L’annuncio giunge al tramonto: accordo tra Israele e Hamas, due giorni in più di pausa fino a giovedì mattina. Ossigeno per Gaza stremata, aiuti in arrivo nel nord in macerie e altri scambi di prigionieri e ostaggi. Ma Netanyahu ripete: la guerra non finisce qui
STRISCIA POSITIVA. Al tramonto l'annuncio, tregua fino giovedì mattina. Israele ottiene nuove liberazioni di ostaggi. Il popolo di Gaza respira. Ma Nord la popolazione è in ginocchio
Sfollati palestinesi lasciano il nord di Gaza - Ap
La «pausa umanitaria», come la chiamano, continuerà anche oggi e domani. Il Qatar è riuscito a convincere Israele e Hamas a prolungarla evitando che oltre due milioni di palestinesi si risvegliassero questa mattina nell’incubo di nuovi bombardamenti aerei e di altre stragi di civili. Ieri solo dopo il tramonto le due parti hanno aperto la strada al quarto scambio di ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi, rispettivamente 11 (tutti del kibbutz Nir Oz) e 33, quasi tutti giovanissimi. Era attesa la liberazione anche di sei lavoratori tailandesi sequestrati il 7 ottobre.
Altri due giorni senza esplosioni e morte. I palestinesi di Gaza li useranno per recuperare le forze, per fare scorta di cibo e, alcuni, anche per andare al mare. Nei giorni scorsi padri, madri e figli, incuranti del divieto di entrare in acqua emesso dall’Esercito israeliano, hanno goduto di qualche ora di riposo in spiaggia dopo settimane trascorse in condizioni di vita estenuanti nelle tendopoli e nelle scuole, con sovraffollamento, carenza di servizi igienici e docce e lunghe code giornaliere per piccole razioni di cibo e acqua, aggravate dall’impatto psicologico dei bombardamenti e degli sfollamenti. «Accanto al mare possiamo finalmente respirare, eppure siamo così depressi. Siamo sulla spiaggia ma vogliamo piangere», ha detto Asmaa al Sultan a un’agenzia di stampa. Il pensiero della donna va ai circa 15 mila palestinesi uccisi e alle altre migliaia che sono dispersi, probabilmente morti sotto le macerie colpiti da missili e bombe sganciate dall’aviazione israeliana.
Cosa accadrà da oggi a giovedì mattina, quando scadrà la
seconda tregua, nessuno può dirlo con certezza. Più volte nei giorni scorsi il cessate il fuoco temporaneo è stato sul punto di crollare. Sulla carta almeno altri dieci ostaggi israeliani saranno rilasciati oggi e altri dieci domani, mentre ogni giorno Israele libererà 30 prigionieri politici palestinesi. A complicare questo schema sono due fattori: il governo israeliano fa il possibile per rilasciare in prevalenza adolescenti che sono in carcere spesso senza aver subito un processo. Una politica che si scontra con il progetto di Hamas di vedere liberi anche suoi membri di primo piano. Dall’altro c’è l’atteggiamento del movimento islamico che rilascia poco alla volta bambini e madri e le altre donne sequestrate sapendo che la loro presenza tra gli ostaggi tiene sotto pressione il governo Netanyahu e spinge almeno una parte degli israeliani a sostenere il cessate il fuoco e la trattativa. Inoltre, Hamas non sa dove si trovino tutti ostaggi. Almeno 40 sui circa 200 – civili e militari – presi il 7 ottobre, sarebbero nelle mani del Jihad islamico e di altre organizzazioni. Tra cui la famiglia Bibas, uno dei casi che, più di altri, colpiscono l’opinione pubblica israeliana.
L’apertura di un negoziato ampio per uno scambio tra sequestrati israeliani e le migliaia di prigionieri politici palestinesi (sono oltre 6mila) accompagnata da un cessate il fuoco definitivo, e uno degli obiettivi principali del movimento islamista che tenta di accreditarsi come l’unico rappresentante del popolo palestinese. Il gabinetto di guerra israeliano ne è cosciente e, quindi, preme per continuare anche nel sud di Gaza la sua devastante offensiva militare che sino ad oggi ha ucciso migliaia di civili palestinesi e provocato distruzioni gravissime ma non ha inferto un colpo decisivo ad Hamas i cui comandanti militari sembrano sempre in grado di comunicare con i loro uomini. Ieri un portavoce di Hamas, Izzat Risheq, ha aperto alla possibilità di trattare anche lo scambio tra soldati sequestrati e prigionieri palestinesi e ha sostenuto che l’organizzazione resta anche nel nord di Gaza ora occupato dalle truppe israeliane. Sulle mosse militari del governo Netanyahu non pesa solo l’obbligo di riportare a casa gli ostaggi. Contano e non poco i costi in vite umane della guerra – decine di soldati sono caduti in combattimento, altri sono rimasti feriti gravemente – e le perdite economiche causate dallo stop di numerose attività produttive a seguito del richiamo di 350mila riservisti e dal blocco di qualsiasi movimento turistico interno e dall’estero, senza dimenticare lo sfollamento di circa 126mila israeliani mentre più di 230mila abitanti hanno lasciato il paese. Secondo l’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale, l’economia israeliana perde circa un miliardo di shekel al giorno (250 milioni di Euro). E la Banca Centrale ha speso 7,3 miliardi di dollari per proteggere lo shekel, precipitato ai minimi da 14 anni a questa parte.
Il segretario generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres intanto ha colto l’occasione offerta dall’estensione della tregua per chiedere il cessate il fuoco totale. «Il dialogo che ha portato all’accordo deve continuare, sfociando in un completo cessate il fuoco umanitario, a beneficio del popolo di Gaza, di Israele e della regione più ampia. Le Nazioni unite continueranno a sostenere questi sforzi in ogni modo», ha detto Guterres attraverso un portavoce. La priorità dell’Onu, della Mezzaluna rossa e delle organizzazioni umanitarie è di far arrivare aiuti anche nel nord di Gaza dove solo due giorni fa sono giunti decine dei camion con generi di prima necessità ai civili. Un funzionario dell’Onu ha raccontato di aver incontrato nel nord persone in gravi condizioni fisiche e disidratate. «Le persone sono così disperate e si può vedere negli occhi degli adulti che non hanno mangiato, si vede che i bambini sono dimagriti», ha riferito James Elder, un funzionario dell’Unicef. «Le persone non appena ottengono l’acqua iniziano a berla subito – ha proseguito -. Hanno sete. Hanno sete da giorni». L’Unicef ha consegnato agli ospedali ancora in parte operativi nel nord biscotti ad alto contenuto energetico, compresse vitaminiche per bambini e kit medici. Elder ha avvertito di aver visto bambini con gravi ferite, tra cui ustioni, giacere nei letti d’ospedale in stato di shock. Proprio mentre le consegne di aiuti fluivano verso nord, Elder ha detto di aver visto centinaia di abitanti di Gaza dirigersi nella direzione opposta, temendo la ripresa dei bombardamenti israeliani nei prossimi giorni