparsi. Erano stati inviati a Rafah per
Leggi tutto: Gaza secondo Israele: tutta la popolazione chiusa ad al-Mawasi - di Eliana Riva
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