Dal valico di Rafah entrano i primi aiuti per i civili di Gaza senza acqua, cibo e medicinali. Ma è un’illusione. I bisogni restano immensi e il conto dei morti sale a 4.875: 1.756 bambini e 967 donne. L’esercito israeliano scalda i motori in attesa del via libera all’invasione
ISRAELE/PALESTINA. Tel Aviv sotto pressione allenta la morsa, primi aiuti per Gaza a rischio epidemie. Un camion portava bare e sacchi per i cadaveri
Camion carichi di aiuti umanitari per la Striscia di Gaza attraversano il confine a Rafah, in Egitto - Ansa
«Avanti, avanti così, in quella direzione». In diretta online sul sito della Bbc, un uomo con la pettorina della Mezzaluna rossa palestinese indicava ieri agli autisti egiziani dove procedere. La tanto attesa apertura del valico di Rafah è avvenuta qualche minuto dopo le 9 italiane.
SONO PASSATI 20 CAMION subito, poi, pare, altri 15, organizzati dalla Mezzaluna rossa egiziana, l’Organizzazione mondiale della sanità e il Programma alimentare mondiale. Hanno percorso meno di un chilometro fino a una zona protetta – su cui gli aerei israeliani non avrebbero bombardato – e lì, il loro carico è stato trasferito su autocarri palestinesi che si sono subito diretti verso i centri di distribuzione e all’ospedale Nasser di Khan Yunis divenuto il complesso sanitario principale.
L’ospedale al Shifa, il più grande, infatti si trova nella zona più a rischio, la metà settentrionale della Striscia di Gaza da cui l’esercito israeliano ha intimato l’evacuazione. Proprio ieri l’aviazione dello Stato ebraico ha lanciato altri volantini avvertendo che gli abitanti che non andranno a sud potrebbero essere considerati parte di Hamas e, di conseguenza, bersaglio di attacchi. Sono almeno 350mila i palestinesi che restano in quella parte di territorio, per scelta e per necessità. Il loro destino, dovesse scattare nelle prossime ore l’offensiva di terra israeliana, è una delle incognite più angoscianti per
Commenta (0 Commenti)Discorso alla nazione dallo Studio ovale, il presidente americano si mette a capo della lotta «a terrorismo e tirannia». E vuole armi
Joe Biden nello Studio ovale - Ap
Più di cento miliardi di dollari in stanziamenti militari per Israele, Ucraina, alleati “indo-pacifici” e per la blindatura del confine col Messico, questo il pacchetto d’emergenza solennemente annunciato da Joe Biden in un discorso alla nazione nella notte italiana. Nella manovra – integrativa del bilancio militare che con oltre 870 miliardi annui, nella graduatoria planetaria è già maggiore della somma dei successivi 10 paesi – comprende voci sostenute dall’opposizione repubblicana (Israele, confine, contenimento cinese) per “agevolare” i finanziamenti a Kiev, che sono invece sempre più invisi. Il decreto avrà un arduo iter in parlamento, non ultimo perché la Camera continua a rimanere paralizzata per una frattura fra repubblicani.
Ricordate che i fondi sono impiegati per ricostituire i nostri arsenali con il made in Usa: missili Patriot fatti in Arizona, proiettili fabbricati in 12 dei nostri stati…
A WASHINGTON sono le 20:02 quando si accendono i riflettori nello Studio ovale. Seduto al resolute desk, nello scenario dei momenti drammatici, il presidente saluta i fellow Americans e annuncia che ci si trova ad un inflection point della storia, uno dei qui momenti, dice, in cui le decisioni prese influiranno sul futuro per decenni a venire. Nella sua analisi, Biden alterna i ruoli di saggio e benevolo decano a quello di piazzista di arsenali a domicilio.
Mescola equanimità e compassione «per tutte le vittime» alla «risolutezza» richiesta del leader di quella che definisce la «nazione essenziale». Nel discorso del presidente ricorrono infatti i riferimenti agli Stati uniti come ultima speranza delle democrazie e i paralleli fra terroristi di Hamas e il «tiranno Putin», «accomunati dall’odio per le democrazie vicine» e certi di debordare oltre se non saranno contenuti nel nome del sicurezza dell’America e del mondo. (Il Cremlino non ha gradito le parole del presidente e, attraverso un portavoce ha fatto sapere che «è inaccettabile un tono del genere nei confronti della Federazione russa e del nostro presidente».)
C’È STATO POSTO, è vero, anche per il diritto alla dignità e autodeterminazione dei Palestinesi e per la citazione per nome del piccolo Wadea Al-Fayoume, palestinese americano di sei anni ucciso dopo esser stato accoltellato da un fanatico islamofobo a Chicago. Biden ha anche ripetuto (senza approfondire) l’accenno agli «errori americani post 11 settembre», come lezione cautelativa, ma la richiesta disegna chiaramente una politica che fa fronte alla crisi sempre più infiammata con una generosa infusione di benzina, sotto forma di strumenti di guerra e di morte.
Il pacchetto ucraino raddoppia quasi l’entità degli aiuti militari forniti dall’inizio della guerra e si aggiunge al totale di oltre 75 miliardi di dollari spediti a Kiev negli ultimi 20 mesi. Altri 14,3 miliardi saranno destinati ad «affilare – parole di Biden – il profilo qualitativo» della macchina militare israeliana. Saranno principalmente munizioni missilistiche che si aggiungono ai 3,8 miliardi già annualmente stanziati a favore dell’alleato politico-militare in Medio Oriente.
SUI TELE PROMPTER di Biden è scorso insomma il copione di una trama semplificata, la storia di una potenza buona, baluardo di libertà ed arsenale di democrazia («proprio come nella seconda guerra mondiale», ha azzardato). L’America declina la lingua dell’egemonia militare. Più che la dottrina reaganiana del “peace through strength” è l’ossimoro della pace attraverso la guerra, che rivela parametri di un bipolarismo fuori tempo sullo sfondo di un multipolarismo scosso da conflitti asimmetrici, per i quali i vecchi modelli sembrano fatalmente insufficienti. Tanta attenzione nella risoluzione militare, insomma, e il sostegno tattico agli alleati, e poca alle ingiustizie e diseguaglianze strutturali che sottendono le conflagrazioni, delle quali l’Occidente – e la sua superpotenza leader – ha ineludibili e rimosse responsabilità.
Biden ha comunque tenuto a professarsi fiducioso nella «infinita possibilità dell’America» e anche in vantaggi più immediati. «Ricordate che quando mandiamo in Ucraina equipaggiamento dei nostri magazzini, i fondi vengono impiegati per ricostituire in nostri arsenali con armi Made in Usa : missili Patriot fabbricati in Arizona, proiettili d’artiglieria fabbricati in 12 dei nostri stati…».
PAROLE FRA LE QUALI, al di là di tutti i proclami, c’è una antica verità sulla macchina bellica come motore economico della «nazione essenziale»
Commenta (0 Commenti)Migliaia di americani manifestano per il cessate il fuoco sul National Mall, la spianata centrale di Washington, trecento ebrei pacifisti entrano negli uffici del Congresso gridando “non in mio nome” e vengono arrestati. Agli Usa non basta il “contenimento” super-armato di Biden
PEACE INVADERS. A Washington la più grande manifestazione pro Palestina
Manifestanti protestano all'interno dell'edificio per uffici della Cannon House a Capitol Hill - Ap
Migliaia di persone si sono riversate sul National Mall, la spianata centrale di Washington, in quella che è stata definita la maggiore manifestazione ebraica pro-Palestina. La folla ha scandito slogan come “il colore del nostro sangue è lo stesso” e “il nostro dolore non è la vostra arma”. La protesta di mercoledì è stata fra le più esplicite nel formulare una posizione netta contro la guerra, vicino cuore del potere americano che in questi giorni, come ha scritto il Washington Post, sta dando fondo ai magazzini per rimpinguare gli arsenali di Tel Aviv.
NELLA FOLLA rumorosa c’erano molti giovani, tatuaggi e piercing accanto a rabbini in scialli da preghiera e shofar – il rituale corno di montone per chiamare a raccolta i fedeli. C’erano anche pacifisti laici e palestinesi con la kefiah ma la manifestazione è stata indetta dalla rete attivista dei pacifisti ebrei che negli ultimi anni di regressione autoritaria e xenofoba ha messo efficacemente in relazione l’involuzione totalitaria ed antisemita del XX secolo con l’attuale recrudescenza della neodestra. Formazioni come Never Again Action sono state fra le più efficaci nell’articolare una critica progressista attraverso azioni di protesta e disubbidienza civile (per esempio in centri di detenzione per immigrati). Ora è da questa rete che proviene l’opposizione più incisiva ai crimini di guerra nel braciere mediorientale con manifestazioni in molte città americane.
A Washington, già lunedì scorso la protesta aveva preso la forma di un picchetto davanti alla Casa Bianca per
Leggi tutto: Usa, ebrei pacifisti invadono il Congresso: arrestati in 300 - di Luca Celada
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La vicepresidente del Pd Chiara Gribaudo
Il centrosinistra (per ora) sorride solo in Abruzzo. Solo in questa regione, infatti, tra le cinque al voto nel 2024, si è già formata una coalizione stabile con Pd, M5S e altre forze di sinistra e di centro, con un candidato che ha messo d’accordo tutti: si tratta dell’ex rettore di Teramo Luciano D’Amico, economista, cui toccherà a marzo il compito di sfidare il governatore uscente di Fdi Marco Marsilio.
TIRA ARIA DI ACCORDO anche in Sardegna, dove Pd, M5S e i progressisti di Massimo Zedda vanno verso la candidatura della grillina Alessandra Todde, già sottosegretaria e poi viceministra allo Sviluppo nei governi Conte 2 e Draghi. A crearle problemi potrebbe essere l’ex governatore Pd Renato Soru, che ha manifestato l’intenzione di riprovarci, ma i dem sardi gli hanno fatto sapere che non sono disponibili a fare le primarie.E che la coalizione viene prima di tutto.
Soru, che è tornato molto attivo sulla scena politica regionale, potrebbe decidere di correre in solitaria. Ma la figlia Camilla consigliera comunale Pd a Cagliari, lo frena: «Non condivido alcun tentativo personalistico di affermare la propria candidatura a costo di mettere a rischio l’unità della coalizione». La speranza del centrosinistra è che gli avversari confermino il governatore uscente Christian Solinas, del partito sardo d’Azione ma in quota Lega, che viene ritenuto «debole» anche dai suoi alleati. In alternativa le destre potrebbero candidare il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu di Fdi, ma anche Forza Italia vorrebbe dire la sua.
SITUAZIONE PIÙ ingarbugliata in Piemonte (voto previsto a giugno insieme alle europee), dove ancora non c’è neppure una coalizione. Il Pd ad oggi ha due possibili candidati: il consigliere ragionale Davide Valle, molto vicino al sindaco di Torino Stefano Lo Russo e la vicepresidente Chiara Gribaudo: il primo di area Bonaccini, la seconda tra i fedelissimi di Schlein. Fino a pochi giorni fa la candidatura di Valle sembrava in pole position, dando per persa l’alleanza col M5S. A quel punto Gribaudo ha dato la sua disponibilità a candidarsi per tentare di mettere insieme tutte le forze alternative al governatore in carica Alberto Cirio del centrodestra.
Ci sono stati contatti con la ex sindaca Chiara Appendino, ma il partito di Conte non ha ancora dato il via libera ad una alleanza coi dem. Così per Azione, diviso tra chi (il commissario Enrico Costa) simpatizza per Cirio e chi invece guarda al centrosinistra. Gribaudo, che ha organizzato una convention per sabato 21, chiama i potenziali alleati a un campo largo: «Non credo che Azione possa allearsi con chi, anche in Piemonte, sta con Orban e ha simpatie filorusse piuttosto nette», ha detto ieri alla Stampa. E poi, rivolta, al M5S: «Mi auguro che Conte e Appendino sentano la responsabilità della sfida e l’occasione di battere insieme Cirio e Meloni».
E spiega al manifesto: «Non mi rassegno a considerare chiusa la partita, e divisi si perde sicuramente. Il mio obiettivo è fare fronte comune contro una destra sempre più ideologica e facinorosa: se viene fuori un nome più in grado di unire farò un passo indietro». Resta il tema delle possibili primarie. Il segretario del Pd Piemonte Mimmo Rossi dice: «Ad oggi non ci sono le condizioni per evitarle». Decisivo sarà il parere del Pd nazionale: non è escluso infatti che, in cambio di un via libera a Todde in Sardegna, Conte e Schlein decidano che in Piemonte tocca al Pd. E, in quel caso, le chance di Gribaudo salirebbero.
ANCORA PIÙ CONFUSIONE sotto i cieli dell’Umbria, dove si voterà in autunno. La governatrice uscente della Lega Donatella Teseinon è in discussione. Ieri M5S, sinistra e verdi hanno deciso di congelare le trattative col Pd sia sulle regionali che sulle comunali di Perugia e Foligno dopo ripetute voci che volevano alcuni sindaci dem (a partire da quello di Narni Stefano Bigaroni e dal collega di Baschi) in trattativa con il collega di Terni Stefano Bandecchi per affidare a un suo fedelissimo, Lorenzo Filippetti, la guida della società idrica, in cambio della presidenza della Provincia per un dem.
«Chi scende a patti con il partito di Bandecchi non sarà più nostro interlocutore», l’ultimatum di 5S e rossoverdi, firmato anche dalla deputata Elisabetta Piccolotti. «Non è possibile, per il Pd, ipotizzare accordi politici di qualsiasi genere con Stefano Bandecchi», la replica dei parlamentari dem Walter Verini e Anna Ascani. Domani si vota per la società idrica. Se dovesse spuntarla Filippetti, per i giallorossi si metterebbe male. Dal Nazareno è partito un forte pressing verso il segretario regionale Tommaso Bori per imporre ai sindaci ribelli di interrompere qualsiasi dialogo con Bandecchi.
ACQUE AGITATE ANCHE in Basilicata, dove i dem sono divisi e l’alleanza con il M5S è ancora in bilico. Il principale nome che circola è quello del dirigente delle coop bianche Angelo Chiorazzo, sui cui i grillini non hanno ancora dato il via libera. Si muove anche l’ex governatore Marcello Pittella, ora passato con Azione. In bilico anche il governatore uscente di Fi Angelo Bardi: il suo partito lo difende, ma Lega e Fdi non hanno ancora dato l’ok alla ricandidatura
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Interventi pari a 27 milioni di euro per la sostituzione o la riparazione dei veicoli danneggiati nell’alluvione dello scorso maggio e 5 milioni per le famiglie fragili residenti nelle zone alluvionate.
Lo prevede la delibera presentata dall’assessore al Bilancio Paolo Calvano nel corso della commissione Territorio e Ambiente presieduta da Stefano Caliandro con la quale si procede all’assegnazione della prima tranche delle risorse destinate dalla Regione a sostegno di alcune categorie colpite dall’alluvione di maggio, come previsto dalla legge approvata poche settimane fa dall’Assemblea legislativa. “Abbiamo a disposizione un totale di 47 milioni di euro, con la delibera che approveremo la prossima settimana stanzieremo i primi 32 milioni di euro, 27 milioni sul tema autoveicoli, 5 milioni per le famiglie. Abbiamo usato solo una prima tranche perché vogliamo vedere come vanno queste due misure”, spiega Calvano che ricorda come l’assegnazione delle risorse avverrà attraverso un bando pubblico che dovrebbe essere approvato nella settimana 23-30 ottobre prossimi e come ci sarà una rendicontazione di tutte le risorse.
Nello specifico potranno partecipare al “bando autoveicoli” tutti coloro che hanno sostituito o riparato autoveicoli, ciclomotori e motocicli danneggiati o rottamati a causa dell’alluvione. I contributi saranno di 3.000 euro o di 5.000 euro a seconda della classe ecologica dei mezzi (più la classe è alta più alto sarà il contributo). Come richiesto dai comitati dei cittadini sono previsti contributi anche per chi ha venduto i mezzi. Per la riparazione dei mezzi, invece, l’importo previsto si aggirerà sui 2.000 euro.
Venendo al capitolo sostegno alle famiglie fragili, sono previsti 5 milioni di euro da destinare, attraverso i Comuni, alle famiglie residenti in zona alluvionata per pagare affitti e utenze, attivare prestiti sull’onore, erogare buoni spesa per l’acquisto di generi alimentari e beni di prima necessità, sostegno socioeducativo, attività scolastiche ed educative, altre misure di supporto per persone in situazione di fragilità e disabilità.
Alla luce delle parole di Calvano, Massimiliano Pompignoli (Lega) ha chiesto spiegazione sulle modalità di utilizzo delle risorse (in particolare in merito alle risorse per le auto e per le tipologie di interventi in cui le famiglie possono usare i fondi) e ha sottolineato come “prendo atto che rispetto al progetto di legge e alla discussione che ne è seguito la questione sta virando verso le indicazioni che auspicavamo: speriamo che tutte le risorse siano liquidate già direttamente verso i cittadini nei loro conti correnti. Prendo atto che il sottosegretario Baruffi rispondendo a un mio question time aveva detto che le risorse sarebbero state divise 50% e 50% per ogni tipologia, oggi è stata fatta un’altra scelta. Noto che la maggioranza non perde occasione per criticare il governo, ma prima di farlo dovrebbe riflettere sui propri ritardi nella cura del territorio”.
Apprezzamento per il lavoro della Regione è arrivato da Manuela Rontini (Pd): “E’ un bene che, come avevamo sollecitato e come avevano chiesto anche i comitati dei cittadini, le risorse siano state destinate non solo a chi ha perso l’auto, ma anche a chi ha dovuto ripararla: oggi abbiamo un provvedimento che risponde nella maniera più ampia possibile alle esigenze delle persone”. Nel sottolineare la “velocità” della Regione, Rontini è stata chiara verso il governo: “Non esiste ancora la modulistica statale per le risorse alle imprese, speriamo che arrivi presto, visto che la Regione la sua parte la sta facendo e in tempi celeri. Dimostriamo che vogliamo lavorare tutti insieme, ascoltando e confrontandoci. Non è come dice il collega Pompignoli che “la Regione sta virando verso quello che dicevano le opposizioni”, anzi quanto detto dall’assessore Calvano smentisce la narrazione tentata su questa vicenda dal centrodestra”.
Disco verde a Calvano e alla Regione anche da Andrea Costa (Pd) che ha espresso parere favorevole sulla proposta di delibera. “Diamo una risposta concreta ai bisogni dei cittadini”, spiega nel sottolineare la rapidità dell’attività della giunta
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Strage a Gaza assediata da Israele. Centrato un ospedale, centinaia di vittime tra medici, pazienti e rifugiati. Monta la rabbia dei palestinesi, a Ramallah assaltata la sede Anp. I paesi arabi accusano di crimine contro l’umanità Tel Aviv che dice: non era un nostro obiettivo
SENZA PIETÀ. Fonti parlano di mille vittime tra pazienti, sfollati e medici. Strage senza precedenti. Israele nega: è stato un razzo del Jihad islamico
Palestinesi feriti all’ospedale al-Shifa in seguito agli attacchi aerei - Ap
Centinaia di pazienti, sfollati dal nord di Gaza, infermieri, medici, autisti di ambulanze, parenti di ammalati e passanti sono stati uccisi. 500 esseri umani uccisi in un attimo, secondo una prima stima fatta dal ministero della salute, poi il numero è stato portato da fonti ufficiose a 800 e quindi a mille.
La notizia del massacro ha scatenato forti reazioni in tutte le città della Cisgiordania: decine di migliaia di palestinesi, oltre a protestare contro Israele, hanno provato a raggiungere la Muqata, il quartier generale a Ramallah di Abu Mazen – che si trovava in Giordania – scandendo «Il popolo vuole la caduta del regime».
LA POLIZIA ha sparato prima lacrimogeni e poi proiettili veri a raffica per allontanare la folla. Spari sarebbero partiti anche dai manifestanti contro gli edifici dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). Testimoni parlavano di scontri di inaudita violenza, di una «rivolta contro la Sulta (Autorità)» a tutti gli effetti. Deve averlo pensato anche Abu Mazen che ha annullato la sua partecipazione al vertice con Joe Biden previsto oggi ad Amman. Nella capitale giordana, centinaia di persone hanno tentato di assaltare l’ambasciata israeliana.
Aggiornamento delle 0.05 del 18 ottobre: il regno di Giordania ha annullato il quadrangolare di Biden con Abu Mazen, Al Sisi e re Abdullah, dichiarando 3 giorni di lutto nazionale per le vittime di Gaza
Le immagini giunte ieri da Gaza mostravano l’interno complesso ospedaliero, noto anche come il Baptist Hospital, avvolto e divorato dalle fiamme. Intorno i corpi all’ospedale di decine di persone uccise sul colpo dall’esplosione. E sangue e resti umani ovunque. Scene terrificanti.
SE CONFERMATA la responsabilità di Israele – che ieri sera non confermava il suo coinvolgimento e accusava Hamas – sarebbe il bombardamento più sanguinoso da quando Israele ha lanciato la campagna di raid aerei contro Gaza.
«Ci sono decine di corpi smembrati e schiacciati, è un bagno di sangue», ha detto un testimone, Raed Abu Radwan. Un altro testimone che non ha dato il suo nome ai giornalisti, racconta: «Stavamo visitando mio zio. All’improvviso c’è stata una grande esplosione nel centro dell’ospedale. C’erano migliaia di persone sul posto. Molti sono morti o feriti».
Un video di cui non è possibile accertare l’autenticità mostra il momento in cui sarebbe avvenuto l’attacco con un missile forse sganciato dall’alto. Il portavoce delle forze armate israeliane ha espresso forti dubbi sulla responsabilità dell’aviazione e ha puntato il dito contro il Jihad Islamico che avrebbe lanciato un razzo poi caduto sull’ospedale. Ma sempre ieri un altro bombardamento aereo israeliano ha ucciso sei persone che si erano rifugiate in
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