NUOVO GOVERNO. Bocciato anche il secondo tentativo del leader del Partito popolare
Tutto secondo copione. Nel suo secondo tentativo di investitura, Alberto Núñez Feijóo non è riuscito ad abbattere la barriera dei 172 voti. Quelli dei suoi del Partito popolare, e di Vox, più un paio da altri due piccoli partiti. Come due giorni fa. Sarebbe bastata una manciata di astensioni stavolta per farlo presidente del governo spagnolo.
Nella seconda sessione di investitura di ieri, più agile della prima, Feijóo non ha neppure fatto finta di credere nel miracolo, e si è incoronato capo dell’opposizione. «Amnistia sí o no? Referendum sí o no. Io dico no. E lei, signor Sánchez?», diceva rivolto a colui che la settimana prossima (martedì, probabilmente) sarà il nuovo incaricato dal monarca.
Se tutti e 178 i contrari al leader della destra si mantengono compatti, è fatta. Ma i 7 voti di Junts, il partito dell’ex president catalano Puigdemont, a cui si uniscono gli altri 7 di Esquerra Republicana, acerrimi nemici dei primi, ma entrambi indipendentisti, si faranno pregare.
Proprio ieri il Parlament catalano ha approvato una mozione che chiede ai due partiti di non appoggiare Sánchez a meno che questi non si impegni «a lavorare per rendere effettive le condizioni per la celebrazione di un referendum».
Una prospettiva che il leader di Vox Santiago Abascal chiamava minaccioso «aggressione» di fronte la quale «il popolo spagnolo ha il dovere e il diritto di difendersi. Poi non venite a piagnucolare»
Commenta (0 Commenti)Da un mese il cittadino italo-palestinese Khaled el Qaisi è detenuto da Israele senza accuse. Roma tace, Tel Aviv anche. Oggi le piazze saranno accanto alla famiglia per chiedere a media e governo di rompere il silenzio. Che riguarda migliaia di palestinesi dietro le sbarre
ITALIA. Oggi presidi in diverse città di fronte alle sedi Rai per il giovane italo-palestinese el Qaisi, detenuto nel famigerato carcere israeliano di Petah Tikva dal 31 agosto senza accuse. Parla l'avvocato Rossi Albertini: «Gambe legate alla sedia, braccia ammanettate, interrogatori di notte, senza legale. Modalità che nel nostro ordinamento renderebbero nullo l’atto»
Roma, alla Sapienza in piazza per Khaled - Patrizia Cortellessa
La mobilitazione non può che partire dal basso. A quasi un mese dall’arresto di Khaled el Qaisi al valico di Allenby, tra Cisgiordania e Giordania, da parte delle autorità israeliane, c’è un paese fatto di sigle associative, movimenti studenteschi, sindacati, organizzazioni accademiche che supera il silenzio eretto dallo Stato italiano intorno alla detenzione, ancora senza accuse ufficiali, del giovane ricercatore con doppia cittadinanza.
Assemblee pubbliche, conferenze stampa, graffiti che appaiono sui treni e sui muri dei centri sociali romani accompagnano il Comitato Free Khaled, lanciato dalla famiglia – con la moglie Francesca Antinucci e la madre Lucia Marchetti in prima fila – e che oggi si presenta in mille rivoli a presidiare le sedi della Rai per chiedere la fine di un silenzio mediatico assordante. I giornali hanno iniziato a seguire il caso, la tv pubblica stenta. Quasi a fare da specchio alle bocche cucite della Farnesina.
ALLA MOBILITAZIONE nazionale di oggi aderiscono in
Commenta (0 Commenti)Il voto italiano non è indispensabile. Entro febbraio 2024 l’approvazione dell’accordo. Serve il Sì di almeno 15 paesi che rappresentano il 65% della popolazione
C’è una maggioranza tra i paesi Ue per un accordo sulla gestione delle regolazioni dei migranti in caso di crisi, ma l’Italia impone di perdere ancora un po’ di tempo. È scontenta del capitolo che garantisce una protezione alle Ong che «non possono essere accusate di strumentalizzazione». Anche per questo il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi non è intervenuto al Consiglio di Bruxelles, dirigendosi poi a Palermo per incontrare gli omologhi di Libia e Tunisia. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha provato a smorzare le tensioni dicendo che l’Italia non ha detto No ma solo preso tempo «per un esame giuridico più approfondito». Ha però ribadito che con la Germania esistono posizioni diverse sul finanziamento alle Ong. In serata «fonti di Palazzo Chigi» hanno fatto trapelare «sorpresa» per le sette navi umanitarie con bandiera tedesca in missione durante il vertice Ue. In realtà solo cinque erano in navigazione – due velieri e due imbarcazioni piccole – e non è un numero inusuale.
DI IMMIGRAZIONE discuteranno oggi i paesi del sud della Ue al decimo summit Med9 in Spagna (Cipro, Croazia, Spagna, Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Slovenia, assieme ai presidenti di Commissione e Consiglio).
DOPO MESI di negoziati, bisognerà aspettare
Commenta (0 Commenti)ARMENIA/AZERBAIGIAN. Sarebbero 125 le vittime dell’esplosione del deposito di carburante. Ieri la visita della direttrice UsAid: daremo 11.5 milioni di dollari
Armeni in fuga dal Nagorno-Karabakh al checkpoint di Lachin, in Azerbaigian - Ansa
Puzza di frizione bruciata, macchie d’olio e acqua sull’asfalto, vecchie Lada ferme con il cofano aperto al contrario fumante. La strada che dalla dogana armena nei pressi di Lachin si inerpica fino a Kornidzor è popolata di ogni tipo di rottame. Una lunga notte di viaggio tra i checkpoint azeri ha messo a dura prova i vecchi motori. «Nelle ultime 12 ore» dice un funzionario locale di fronte ai tendoni della Croce Rossa, «sono arrivate 13.500 persone».
SE CONSIDERIAMO che nei due giorni precedenti gli sfollati armeni in fuga dal Nagorno-Karabakh non raggiungevano i 6.000 individui, è facile rendersi conto di quanto il flusso stia aumentando. Ieri mattina la lunga serpentina tra le montagne stipata di macchine ferme dava l’impressione di essere immobile. «Pensavo non finisse mai» racconta Artem, «facevamo due metri e poi fermi, altri due metri e fermi di nuovo, mi sono addormentato non so quante volte, ho anche sognato». Incubi? «No, facevo bei sogni, immaginavo di non essere lì, ma non ricordo». Poi, verso le 3 del mattino, «tra le macchine si è sparsa la voce di gettare le armi prima dei check-point». Quali armi? «Non so, magari qualcuno si era portato un vecchio fucile da caccia, o un kalashnikov, soprattutto nei villaggi da noi la gente è abituata ad avere armi… qualcosa dai finestrini è volato. Noi avevamo solo un coltello militare, un bel coltello; quando la moglie del conducente stava per gettarlo il marito ha detto ‘no, teniamolo, magari a qualche check-point lo diamo ai militari’». Ma non c’è stato spazio neanche per un tentativo di corruzione, «i soldati azeri ci hanno fermato, mi hanno chiesto di scendere e dopo un po’ mi hanno fatto capire che la mia foto non corrispondeva a quella dei documenti. È l’unica volta in questi mesi in cui ho avuto davvero paura». Dopo un’ora Artem è ripartito ed è arrivato alla frontiera. Dieci ore di viaggio per meno di 100 km.
COME LUI MIGLIAIA di persone, molte delle quali lungo il tragitto sono rimaste senza benzina. L’esplosione del deposito di carburante di lunedì ha lasciato Stepanakert a secco. Sembra che il numero delle vittime sia salito a 125 e a 300 quello dei feriti. La portavoce della Croce Rossa Armena, Zara Amatuni, ci spiega che «è difficile fornire dei dati ufficiali, la comunicazione con il nostro ufficio a Stepanakert è molto complicata». Mentre parliamo un rumore assordante di sirene ci squarcia le orecchie: una colonna di 25 ambulanze si fa strada verso il confine. La Croce Rossa è riuscita a ottenere un corridoio sicuro temporaneo per evacuare alcuni dei feriti. «Ma il contesto sanitario in città è estremamente duro: ci sono persone ferite, altre con malattie croniche o che necessitano di cure specifiche, disabili, anziani».
INOLTRE c’è il solito rischio epidemie, dovuto anche a mesi di malnutrizione a causa del blocco azero. A tale proposito chiediamo se la Croce Rossa ha iniziato a raccogliere prove di abusi e torture da parte delle forze dell’Azerbaigian, così come denunciano da giorni gli armeni. A colazione un’anziana donna presso l’hotel adibito a centro umanitario che ospita lei e la sua famiglia ci ha raccontato di uno stupro avvenuto al suo villaggio, del quale esisterebbe anche un video che i soldati hanno mostrato al fratellino della vittima. Lo raccontiamo a Zara, che risponde: «Abbiamo ricevuto molte segnalazioni in tal senso, ma ciò che possiamo fare è passare le informazioni alle autorità legali competenti e continuare a monitorare il più da vicino possibile». In cielo si sentono degli elicotteri. In qualche modo le parti coinvolte sono riuscite ad accordarsi per evacuare i feriti più gravi.
Ma è anche il gran giorno della delegazione Usa. Samatha Power, la direttrice di UsAid, che si occupa di stanziare aiuti umanitari nelle aree di crisi del mondo, è attesa a ora di pranzo. Scendiamo verso la frontiera con David, un autista di carro attrezzi che aiuta chi non riesce a ripartire. Non prende soldi, «ma se qualcuno mi dà una mancia l’accetto; ogni tanto il comune mi paga la benzina» racconta. Strano che da nessun lato si vedano trincee in costruzione o fortificazioni di sorta, e se l’Azerbaigian dovesse davvero invadere Syunik? Sulla strada uomini di ogni età con i boccioni di plastica da 5 litri affrontano la salita per cercare carburante.
NEL PRIMO pomeriggio un corteo di grosse Toyota nuove arriva al campo della Croce Rossa. Dopo le visite di rito, Power annuncia alla stampa lo stanziamento di 11.5 milioni di dollari in aiuti umanitari e parla della situazione in Nagorno-Karabakh. Ne parla in modo talmente accorato che un giornalista le chiede: «Ma quindi credete che si tratti di pulizia etnica?». Non risponde direttamente, ma dice «stiamo raccogliendo testimonianze di abusi e violenze sulla popolazione civile e stiamo valutando misure aggiuntive». Sono previste delle sanzioni a Baku? Forse, non lo esclude. Chiederanno al governo azero di entrare in Nagorno? «È fondamentale che le organizzazioni umanitarie e gli osservatori internazionali abbiano libero accesso alla regione per prevenire ulteriori violenze contro i civili».
ARRIVA un camion di quelli usati nell’edilizia oppure per la nettezza urbana, con il grande cassone di metallo aperto. Ma non ci sono né materiali né immondizia, è carico di persone. Una signora scendendo quasi inciampa, le chiediamo se vuole raccontare la sua storia: «Cosa volete che vi dica, ho lasciato la mia casa e tutta la mia vita contro la mia volontà»
Commenta (0 Commenti)LA TRAPPOLA. Per stipulare una fideiussione serve il passaporto, ma l’obbligo si rivolge solo a chi non ce l’ha. Per i richiedenti dei paesi considerati sicuri resta solo la detenzione. Il governo dà la colpa all’Ue, ma la Commissione critica la misura: «La valuteremo»
Il Cpr di via Corelli a Milano - Tam Tam
La cauzione di 5mila euro che i richiedenti asilo dovrebbero garantire per evitare il trattenimento è stata pensata dal governo italiano come una trappola senza vie d’uscita. Anche per questo rischia di essere bocciata dall’Europa, nonostante l’esecutivo sostenga che sia il recepimento di una direttiva Ue.
VEDIAMO PERCHÉ. Il decreto interministeriale Interno-Giustizia-Economia pubblicato venerdì scorso, che dà attuazione alla «legge Cutro», stabilisce che: «La garanzia finanziaria è prestata in un’unica soluzione mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa ed è individuale e non può essere versata in conto terzi». Non basta dunque avere 5mila euro, è necessaria una fideiussione «che deve essere prestata entro il termine in cui sono effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico». Al momento non si ha notizia dell’apertura di sportelli bancari o filiali assicurative negli hotspot. Non solo, se anche ci fossero il richiedente asilo in possesso del denaro o persino di un conto-deposito valido nel circuito internazionale dovrebbe comunque avere un documento di identità valido per stipulare la fideiussione.
Se avesse quel documento, però, la fideiussione sarebbe inutile. Infatti il trattenimento «può essere disposto qualora il richiedente non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria». Lo stabilisce l’articolo 6 bis del decreto legislativo 142/2015, cui quello interministeriale dello scorso fine settimana si rifà, che disciplina la detenzione dei richiedenti asilo provenienti dai paesi che l’Italia considera sicuri o di quelli che hanno tentato di eludere i controlli in frontiera. Cioè i due casi in cui si applica la nuova misura del governo Meloni. Riassumendo: se hai il passaporto non serve la garanzia finanziaria, ma se non ce l’hai non puoi stipulare la fideiussione richiesta. Anche perché il governo ha
Leggi tutto: Immigrazione, cauzione impossibile: la norma non ha vie d’uscita - di Giansandro Merli
Commenta (0 Commenti)ELEZIONI EUROPEE 2024. "Di fronte alla guerra, tutti abbiamo il dovere di scendere in campo". Alla giornata fiorentina "Il coraggio della pace. Disarma", il giornalista di Servizio Pubblico chiude in bellezza una iniziativa ricchissima di interventi, tesi ad analizzare da ogni possibile angolazione i motivi e i retroscena della guerra in Ucraina, smontando pezzo per pezzo la narrazione dell'Ue, del governo italiano e di quasi tutti i media.
Il giornalista Michele Santoro
“Stare a riflettere sulla nostra impotenza mi ha stufato. Di fronte alla guerra, tutti abbiamo il dovere di scendere in campo”. E’ una chiamata a raccolta quella di Michele Santoro. A lui il gruppo organizzatore dell’iniziativa “Il coraggio della pace. Disarma”, ha lasciato l’intervento finale di una giornata ricchissima di interventi, tesi ad analizzare da ogni possibile angolazione i motivi e i retroscena della guerra in Ucraina, smontando pezzo per pezzo quelle che Fabrizio De Andrè chiamava “le verità della televisione”.
Un appuntamento che fa segnare il tutto esaurito al teatro fiorentino dell’Affratellamento, e che fa da preludio al nuovo incontro pubblico che sabato prossimo vedrà come principali promotori al teatro Ghione di Roma lo stesso Santoro e Raniero La Valle.
L’orizzonte, va da sé, è quello delle elezioni europee del prossimo anno. Di fronte alle quali il giornalista di Servizio Pubblico preconizza che sui media “in campagna elettorale dell’Ucraina non si parlerà, o si parlerà pochissimo”. Unica risposta possibile, un messaggio chiaro: “La mia parola d’ordine non è ‘basta con l’invio delle armi, è ‘uscire dalla guerra’”. Un obiettivo politico, indirizzato a un’opinione pubblica “che in maggioranza è contro la guerra e il riarmo, però non va a votare. Ma se non si risolve il problema della guerra non c’è futuro, né economico né politico, per l’Europa”.
Ad Alex Zanotelli, che prima di salire sul palco dell’Affratellamento gli ha chiesto “di fare un grande movimento pacifista, non una semplice lista”, Santoro risponde così: “Noi possiamo pretendere che nella campagna elettorale la pace sia la precondizione. Non chiediamo a nessuno di di rinunciare alle sue idee e ai suoi simboli, quello che dobbiamo fare è metterci insieme per uscire dalla guerra. Raccoglieremo le firme, quella sarà la prima spinta, saremo un pungolo. E allora vedrete che Schlein e il M5s metteranno dei pacifisti nelle loro liste”.
Soddisfatto il “promotore dei promotori” Claudio Grassi, portavoce del centinaio di personalità che hanno animato la giornata, tra le quali oltre a Zanotelli e Raniero La Valle sono intervenuti Luisa Morgantini, Moni Ovadia, il giurista Domenico Gallo, la filosofa femminista Maria Luisa Boccia, Pasqualina Napoletano, e ancora Ida Dominijanni, Marco Tarquinio, Roberto Musacchio, Alfio Nicotra, Flavio Lotti, Norberto Julini e, sugli aspetti più strettamente economici Roberto Romano, Alfonso Gianni e Stefano Fassina. Tutti interventi riascoltabili grazie alla trasmissione in diretta su You Tube, e in gran parte incentrati sulla deriva di una Unione europea nata contro le guerre ma oggi guerrafondaia.
“I cento che hanno inizialmente firmato l’appello sono già cinquecento – annota Grassi – e domani chiunque vorrà potrà unirsi per dare vita ad una associazione, per dare continuità a questo impegno a partire dall’iniziativa di sabato prossimo di Santoro e La Valle, e proseguire con la grande manifestazione ‘La via maestra’ del 7 ottobre. Un’associazione che possa colmare un vuoto nella sinistra, dove certe istanze vengono rappresentate ma troppo debolmente”.
In collegamento da remoto arriva l’intervento di Fausto Bertinotti: “Questa guerra può portare alla catastrofe, per questo oggi pace e rivoluzione stanno insieme. Sono l’annuncio del mondo che diventa l’alternativa al rischio della catastrofe”. Anche quello di Luigi De Magistris, portavoce di Unione popolare: “Ringrazio gli organizzatori di questa giornata, un fronte popolare pacifista ampio è necessario, e sui temi che sono stati delineati si può costruire non soltanto un progetto elettorale ma anche un progetto politico. Non dobbiamo fare calcoli, vedremo se c’è la voglia, per certo il cambiamento dall’alto io non l’ho mai visto, l’unica strada è il cambiamento dal basso. Uniti, anche con storie diverse ma con gli stessi principi, costituzionali, di fondo”
Commenta (0 Commenti)