STATI UNITI. Guterres al Consiglio di sicurezza: «È necessario indagare sui casi di stupro contro donne israeliane»
Non è la richiesta di un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza che molti sollecitano, ma l’ultima dichiarazione di Biden è la cosa che più le si avvicina fino ad ora. «Continuare la guerra è dare ad Hamas ciò che vuole – ha scritto Biden su X – Continuare sulla strada del terrore, della violenza, degli omicidi e della guerra significa dare a Hamas ciò che cerca. Non possiamo farlo. Hamas ha scatenato un attacco terroristico perché non teme altro che israeliani e palestinesi vivano fianco a fianco in pace».
QUESTO MESSAGGIO, che sembra evidenziare che qualcosa nella posizione degli Usa sta cambiando, arriva poche ore dopo la pubblicazione dei risultati di un sondaggio condotto dall’Arab American Institute in cui si vede un calo drastico dell’appoggio a Biden da parte degli elettori arabo-americani. Nelle elezioni del 2020 circa il 59% di loro aveva sostenuto il candidato democratico, ma dal 7 ottobre questo sostegno è andato sgretolandosi. «A meno che Biden non si trasformi in Gesù Cristo e non riporti in vita alcuni palestinesi, non lo supporteremo», ha affermato Osama Siblani, editore di The Arab American News, il più grande e antico giornale arabo-americano in Usa con sede in Michigan, uno degli stati chiave per la vittoria alle elezioni presidenziali. Nel 2020 In Michigan Biden aveva vinto per 154.000 voti, e la popolazione arabo-americana dello stato è di almeno 278.000 persone.
LA VITTORIA in Arizona é stata ancora più risicata, 10.500 voti, e si stima che la popolazione arabo-americana in quello stato sia di almeno 55.000 persone. La Georgia è stata conquistata con 11.800 voti, e la popolazione di origine araba è di circa 57.000. Se in questi tre Stati Biden dovesse perdere anche solo una piccola parte del voto arabo e musulmano potrebbe trovarsi in acque molto brutte.
Sulla crisi in Medio Oriente, inoltre, si è nuovamente riunito ieri a New York il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La presidenza di turno spettava alla Cina: il ministro degli Esteri Wang Yi ha dato la parola per primo al Segretario generale António Guterres che ha dovuto affrontare una questione spinosa che continua a montare: le violenze sessuali subite dalle donne israeliane durante l’attacco di Hamas che, secondo molte voci nella comunità ebraica, non sono state affrontate con la severità che meriterebbero. «È necessario indagare con rigore sui numerosi casi di stupro durante gli attacchi – ha dichiarato Guterres – La violenza di genere deve essere condannata. In qualsiasi momento. Ovunque». La campagna e l’hashtag #MeTooUnlessUrAJew, MeToo a meno che tu non sia ebrea, é stato creato dalla direttrice creativa Liron Kroll in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, e si va ad unire alle critiche del Consiglio nazionale delle donne ebree in risposta alla dichiarazione di UN Women rilasciata sabato 25 novembre: «Il Consiglio ammira da tempo le donne delle Nazioni unite per la loro posizione morale quando le donne di tutto il mondo vengono danneggiate. Purtroppo, questa voce sembra intenzionalmente assente per le donne israeliane che hanno subito crimini di guerra basati sul genere, un silenzio inconcepibile che richiede una rettifica immediata».
A loro, ma con un attacco più ampio, si è unito l’ambasciatore israeliano all’Onu Gilad Erdan nel corso del suo intervento alla riunione del Consiglio di sicurezza: «È scioccante la mancata condanna di Hamas da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu». «E incredibilmente, due mesi dopo, i crimini selvaggi di Hamas non sono ancora stati condannati dal Consiglio né da qualsiasi altro organismo delle Nazioni unite».
PER IL MINISTRO degli Esteri palestinese Riyad Al-Maliki «la tregua deve diventare un cessate il fuoco permanente. Il massacro non può riprendere, questa non è una guerra, è una carneficina che nessuno può giustificare, e deve finire». «Chiunque non sia ancora sicuro di essere contrario a ciò che sta accadendo, dovrebbe verificare la propria umanità». «Israele non cerca giustizia, perché altrimenti vorrebbe la pace»
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Manifestazione contro il caro-bollette - Ansa
Il balletto ipocrita in cui sono impegnate le forze di maggioranza che non vogliono assumersi le responsabilità della fine del mercato tutelato del gas e dell’elettricità e il passaggio brutale a quello «libero» tra gennaio e aprile 2024 decisa dal Consiglio dei ministri ieri ha conosciuto un’altra giravolta.
Il governo chiude il «mercato tutelato» di luce e gas a fine anno
DOPO LA LEGA con Salvini anche il partito della presidente del consiglio Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia (Fdi) si è accorta di avere combinato un guaio per 5 milioni di famiglie, questa è la stima, che rischiano di pagare di più le conseguenze di una decisione, dettata dal Pnrr e sottoscritta già al tempo dei governi Conte II e Draghi, che aumenterà i profitti delle aziende del settore mentre la crisi del potere d’acquisto prosegue a causa dell’inflazione.
«SE TECNICAMENTE è possibile, oggi, fare una proroga di un anno, sicuramente il governo la farà” ha detto ieri Tommaso Foti, il capogruppo FdI alla Camera – Ma ci vuole un’autorizzazione europea, perché è l’Italia che si è impegnata. Questa volta – sottolinea ancora – non si può dire che la colpa è dell’Europa. È colpa della maggioranza che governava allora e che ha voluto mettere questo negli obiettivi del Pnrr per la terza rata». «Bisogna trattare con la Commissione europea per ottenere la proroga» ha confermato Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera.
Un falò di bollette contro il caro-vita e l’economia di guerra
È UN MODO di posporre il problema. Va cambiato un «punto», così è stato definito, del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Lo stesso «punto sfuggito a tutti, fino all’altro ieri. Per questo non è rientrato nelle dettagliate trattative con la Commissione Ue, durate 10 mesi, che hanno modificato il Pnrr. Bisognerà aspettare. Sapendo che a Bruxelles, di solito, non transigono sulla «concorrenza». Basti pensare all’altro problema che ha l’attuale maggioranza: le concessioni dei balneari.
«È UNA SITUAZIONE poco seria» ha commentato il segretario della Cgil Maurizio Landini, Definiamola anche una confusione politica trasversale. Perché la norma in sé, ispirata da una delle «riforme» chieste in cambio dei dobloni del Pnrr, è stata accettata anche da chi oggi è all’opposizione, e fino ad un anno fa era nei governi Draghi – e prima Conte II – che hanno accettato la «riforma» in questione. Non è sufficiente dire, come dicono tra le opposizioni, che la norma era diversa ed è stata adottata in un’altra situazione economica, prima delle guerre in corso e dell’inflazione. L’impoverimento era diffuso già dai tempi del Covid tra chi potrebbe essere colpito ora sull’energia Quei governi hanno pensato di risolvere il problema con i bonus a tempo. La povertà sarebbe scomparsa. Al resto avrebbe pensato il Pnrr di cui si attendono i prodigi.
Pnrr, in crisi il progetto di una democrazia assoggettata al mercato
IL PROBLEMA DEL MERCATO «libero» dell’energia rinvia al disegno generale del Pnrr, un’idea decisionista, neo-liberale e tecnocratica che rischia di approfondire le diseguaglianze. Su questa contraddizione le destre ieri hanno continuato ad attaccare Pd e Cinque Stelle, rimuovendo le proprie responsabilità. In entrambi i casi, maggioranza e opposizioni, sono lontane dall’analizzare i limiti della concezione del Sacro Graal dell’economia, il Pnrr, seguendo alcune tracce che sono emerse in questi mesi da ricerche come quella di Gianfranco Viesti (Riuscirà il Pnrr a rilanciare l’Italia? Donzelli).
Gianfranco Viesti: «Cambiare il Pnrr, l’esempio degli studenti»
«BENE CHE CI SIANO delle voci all’interno della stessa maggioranza che chiedono una proroga, ma se fanno sul serio votino gli emendamenti presentati dal partito democratico nella nostra manovra alternativa» ha detto Elly Schlein, segretaria del Pd. Proposta astuta che presumibilmente non avrà seguito. Il fronte delle opposizioni, unito sul salario minimo, si è però rotto sull’energia. Carlo Calenda (Azione) ha criticato Schlein («una liceale del centro storico») e Conte (5 Stelle). Per Riccardo Magi (+Europa) sono «demagogici» perché «il 75% è già nel mercato libero. Chi oggi non opta per un gestore, comunque resterà per tre anni con una tariffa amministrata». Come se il problema non fosse anche l’aumento dei prezzi che paga di più chi è più povero.
IL PD, CON CINQUE STELLE Verdi e Sinistra Italiana, ha chiesto un’informativa urgente al ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin. Quest’ultimo ha chiesto «gradualità» nel passaggio di mercato. Ma il 10 gennaio si partirà con il gas. Quanto all’energia elettrica la speranza del ministro è stata affidata al ministro delegato al Pnrr, Raffaele Fitto: «Confido- ha detto – nella trattativa con l’Ue». Fitto, che non ha visto arrivare il problema e si è lamentato del «paradosso» in cui si trovano le opposizioni. In un paradosso si trova anche lui da quando il Consiglio dei ministri ha approvato ciò che ora si vorrebbe rinviare
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Protesta a Ramallah per i detenuti politici - foto Afp/Zain Jaafa
Festeggiare era vietato, hanno festeggiato lo stesso. In Cisgiordania nelle strade, a Gerusalemme est nelle case: le 33 donne e i 150 minori palestinesi, prigionieri politici scarcerati finora hanno gioito. Piangendo tra le braccia dei genitori, sventolando la bandiera palestinese per le strade delle loro città.
Un modo per dare sfogo alla rabbia individuale di incarcerazioni che in moltissimi casi non si reggevano né su accuse né a processi, e a una collettiva, quella di vedere Gaza massacrata mentre loro tornavano sull’asfalto.
QUELLA GIOIA le forze di sicurezza israeliane hanno provato a impedirla, lanciando gas lacrimogeni sulle famiglie in attesa fuori dalla prigione di Ofer in Cisgiordania, o a Gerusalemme est compiendo raid nelle case dei detenuti in via di rilascio.
Ma i maltrattamenti peggiori sono quelli lontani dalle telecamere, raccontati da chi è uscito. La versione è identica per tutti: dopo il 7 ottobre, condizioni di vita già terribili (lo dicono da decenni i rapporti di organizzazioni locali e internazionali) sono diventate insopportabili.
Violenze, privazioni e arresti di massa. La vendetta passa anche dalle carceri
Mohammed Nazal, 18 anni, ha una benda al collo che gli tiene su il braccio rotto. Racconta di un piatto di riso da dividere in dieci prigionieri, di pestaggi subiti e cure mediche negate: «Gli anziani erano lasciati a terra, io riuscivo a sopportarlo ma loro no. Non avevamo materassi né coperte».
Anche Khalil Mohamed Badr al-Zamaira ha 18 anni. È stato rilasciato domenica dopo due anni di prigione: «Due ragazzi sono arrivati da Ofer con le costole fratturate. Non riuscivano a muoversi».
«I maltrattamenti sono indescrivibili», ha raccontato un altro ragazzino, Omar al-Atshan. Lui era detenuto nel famigerato carcere del Naqab: «Le botte erano la routine. Acqua e cibo erano scarsi». Li hanno picchiati, aggiunge, anche il giorno del rilascio.
RACCONTA anche di un decesso nel suo carcere, Thaer Abu Asab, uno dei cinque uccisi dietro le sbarre dal 7 ottobre: «Aveva solo chiesto a una guardia se c’era la tregua. Lo hanno picchiato a morte. Abbiamo gridato aiuto, ma i dottori sono arrivati un’ora e mezza dopo. Era già morto».
Ancora morti palestinesi nelle carceri israeliane: ieri quinta vittima
Osama Marmash, 16 anni, ad al Jazeera racconta di altri decessi per torture, stavolta a Megiddo. Lui stesso è ferito ai piedi e alla schiena. Prove giungono anche dai video «scappati» di mano ai soldati e girati sui social: detenuti spogliati, con le mani legate e la benda sugli occhi, umiliati e pestati.
Tutti dicono lo stesso: pochissimo cibo, nessuna cura medica. Le regole sono cambiate: due pasti al giorno non tre (uova e cetrioli) non sufficienti per tutti ma da dividere, celle sovraffollate per contenere il doppio o il triplo dei detenuti, ritiro delle coperte e di molti materassi. E ancora visite mediche e familiari sospese. Sospese pure le comunicazioni: a chi è stata rinnovata la detenzione amministrativa (custodia senza processo) non lo ha nemmeno saputo.
«Dopo il 7 ottobre, venivano ogni giorno a picchiarci, ci trattavano come i cani», il racconto di Ghannam Abu Ghannam a SkyNews. Minorenne, arrestato un anno fa per lancio di pietre ma mai processato, è tornato a casa nel quartiere gerusalemita di Silwan. Ha abbracciato forte la madre. Nessuna festa per lui.
COME NON LO è per i 133 palestinesi di Cisgiordania e Gerusalemme che sono stati arrestati nei primi quattro giorni di tregua: «Finché ci sarà occupazione, gli arresti non cesseranno, è una politica centrale dell’occupazione», dice Amany Sarahneh, la portavoce del Palestinian Prisoners Society. Le carceri non si svuotano mai.
Lo dice la lista dei 30 palestinesi rilasciati ieri: una è la giornalista Marwat al-Azza, di Gerusalemme. Era stata incriminata il giorno prima. Per molti lo scambio è solo una presa in giro
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Nichi Vendola al congresso di Sinistra italiana di Perugia - foto di Astolfo Lupia
Con Nicola Fratoianni eletto per la terza volta segretario, si è concluso domenica a Perugia il congresso di Sinistra italiana. Il partito ha affrontato una discussione che attraversa e intreccia tre livelli. Intanto, quello di guadagnare una migliore strutturazione interna, dopo la fase dell’emergenza e la sfida per la sopravvivenza vinta ha eletto l’assemblea nazionale e adesso dovrà definire la direzione nazionale e la segreteria. Nel frattempo, Nichi Vendola è stato eletto per acclamazione presidente del partito.
«Non possiamo abbandonarci alla depressione, al rimpianto o alla nostalgia – ha detto Vendola nel suo intervento – Questo è tempo di tornare a casa per rimetterci in cammino». Il concetto è stato espresso dallo stesso Fratoianni nel corso della sua relazione, usando a pretesto Mend Piece, opera d’arte contemporanea interattiva che si trova esposta al Moma di San Francisco: su un tavolo sono collocati diversi cocci bianchi e gli avventori sono invitati a utilizzare quei pezzi per inventarne altri invece che ricomporre l’oggetto originario. «Abbiamo superato l’idea che bisogna ricostruire quello che c’era prima – spiega il segretario da Montecitorio mentre si vota per l’ennesima questione di fiducia – E che bisogna rimettersi in cammino».
Da qui si arriva al secondo livello affrontato dal congresso: il ruolo di Sinistra italiana nel rapporto con le altre forze di opposizione. «Dobbiamo smettere di parlare in forma astratta di ‘alternativa’ e porre temi concreti», prosegue Fratoianni. Ecco perché ha lanciato l’idea di una manifestazione unitaria per il salario minimo e contro autonomia differenziata e premierato. Raccogliendo consensi alterni. «Insisto sulla proposta – dice oggi – Ci lavoreremo, andremo avanti, proporremo di definire date e modalità per una mobilitazione unitaria». Su questo ha Luciana Castellina, a Perugia, è stata forse ancora più netta: «Vogliamo costruire un fronte più largo per combattere la vergogna di avere un governo fascista nel paese che è stato quello del più forte partito comunista in Occidente».
Infine, il terzo livello: le elezioni europee di giugno 2024 che a più riprese nel dibattito congressuale sono state indicate come momento decisivo per le sorti dell’Ue e delle sue articolazioni nazionali. La sfida per Si, che conferma la scelta di fare le liste con Europa Verde, è superare la soglia di sbarramento del 4%. A questa prospettiva è legata la necessità di allargarsi ai soggetti della sinistra civica ed ecologista sparsi in giro per il paese e rimasti senza una casa politica. Dopo il passaggio dell’incontro romano del prossimo 5 novembre, diverse assemblee nei territori segneranno l’ingresso nella campagna elettorale vera e propria. E chissà che il neo-presidente Vendola, se nel frattempo dovesse essere assolto al processo d’appello sulla vicenda dell’Ilva che lo vede accusato del reato di concussione aggravata, non decida di essere della partita
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Con il motto più stupido che si potesse immaginare i Grünen sono andati a congresso nel passato fine settimana: «La nostra ideologia si chiama realtà». Al vicecancelliere verde Robert Habeck, presunto autore del motto e provetto scalatore di specchi, converrebbe ricordare che quando della realtà si fa un’ideologia, proprio allora la si diserta. Quando il “realismo” diventa feticcio si distacca irrimediabilmente dalla vita concreta.
«La nostra ideologia si chiama realtà»
Fin dalle loro origini i Verdi tedeschi si sono portati dietro la disputa tra fondamentalisti (in origine al limite di un purismo fanatico) e realisti (in lunga transizione dal buon senso all’opportunismo). Ma ormai, con l’affermazione definitiva di questi ultimi, di quel conflitto non rimane che una pallida messa in scena utilizzata per la difesa dei molti compromessi ingoiati per confermarsi nel governo con Spd e Fdp, delle rinunce e spregiudicate correzioni di rotta attuate dal partito.
Ma più che di un “realismo” imposto dagli alleati quello intrapreso dai Grünen assomiglia al compimento di un vero e proprio cambio di pelle, di pensiero e di funzione politica. Tanto che la domanda: chi sono i Verdi e a che cosa servono ancora? non è poi così peregrina.
La realtà, quella non ideologica, dice che i Grünen sono un partito in declino, che molti elettori lo stanno abbandonando (le ultime tornate elettorali sono andate assai male e i sondaggi non virano al sereno) e la base è in subbuglio, che ben poco entusiasmo accompagna l’attività di un partito che non ha saputo affrontare adeguatamente gli eventi che ne investivano strategie e principi politici: le guerre, la crisi energetica e le migrazioni.
La guerra in Ucraina ha spinto, perfino con qualche entusiasmo e un eccesso di retorica, ad avallare l’inquietante riarmo della Germania e a dismettere ogni preoccupazione per l’allargamento del conflitto, assecondando fino in fondo il massimalismo di Zelensky. Quanto all’originario credo pacifista del partito, i Verdi se ne erano disfatti già da un pezzo.
La crisi energetica ha poi determinato una serie di deroghe a favore dei combustibili fossili e del nucleare e, soprattutto, ha visto i vertici verdi schierarsi contro l’imponente movimento ecologista che si batteva per impedire l’allargamento (ritenuto peraltro da diversi esperti inutile per il fabbisogno energetico del paese) della già immensa miniera di lignite di Lützerath.
L’allineamento alle ipotesi di inasprimento del diritto di asilo e di trasferimento in paesi terzi dei migranti in attesa di esame, l’adesione alla spudorata finzione dei “paesi sicuri” ha completamente appiattito i Grünen sulle politiche di chiusura e respingimento che dominano la competizione dei grandi partiti popolari tra loro e con l’estrema destra.
L’ideologia, riassunta nel ridicolo slogan “umanità e ordine”, dice che solo così si sottrae a quest’ultima terreno e consenso. La realtà mostra invece che l’onda nera cresce indisturbata e che lo sdoganamento, sia pure in termini moderati e retoricamente democratici, dei suoi temi e dei suoi allarmi, altro non fa che istituire una normalità che la favorisce.
Del resto quel che i Verdi dicono di aver ottenuto scendendo a molteplici compromessi (come la promessa di un’uscita anticipata dall’energia fossile) in generale non convince.
Ma quale era la “diversità” dei Verdi? Ciò che li rendeva alternativi agli altri partiti? Appetibili anche per una sinistra dispersa e senza più connotazioni di classe?
Non solo e non tanto il fatto di promuovere quella cruciale questione ambientale che a destra e a sinistra i fautori dello sviluppo quantitativo ignoravano o accantonavano. Ma il rapporto stretto con una vasta rete di movimenti e iniziative di base che non solo animavano le grandi campagne pacifiste ed ecologiste, ma costruivano anche, sulla base di una decisa sensibilità ecologica, percorsi, progetti, forme di vita e di impresa alternative ai modelli dominanti.
Proprio questa relazione si è, nel corso degli anni, prima indebolita e poi rotta politicamente, sia pur conservandosi a tratti per via clientelare. I vertici del partito respingono con crescente stizza interferenze e condizionamenti dal basso. E i dati elettorali testimoniano la conseguente disaffezione.
Oggi i vertici dei Grünen sbandierano un “realismo” che dovrebbe scongiurare il rischio di finire rinchiusi in una «nicchia», di interrompere la lunga marcia verso lo status di terzo grande partito popolare, traguardo ben più alla portata di un’Afd accreditata dai sondaggi al 20 per cento che non dei declinanti Grünen.
Ma la vera nicchia altro non è che quella «vocazione governativa» e autoreferenziale che pretende, contro ogni evidenza, di esercitare grazie all’arte del compromesso un’azione efficace contro il dilagare dell’estrema destra, pronta invece a profittare di ogni arretramento e debolezza del moderatismo per conquistarsi nuovo spazio.
Terrorizzati da un possibile ritorno alla grande coalizione tra Spd e Cdu-Csu, che li escluderebbe, i Verdi si cimentano, nell’illusione di catturare i cattivi umori popolari, in un realismo opportunista e subalterno alla impetuosa deriva a destra della Germania.
Conservarsi al governo, costi quel che costi, è l’imperativo della “realtà” in versione verde. Ma quanto più si affievolisce il radicamento in una società critica e insoddisfatta, tanto più difficile risulterà conservare la forza necessaria anche solo a mantenere la posizione
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CARO VITA. Pd, M5s e Rossoverdi in rivolta: «Una scelta grave che danneggia i consumatori». Comuni e Regioni potranno autocandidarsi per ospitare le scorie radioattive
Per le bollette luce e gas finisce il regime di maggior tutela: nessuna proroga dal Consiglio dei ministri di ieri. Dunque per il gas la data prevista è il 31 dicembre 2023, per la luce il 10 gennaio 2024 per la luce. In pratica, circa 9,5 milioni di famiglie e partite iva dovranno sottoscrivere – entro la metà dell’anno prossimo – un nuovo contratto sia per la fornitura di metano sia per l’elettricità. E i rpezzi no saranno più stabiliti da un’Autorità (oggi l’Arera) ma dalle singole compagnie.
Il governo aveva ipotizzato un ulteriore rinvio, auspicato dalle associazioni dei consumatori, ma non gradito a Bruxelles: ma nel decreto energia approvato ieri il rinvio non è arrivato, nonostante fosse stato auspicato da esponenti di maggioranza come Fabio Rampelli e il leghista Bagnai. Le opposizioni sono nettamente contrarie. «È davvero sconcertante l’atteggiamento di questo governo che, su un tema come il mercato tutelato, fa orecchie da mercante e gioca a scarica barile», tuona Annalisa Corrado, responsabile Ambiente nella segreteria Pd. E annuncia una conferenza stampa oggi al Nazareno con la segretaria Elly Schlein, Pierluigi Bersani e il responsabile economico Antonio Misiani. «Bersani è il padre di quelle liberalizzazioni progressive e negli strumenti da lui messi in campo c’erano tutele per i consumatori domestici, considerati una categoria da proteggere, poi progressivamente stralciate e stravolte», spiega Corrado. «Ora lui è tra i primi a dire che il mercato tutelato va prorogato per non gettare i cittadini nel mercato libero in un momento congiunturale drammatico». I deputati M5S in commissione Attività Produttive della Camera bollano la mancata proroga come «furia cieca verso le famiglie» e Luana Zanella, capogruppo dei rossoverdi a Montecitorio, avverte: «Famiglie e imprese si preparino al salasso voluto da una destra pericolosa e irresponsabile».
Il ministero dell’ambiente ha fatto sapere che istituirà un tavolo per studiare modalità di passaggio “morbide” e non traumatiche per le famiglie: per tre anni dovrebbe essere in vigore un «Servizio a tutele graduali» con una attenzione a over 75 a basso reddito, disabili o malati gravi. Ma non convince le opposizioni, che accusano il ministro di aver fatto una «giravolta» e di usare in modo strumentale l’impegno preso da Draghi mentre negoziava il Pnrr con Bruxelles, che prevedeva lo stop al mercato tutelato entro il 2026. «Bloccano la proroga usando il Pnrr come foglia di fico», l’accusa del Pd.
Il decreto varato ieri vale 27,4 miliardi: c’è il sostegno all’eolico offshore nel Mezzogiorno, con l’individuazione di due porti del Sud per sviluppare investimenti nel settore, funzionali a ospitare piattaforme galleggianti, da individuare dopo le manifestazioni di interesse. Il decreto istituisce un fondo da 350 milioni all’anno fino al 2032 per le Regioni, per misure di compensazione e riequilibrio ambientale a fronte dell’installazione di impianti fotovoltaici in aree idonee. Le imprese energivore, come chimica e vetro, saranno incentivate a farsi le centrali elettriche a energia pulita: per i primi 3 anni, il Gse (la società pubblica per la promozione delle fonti green) anticiperà loro la corrente allo stesso prezzo che avrebbero dalle rinnovabili.
Un’altra novità di peso è la possibilità concessa a Regioni e Comuni di presentare autocandidature per ospitare il deposito nazionale delle scorie nucleari. La legge fino ad oggi prevedeva che la struttura potesse essere realizzata solo nei Comuni ritenuti idonei dalla Sogin, la società pubblica per lo smantellamento delle centrali atomiche. Negli ultimi anni però sono arrivate diverse autocandidature da parte di Comuni non compresi nella Carta delle aree potenzialmente idonee (Cnapi). E la Lega ha presentato un disegno di legge per dare anche a loro la possibilità di ospitare il deposito (che porta sostanziosi contributi pubblici e migliaia di posti di lavoro). Il decreto ha accolto questa proposta «per promuovere la possibilità di una più celere individuazione dell’area di stoccaggio», spiega il ministero dell’Ambiente.
Controverse anche le misure nel settore del gas: il governo prevede che vengano rilasciate nuove concessioni per l’estrazione di idrocarburi, a fronte dell’impegno di cedere quantitativi di gas al Gse, che lo fornirà prioritariamente alle imprese gasivore. Vengono inoltre considerate di pubblica utilità, indifferibili e urgenti, le opere per la costruzione e l’esercizio di terminali di rigassificazione di gas naturale liquido on-shore: una norma che riguarda i futuri impianti di Porto Empedocle e Gioia Tauro. Nel decreto vengono anche semplificate le procedure per le autorizzazioni allo stoccaggio di anidride carbonica nei giacimenti di idrocarburi esausti
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