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ENERGIA. In Italia 1376 progetti di parchi eolici e impianti fotovoltaici attendono l’autorizzazione. Sabato 50 impianti aprono le porte per il Green energy day

 Impianto fotovoltaico a Cosenza - foto Getty Images

Il 14 maggio del 2011 la società Parco eolico marino Gargano Sud, con sede legale a Torremaggiore, in provincia di Foggia, chiese alla Capitaneria di Porto di Manfredonia la concessione per cinquant’anni di 86,40 chilometri quadrati di mare per costruire un parco eolico galleggiante composto di 95 pale, dalla potenza complessiva di 342 megawatt. L’impianto, progettato dalla Seaenergy, una società costituita nel 2007 e con sede nello stesso comune pugliese, si sarebbe collegato alla linea ad alta tensione Andria-Foggia attraverso un cavo sottomarino. Un anno dopo, l’11 aprile del 2012, la WPD Think Energy – un’azienda tedesca specializzata nella costruzione di impianti eolici e fotovoltaici con la quale la società foggiana aveva stipulato un accordo – depositò al ministero dell’Ambiente una richiesta di Valutazione d’impatto ambientale per il Parco eolico marino Gargano Sud.

ALLA SUA COSTRUZIONE PERO’ si opposero alcuni comitati locali e l’associazione Italia Nostra, e la Regione Puglia, che aveva una maggioranza di centrosinistra guidata da Nichi Vendola, bloccò il progetto. Nel frattempo la società Parco eolico marino Gargano sud è finita in liquidazione, ma alla fine di aprile del 2023 il ministero dell’Ambiente ha concesso il nulla osta ambientale alla Seaenergy. Quest’ultima il 21 luglio ha però scritto al ministero per segnalare che l’impianto appena approvato interferirebbe con un altro parco eolico offshore composto da 55 pale, per una potenza totale di 825 megawatt. Il progetto è stato presentato dalla Blue wind Manfredonia e si trova «in avanzato stato autorizzativo». La stessa Seaenergy fa sapere che la prima richiesta di autorizzazione del progetto del Parco eolico marino Gargano sud fu presentata nel 2007 dalla Ats engineering, un’altra società che faceva capo allo stesso proprietario. Nel frattempo, in quel tratto di mare sono state presentate ben nove richieste di concessioni per parchi eolici.

TRA I PROGETTI LEGATI ALLO SVILUPPO delle energie rinnovabili, il Parco eolico marino Gargano sud è quello bloccato da più tempo in Italia e per le aziende del settore è diventato un emblema dell’immobilismo nella transizione energetica italiana. Secondo un rapporto di Legambiente intitolato «Scacco macco alle rinnovabili», in Italia ci sono 1.376 progetti fermi a causa di lungaggini burocratiche, di contenziosi tra ministeri, di ricorsi amministrativi e dell’opposizione delle Regioni o dei comuni che spesso preferiscono concedere i terreni per costruire poli logistici o industriali, un fenomeno molto diffuso soprattutto in Pianura Padana o comunque dove ci sono degli snodi autostradali. 81 di questi hanno ottenuto il via libera dal ministero dell’Ambiente ma non da quello dei Beni culturali, e la decisione finale spetta al Consiglio dei ministri che però non si pronuncia. Altri 67 sono in attesa solo del parere del ministero dei Beni culturali, che però non arriva: il più vecchio di questi risale al 2012, altri 40 sono stati presentati nel 2022.

IN ITALIA CI SONO IN TOTALE 374.136 impianti che producono energie rinnovabili, vale a dire eolico, solare, geotermia e biomasse. Hanno una potenza complessiva di 66.194 megawatt e sono in grado di coprire il 37 per cento dei consumi complessivi. Secondo il think tank Ecco, questi numeri non sono sufficienti: per raggiungere gli obiettivi climatici previsti dall’Unione europea entro il 2030, cioè la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 40 per cento entro il 2030, con il 42,5 per cento di energia rinnovabile, ci vorrebbero almeno 90 gigawatt di nuove installazioni, con una media di 13 gigawatt all’anno.

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Cer, l’energia diventa strumento di solidarietà e di giustizia sociale

Per sensibilizzare i cittadini sul tema, il Coordinamento fonti rinnovabili ed efficienza energetica (Free) ha organizzato per sabato 20 una giornata per le energie rinnovabili: una cinquantina tra aziende che utilizzano fonti rinnovabili, impianti che producono energie alternative e alcune comunità energetiche apriranno le porte ai visitatori, mostrando le tecnologie che utilizzano e come il loro impatto sull’ambiente sia minimo.

IN REALTÀ, DA QUANDO SI È insediato il governo Meloni, a ottobre del 2021, la costruzione di impianti di energie rinnovabili ha rallentato. Secondo i dati forniti dal gestore della rete elettrica Terna, nel 2023 sono stati installati appena 5.677 megawatt, di cui 5.234 di impianti fotovoltaici, 487 di parchi eolici e 42 tra geotermia e biomasse. Molti di questi sono di piccola taglia. L’associazione Elettricità Futura, di cui fanno parte il 70 per cento delle aziende che si occupano di energia elettrica in Italia, ha calcolato che l’85 per cento degli impianti eolici ha una potenza superiore ai 10 megawatt, ma di quelli fotovoltaici il 38 per cento ha una potenza inferiore ai 12 kilowatt e il 78 per cento è sotto il megawatt. Secondo Elettricità Futura, si tratta di numeri troppo bassi per affrontare la decarbonizzazione del sistema elettrico e dei sistemi produttivi del Paese.

L’ALLEANZA PER IL FOTOVOLTAICO, una rete di venticinque imprese italiane del settore energetico, sostiene che il problema principale è la lentezza nelle approvazioni dei progetti. Tra autorizzazioni ambientali e archeologiche, l’eventuale via libera del governo nel caso non ci sia accordo tra i ministeri e la cosiddetta «Autorizzazione unica» regionale per la costruzione dell’impianto possono passare diversi anni.

IL PIANO NAZIONALE INTEGRATO per l’energia e il clima (Pniec), sottoscritto dai ministeri dello Sviluppo economico, dell’Ambiente e delle Infrastrutture e Trasporti a gennaio del 2020, durante il secondo governo Conte, prevede che entro il 2030 l’Italia debba avere una potenza massima installata di 52 gigawatt da pannelli solari, per poi arrivare a 150 gigawatt entro il 2050. 635 progetti sono in attesa di approvazione, per un totale di 26,7 gigawatt di potenza. Quattordici di questi sono bloccati perché i ministeri dell’Ambiente e dei Beni culturali non sono riusciti a mettersi d’accordo. Secondo Legambiente, «se calcoliamo la media di installazione degli ultimi tre anni, pari a 0,56 gigawatt, rischiamo di raggiungere l’obiettivo di 70 gigawatt di nuovi impianti con fonti rinnovabili al 2030 tra 124 anni»

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Detenuta in condizioni pesantissime in Ungheria da un anno e due mesi, Ilaria Salis sarà candidata alle europee per Verdi e Sinistra. Se eletta dovrà essere scarcerata. Di fronte all’immobilismo del governo Meloni, altro modo per tirarla fuori dalle celle di Orbán al momento non c’è

USCITA D'EMERGENZA. L’annuncio «in accordo col padre». Se eletta l’antifascista uscirebbe dal carcere ungherese. In Grecia la destra ha dato un posto in lista a un sindaco prigioniero in Albania

 

La via d’uscita dal dal carcere di Budapest per Ilaria Salis è un seggio al parlamento europeo. Lo spazio per provarci lo darà l’Alleanza Verdi e Sinistra, che ieri nel tardo pomeriggio. «in accordo con Roberto Salis», suo padre, ha ufficializzato la candidatura dell’antifascista italiana arrestata in Ungheria nel febbraio del 2023. Con ogni probabilità Salis sarà capolista nella circoscrizione Nord Ovest.

«L’idea è che intorno alla candidatura di Ilaria Salis si possa generare una grande e generosa battaglia affinché l’Unione Europea difenda i principi dello stato di diritto e riaffermi l’inviolabilità dei diritti umani fondamentali su tutto il suo territorio e in ognuno degli stati membri – dicono i leader di Avs Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli -. Il nostro è un gesto che può servire a denunciare metodi incivili di detenzione, soprattutto verso chi è ancora in attesa di un giudizio». Le immagini della ragazza portata in ceppi e in catene in aula di tribunale, lo scorso gennaio, avevano sconvolto tutta l’Europa: così è nato «il caso Salis», la storia di un’italiana prigioniera in condizioni terribili in un paese che non considera lo stato di diritto una sua priorità.

TECNICAMENTE, in caso di elezione, l’uscita dal carcere per Ilaria Salis sarà dovuta: la giurisprudenza in questo senso è molto chiara. C’è l’articolo 9 del protocollo numero 7 «sui privilegi e sulle immunità dell’Unione Europea» a dirlo: i deputati «beneficiano, sul territorio nazionale, delle immunità riconosciute ai membri del Parlamento del loro stato» e «non possono, sul territorio di ogni altro stato membro, essere detenuti né essere oggetto di procedimenti giudiziari».

C’è anche un precedente, quello

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Video e testimoni raccontano di un’aggressione a freddo della polizia alla Sapienza. Ma politica e media dipingono gli scontri di Roma come una mezza insurrezione. Perché chi dissente è già un criminale

POL FICTION. La destra evoca «devastazioni» ma i ragazzi raccontano: «Volevamo uscire e ci hanno manganellato, gridavano ’prendiamone due’»

La carica della polizia alla manifestazione alla Sapienza del 16 aprile foto Ansa La carica della polizia alla manifestazione alla Sapienza del 16 aprile - foto Ansa

Come da tradizione, dopo ogni manifestazione di studenti va in onda il più longevo film poliziottesco della storia italiana. La trama è sempre la stessa. All’indomani delle cariche e dei manganelli, viene diffuso dalle istituzioni, forze dell’ordine e governo, un resoconto che giustifica la reazione della polizia. A volte si tratta di notizie fortemente esagerate, a volte di fake news, come nel caso delle ormai note manganellate agli studenti minorenni di Pisa dovute, secondo la versione diffusa dagli agenti, alla necessità di impedire ai ragazzi di avvicinarsi alla Sinagoga.

IL FATTO non è mai avvenuto: il corteo andava in tutt’altra direzione, ma per giorni la destra ha cavalcato l’immagine dei manifestanti violenti. Nel caso degli scontri alla Sapienza di martedì, culminati con due arresti, convalidati ieri, per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento di beni dello Stato, la presidente del Consiglio e la destra hanno parlato di «devastazioni, aggressioni, scontri, assalti al Rettorato e al Commissariato, con un dirigente preso a pugni» (Meloni), «professionisti della violenza», «apologia di terrorismo», «criminali», «seguaci di Hamas».

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«Calpestati la libertà di espressione e l’incolumità fisica dei ragazzi»

LA QUESTURA ieri ha fatto sapere che nel corteo ci sarebbero stati «almeno 5 anarchici estranei ai contesti universitari» con 27 agenti feriti. «Li avremo feriti nei sentimenti», chiosa Gaia. L’ironia serve per scacciare la sensazione che ci sia stato un cambio di passo nella strategia del governo e che l’ordine ora, avallato dalla premier in persona che non teme più le reprimende del Presidente della Repubblica, sia quello di stroncare il movimento studentesco. «Questa narrazione è inaccettabile, noi saremmo

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VERSO LE ELEZIONI EUROPEE. «Perché una parte consistente del mondo del lavoro non va più a votare?», un dibattito alla Bourse du travail tra francesi, italiani e tedeschi. Landini: la destra radicale vince, in coalizione con la destra classica, grazie alla forte astensione e alla divisione della sinistra

Roma, manifestazione antifascista della Cgil Roma, manifestazione antifascista della Cgil - Ansa

Gli ultimi sondaggi confermano la crescita dell’estrema destra nel prossimo parlamento europeo: il gruppo Id con Lega, Rassemblement national e AfD tra gli altri (84 seggi, 59 oggi) potrebbe soppiantare al terzo posto i liberali di Renew e Ecr, il gruppo con Fratelli d’Italia e il partito xenofobo di Zammour, salirebbe dai 68 deputati attuali a 82 e ha la chiara intenzione di ottenere delle cariche, almeno a livello di presidenze di commissioni. Nei principali paesi, l’estrema destra si rafforza: in Francia, l’ultimo sondaggio dà Rn al 32% e Reconquête al 6,7% (mentre Renaissance crolla al 16%, incalzata dalla lista Place publique-Ps di Raphaël Glucksmann), in Germania AfD è sul 20%, in Italia FdI e Lega assieme superano il 40%.

È una fatalità? I sindacati europei riuniti nella Ces hanno organizzato ieri alla Bourse du travail un dibattito tra francesi, italiani e tedeschi, per cercare una strategia di lotta «insieme contro l’estrema destra». È «un momento grave», per Marylise Léon, segretaria della Cfdt. Maurizio Landini ha proposto «un’azione comune» di fronte alla «dimensione europea» del rischio. Il segretario Cgil ricorda un fatto: la destra radicale vince, in coalizione con la destra classica, grazie alla forte astensione e alla divisione della sinistra.

In Italia, 18 milioni di astenuti alle ultime elezioni sono «un problema serio», è «crisi democratica» quando la metà dei cittadini non va alle urne perché «non si sente più rappresentata da nessuno».

La domanda a cui i sindacati europei devono rispondere è «perché una parte consistente del mondo del lavoro non va più a votare?».

Intanto, è stato detto dalla Cfdt e anche da Sophie Binet, segretaria Cgt, è necessario smascherare l’estrema destra, che in Francia in questa campagna vola in testa nei sondaggi anche se «non dice niente, anzi meno parla più avanza», per Marylise Léon.

La storia ci insegna che l’estrema destra, quando è andata al potere, ha messo all’angolo i sindacati, li ha delegittimati, è successo con Vichy e oggi in Italia. «Bisogna sottolineare l’incompatibilità» delle proposte dell’estrema destra con i valori, le conquiste e le speranze del mondo del lavoro, ha spiegato Léon, che racconta come nelle aziende in questo periodo molto spesso i lavoratori non si parlano più.

I sindacati devono impegnarsi in un lavoro di formazione, per la tedesca Yasmin Fahimi, presidente della confederazione dei sindacati Dgb, che ha sottolineato il ruolo delle politiche neoliberiste, che fomentano le divisioni tra lavoratori, favorendo la xenofobia e il razzismo. È tutti contro tutti, nelle parole di Landini, un concetto di «libertà» fondato «sulla competizione» sulla base di un «massimo profitto possibile», che in Italia sta causando il dramma dei morti sul lavoro.

In un mondo dove la globalizzazione ha messo tutti in concorrenza contro tutti, causando paure e chiusure, l’Europa è «il buon livello» per trovare delle risposte, per la Cfdt. Anche per quello che riguarda la sfida del cambiamento climatico, per superare il conflitto strisciante con il mondo del lavoro che l’estrema destra fomenta e utilizza, dividendo per meglio regnare

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GUERRA. Alla Biennale di Venezia chiude il padiglione di Israele

Venezia, il Padiglione israeliano chiuso foto Ap/Luca Bruno Venezia, il Padiglione israeliano chiuso - foto Ap/Luca Bruno

Davanti al padiglione di Israele, ai Giardini della Biennale, stazionano i militari. Presidiano un luogo chiuso perché l’artista Ruth Patir insieme ai curatori della mostra Motherland (il cui titolo aveva già suscitato molte polemiche stridendo con la cruda realtà che vede i bambini a Gaza morire sotto le bombe) hanno deciso di fare marcia indietro e, contrariamente a quanto avevano affermato finora (la volontà di andare avanti con il loro progetto perché non rappresentavano Netanyahu), hanno sbarrato l’entrata.

SULL’ESTERNO, un avviso semplice e potente, divenuto il protagonista indiscusso dei media di mezzo mondo sbarcati in Laguna per l’opening: «Il padiglione resterà chiuso finché non ci sarà un cessate il fuoco e tutti gli ostaggi saranno rilasciati». Hanno anche affermato che il governo israeliano (fra i finanziatori di una parte del padiglione nazionale) non era al corrente del loro gesto di protesta.

Il suo malessere e il desiderio di mandare un messaggio forte, Ruth Patir l’ha affidato anche ai social: «Sento che il tempo dell’arte è perduto e ho bisogno di credere che tornerà. Siamo diventati una notizia. Odio il boicottaggio culturale, sono anche una educatrice, ma dal momento che non credo ci siano risposte corrette e io ho solo questo spazio a disposizione preferisco far vibrare la mia voce per coloro che sostengo, per il cessate il fuoco e riportare le persone a casa, ora. Non ce la facciamo più».

IL PADIGLIONE DI ISRAELE era già stato investito dalle polemiche qualche mese fa: associazioni pro-Palestina e un gran numero di intellettuali «trasversali» avevano lanciato un appello per il suo boicottaggio ed esclusione («Niente padiglione del genocidio alla Biennale di Venezia» riportava il documento, «l’arte non può trascendere la realtà. No death in Venice, no business as usual»), ma l’istituzione aveva risposto che la partecipazione di qualsiasi paese riconosciuto dall’Italia sarebbe rimasta una libera scelta.

PER ADRIANO PEDROSA, curatore della mostra «identitaria» di questa edizione e alfiere del sud globale del mondo con il suo slogan-guida Stranieri ovunque, la decisione dell’artista e del suo team è coraggiosa e saggia. «È davvero arduo presentare un’opera in questo particolare contesto» (i padiglioni sono comunque indipendenti dalla rassegna principale). Pedrosa ha anche fatto sapere che Khaled Jarrar, artista palestinese residente a New York e invitato a esporre, non è riuscito ad arrivare a causa delle peripezie per ottenere il visto.

Israele dunque chiude fino al cessate il fuoco e alla liberazione degli ostaggi, la Russia invece non ha mai riaperto né chiesto di essere in Biennale. All’indomani dell’invasione dell’Ucraina e del deflagrare della guerra furono, anche lì, gli artisti e il curatore a rifiutarsi di presentare il loro lavoro. Quest’anno, la «casa russa» ospita la Bolivia, in omaggio a quel Foreigners everywhere che costella culturalmente e politicamente la manifestazione artistica.

E l’Ucraina? Ci sarà con un’architettura che si fa narrazione di conflitti e esodi di popoli e con le voci (e le onomatopee belliche) dei civili, testimoni di guerra, raccolte nel padiglione della Polonia

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A Roma la polizia ferma a manganellate gli studenti dell’università la Sapienza che chiedono la sospensione della cooperazione militare e scientifica con Israele. Arrestati due ragazzi. Ma per Meloni e la ministra Bernini «vergognoso» è chi sta con Gaza

A PASSO DI CARICA. Hanno chiesto la sospensione della cooperazione militare e scientifica con Israele. Il Senato accademico si è pronunciato contro l’ipotesi del «boicottaggio»

 La carica della polizia alla Sapienza - Ansa

La polizia ha caricato il corteo degli studenti della Sapienza di Roma, in mobilitazione da settimane, come in altri atenei, contro gli accordi di ricerca tra università e industria bellica e per la cessazione di ogni bando che preveda collaborazioni con Israele. Erano con le braccia alzate, sono volati i manganelli come a Pisa, Napoli, Milano. È la risposta a ogni protesta a cui segue immancabile l’accusa della maggioranza, ieri ci ha pensato direttamente Meloni: «Piena condanna per le violenze a Roma. Devastazioni, aggressioni, scontri, assalti a un Rettorato e a un Commissariato, con un dirigente preso a pugni. Questo è delinquere». Dal corteo replicano: «È stata la polizia a caricarci».

LA GIORNATA, iniziata con due ragazze incatenate ai cancelli del rettorato, si è conclusa con due arresti (uno per danneggiamento di un’auto della polizia, l’altro per aggressione a un agente), diversi feriti e la reazione dei ministri Piantedosi e Bernini, che, con tutto il centrodestra, incluso il presidente del Senato La Russa e Renzi, parlano di «vergogna».

I DUE ARRESTATI, un ragazzo e una ragazza, saranno processati per direttissima stamattina. La mobilitazione dei collettivi era cominciata già lunedì, quando si sono accampati con le tende dentro la città universitaria e si è conclusa con il tentativo di entrare nella sede dopo la decisione del senato accademico sulla proposta di sospendere la cooperazione scientifica con un paese in guerra.

UN DOCUMENTO CAUTO, eccessivamente cerchiobottista, secondo studenti, docenti, ricercatori e personale amministrativo che hanno manifestato ieri. Il testo esprime

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