Bombardare non basta, Gaza sarà invasa via terra: in un messaggio alla nazione il premier Netanyahu ignora ogni monito e spegne pause, tregue e cessate il fuoco. E dopo il caso-Guterres, Israele apre un fronte contro l’Onu: niente più visti, «diamogli una lezione»
GAZA. Oltre 8mila uccisi, l’esercito rivendica la pioggia di bombe. Netanyahu: «Invaderemo». Colpito il panificio di Deir al Balah dopo l’arrivo della farina dell’Onu. Secondo raid sui soccorritori
Si ricaricano i telefoni cellulare a Gaza senza elettricità
Benyamin Netanyahu ha scelto un tono deciso, per non lasciare dubbi in una opinione pubblica israeliana che, oggi persino più di prima, non crede in lui. L’invasione di Gaza è imminente, ha annunciato, senza precisare il quando e il come. «Siamo al culmine di una lotta per la nostra esistenza», ha detto ieri sera in un discorso alla nazione in diretta tv. I membri di Hamas, ha aggiunto, sono «dei morti che camminano». Quindi ha ripetuto lo slogan pronunciato decine di volte in questi giorni per conquistare il consenso dell’Occidente. «Hamas è l’Isis, e l’Isis è Hamas», ha ripetuto. Infine, ha di nuovo intimato ai civili palestinesi ancora nella metà settentrionale di Gaza a scappare verso sud dove assieme ai residenti si ammassano centinaia di migliaia di sfollati privi di tutto. Dopo migliaia di attacchi aerei, bombe e missili, su Gaza presto si scatenerà l’inferno anche sul terreno. L’obiettivo dichiarato di Israele è distruggere Hamas responsabile dell’attacco del 7 ottobre che ha ucciso 1400 civili e soldati e preso in ostaggio 220 persone. A Gaza sanno che il conto più salato lo pagheranno i civili.
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«Il numero di palestinesi uccisi e dispersi supera il bilancio delle vittime del genocidio di Srebrenica. Più di 8.000 uccisi o dispersi, presumibilmente intrappolati sotto le macerie». Il titolo di apertura sulla home del Middle East Eye, portale sul Medio oriente tra i più consultati, più che informare lancia un avvertimento: a Gaza è strage continua di civili, fate
qualcosa. Infatti, non passa ora senza che il bilancio degli uccisi dai bombardamenti sia aggiornato verso l’alto. In meno di tre giorni è salito di quasi duemila. Il ministero della Sanità di Gaza ha riferito che dal 7 ottobre 6.546 palestinesi sono stati uccisi nella Striscia dagli attacchi aerei israeliani. Il numero, ha aggiunto, comprende 2.704 bambini. I feriti sono 17.439. Sempre secondo i dati del ministero, 756 persone, tra cui 344 bambini, sarebbero state uccise tra martedì e mercoledì. Cifre che Israele chiede ai giornalisti, specie quelli stranieri, di non prendere sul serio. «Sono di Hamas, non di veri funzionari della sanità» ripete il portavoce militare. E le bombe che sbriciolano le case? Anche quelle sono inventate?
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Da Gaza sono arrivate ieri immagini di devastazioni senza precedenti che certo non sono state girate in studi cinematografici. I cacciabombardieri hanno sganciato tutto il loro carico di missili e bombe su Jabaliya, Nuseirat, Deir Al Balah, Rafah e, più di tutto, su Gaza city. Gli stessi comandi israeliani hanno confermato l’intensità del bombardamento. «Si eliminano obiettivi di Hamas per preparare il terreno all’offensiva di terra» annunciata da Netanyahu, spiegano. Nei filmati però si vedono esplosioni di inaudita potenza che non distruggono basi militari e gallerie sotterranee. Sventrano piuttosto palazzi a più piani che in pochi secondi spariscono e si trasformano in cumuli di macerie. Sotto ci sono civili morti o ancora vivi intrappolati. «40 assassinati» scriveva ieri su X il giornalista Younis Tirawi, riferendosi a un edificio di sette piani crollato in un attimo. Un video ha mostrato al mondo il dramma del capoufficio di Al Jazeera a Gaza, Wael Dahdouh, piegato in lacrime sui corpi della moglie e dei figli avvolti in lenzuoli bianchi.
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Con il passare delle ore sono arrivate notizie di vittime ovunque, da nord a sud della Striscia. A Rafah una scuola dell’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni unite che assiste i profughi palestinesi, con 4600 sfollati nelle sue aule, è stata danneggiata da un attacco ravvicinato. Una persona è stata uccisa e altre 44 ferite, tra cui nove bambini. Uccisi altri tre impiegati dell’Unrwa: in totale sono 38. Oggi le operazioni dell’Unrwa potrebbero fermarsi, per mancanza di carburante. Israele non ha alcuna intenzione di far entrare a Gaza, con i convogli umanitari dal valico di Rafah, benzina e gasolio fondamentali per le agenzie umanitarie e per tenere accesi i generatori autonomi degli ospedali. In serata si è appreso che il panificio del campo profughi di Moghrabi (Deir Al Balah), uno dei pochi ancora aperti in tutta Gaza, è stato preso di mira dai raid aerei. Era arrivata da poco la farina dell’Onu quando è stato centrato. Dieci i morti. Poco dopo i palestinesi che frugavano tra i suoi resti sono stati colpiti da un’altra esplosione. Tanti a Gaza indossano braccialetti identificativi così, nel caso dovessero morire nei bombardamenti, potranno essere identificati dai parenti e non finire in una fossa comune. Ali El-Daba, 40 anni, ha detto alla Reuters di aver visto i corpi fatti a pezzi dai bombardamenti «ed erano irriconoscibili». Così ha comprato i braccialetti per la moglie e i figli e ha diviso la famiglia. Lui è andato a sud con due figli, la moglie è rimasta a nord con gli altri figli. Sperano di rivedersi.
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A sud era scappata anche Heba Abu Nada, giovane poetessa 32enne che credeva di aver trovato rifugio a Khan Yunis da parenti. Il 20 ottobre aveva scritto un’ultima poesia, o forse una preghiera, raccontano gli amici e coloro che ammiravano il suo talento. Per la poesia aveva chiuso in un cassetto la laurea in biochimica. Una bomba ha aggiunto il suo nome all’elenco di 8mila uccisi e dispersi. Amaro il commento di Meri Calvelli, cooperante italiana che ha dedicato più di trent’ani della sua vita a realizzare progetti per i giovani di Gaza interessati ad arte, cultura e sport. «In questi anni di inascoltati appelli dei palestinesi affinché terminasse una occupazione ingiusta – ci ha scritto ieri da Roma – i miei colleghi ed io abbiamo cercato di stendere ponti e strade che aprissero le porte a un futuro e a speranze almeno per le giovani generazioni di Gaza, per i nati e cresciuti sotto assedio e guerre. Percorsi difficili e delicati che hanno creato aspettative tra i tanti ragazzi e ragazze che ci hanno frequentato nel Centro italiano di Gaza city dedicato a Vittorio Arrigoni. La fiducia e l’entusiasmo si è spento sotto il fuoco delle bombe»