Il voto italiano non è indispensabile. Entro febbraio 2024 l’approvazione dell’accordo. Serve il Sì di almeno 15 paesi che rappresentano il 65% della popolazione
C’è una maggioranza tra i paesi Ue per un accordo sulla gestione delle regolazioni dei migranti in caso di crisi, ma l’Italia impone di perdere ancora un po’ di tempo. È scontenta del capitolo che garantisce una protezione alle Ong che «non possono essere accusate di strumentalizzazione». Anche per questo il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi non è intervenuto al Consiglio di Bruxelles, dirigendosi poi a Palermo per incontrare gli omologhi di Libia e Tunisia. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha provato a smorzare le tensioni dicendo che l’Italia non ha detto No ma solo preso tempo «per un esame giuridico più approfondito». Ha però ribadito che con la Germania esistono posizioni diverse sul finanziamento alle Ong. In serata «fonti di Palazzo Chigi» hanno fatto trapelare «sorpresa» per le sette navi umanitarie con bandiera tedesca in missione durante il vertice Ue. In realtà solo cinque erano in navigazione – due velieri e due imbarcazioni piccole – e non è un numero inusuale.
DI IMMIGRAZIONE discuteranno oggi i paesi del sud della Ue al decimo summit Med9 in Spagna (Cipro, Croazia, Spagna, Francia, Grecia, Italia, Malta, Portogallo, Slovenia, assieme ai presidenti di Commissione e Consiglio).
DOPO MESI di negoziati, bisognerà aspettare
ancora un po’ per un accordo europeo, anche se a sbloccare la situazione è stato il cambio di posizione della Germania, lacerata nel governo di coalizione tra la difesa dei diritti e i timori di dare argomenti all’estrema destra a pochi giorni da un voto locale. «C’è un’ampia maggioranza sull’orientamento generale – afferma il ministro deli Interni spagnolo, Fernando Grande-Marlaska, presidente semestrale del Consiglio che ha preparato l’ultimo compromesso – Siamo molto vicini a raggiungere il consenso necessario», ma «mancano alcuni dettagli».
IL BELGIO spiega che ormai ci vorranno 40-50 giorni per arrivare a un testo di legge definitivo, cioè nei tempi previsti dalla Commissione. Il tempo massimo per lasciare in eredità un nuovo sistema alla prossima configurazione del Parlamento europeo e di tutte le alte cariche della Ue è febbraio 2024. La Crisis Management Regulation, per la gestione in caso di crisi, ha bisogno della maggioranza qualificata per passare, cioè almeno 15 paesi che rappresentano il 65% della popolazione della Ue. Il voto italiano non è indispensabile. Per l’Ungheria «il Patto apre nuove porte a più immigrazione», commenta Bence Retvari. La Polonia terrà un referendum sull’immigrazione il 15 ottobre, stesso giorno delle legislative.
PER MARGARITIS SCHINAS (Ppe), il commissario europeo che ha proposto il Patto, «alla fine toglieremo argomenti a demagoghi e populisti che dicono che non possiamo risolvere la situazione». Nell’aprile scorso, il Parlamento Ue aveva raggiunto un accordo sulla posizione da difendere nel negoziato in corso con il Consiglio: solidarietà tra paesi in caso di crisi acuta attraverso ricollocamenti volontari, filtraggi alle frontiere con il rafforzamento di Eurodac (dai biometrici, impronte ecc.), gestione dell’immigrazione illegale con i rimpatri.
NEL GIUGNO SCORSO una posizione negoziale era passata anche al Consiglio europeo, a maggioranza qualificata di 21 paesi (l’Italia aveva votato a favore), con quattro astensioni (Bulgaria, Malta, Lituania, Slovacchia) e due voti contrari (Polonia, Ungheria). L’Italia – con Austria, Olanda e Grecia – vorrebbe inserire la possibilità di rinviare i migranti respinti dal diritto all’asilo non solo nel paese d’origine, ma anche verso paesi terzi, considerati «sicuri» dalla Ue. Il compromesso della Commissione esorta comunque i 27 a concludere accordi con paesi di origine.
L’IMMIGRAZIONE sarà argomento elettorale scottante alle europee di giugno e il Patto è una pittura di facciata. Nei fatti, oggi, gli europei stanno distruggendo poco alla volta l’accordo di Schengen di libera circolazione, raggiunto nel 1995 e ora in via di revisione. C’è un generale ritorno dei controlli alle frontiere interne che ormai colpisce il 50% dei cittadini dell’area Schengen, malgrado le sentenze della Corte di giustizia (contro Austria e Francia)