ORRORISMO. Da opposizioni e sostenitori condanna senza appello. Per mesi l’esercito lo ha avvertito delle criticità: lui ha tutelato soltanto l’ultradestra
Il premier israeliano Netanyahu - Ap/Abir Sultan
Quando nel silenzio della festività ebraica di Simchat Torà, la follia omicida di Hamas li ha colti completamente impreparati, gli israeliani erano sull’orlo di una guerra civile combattuta da gennaio tra coalizione e opposizione a suon di manifestazioni e proposte di legge intorno alla famigerata riforma giudiziaria. Tuttavia, già dalle prime ore di sabato l’immagine che si offre al mondo è quella di un paese ricompattato che nella tragedia dà l’ennesima prova di coraggio, forza d’animo, generosità e solidarietà interna ammirevoli.
All’interno di Israele, però, la percezione è quella di una vulnerabilità mai conosciuta prima d’ora, nemmeno in occasione della guerra del Kippur che pure aveva colto tutti di sorpresa. La motivazione non sembra da ricondurre solo alla trasformazione di Hamas e ai nuovi atti disumani perpetrati dai suoi miliziani, ma a quella che dovrebbe essere la guida di Israele e che buona parte della popolazione percepisce da tempo come uno scomodo pericolo da rimuovere.
COSÌ, A FARE da sfondo alla mobilitazione delle forze dell’ordine che si adoperano per riprendere il controllo a sud come a nord, alle migliaia di riservisti che rispondono alla chiamata alle armi e ai civili impegnati senza sosta in ogni forma possibile di volontariato, vi sono le asprissime critiche rivolte al capo del governo che questa volta hanno ampiamente sconfinato la stampa di opposizione per raggiungere le testate giornalistiche e i media di ogni orientamento.
Del resto, benché nel corso delle quasi 40 settimane di protesta Netanyhau fosse stato avvisato molteplici volte, dagli esperti dell’intelligence e dell’esercito, sulla fragilità di Israele sul profilo della sicurezza, il premier ha sistematicamente ignorato ogni segnalazione preoccupato com’era di uscire indenne dal processo a suo carico, promuovendo la riforma giudiziaria e barcamenandosi tra le richieste dei partiti estremisti che gli hanno consentito di formare un governo e salvarsi la poltrona.
Tra le accuse principali che gli vengono rivolte vi è quella di malafede, immoralità e gravissime omissioni e di aver usato ogni risorsa economica e militare per difendere i coloni della Cisgiordania e gli estremisti religiosi, invece di proteggere le località a sud di Israele al confine con la Striscia.
Se non bastasse, il numero spaventoso di morti, feriti e ostaggi sarebbe anche una conseguenza dell’arricchimento di Hamas consentitogli indirettamente sotto varie forme dallo stesso Netanyahu, che si affermava convinto che la soddisfazione economica avrebbe evitato una guerra con Gaza.
Anche i discorsi rivolti alla nazione, l’ultimo lunedì, risuonano inconsistenti. Il premier si presenta da solo, procrastina il governo di unità, manca un’ammissione di colpa, una presa di responsabilità, ma soprattutto spicca l’assenza quasi totale di riferimento agli ostaggi, la responsabilità dei quali Netanyahu sceglie di delegare interamente a Hamas. Già nell’apparizione di sabato sera fa invece uso della parola «vendetta» che, pur essendo un’espressione infelice, non sembra averlo privato del consenso internazionale.
DAGLI STATI UNITI all’Europa, i governi sembrano appoggiare Israele a spada tratta nella pesantissima controffensiva a Gaza, pur coscienti del prezzo che questa costerà in termini di vite umane. Se Israele ha bisogno di sostegno e legittimazione in questa circostanza, il rischio potrebbe essere quello di perdere di vista il termine dell’occupazione, relegando anche il conflitto israelo-palestinese, fino a poco fa asimmetrico, alla prospettiva orientalistica che da anni vede un Occidente islamofobo schierato contro un certo terrorismo.
Al momento gli spaventosi crimini di Hamas hanno distolto l’attenzione internazionale dalla volgare violenza nazionalista e razzista del governo Netanyahu, finendo paradossalmente per legittimarlo, ma che ciò coincida con gli interessi dei cittadini israeliani, soprattutto nel lungo periodo, sarà una questione da verificare
Israele sigilla la striscia di Gaza e bombarda l’unica via di fuga dei palestinesi verso l’Egitto. Distrutti interi quartieri, civili annientati.
I militari di Tel Aviv scoprono le stragi nei villaggi di confine. A Kfar Aza decine di morti, molti bambini, racconti di atrocità. Hamas non si ferma e lancia missili su Ashkelon
7 OTTOBRE. Kfar Aza, Beeri, Saad. Gli abitanti raccontano le stragi di sabato scorso. A Gaza la popolazione è in trappola, sotto incessanti bombardamenti israeliani. Il bilancio dei morti continua a salire
Soldati portano via i corpi dei civili israeliani uccisi da Hamas nel kibbutz di Kfar Aza - Afp/Jack Guez
Naama Rotenberg, un assistente sociale, vive dal 2009 a Saad un kibbutz religioso ad appena 4 km da Gaza e adiacente a un altro kibbutz, Kfar Aza, un po’ più grande. Ieri raccontava ai giornalisti di sabato 7 ottobre, un giorno che difficilmente si dimenticherà. «Siamo stati svegliati dal suono delle esplosioni e dalle sirene di allarme rosso. Mio marito ed io siamo entrati nel rifugio con i nostri quattro figli e un altro amico». In quei momenti, non lo sapeva, centinaia di palestinesi armati si stavano riversando in Israele da Gaza via terra, mare e aria. E migliaia di missili correvano nel cielo verso sud. «A un certo punto ci siamo resi conto che stava succedendo qualcosa di veramente grosso, gli addetti alla sicurezza ci hanno detto di rimanere nel rifugio. Ci siamo rimasti per tutto il giorno».
Poi sono cominciati ad arrivare i giovani scampati dalla morte al raduno musicale di Reim dove, all’improvviso, era cominciato un fuoco di armi automatiche indiscriminato da parte di uomini arrivati con le moto. «Li abbiamo accolti, erano sconvolti, terrorizzati». I morti sono stati 260 a Reim. I miliziani negli stessi minuti si rendevano responsabili di altre uccisioni indiscriminate a Kfar Aza. Un generale dell’esercito Itai Veruv ieri ha raccontato a un gruppo di reporter stranieri il «massacro» di «bambini, madri e padri…nelle loro camere da letto» compiuto dagli uomini di Hamas. Non avrebbero però decapitato «alcuni bambini» come è stato riportato da alcuni quotidiani italiani. Un giornalista che ha partecipato al tour ha detto che, a una domanda specifica, i responsabili del kibbutz hanno risposto di «non poter confermare la notizia». Anche gli inviati di New York Times, Guardian, Washington Post e l’agenzia Reuters non hanno riferito di bambini ai quali sarebbe stata tagliata la testa. Fa eccezione la Cnn che parla di decapitazioni di persone.
La tensione si percepisce forte girando a piedi per Gerusalemme. Con i quartieri ebraici con i negozi in buona parte chiusi, poca gente in strada e traffico scarso. E la zona Est, palestinese, un po’ più viva dove girano numerose le jeep della guardia di frontiera e le auto della polizia. La frattura tra le due Gerusalemme non è mai stata così ampia come in questi giorni. L’atmosfera avvelenata ricorda quella dell’inizio della seconda Intifada, nell’autunno del 2000. Nissim gestisce un h24 in Baqa. «Adesso ci vuole la forza militare contro Hamas, dobbiamo colpire quella gente (i palestinesi), avete visto cosa hanno fatto a tante persone, hanno perfino sequestrato una anziana di 80 anni. E voi europei sempre pronti a difendere e dare soldi ai palestinesi» ci dice.
Invece per Farid, che abita ad a-Thuri, «sono finiti i tempi in cui noi subivamo e basta. Non mi sono piaciute quelle uccisioni (fatte da Hamas) ma Israele non fa lo stesso con noi da sempre? Guarda cosa accade a Gaza, gli israeliani uccidono donne e bambini». Anche lui coglie
Leggi tutto: Strage nel kibbutz. A Gaza spariti interi quartieri - di Michele Giorgio, GERUSALEMME
Commenta (0 Commenti)GUERRA IN PALESTINA. Oggi il ministro Tajani riferisce alle Camere. I dubbi di M5S e sinistra-verdi sul documento che andrà al voto. Il Pd: firmeremo solo se ci sarà il sì di tutto il Parlamento. Dem divisi sulla manifestazione convocata dal Foglio: ci saranno Quartapelle, Sensi e Alfieri. Provenzano: io non vado
Giuseppe Provenzano, responsabile esteri del Pd
Oggi, in occasione dell’informativa alla Camere del ministro degli Esteri Tajani, le forze politiche potrebbero unirsi in una mozione bipartisan sul conflitto israelo-palestinese.
Il condizionale è d’obbligo, visto che alcune forze come Sinistra-verdi e M5S, pur d’accordo sulla condanna degli attacchi di Hamas ai civili israeliani, chiedono un testo molto sintetico e non accettano una cambiale in bianco verso la rappresaglia del governo Netanyahu.
Al centro della discussione anche il riferimento ai fondi Ue per la Palestina. Sinistra italiana, con il responsabile esteri Giorgio Marasà, oltre alla condanna per la «sciagurata» azione di Hamas, ricorda «il «peso enorme di responsabilità» dell’Occidente». «Avevamo il dovere di lavorare per una pace vera». Angelo Bonelli dei Verdi accusa il governo israeliano di aver «consentito la sistematica e illegittima occupazione di terre da parte dei coloni». Anche il M5S esprime «profonda preoccupazione per una reazione israeliana che si preannuncia sproporzionata e diretta contro l’inerme popolazione civile della Striscia di Gaza».
Il capogruppo del Pd in Senato Francesco sta lavorando con il suo omologo di Fdi Lucio Malan per arrivare a un testo condiviso da votare in Parlamento. I dem hanno apprezzato i ton i usati in queste ore da Tajani che, al Corriere, ha ribadito la «necessità di riportare il processo di pace al centro dell’attenzione internazionale» e di «sventare il rischio di una escalation», attraverso un «dialogo che porti a un abbassamento della tensione» con paesi come Egitto, Arabia Saudita e Giordania. E il testo della mozione dovrebbe spingere il governo ad una «azione diplomatica con i principali attori regionali per evitare l’escalation».
Alcuni esponenti del Pd hanno aderito alla manifestazione promossa per stasera al Colosseo dal Foglio dal titolo «Israele siamo noi». Ci saranno, oltre a esponenti di Fdi, Fi, Lega, Azione e Italia Viva, anche i dem Lia Quartapelle, Filippo Sensi e Alessandro Alfieri. Il responsabile esteri Peppe Provenzano ha smentito una sua partecipazione, ma ha scritto al quotidiano per esprimere «solidarietà a Israele e profondo cordoglio per le vittime». Per i dem c’è il rischio di firmare una mozione con la maggioranza spaccando le opposizioni. Ma al Nazareno assicurano: «Firmeremo solo se ci sarà un testo condiviso da tutto il Parlamento».
L’intergruppo parlamentare per la pace in medio Oriente (composto da parlamentari di Pd, M5S e sinistra-verdi), condannando l’attacco di Hamas, ha ricordato come «gli insediamenti illegali dei coloni» israeliani abbiano «alimentato il radicalismo islamista». «Se la comunità internazionale avesse indotto il governo israeliano a rispettare le risoluzioni Onu il conflitto non sarebbe degenerato fino a questo punto». Tra i firmatari Laura Boldrini, Susanna Camusso Arturo Scotto e Stefano Vaccari
Commenta (0 Commenti)L'AZIONE DI HAMAS UNISCE LE FAZIONI PALESTINESI. Quattro miliziani del partito di Dio sono rimasti uccisi dagli israeliani nel Sud del paese
L’inevitabile ripercussione sul Libano della guerra Hamas-Israele si sta facendo sentire. Ieri pomeriggio le Brigate al-Quds del Jihad Islamico hanno rivendicato un attacco e un’incursione in territorio israeliano dal sud del Libano, presso Dhayra. Due degli incursori sono stati uccisi certamente dalle forze israeliane, che hanno registrato 7 feriti e che avevano già annunciato il rafforzamento delle linee dall’altro lato della Linea Blu tra i due paesi presidiata dall’Unifil. Hezbollah aveva nel pomeriggio dichiarato di essere estraneo all’azione, poi rivendicata dalle Brigate.
Il partito armato libanese ha però poi in seguito fatto sapere che quattro dei sui uomini sono caduti in una delle numerose offensive aeree dell’esercito israeliano in territorio libanese.
Continuano intanto gli scontri e il numero dei feriti e delle vittime è incerto. Le aree da entrambi i lati sono state sgomberate. Le montagne bruciano in seguito agli attacchi aerei israeliani. Domenica mattina presto c’era stato uno scambio di artiglieria nelle Fattorie Sheba’a occupate da Israele nel 1967 e da allora contese da Libano, Siria e Israele. Hezbollah aveva lanciato cinque razzi che non avevano colpito obiettivi militari, né civili, a cui era seguita una contenuta e simile controffensiva israeliana, in un’azione tutto sommato simbolica per entrambi.
Il messaggio adesso è che i palestinesi in Libano sono pronti. Le fazioni opposte ad Hamas – si sono registrati scontri a luglio e agosto nel campo di Ain l-Helueh – come Fatah mettono da parte le divergenze per questa operazione «eroica».
In Libano la condizione dei palestinesi nei 12 campi è complessa. Dalla Nakba (1948), l’esodo palestinese nell’anno della fondazione di Israele, che ha impedito il ritorno dei profughi fino ad oggi, i circa 450mila palestinesi registrati in Libano vivono restrizioni che impediscono loro l’integrazione nel tessuto libanese: non possono arrivare a posizioni sociali apicali, avere la cittadinanza, avere permessi per riparare le infrastrutture nei campi. Ciò impoverisce, secondo l’Unrwa, oltre il 93 per cento dei palestinesi rifugiati nel paese.
La mancata integrazione è stata giustificata dal fatto che essendo il Libano un paese confessionale e i palestinesi in larghissima parte musulmani, ci sarebbe stato uno sbilanciamento della politica interna che avrebbe destabilizzato il piccolo paese di appena dieci km quadrati e circa 5 milioni di abitanti.
C’è una giustificata paura di ritrovarsi catapultati nella guerra Hamas-Israele durante il quarto anno di una crisi che ha prosciugato i conti bancari dei libanesi, svalutato la moneta fino a picchi del 200 per cento, allargato la forbice della diseguaglianza sociale e aumentato la povertà multidimensionale nel paese. Oltre a quella economica, il Libano vive una profonda crisi politica, con un governo ad interim nonostante le elezioni del maggio 2022 e senza il presidente della repubblica, dopo la fine del mandato di Aoun un anno fa. È questo infatti il nodo da sciogliere: trovare un presidente che metta d’accordo gli attori politici principali. Fino ad allora, sarà impossibile attuare le riforme necessarie che farebbero arrivare gli aiuti del Fondo monetario internazionale i stanziati.
«Le truppe di pace mantengono le posizioni e sono in allerta. Al momento parliamo con le parti per una de-escalation» ha diciarato Tenenti, portavoce dell’Unifil.
La presidente Meloni ha ieri in una telefonata al suo omologo Mikati assicurato la vicinanza e «la volontà dell’Italia di continuare a contribuire alla sicurezza e alla stabilità del Libano in questo delicato frangente».
Il coinvolgimento diretto di Hezbollah rappresenta una minaccia per l’integrità del Libano in un momento così delicato per il paese e stravolgerebbe la natura della guerra con conseguenze impredicibili
Commenta (0 Commenti)«La nostra forza è aver unito realtà diverse, non ci fermeremo finché il paese non cambia». I due cortei riempiono piazza San Giovanni «come non accadeva da dieci anni» ben oltre le previsioni
Manifestazione sindacale a Roma - Getty Images
Due lunghissimi serpentoni rossi con qualche chiazza di altro colore che hanno fatto fatica ad entrare a piazza San Giovanni. La «Via maestra» ha tracciato la strada per «cambiare il paese in nome della Costituzione». La manifestazione della Cgil e di altre 200 associazioni e reti sociali e territoriali è stata un successo che è andato oltre le migliori previsioni degli organizzatori. Le 200 mila persone stimate – 35 mila per la Questura di Roma – sono un segnale di vitalità e speranza per il futuro tutt’altro che scontato: «Una piazza così non si vedeva da almeno dieci anni», si sente dal palco.
Alle 15 piazza San Giovanni era già piena mentre c’erano migliaia di persone ancora ferme a piazzale dei Partigiani, partenza del corteo dalla stazione Ostiense.
Nei tanti interventi dal palco sono risuonati tanti accenti diversi ma una sola voce, riassunta nella chiusura di un commosso Maurizio Landini: «L’emozione e la felicità di valore una piazza così è enorme».
LA CGIL MOVIMENTISTA, capofila dell’associazionismo laico e cattolico, chiama tutto il paese a reagire: «È il momento di uscire dalla rassegnazione, dall’idea che non si può cambiare, che bisogna subire». Consapevole della forza che viene «dall’aver messo assieme tante realtà diverse in nome della Costituzione». «Una Costituzione – sottolinea Landini nel passaggio più applaudito dalla piazza – conquistata dai nostri padri e nostri nonni sconfiggendo il fascismo».
«A nome di tutte le associazioni prendiamo l’impegno di batterci ogni giorno e in ogni luogo fino a quando lavoro e diritti non saranno tornati al centro della vita sociale e politica»
Un Landini ecumenico – «non è possibile che in 18 mesi di guerra l’unico che ha lavorato per la pace sia il papa» – che ricorda «la casa dei rider aperta a Palermo» e «il parco aperto dalla società civile a Caserta» come modelli «per ricostruire le comunità e la solidarietà tra le persone che si ottiene non fra eguali ma quando chi ha di più aiuta chi ha di meno ad avere più diritti perché il nostro nemico non è il migrante o chi ha un lavoro più sicuro del mio ma quello da battere è chi sfrutta tutti», sottolinea il segretario Cgil.
QUI ARRIVA L’ATTACCO A MELONI: «Dopo un anno in carica il governo ha deciso di manomettere la Costituzione, noi che l’abbiamo difesa da Berlusconi e da Renzi lo continueremo a fare a partire dal no all’autonomia differenziata».
Il passaggio sulla necessità di «un salario minimo orario contro salari da 5-6 euro che sono da fame» è molto duro: «Il governo ha subappaltato al Cnel il suo ruolo e il suo professore (Brunetta, Ndr) ha deciso che del salario minimo non c’è bisogno grazie anche ai voti di sindacati che non hanno rappresentanza e hanno firmato contratti pirata: è un attacco ai lavoratori che invece devono avere il diritto di votare sui loro contratti e avere una legge sulla rappresentanza».
Due sassolini il leader della Cgil se li toglie parlando di «crisi climatica e conseguenze sul lavoro». L’attacco è diretto a Sergio Marchionne e Carlo Calenda, entrambi solo evocati. «La chiusura della Marelli è figlia dei mancati investimenti di 15 anni fa quando l’allora Fiat invece attaccava i diritti dei lavoratori e chi oggi ci attacca, chiedendoci dove eravamo, lavorava per loro e poi è diventato ministro senza fare nulla su questo argomento».
ARRIVA POI UN ALTRO MOMENTO di commozione nel ricordo di Stefano Rodotà e Carla Carlassare: «Dieci anni fa eravamo insieme per una manifestazione dallo stesso titolo – la via maestra – un pensiero va a loro che non hanno mai rinunciato alle loro idee, non hanno mai delegato. Rodotà diceva sempre che esistono due idee di società: una democratica che spinge alla partecipazione e una autoritaria che restringe gli spazi di democrazia. Ebbene – insiste Landini – siamo di nuovo lì, davanti all’idea che serva un qualcuno di forte. E allora davanti alla crisi della democrazia che riguarda non solo i partiti ma anche il sindacato dobbiamo impegnarci perché la politica tutta torni ad occuparsi delle persone e del lavoro, non c’è niente da inventare, basta tornare ai valori base dei nostri costituenti». Ecco infine «l’impegno» con cui Landini chiude la manifestazione: «Credo che a nome di tutte le associazioni prendiamo l’impegno di batterci, non ci fermeremo finché lavoro e diritti non saranno tornati al centro della vita sociale e politica».
PRIMA DI LUI SUL PALCO si erano alternate tante realtà sociali e personalità diverse, a partire da quel Gustavo Zagrebelsky che era presente anche dieci anni fa alla prima «Via maestra». Se Peppe De Marzo, coordinatore della Rete dei numeri pari, ha chiesto «il ritiro del ddl Calderoli sulla autonomia differenziata», Gianfranco Pagliarulo dell’Anpi ha ricordato come «l’antifascismo mai come oggi vuol dire pace e lavoro» e Simona Abate di Greenpeace ha sostenuto come «ambientalismo e giustizia sociale debbano viaggiare di pari passo». Dieci anni fa c’era anche don Ciotti, sicuramente stato il più applaudito e molto meno moderato di allora: «Siamo davanti alla prostituzione della Costituzione e non possiamo tacere. La Costituzione è il primo testo antimafia, è carta ma anche carne, lo sa bene la magistrata Iolanda Apostolico che ha solo applicato la legge e il diritto europeo ed subito ha subito un massacro: uniamo le nostre forze costruiamo una nuova forza sociale e politica», ha concluso il fondatore di Libera. Qualcuno dunque ci sta pensando. Non certo Landini. Che deve preparare lo sciopero generale, sebbene ieri non l’abbia evocato
Commenta (0 Commenti)Attacco senza precedenti: Hamas abbatte le barriere al confine di Gaza e penetra in Israele. Che risponde bombardando la Striscia: 200 morti israeliani, 230 palestinesi. Scontri in Cisgiordania e a Gerusalemme, i coloni aprono il fuoco. Medio Oriente sull’orlo del baratro
LA SORPRESA DELLA GUERRA. Duecento gli uccisi israeliani, oltre 230 i palestinesi. Soldati e civili presi in ostaggio. Per ore pezzi di città controllati dai miliziani
Uno dei missili lanciati da Hamas verso il territorio israeliano foto - Ap/Hatem Moussa
Per Israele «L’alluvione di Al Aqsa» di Hamas è, cinquant’anni dopo, una nuova guerra del Kippur quando gli eserciti arabi colsero di sorpresa e per qualche giorno fecero vacillare lo Stato ebraico.
È quello che hanno pensato in tanti ieri mattina quando il movimento islamico palestinese ha colto di sorpresa Israele con un attacco senza precedenti, prima con il lancio di centinaia di razzi – a fine giornata saranno almeno 2.500 – e poi con incursioni di uomini armati che, dopo aver superato le barriere di separazione, sono entrati in villaggi e cittadine adiacenti a Gaza. Lì hanno ucciso un numero imprecisato di militari e civili – 200 hanno riferito in serata fonti israeliane – e portato trenta, forse cinquanta o più ostaggi, tra cui anche donne, nella Striscia. L’attacco a sorpresa è stato uno dei peggiori fallimenti dell’intelligence israeliana.
ISRAELE ha risposto con massicci attacchi aerei nelle profondità dell’enclave costiera uccidendo, fino a ieri sera, oltre 230 palestinesi e ferendone altre centinaia in una ritorsione violenta. «Il nostro nemico pagherà un prezzo che non ha mai conosciuto», ha avvertito il primo ministro Benjamin Netanyahu. «Siamo in guerra e la vinceremo». E una guerra lunga e sanguinosa è prevista da tutti. Nessuno si attende uno sviluppo diverso. Una guerra che non pochi avevano visto già da tempo, di fronte alla mancata soluzione della questione palestinese, all’occupazione militare che dura dal 1967, al blocco totale di Gaza dal 2007. È precipitato tutto e a pagare il prezzo più alto sono i civili.
ERANO LE 6.30, le 5.30 in Italia, quando Hamas ha lanciato nello stesso momento
Leggi tutto: Senza precedenti, Hamas attacca Israele. Bombe su Gaza - di Michele Giorgio
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