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LE PIAZZE. Conte alla veglia di Roma, Fratoianni a Milano. Manifestazioni previste in dieci città

Pacifisti per i civili di Gaza: «Fermate questo massacro»

Giornata di manifestazioni per la Palestina e contro il massacro di Gaza, oggi in molte città italiane. A guidare le mobilitazioni, un gran numero di associazioni pacifiste e ong con l’obiettivo di «proteggere la popolazione civile, perché anche le guerre hanno le loro regole nell’ambito del diritto internazionale e vanno rispettate», come dichiarato da Tina Marinari di Amnesty International, che sarà presente in piazza. Ad aderire alla mobilitazione nazionale sono oltre 50 realtà della società civile tra cui l’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale e la Rete pace e disarmo.

A ROMA, in contemporanea con la giornata di digiuno per la pace indetta da Papa Francesco, è prevista una veglia silenziosa e senza bandiere alle 18 e 30 a Piazza dell’Esquilino. «Non vogliamo bandiere, perché non è una questione di stare da una parte o dall’altra in un dibattito così polarizzato, ma di stare dalla parte dei diritti umani, dei civili che stanno pagando un prezzo altissimo», dice Marinari. È difficile, però, pensare che a Piazza dell’Esquilino non sventoleranno bandiere della pace e della Palestina.

Il leader del M5s Giuseppe Conte ha annunciato la sua presenza, mentre il Pd alla fine ha deciso di non inviare alcuna delegazione, ma il responsabile esteri Peppe Provenzano ha assicurato che «sicuramente ci saranno anche tanti esponenti» del partito. Tra questi Marco Furfaro della segreteria nazionale. In piazza anche i Verdi. Altre mobilitazioni si svolgeranno, sempre oggi, a Milano, dove sarà presente il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, a Palermo, Trapani, La Spezia, Sanremo, Pesaro, Bolzano, Molfetta, Lecce e Catania.

«PER NOI È FONDAMENTALE ribadire la condanna di ogni forma di violenza e di terrorismo, ma dobbiamo avere il coraggio e la responsabilità di guardare in faccia la realtà per affrontare le cause che hanno determinato questa nuova ondata di odio e di violenza. Senza giustificare le uccisioni o gli attacchi di nessuno ma per continuare a chiedere a gran voce il ripristino di principi di diritto e di sicurezza comune per entrambe le comunità», sottolinea Sergio Bassoli di Rete Pace Disarmo.

MOLTO DIVERSI I PRESUPPOSTI della manifestazione nazionale di domani a Roma, con un corteo da Piramide fino a San Giovanni, indetta da alcune realtà palestinesi. Nel comunicato, in relazione agli attacchi di Hamas del 7 ottobre, si dice che quel giorno «il popolo palestinese, ha ricordato al mondo di esistere» e si inneggia alla «lotta di liberazione con ogni mezzo necessario», attribuendo a Israele «l’ideologia dello sterminio totale». Tra gli aderenti Potere al Popolo, Rifondazione, Usb e numerosi collettivi. «Saremo anche in questa piazza perché bisogna fermare il massacro e il piano di espulsione dei palestinesi da Gaza», spiega Luisa Morgantini di Assopace Palestina. Altre realtà vicine alla causa hanno deciso di non aderire perché in disaccordo con la piattaforma

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ISRAELE/PALESTINA. Pd, M5S e rossoverdi con mozioni diverse, ma votano contro le destre. Schlein: servono safe zone per i civili, il dem Alfieri approva le scelte del governo su Ucraina e Israele. Meloni definisce le vittime palestinesi «perdite collaterali», è scontro. Conte, Fratoianni e Bonelli domani in piazza per la tregua. Il Pd invia una delegazione

Opposizioni divise in Parlamento sul cessate il fuoco Nicola Fratoianni - LaPresse

Di fronte all’aggravarsi del conflitto in Medio Oriente, la politica italiana appare sempre più frammentata. L’unità del fronte Pd-M5S- rossoverdi, che due settimane fa avevano presentato una mozione unitaria, va in frantumi: ieri nel dibattito sul consiglio europeo di oggi e domani a Bruxelles, ogni partito di opposizione ha presentato una sua mozione. Con un gioco di astensioni incrociate M5S e sinistra non hanno bocciato quella dei dem e viceversa, Azione e Italia Viva si sono divise anche tra loro. Certo, questa volta non si parlava solo di Israele e Palestina ma anche di Ucraina e di migranti: e non è un mistero che sull’Ucraina M5S e rossoverdi abbiano idee diverse dai dem, a partire dall’invio di armi.

TUTTE LE FORZE giallorosse hanno però votato contro le risoluzioni della maggioranza di centrodestra (approvate dalla Camera e dal Senato), molto attente nella difesa di Israele e lontane da una richiesta di cessate il fuoco. E nel contempo molto preoccupate dal rischio che tra i migranti si nascondano terroristi. La richiesta di tregua era invece al primo punto del testo dei rossoverdi, mentre Elly Schlein, in aula a Montecitorio, in scia a quanto deciso dal Parlamento Ue, si è limitata a chiedere un «cessate il fuoco umanitario» a Gaza, la creazione di safe zone per i civili, ha ribadito la richiesta a Israele di «rispettare il diritto internazionale» e ha ricordato che il «disastro umanitario» non è più una possibilità, ma una realtà che «già stiamo vivendo».

«Giustizia e non vendetta, le vittime palestinesi non valgono di meno», il pensiero della leader Pd. Mentre Alessandro Alfieri dell’area Bonaccini in Senato ha detto di «condividere l’approccio del governo su Medio Oriente e Ucraina»., segamnle che anche tra i dem le posizioni non coincidono.

MELONI, NELLA SUA REPLICA alla Camera è apparsa preoccupata dal rischio di un «conflitto di civiltà», dalla «slavina» che potrebbe aprire «scenari inimmaginabili» e ha ricordato lo sforzo del suo governo per «evitare una escalation». E ha anche spiegato che una soluzione politica alla questione palestinese potrebbe aiutare a spegnere l’incendio. Ma poi ha aggiunto: «Quando si dice “cessate il fuoco” si dice che Hamas rimane lì, e che in fondo Israele non ha poi tutto il diritto di difendersi…». E ancora: «Nella Striscia di Gaza i militanti di Hamas si nascondono sotto terra, per questo Israele ha chiesto ai civili di evacuare per contenere le perdite collaterali».

SU QUESTA DEFINIZIONE per le vittime palestinesi, «perdite collaterali» si è acceso uno scontro. Nicola Fratoianni: «Non definisca i bambini e le altre vittime di Gaza danni collaterali, stia sorvegliata con le parole». Il leader di Si ha poi domandato al governo: «In questo momento Israele sta rispettando il diritto internazionale? Vorrei che anche il riconoscimento di questa tragedia fosse unanime come la condanna verso Hamas». Anche Giuseppe Conte, nella sua dichiarazione di voto, ha invitato Meloni «non derubricare le vittime civili palestinesi».

Neppure lui ha però chiesto un cessate il fuoco, limitandosi alla formula dei «corridoi umanitari». E si è concentrato nel criticare «la strategia fallimentare seguita in Ucraina». In serata alla Camera, la mozione Pd ha ricevuto anche i voti di MS e rossoverdi, ottenendo 109 voti. Ma solo dopo aver espunto la parte relativa al sostegno militare a Kiev. I dem invece si sono astenuti sui testi di 5S e sinistra.

NEL COMPLESSO, LE OPPOSIZIONI sono apparse assai più divise in politica estera rispetto alla maggioranza. Dove pure i tono più misurati di Fi e Fdi si sono scontrati con quelli da crociata della Lega, assai più interessata nel chiedere a Meloni di sbarcare a Bruxelles dicendo che «l’Italia non è la discarica del Mediterraneo per scafisti e terroristi».

DIVISIONI, QUELLE A sinistra, che potrebbero manifestarsi anche nelle piazze. Conte, Fratoianni e Bonelli saranno domani in piazza con Amnesty e ala Rete per la pace (di cui fanno parte Cgil e gruppi cattolici) , che hanno organizzato fiaccolate silenziose in varie città per chiedere lo stop subito alle armi. A Roma l’appuntamento è alle 18.30 in piazza dell’Esquilino. I dem manderanno una delegazione. Schlein, impegnata a Venezia in una iniziativa sulla casa, potrebbe scegliere una piazza veneta. Di certo, la piattaforma pacifista non coincide con le idee dei riformisti dem. In ogni caso il braccio destro della segretaria Marco Furfaro sarà in piazza nella Capitale

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Bombardare non basta, Gaza sarà invasa via terra: in un messaggio alla nazione il premier Netanyahu ignora ogni monito e spegne pause, tregue e cessate il fuoco. E dopo il caso-Guterres, Israele apre un fronte contro l’Onu: niente più visti, «diamogli una lezione»

GAZA. Oltre 8mila uccisi, l’esercito rivendica la pioggia di bombe. Netanyahu: «Invaderemo». Colpito il panificio di Deir al Balah dopo l’arrivo della farina dell’Onu. Secondo raid sui soccorritori

«Gaza peggio di Srebrenica». E Israele non vuole fermarsi Si ricaricano i telefoni cellulare a Gaza senza elettricità

Benyamin Netanyahu ha scelto un tono deciso, per non lasciare dubbi in una opinione pubblica israeliana che, oggi persino più di prima, non crede in lui. L’invasione di Gaza è imminente, ha annunciato, senza precisare il quando e il come. «Siamo al culmine di una lotta per la nostra esistenza», ha detto ieri sera in un discorso alla nazione in diretta tv. I membri di Hamas, ha aggiunto, sono «dei morti che camminano». Quindi ha ripetuto lo slogan pronunciato decine di volte in questi giorni per conquistare il consenso dell’Occidente. «Hamas è l’Isis, e l’Isis è Hamas», ha ripetuto. Infine, ha di nuovo intimato ai civili palestinesi ancora nella metà settentrionale di Gaza a scappare verso sud dove assieme ai residenti si ammassano centinaia di migliaia di sfollati privi di tutto. Dopo migliaia di attacchi aerei, bombe e missili, su Gaza presto si scatenerà l’inferno anche sul terreno. L’obiettivo dichiarato di Israele è distruggere Hamas responsabile dell’attacco del 7 ottobre che ha ucciso 1400 civili e soldati e preso in ostaggio 220 persone. A Gaza sanno che il conto più salato lo pagheranno i civili.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:

Pestaggi, abusi e umiliazioni: è la caserma-Gerusalemme

«Il numero di palestinesi uccisi e dispersi supera il bilancio delle vittime del genocidio di Srebrenica. Più di 8.000 uccisi o dispersi, presumibilmente intrappolati sotto le macerie». Il titolo di apertura sulla home del Middle East Eye, portale sul Medio oriente tra i più consultati, più che informare lancia un avvertimento: a Gaza è strage continua di civili, fate

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Il leader dell’Onu Guterres condanna Hamas e chiede di liberare gli ostaggi, ma denuncia «56 anni di occupazione soffocante ed evidenti violazioni della legge umanitaria». A New York esplode l’ira di Israele, che chiede al mondo la sua testa: «Giustifica quei nazisti»

Guterres contestato alle Nazioni unite. Blinken minaccia i paesi che hanno interesse in un «allargamento del conflitto»

 Il segretario di Stato Usa Blinken all’Onu con il segretario generale Guterres - foto Ap/Seth Wenig

«Gli attacchi di Hamas non sono venuti dal nulla. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione». Le parole del segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres al Consiglio di sicurezza sul conflitto in corso, richiesto dal Brasile, hanno attirato l’ira dei rappresentanti israeliani: in primo luogo il ministro degli Esteri Eli Cohen che nel suo discorso si è più volte rivolto direttamente a Guterres, puntando il dito contro di lui, per chiedergli «in che mondo vive», e perfino per minacciarlo di poter diventare il segretario dell’Onu nell’«ora più buia delle Nazioni unite» se tutti gli stati non si uniranno nella lotta ai «nuovi nazisti» di Hamas.

DI LÌ A POCO l’ambasciatore di Tel Aviv al Palazzo di vetro, Gilad Erdan, ha chiesto con un post su X le dimissioni di Guterres: «Dimostra comprensione per l’omicidio di massa di bambini, donne e anziani. Non è adatto a guidare l’Onu: chiedo che si dimetta».
Naturalmente, il discorso di Guterres era ben più articolato: dopo la condanna «senza mezzi termini» dell’attentato di Hamas, e l’appello alla «liberazione immediata» di tutti gli ostaggi, ha osservato come le terre palestinesi siano state «costantemente divorate dagli insediamenti», «le case demolite», «l’economia soffocata». «Così come questo non giustifica gli attacchi di Hamas, questi ultimi non giustificano la punizione collettiva del popolo palestinese». Il Segretario generale ha condannato con forza i bombardamenti indiscriminati di Gaza, la

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ELEZIONI. Il primo turno si è concluso con la coalizione di centrosinistra a sorpresa in ampio vantaggio (36,68%) sul leader di estrema destra (29,98%). Si voterà il 19 novembre. L'11 scontro televisivo tra i due candidati alla presidenza
 Sergio Massa (s) e Javier Milei (d) - EPA/Enrique Garcia Medina/Juan Ignacio Roncoroni

Sarà il ballottaggio del 19 novembre tra il peronista, attuale ministro dell’Economia, Sergio Massa (Unión por la Patria) e l’ultraliberista Javier Milei (La Libertad Avanza) a decidere chi sarà il prossimo presidente dell’Argentina. La coalizione di centrosinistra, che di sinistra ha però ben poco, ha superato ogni aspettativa ottenendo il 36,5 per cento dei voti, mentre il leader di estrema destra Javier Milei, che alcuni sondaggi davano come favorito, ha preso il 30%. Crollano invece rispetto alle proiezioni le percentuali del centrodestra, con la candidata Patricia Bullrich (Juntos por el Cambio) che si è fermata al 23,8 per cento.

Quelle di domenica 22 ottobre passano alla storia, però, come le elezioni con il tasso di partecipazione elettorale più basso dal ritorno della democrazia nel Paese, nel 1983: solo il 74 per cento degli aventi diritto, circa 35 milioni di elettori in totale, si è infatti recato alle urne per decidere le sorti politiche del Paese sudamericano.

Il prossimo appuntamento sull’agenda, prima del ballottaggio, è l’11 novembre quando Massa e Milei si affronteranno in un nuovo dibattito televisivo. A scontrarsi saranno due visioni diametralmente opposte, nessuna delle quali era auspicabile per un elettore di sinistrada un lato Massa, neoliberista gradito all’ambasciata Usa, aperto sostenitore dell’estrattivismo e totalmente allineato ai programmi di aggiustamento imposti dal Fmi; dall’altro Milei, un anarco-capitalista, come si definisce, che ha trovato nell’estrema destra la sua legittimazione politica, munito delle stesse armi politiche di Trump e Bolsonaro, che urla “esercito in strada” e “pena di morte”.

“Quando il 10 dicembre sarò presidente voglio convocare un governo di unità nazionale che metta fine alla storica ‘grieta’ (divisione profonda) fra gli argentini, sulla base della scelta delle personalità migliori del nostro Paese e non della loro appartenenza politica”. È questa la proposta formulata Sergio Massa nel suo primo discorso da vincitore del primo turno delle elezioni presidenziali. Massa si è rivolto immediatamente “a quanti hanno votato in bianco, che sono rimasti a casa e non hanno votato e a quelli che hanno voluto votare diversamente”, ma “che cercano un Paese in pace e senza incertezze: nei prossimi 30 giorni che ci dividono dal ballottaggio, che farò tutto il possibile per conquistare la loro fiducia”.

Milei ha invece continuato sulla sua linea, tutta all’attacco: “Due terzi dell’Argentina ha votato contro il kirchnerismo, non rassegniamoci alla mediocrità e alla desolazione, solo esiste un futuro possibile se quel futuro è liberale”. Quindi si è rivolto ai votanti della candidata del centrodestra Patricia Bullrich, arrivata terza e fuori dal ballottaggio, invitandoli a votare contro il kirchnerismo. “A novembre si dovrà scegliere tra la continuità di questo modello che ha impoverito l’Argentina o farla finita con l’inflazione, l’insicurezza e tornare a vivere in libertà”

 
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LUTTI. Morto a 83 anni il disegnatore e giornalista,«papà» di Bobo l’antieroe della sinistra, ex direttore de l’Unità le collaborazioni con i settimanali «Tango» e «Cuore»

Sergio Staino e la sua «creatura» Bobo foto LaPresse Sergio Staino e la sua «creatura» Bobo - foto LaPresse

Con Sergio Staino se ne va un pezzo di quell’intellighenzia un tempo maggioritaria e oggi derubricata a «sinistra Ztl»: compagni in là con gli anni, generalmente benestanti, ben inseriti ma aperti. È un mondo che i lettori millennial del manifesto possono aver vissuto solo attraverso i quotidiani e le riviste che illo tempore giravano per casa: L’Unità e Linus. È proprio sulla rivista fondata da Giovanni Gandini che l’ex insegnante delle medie Staino, classe 1940, fa il proprio debutto sulla scena nel 1979. L’ispirazione arriva dal Donald Duck di Carl Barks, perdente costretto a ridefinire di avventura in avventura la propria identità, il proprio ruolo, le proprie ambizioni, metafora perfetta per ogni militante di sinistra.

SUL MENSILE, l’autore di Piancastagnaio lancia «Bobo». Recita la scheda del personaggio scritta per il volume del 2020 Quel Signore di Scandicci: «Educato al comunismo e al rispetto delle istituzioni dal nonno stalinista e dal babbo carabiniere… Fuma Ms, veste camicie militari e, nel portafoglio, ha una foto di Che Guevara». Berlingueriano, ostile alla destra comunista ma anche al “Nuovo che avanza”. Al pari di Cipputi, Bobo è figlio di un’epoca in cui la gauche cerca di sopravvivere al terrorismo, alla bulimia del Psi di Craxi e all’oggettivo declino del Pci. Come in altre strip della “Rivista di fumetti e d’altro”, la satira delle strisce di Bobo è contemporaneamente politica e di costume: il protagonista e alter ego dell’autore commenta mese dopo mese i massimi sistemi dell’attualità e della politica. Nel giro di poche apparizioni, il character si ricava un posto nel cuore dei lettori-militanti. Da lì in poi, comincia il bello: tra il 1981 e il 1982, Staino intraprende una collaborazione con la pagina culturale de Il Messaggero. Nel 1982, poco dopo il primo volume delle avventure di Bobo pubblicato da Milano Libri Edizioni, comincia la tormentata liaison con L’Unità.

SPIEGHERÀ il fumettista senese in un’intervista del 2013 al periodico Il Ducato: «Il rischio maggiore per un vignettista non è la censura esterna, ma quella interna. Facendo vignette che riguardano la parte politica a me più vicina, a volte ho avuto la tentazione di stemperare la verità dei fatti. Cerco sempre di resistere e nel 90% dei casi ci riesco». Quindi: giù botte a Natta, a Occhetto e a D’Alema (che non gradirà). Nel 1986, arriva la fondazione del settimanale satirico Tango: Staino riunisce sul supplemento due generazioni di vignettisti, la sua e quella successiva: sul giornale appariranno le ultime vignette satiriche realizzate da Andrea Pazienza prima della sua scomparsa nel giugno 1988. Ma la carta stampata è solo un trampolino di lancio per l’autore toscano: nel 1984, interpretato da Paolo Pietrangeli, Bobo compare in carne e ossa nella trasmissione del Biscione Drive In, generando addirittura il «MeToo» Orazio, sit-com interpretata da Maurizio Costanzo. Due anni dopo, nel programma di Rai Tre Va’ Pensiero, Staino dirige la rubrica Teletango, coinvolgendo attori come Paolo Hendel e David Riondino. nel 1989 arriva il debutto alla regia con il film in costume Cavalli si nasce. Nel ’90, tocca un altro lungometraggio, Io e Margherita, alle parentesi satiriche del Tg3 e al varietà Cielito Lindo, senza dimenticare la successiva parentesi come direttore artistico del Teatro Puccini di Firenze e dell’Estate fiorentina. Nel frattempo, il barbuto Bobo è tracimato anche sul Corriere della Sera e relativo supplemento Sette, ma anche su La Repubblica e L’Espresso, fino al settimanale satirico Cuore e all’ineffabile Tv Sorrisi e Canzoni di Berlusconi.

GLI ULTIMI ANNI coincidono con le polemiche per la direzione de L’Unità poco prima della temporanea chiusura, con le fuggevoli simpatie renziane ma anche con l’insorgere di una retinopatia che lo costringerà a ridurre gli impegni affidando a collaboratori il disegno di serie come Hello Jesus, realizzata per il quotidiano L’avvenire: «Quando mi chiedono un autografo io faccio sempre un Bobino, ne ho fatti milioni e so che alla fine il disegno esce e a me sembra di vederlo. Finché un giorno un ragazzo ha avuto il coraggio di dirmi: “Guardi che la penna non scrive”». Ora l’inchiostro si è definitivamente seccato

 

 

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