La scadenza è stata prorogata al 31 dicembre. Sopralluogo del commissario Figliuolo e della vicepresidente Priolo, nel faentino e a Castel Bolognese (Ra)
Bologna - Due mesi in più per presentare la richiesta di saldo del Cis, il Contributo di immediato sostegno. Di fatto, i cittadini – la cui abitazione principale sia stata allagata o direttamente interessata da frane e smottamenti che l’abbiano resa non utilizzabile – potranno inviare la domanda di saldo non entro il 31 ottobre, bensì entro il 31 dicembre 2023.
Una proroga, questa, sancita da un’ordinanza del capo del Dipartimento della Protezione civile, Fabrizio Curcio, che ha accolto la richiesta della Regione Emilia-Romagna. La Regione, che ha siglato l’intesa oggi, ha sostenuto a sua volta le necessità e i bisogni espressi dal territorio.
La proroga al 31 dicembre è stata anche confermata telefonicamente questa mattina dal capo Dipartimento Curcio al commissario straordinario alla ricostruzione, generale Figliuolo, durante uno dei sopralluoghi svolti nel ravennate, insieme alla vicepresidente Priolo, nelle aree alluvionate del Comune di Faenza e, successivamente, a Castel Bolognese.
Commenta (0 Commenti)GIUSTIZIA. Ancora tre settimane per conoscere la decisione della Corte d'Appello di Reggio Calabria che vede imputato l'ex sindaco di Riace
Tutto rinviato all’11 ottobre. Bisognerà attendere ancora tre settimane per conoscere la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria nel processo “Xenia” che vede imputati l’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano, e altri soggetti accusati di aver dato vita a un’associazione a delinquere che avrebbe “strumentalizzato il sistema dell’accoglienza” nella cittadina jonica.
In principio è stata data lettura di un testo indirizzato da Mimmo Lucano ai giudici. Nella lettera l’ex sindaco invita a visitare Riace per toccare con mano e vedere coi propri occhi quanto è stato costruito in questi anni in termini di solidarietà concreta.
Lucano: «Resto convinto delle mie idee. Non ho paura»
In seguito, davanti ai giudici della seconda sezione, l’avvocato Giuliano Pisapia ha pronunciato la sua arringa difensiva. Il legale di Lucano ha esordito confidando alla Corte che poco tempo fa era in procinto di concludere la carriera forense, ma che ha deciso di rinviare l’addio alla toga proprio per difendere il suo assistito.
Richiamando alcuni brani degli interventi dell’insigne giurista Luigi Ferrajoli, l’avvocato milanese ha definito denigratoria la sentenza di primo grado che avrebbe assunto toni dileggianti nei confronti dell’imputato. Tale modalità nel motivare la sentenza svelerebbe l’applicazione del “diritto del nemico” che non mira ad accertare i fatti ed eventualmente a sanzionare le condotte criminose, bensì ad individuare a tutti i costi un nemico all’interno della società.
In seguito ha preso la parola l’avvocato Andrea Daqua. Nella sua arringa il legale ha evidenziato gravi difformità tra le intercettazioni raccolte dalla polizia giudiziaria e quelle trascritte dal perito del tribunale di Locri, che avrebbero indotto i giudici del processo di primo grado ad una scorretta interpretazione delle conversazioni tra Lucano e gli altri imputati.
La Corte ha fissato una nuova udienza per il prossimo 11 ottobre alle 9.30, quando la procura generale effettuerà le sue repliche, al termine delle quali sarà emessa la sentenza.
Nell’ottobre 2021, in primo grado, Lucano fu condannato a 13 anni e 8 mesi dal tribunale di Locri. La procura generale ha chiesto per lui una pena leggermente inferiore: 10 anni e 5 mesi
Commenta (0 Commenti)I centri per il rimpatrio, gli hotspot e persino quelli per l’accoglienza diventano opere di «difesa e sicurezza nazionale». Nel decreto «Sud» c’è la svolta militare nella gestione dei migranti. Il governo vara la guerra ibrida ai profughi, mentre in Europa si chiudono le frontiere
Migranti al porto di Lampedusa - Ansa
La presidente del consiglio Giorgia Meloni ripete che l’Italia non sarà il campo profughi d’Europa, ma fa di tutto per trasformarla in una grande prigione a cielo aperto. Intanto per chi sbarca. La svolta militare contro il fenomeno migratorio arriva con un decreto legge intitolato al Sud e pubblicato ieri in Gazzetta ufficiale.
I Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) ma anche gli hotspot e i Centri di accoglienza straordinaria (Cas) diventano «opere destinate alla difesa e sicurezza nazionale». Equiparati, cioè, a caserme, arsenali, basi navali e missilistiche. Per farlo il governo modifica il codice dell’ordinamento militare.
Nello stesso provvedimento viene innalzato a 18 mesi il periodo massimo di detenzione amministrativa dei migranti irregolari e sono destinati 45 milioni a Lampedusa per compensare l’aumento degli sbarchi.
UNA SETTIMANA FA il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini (Lega) aveva definito «atto di guerra» l’arrivo via mare delle persone in fuga da Tunisia e Libia. Ieri l’esecutivo ha confermato tale interpretazione: la costruzione dei nuovi centri, di accoglienza e detenzione, passa alla Difesa che li realizzerà attraverso il Genio militare. In cambio di 20 milioni iniziali e poi uno ogni anno.
«Il piano straordinario per l’individuazione delle aree interessate» sarà contenuto in un decreto di Palazzo Chigi. Il ministro della Difesa Guido Crosetto (FdI) ha chiarito che il controllo all’interno dei centri spetterà alle forze dell’ordine, rimanendo in capo al Viminale. Che non esclude ne nascano anche su isole desrte.
LA LORO GESTIONE sarà affidata ai privati, attraverso procedure ordinarie. Straordinarie saranno quelle
Leggi tutto: Centri per migranti come basi militari. Strappo del governo - di Giansandro Merli
Commenta (0 Commenti)MIGRANTI. Per i Centri di rimpatrio nell’ultima manovra sono stati stanziati 42,5 milioni in tre anni. Il ministro dell'Interno difende le nuove misure del governo. Solo Fedriga è entusiasta, Zaia: «Nessuno ci ha contattati». E Giani: «Mai in Toscana». Il presidente emerito Mirabelli: «Diritti costituzionali a rischio se la custodia avrà un carattere detentivo»
La nuova parola magica del governo Meloni è Cpr, la sigla per Centri di permanenza per i rimpatri. Nel Cdm di lunedì (la misura è stata inserita nel decreto Sud alla Camera) il via libera alla nuova strategia (che assomiglia alla vecchia, basata sui Centri di identificazione ed espulsione): nel giro di due mesi, assicurano fonti dell’esecutivo, ci sarà il via libera al piano con l’elenco delle strutture scelte. I Cpr saranno almeno uno per regione (12 quelle sprovviste) e saranno considerati di interesse nazionale per la sicurezza, selezionati tra le caserme dismesse in località scarsamente popolate, facilmente recintabili e sorvegliabili. L’allestimento sarà affidato al Genio militare, il presidio alla polizia. I servizi saranno dati tramite bando ai privati, responsabili del rapporto con i migranti trattenuti e del funzionamento del centro. Nell’ultima manovra stanziati 42,5 milioni in tre anni. Tirando le somme, si tratta di una sorta di detenzione che può durare 18 mesi. Con la promessa, tutta da verificare, che sarà poi possibile effettuare tutti i rimpatri.
IL PRESIDENTE EMERITO della Corte costituzionale, Cesare Mirabelli, solleva dei dubbi: la modifica del termine di trattenimento nei Cpr potrebbe violare i diritti della
Leggi tutto: Piantedosi: «I Cpr ce li chiede l’Europa» - di Adriana Pollice
Commenta (0 Commenti)Un anno e mezzo dietro le sbarre. Il governo non può fermare gli sbarchi quindi decide di prolungare, moltiplicandolo per tre, il tempo massimo di detenzione per chi approda in Italia. Ai militari il compito di trasformare il paese in un carcere diffuso. Crudele e inutile
PORTO SICURO. Il Consiglio dei ministri cambia il decreto Sud prima di pubblicarlo. E cerca nuove strutture per trattenere anche chi fa richiesta asilo. Meloni: «Nei centri di permanenza deve andarci chiunque sbarchi illegalmente in Italia, richiedenti asilo compresi»
Nuovi sbarchi a Lampedusa - LaPresse
Di fronte a domande diverse il governo tende a dare sempre la stessa risposta: sbarre, prigioni, detenzione. Così dopo gli sbarchi degli ultimi giorni, ieri il consiglio dei ministri ha deciso di prolungare il trattenimento massimo nei centri di permanenza per i rimpatri (Cpr). Si passa da tre mesi, a cui in casi particolari potevano essere aggiunti 45 giorni, a diciotto.
Con la moltiplicazione per sei inizia la «messa a terra» del videomessaggio con cui venerdì sera la premier Giorgia Meloni aveva annunciato la svolta militare della gestione dell’accoglienza. Militare in senso stretto: proprio il ministero della Difesa ha ricevuto il mandato di «realizzare nel più breve tempo possibile le strutture per trattenere gli immigrati illegali». Queste due misure saranno inserite nel dl Sud, che Palazzo Chigi conta di pubblicare a stretto giro.
Intanto l’esecutivo è già a lavoro su un nuovo decreto a tema immigrazione e sicurezza, che approderà in Cdm la prossima settimana. È qui che finiranno le norme per limitare il riconoscimento della minore età: cancellando il trattamento più favorevole in caso di dubbio e modificando le procedure di accertamento. Meloni ha poi annunciato
Commenta (0 Commenti)Gli accordi firmati dalle Regioni con il ministero della Salute stabiliscono dove e come verranno realizzate le Case di Comunità. I progetti, approvati in tutte le sedi, sono partiti a tambur battente a giugno 2022
Lo scorso 27 luglio il ministro Fitto presenta la proposta di revisione del Pnrr: a causa di un aumento dei costi nell’edilizia fra il 24 e il 66% il governo Meloni decide di ridurre il numero di Case di Comunità da realizzare con i fondi Ue da 1.350 a 936 (qui). Alle Regioni non è ancora dato sapere ufficialmente in base a quali criteri il ministro Fitto abbia fatto i calcoli. L’ipotesi più accreditata è che il numero sia stato tarato sulle Case di Comunità per lo più da ristrutturare e non da costruire ex novo. È quanto è possibile intuire leggendo le proposte per la revisione del Pnrr di Fitto dove c’è scritto: «L’impatto sul cronoprogramma dei lavori è maggiore per le nuove costruzioni rispetto agli interventi di ristrutturazione di edifici esistenti. In particolare, i primi richiedono iter approvativi molto più lunghi (permesso a costruire vs. SCIA, ad esempio); richiedono opere propedeutiche, come demolizioni, scavi, spostamento sottoservizi, allacciamento reti, ecc., generalmente assenti negli interventi di ristrutturazione». La rassicurazione del governo Meloni è che le 414 che escono dai finanziamenti del Pnrr saranno realizzate attingendo ai 10 miliardi di euro destinati all’edilizia sanitaria, cioè alla costruzione di nuovi reparti, messa a norma, acquisto di nuove attrezzature. Alla cifra di 10 miliardi si arriva considerando i soldi stanziati dall’88 ad oggi e non ancora spesi. Se poi dai 2 miliardi del Pnrr per le Case di Comunità avanzassero risorse verranno investite per i poliambulatori, intesi come muri e non all’interno di una riforma sanitaria, con la riproposizione di un modello che si è già dimostrato inefficiente. Una virata difficile da comprendere. A questo punto si pongono almeno tre problemi.
Le gare d’appalto delle Regioni sono tutte in corso d’opera e l’accesso ai finanziamenti deve essere immediato, mentre quelli per l’edilizia sanitaria hanno tempi lunghi perché passano dagli accordi di programma, e il loro iter burocratico è lungo e complesso. Bisognerebbe fare un emendamento che sposti una fetta di risorse dall’edilizia sanitaria per renderle subito disponibili per le 414 case di comunità, altrimenti rischiano di finire su un binario morto, come si legge nel testo della proposta Fitto («Per gli interventi parzialmente espunti dal Piano si propone la piena realizzazione secondo tempistiche che potranno essere successive a giugno 2026», qui pag. 105).Con il paradosso che rischiano di saltare quelle di nuova costruzione, ossia le più urgenti perché sono da tirar su nelle aree più sguarnite del territorio, soprattutto al Sud. Come, ad esempio, in Campania dove le Case della Comunità potrebbero diventare 55 a fronte delle 172 programmate. E questo incide su uno dei principi cardine del Pnrr, ossia «il riequilibrio tra territori», che potrebbe non essere rispettato.
Il secondo problema è che se togli i fondi destinati a sistemare gli ospedali per metterli chissà quando nelle Case di Comunità non hai migliorato niente. E le strutture ospedaliere carenti e fatiscenti, con cui loro malgrado tutti i pazienti si confrontano, sono destinate a rimanere tali. Per risolvere il problema dell’aumento dei costi qualche Regione propone di rimodulare i progetti delle case di comunità in base ai soldi del Pnrr disponibili, anziché ridurle. Per esempio: invece di fare un edificio a tre piani, al momento completarne due. Proposte inascoltate.
Con le stesse motivazioni dell’aumento dei costi dell’edilizia, il piano di revisione del Pnrr dello scorso luglio taglia anche il numero di Ospedali di Comunità, le strutture pensate per pazienti a bassa intensità di cura, ossia che hanno bisogno di restare ricoverati ma che non sono più acuti e che dunque potrebbero liberare posti letto negli ospedali veri e propri. Per realizzarli entro il giugno 2026 l’Ue ci dà 1 miliardo di euro. Adesso Fitto prevede che il loro numero scenda da 400 a 304, 96 in meno. Con conseguenze paradossali: per esempio in Lazio, per risolvere il problema di dove mettere i pazienti a causa degli ospedali sovraffollati, è appena stato concluso un accordo con i privati accreditati per acquistare disponibilità di posti letto a 500 euro a giornata, quando il costo di gestione giornaliero effettivo per un Ospedale di Comunità pubblico è di 150 euro. Ci sono poi le Centrali operative territoriali (Cot). La loro funzione è di coordinamento e collegamento dei vari servizi sanitari territoriali, agevolando lo scambio di informazioni tra gli operatori sanitari. Il finanziamento previsto dal Pnrr è di 103,85 milioni di euro, per la realizzazione di almeno 600 Centrali, ma adesso Fitto le riduce a 524 (76 in meno), facendo slittare anche i tempi di entrata in funzionamento: non più giugno, ma dicembre 2024. Anche per gli Ospedali di Comunità e le Cot escluse dai finanziamenti del Pnrr è previsto l’utilizzo dei fondi destinati all’edilizia sanitaria.
C’è poi il terzo nonché eterno problema: a tenere in piedi le Case di Comunità dovrebbero essere i 42 mila medici di famiglia, che però di uscire dai loro ambulatori sembrano non volerne sapere, neppure per le sole due ore al mese a testa come previsto dalla Legge di bilancio 2022. Se non si trova un accordo i medici possono rifiutarsi perché sono liberi professionisti convenzionati con il sistema sanitario a cui dunque nessuno può dire cosa fare. Dopo i mesi più drammatici dell’epidemia di Covid sul tavolo dell’allora ministro Roberto Speranza c’era l’ipotesi di farli passare da liberi professionisti a dipendenti: una soluzione che poteva trovare la disponibilità dei giovani medici almeno per i nuovi ingressi. Ma è mancata la forza politica per varare la riforma. In autunno dovrà essere rinnovato il loro contratto triennale e sarà dirimente quello che verrà stabilito in quella sede. Altrimenti il piano per potenziare le cure sul territorio, di cui l’Italia ha gran bisogno, ma che il governo Meloni non ha mai mostrato di amare, finirà di fatto smantellato in culla.