Migliaia di americani manifestano per il cessate il fuoco sul National Mall, la spianata centrale di Washington, trecento ebrei pacifisti entrano negli uffici del Congresso gridando “non in mio nome” e vengono arrestati. Agli Usa non basta il “contenimento” super-armato di Biden
PEACE INVADERS. A Washington la più grande manifestazione pro Palestina
Manifestanti protestano all'interno dell'edificio per uffici della Cannon House a Capitol Hill - Ap
Migliaia di persone si sono riversate sul National Mall, la spianata centrale di Washington, in quella che è stata definita la maggiore manifestazione ebraica pro-Palestina. La folla ha scandito slogan come “il colore del nostro sangue è lo stesso” e “il nostro dolore non è la vostra arma”. La protesta di mercoledì è stata fra le più esplicite nel formulare una posizione netta contro la guerra, vicino cuore del potere americano che in questi giorni, come ha scritto il Washington Post, sta dando fondo ai magazzini per rimpinguare gli arsenali di Tel Aviv.
NELLA FOLLA rumorosa c’erano molti giovani, tatuaggi e piercing accanto a rabbini in scialli da preghiera e shofar – il rituale corno di montone per chiamare a raccolta i fedeli. C’erano anche pacifisti laici e palestinesi con la kefiah ma la manifestazione è stata indetta dalla rete attivista dei pacifisti ebrei che negli ultimi anni di regressione autoritaria e xenofoba ha messo efficacemente in relazione l’involuzione totalitaria ed antisemita del XX secolo con l’attuale recrudescenza della neodestra. Formazioni come Never Again Action sono state fra le più efficaci nell’articolare una critica progressista attraverso azioni di protesta e disubbidienza civile (per esempio in centri di detenzione per immigrati). Ora è da questa rete che proviene l’opposizione più incisiva ai crimini di guerra nel braciere mediorientale con manifestazioni in molte città americane.
A Washington, già lunedì scorso la protesta aveva preso la forma di un picchetto davanti alla Casa Bianca per
invocare un immediato cessato il fuoco, con l’arresto di trenta persone. L’altroieri, 450 persone, appartenenti a Jewish Voice for Peace e If Not Now, fra cui 25 rabbini, hanno occupato la rotonda del Cannon building, l’edificio degli uffici dei deputati per fermare “i genocidi attualmente in corso”. I manifestanti indossavano maglie nere recanti la scritta “not in our name” (non nel nostro nome) e sul retro “ebrei per l’immediato cessate il fuoco.” Più di 300 di loro sono stati arrestati dalla Capitol Police e almeno tre imputati di resistenza e pubblico ufficiale.
«IN DECENNI di attivismo ebraico antisionista, non ho mai visto nulla di simile», ha affermato Naomi Klein. «È nostra responsabilità impedire che i nostri genitori e nonni, sorelle fratelli e cugini, sacrifichino le loro anime alla ricerca di sanguinante vendetta. Non lasceremo che il nostro timore dell’antisemitismo venga manipolato per ostruire l’unica possibile soluzione politica: fine all’occupazione e al colonialismo, libertà ed autodeterminazione». «Vorrei che il popolo palestinese potesse vederci qui ora», ha detto dallo stesso palco Rashida Tlaib, unica parlamentare palestinese del Congresso. «Che sapessero che non tutti gli americani li vogliono vedere morti».
SECONDO DATI raccolti dall’osservatorio Crowd Counting Consortium, dall’inizio delle ostilità iniziate con la strage perpetrata da Hamas, in America si sono registrate più di 400 manifestazioni, veglie e presidi. 270 circa sono state di sostegno ad Israele e 200 a favore dei palestinesi. Le proteste ebree di Washington hanno espresso piuttosto le voci di un crescente movimento pacifista e equidistante, che invoca l’immediata cessazione delle ostilità, nell’interesse di tutte le vittime. Un contrappunto ai proclami di alleanza e sostegno militare ribaditi da Joe Biden anche “al fronte”. Parallelamente alle dichiarazioni di supporto incondizionato, il presidente sembra invero perseguire una politica di “contenimento” delle azioni israeliane o quantomeno favorire i corridoi umanitari a Gaza (Biden ha nuovamente parlato alla nazione ieri notte, troppo tardi per queste pagine).
IL PANORAMA americano si è comunque rivelato più variegato di quello che sarebbe stato lecito prevedere. La destra è compattamente schierata con Netanyahu, alcuni più cinicamente di altri. Il governatore della Florida De Santis ha organizzato charter di “evacuazione” da Tel Aviv, pubblicizzandoli in spot elettorali. Il dissenso contro la guerra ha invece raggiunto anche le istituzioni politiche, con l’annuncio ieri di Josh Paul, un alto dirigente dell’ufficio che sovrintende alla cessione di materiale bellico all’estero, che ha lasciato il Dipartimento di stato, motivando le dimissioni con «l’inaccettabile politica che mira ad ampliare e velocizzare la fornitura di armi letali ad Israele».
Al Senato, infine, Bernie Sanders ha bloccato l’approvazione di un decreto repubblicano che avrebbe proibito l’invio di aiuti umanitaria Gaza in quanto “potenziale ausilio ad Hamas.” «A Gaza vi sono attualmente centinaia di migliaia di persone innocenti che hanno perso casa, cibo, acqua e carburante», ha ricordato Sanders. «Metà di loro sono bambini»