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Più spazio ai nostri fiumi. Il presidente dell’Ordine dei geologi regionale, Paride Antolini, a un anno dalla prima alluvione che ha devastato il territorio ravennate: "Grandi aziende agricole e sempre meno fossi: ridotta la capacità di scolo"

DAL SITO DEL RESTO DEL CARLINO

Il presidente dell’Ordine dei geologi dell’Emilia Romagna, Paride Antolini, con il meteorologo Pierluigi Randi. Sotto, la rottura dell’argine del Lamone e i campi allagati a Formellino Il presidente dell’Ordine dei geologi dell’Emilia Romagna, Paride Antolini, con il meteorologo Pierluigi Randi. Sotto, la rottura dell’argine del Lamone e i campi allagati a Formellino

 

Ravenna, 5 maggio 2024 – In occasione dell’anniversario della prima alluvione in Romagna, l’altra sera a Mezzano si sono affrontati svariati temi legati alle conseguenze del cambiamento climatico e alla messa in sicurezza del territorio. Il presidente dell’Associazione meteo professionisti, Pierluigi Randi, si è soffermato su come è evoluto il clima nell’ultimo secolo, ponendo l’accento sulla "notevole accelerazione del riscaldamento a partire dall’inizio degli anni 2000 e con il 2023 e questo primo scorcio del 2024". Randi ha spiegato che "le anomalie termiche positive dell’ultimo anno sono state talmente rilevanti che potremmo trovarci in un territorio inesplorato, poiché difficilmente giustificabili attraverso i modelli di clima. Oltre alle temperature estreme, i dati mostrano una diminuzione della piovosità media annua in Italia, ma con la tendenza a un aumento delle precipitazioni massime giornaliere; insomma, piove di meno annualmente, ma nelle singole giornate piovose tende a piovere di più".

L’alluvione del 2023 si inquadra bene in questo tipo di comportamento, con "l’arrivo di masse d’aria insolitamente ricche di vapore acqueo che poi hanno causato, complice la complessa orografia romagnolapiogge straordinarie accumulate nelle 24 e nelle 36 ore sui nostri rilievi, con tempi di ritorno superiori ai 500 anni. Si è trattato della terza catastrofe più grave, a livello mondiale, del 2023. Premesso che il singolo evento, per quanto grave, non può essere direttamente attribuito al cambiamento climatico, è la variazione statistica degli eventi estremi che lo può essere facilmente, e in questo caso si osserva un loro incremento, senza dimenticare il tornado del 22 luglio 2023. Quindi non il singolo evento, ma la somma di eventi inusuali è un chiaro e forte segnale delle conseguenze del riscaldamento globale. E in futuro, stante un ulteriore aumento delle temperature, queste condizioni peggioreranno ulteriormente".

Il presidente dell’Ordine dei geologi dell’Emilia RomagnaParide Antolini, ha poi mostrato come "sia profondamente cambiata, nel corso dei decenni, la nostra agricoltura. Da appezzamenti molto piccoli si è passati a grandi aziende con superfici molto estese. Ma in questo modo è sensibilmente peggiorata la capacità di scolo dei nostri suoli, che prima era favorita da un reticolo molto fitto di fossi scoline, ma oggi non più, aggravando il carico di acqua piovana che deve essere smaltito dai fiumi ogni volta che arrivano precipitazioni abbondanti. Inoltre sta aumentando la subsidenza naturale del suolo così come quella legata alle attività umane, ad esempio a prelievi di acqua con pozzi sempre più profondi. Nel contempo sale il livello del mare Adriatico, quindi si tende a stabilire un dislivello sempre maggiore tra il mare e i suoli della bassa pianura fino alla costa, con vaste aree già sotto il livello del mare le quali aumenteranno di estensione nei prossimi decenni o secoli. Tutto ciò concorre ad aumentare le aree potenzialmente allagabili, comprese quelle soggette a ingressione marina, e anche questo aumenta il ‘carico’ dei nostri fiumi. Peraltro, ai nostri fiumi è stato tolto troppo spazio tra urbanizzazione, agricoltura e viabilità. Gli alvei sono troppo ristretti e chiaramente più si restringono e meno acqua possono contenere. Insomma, dovremmo cercare di ridare ai nostri corsi d’acqua un maggiore spazio, favorendo una maggiore coesione e tenuta degli argini attraverso pratiche di rinforzo, principalmente naturali. La nota più dolente è che serviranno investimenti enormi in termini economici e tempi di realizzazione alquanto lunghi. Pertanto il nostro territorio, nonostante le apprezzabili migliorie post-alluvione, rimane ad alto rischio qualora si dovesse presentare un nuovo evento estremo".

 

 

 

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L'UNIONE. La sinistra europea mostra un’immagine pallida, stinta, è spaventata dalla sua stessa ombra. Il cambio di maggioranza è un’eventualità niente affatto remota

 Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen a Tunisi foto Ap

Prima ancora che la campagna elettorale per le elezioni di giugno venisse ufficialmente aperta, il Parlamento e le istituzioni europee si erano affrettati a mettere al sicuro i temi più scottanti e decisivi.

Così gli accordi sulla politica migratoria, sul sostegno militare senza limitazioni all’Ucraina, il patto di stabilità, non saranno più argomenti di discussione nella contesa elettorale. C’è chi dice «meglio così!» visto che il prossimo Parlamento dell’Unione sarà decisamente più a destra di quello attuale. Fatto sta che, in particolare sullo spostamento fuori dai confini dei richiedenti asilo e sulla politica di accordi con i regimi che li dovrebbero trattenere, ovverosia imprigionare (ultimo aggiunto l’ameno Libano), ne sono stati ampiamente anticipati i prevedibili umori, così come con l’indecorosa e vile marcia indietro sul green deal.

La destra arriva all’appuntamento europeo con il vento in poppa e con una fisionomia precisa e riconoscibile. Nonostante le contraddizioni e competizioni interne al suo schieramento, diviso nei due campi dell’Id e dell’Ecr, nel discorso politico e nella direzione di marcia l’aria di famiglia e i fattori comuni emergono con immediata evidenza. Intento largamente condiviso è quello di accrescere il peso già considerevole degli stati nazionali negli orientamenti e nel governo dell’Unione.

Uno slogan come «l’Italia cambia l’Europa» manifesta spudoratamente, oltre a una stridula presunzione, l’intenzione di privilegiare la sovranità nazionale su quella europea, l’interesse patriottico su quello comunitario. Cambiare l’Europa in questa accezione non significa naturalmente contrastarne i dogmi liberisti, ma tagliare le unghie dell’Unione privandola della possibilità di intervenire sulla torsione autoritaria dello stato di diritto e sulle politiche demagogiche e clientelari che la preparano e la accompagnano in diversi paesi del Vecchio continente.

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Sul terreno le posizioni sono decisamente favorevoli agli schieramenti reazionari e nazionalisti. Molti gli stati nazionali già conquistati dalla destra con il contributo delle sue componenti più radicali al sud come al nord, all’est come all’ovest. Dalla Scandinavia, già socialdemocratica, all’Italia e la Grecia, passando per gran parte dell’Europa dell’Est e stati benestanti dell’Europa centrale. Inoltre, nei principali paesi dell’Unione l’estrema destra è in ascesa e le attuali coalizioni di governo arrancano.

Questa destra esibisce un’immagine nitida e univoca di cosa è e di che cosa intenda fare, sia per chi desideri affidarvisi, sia per chi la guarda con paura e avversione. Altrettanto non può dirsi dello schieramento che dovrebbe contrastarla e che, secondo una ricetta screditata da innumerevoli fallimenti, cerca quando può di sottrarle argomenti assimilandoli in versione borghese. La sinistra europea mostra un’immagine pallida, stinta, è spaventata dalla sua stessa ombra. Ma soprattutto da quella diffusa diffidenza popolare per l’Europa che il suo stesso fiancheggiamento del dogma liberale non ha fatto altro che alimentare.

Ragion per cui non si può nemmeno immaginare, dopo le arcigne lezioni di austerità subite a maggior gloria della rendita finanziaria, che qualcuno possa esprimere un auspicio, in fondo ragionevole, come «l’Europa deve cambiare l’Italia» governata da una destra postfascista. A conferma del fatto che un antifascismo restio a qualunque critica non insignificante del capitalismo reale è destinato all’impotenza.

Confinati a bordo campo, esibendo qualche striscione ispirato ai principi dell’89, i socialisti restano spettatori della partita che può definitivamente estrometterli. Reggerà o non reggerà la barriera, cosiddetta tagliafuoco, che separa i conservatori dalla destra radicale? Resisterà o meno il «soffitto di cristallo» che sbarra la strada alla destra sciovinista in Francia? Tutto gira intorno alle convenienze del Partito popolare europeo, come testimonia l’indecente opportunismo di Ursula von der Leyen, che senza problemi si rivolgerebbe a destra pur di conservare la sua poltrona di presidente della Commissione.

L’argine verso la destra estrema è ovunque fragile e attraversato da inquietanti crepe. In diversi paesi non proprio irrilevanti come Svezia, Finlandia e Italia, per non parlare dell’Est, formule di governo che poggiano sull’alleanza tra conservatori e destre xenofobe e nazionaliste sono in fiorente attività. I democristiani tedeschi mostrano per il momento solo lievi cedimenti essendo l’Afd ai limiti dell’incostituzionalità. Ma sullo scacchiere europeo le cose potrebbero presentarsi molto diversamente. E siccome le convenienze del Ppe sono anche quelle dei poteri economici dominanti, la domanda da porsi è se questi ultimi possano sentirsi ostacolati dalle fantasie nazionaliste della destra più radicale. Sembrerebbe proprio di no. Il cambio di maggioranza a Bruxelles è dunque una eventualità tutt’altro che remota

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Al Cairo proseguono frenetici i negoziati, ma l’intesa stenta a decollare: Hamas insiste sul cessate il fuoco permanente, Netanyahu non vuole rinunciare ad andare fino in fondo con l’attacco a Rafah. E anche ieri Israele ha condotto pesanti raid aerei su tutta Gaza

STRISCIA DI SANGUE. Più fonti danno per sicura l’approvazione da parte di Hamas del cessate il fuoco, ma Israele non vuole fermare la guerra. Raid aerei su Nuseirat e altre città della Striscia. Uccisi 5 combattenti palestinesi a Deir Ghusoun

Speranze di tregua mentre Gaza resta sotto bombe e missili 

In poche ore ieri, mentre la delegazione di Hamas giunta al Cairo discuteva con i mediatori egiziani della proposta di tregua con Israele, sono scattati violenti attacchi aerei su diverse aree di Gaza. Gli F-16 e i droni israeliani hanno sganciato bombe ad alto potenziale sul campo profughi di Nuseirat, di recente uno dei più presi di mira perché, afferma Israele, «roccaforte» di uno dei due battaglioni di Hamas nell’area centrale della Striscia (gli altri quattro sarebbero a Rafah). Morti e feriti sono stati estratti poco dopo in una casa in via Ahmed Yassin, nella zona di Al-Saftawi, nel nord di Gaza.

Un’altra casa è stata colpita in pieno nelle vicinanze della stazione di polizia in via Salah al Din e bombe hanno centrato la moschea di Al Fukhari, a est di Khan Younis, e le località di al Mughraqa e az-Zahra. L’artiglieria invece ha martellato le aree settentrionali di Beit Lahiya. In quelle stesse ore in Cisgiordania, a Deir al Ghusoun (Tulkarem), sono stati uccisi cinque combattenti palestinesi. Il portavoce israeliano parla di «operazione antiterrorismo». L’esercito ha imposto il coprifuoco, poi ha circondato e infine distrutto con le ruspe e lanci di razzi anticarro due abitazioni dove avevano trovato rifugio i combattenti palestinesi.

Questo triste concerto per cacciabombardieri, artiglieria e carri armati ha accompagnato una giornata che pure è stata definita fin dalle prime ore quella «giusta» per la tanto attesa – da oltre due milioni di civili – tregua a Gaza. Riportate prima dal giornale saudita Sharq e poi dai media israeliani e palestinesi, le indiscrezioni hanno riferito di Hamas ben disposto ad accettare la proposta egiziana per il cessate il fuoco. Voci seguite al pressing senza sosta che gli Stati uniti, per bocca del Segretario di stato Blinken – «tra la tregua e la popolazione di Gaza c’è solo Hamas», ha detto più volte –, l’Egitto e in parte il Qatar hanno esercitato sulla leadership politica dell’organizzazione militante palestinese.

Quindi sono emersi nuovi particolari della bozza di intesa. Consisterebbe in tre fasi di

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IL CASO. Un altro spot elettorale sull’aumento dell’occupazione è stato servito dalle destre. Confusa la quantità con la qualità: quando gli impieghi ci sono ma non portano la crescita

foto LaPresse Al lavoro - Ansa

Un altro spot elettorale per le Europee dell’8 e 9 giugno è stato servito. Ieri, a 44 giorni dalle elezioni, il governo e la maggioranza hanno giocato la carta dell’aumento dell’occupazione attestato dall’Istat nell’ultimo anno. Nella più classica delle speculazioni sui dati dell’occupazione, già vista con i governi di tutti i colori, le destre hanno voluto così mostrare quanto la ditta Meloni & Co. sta facendo bene. Se a marzo 2023 la crescita dell’occupazione dei lavoratori dipendenti e di quelli autonomi ha segnato il record di 425mila unità in più in un anno, mentre i precari sono diminuiti di 180mila, allora questo dimostra che «il governo Meloni funziona», «ha raggiunto un traguardo» e ha sconfessato «la propaganda della sinistra». Stanno parlando di una «sinistra» che compulsa con acrimonia le tabelline dell’Istat in attesa che spunti qui o lì qualche segno «meno». Un’attività straziante, in effetti. Ieri le opposizioni, solitamente ciarliere, sono rimaste in silenzio. Avranno incassato l’attacco ai «gufi». Da Renzi in poi, è una caricatura sempre verde. Figuriamoci in periodo elettorale.

LA COMMEDIA è sempre la stessa: si prende la quantità e la si spaccia per qualità. Si guarda il segno «più» vicino al numero e non al contenuto, e tanto meno al contesto. Storicamente questa attitudine è tipica della cultura capitalista abituata a pensare al lavoro come una quantità astratta e mercificata, un mero dato statistico al quale è attribuito un significato universale. Se i posti di lavoro aumentano questo significa che i lavoratori staranno meglio. È una fandonia creata dal feticismo che confonde il lavoro con la forza lavoro, la merce con la persona. Di «robinsonate» come queste, così le chiamava Marx, è piena l’economia.

I DATI CHE HANNO allietato il fine settimana delle destre ieri non spiegano il problema più evidente: perché l’occupazione aumenta dal Covid e i salari non tengono il passo? Per rispondere a questa domanda si dovrebbero compulsare i numeretti contenuti nell’indice delle retribuzioni contrattuali orarie del primo trimestre 2024. Si scoprirà che l’indice complessivo è cresciuto del 3% nell’ultimo anno, solo poco più dell’aumento dell’inflazione. Questo significa che si lavora collettivamente di più, ma si guadagna sempre di meno.

L’ANDAMENTO è indirettamente proporzionale. Un’idea sconosciuta per la politica in Italia. Dov’è Valditara quando serve per «istruire» i suoi colleghi? Tutto questo implica che la produttività del lavoro cala. E il rifiuto del governo Meloni di discutere seriamente del salario minimo orario non aiuta i lavoratori sempre più impoveriti. Ma aiuta moltissimo una parte influente del suo bacino elettorale: quelle imprese che hanno tutto l’interesse a conservare per l’eternità quella straordinaria «moderazione salariale» che è il marchio di fabbrica del capitalismo straccione italiano. Non tutto, ovviamente, è farina del sacco dell’esecutivo. Quello Meloni, come gli altri dal 1991, sono l’espressione organica di una politica di classe che ha imposto la più violenta repressione salariale nei paesi Ocse. Negli ultimi trent’anni i salari reali in Italia sono rimasti fermi con una crescita simbolica dell’1% a fronte del 32,5% registrato in media nell’area Ocse.

LA COSTOSISSIMA PIOGGIA di bonus e incentivialle imprese – e servono altri 10 miliardi nella legge di bilancio di quest’anno per dare 100 euro ai dipendenti poveri – serve a nascondere che i contratti nazionali in attesa di rinnovo a marzo 2024 erano 36. Circa 4,6 milioni di dipendenti, il 34,9% del totale, lavorano con salari inadeguati, devastati dall’inflazione. E dovrebbero avere il «posto» di cui ieri le destre gorgeggiavano. Nemmeno questo dato è possibile «vedere» se si legge solo il «commento» nel riquadro grigio del report sull’occupazione pubblicato ieri dall’Istituto di statistica.

NON VANNO TRASCURATE le analisi che, negli ultimi mesi, hanno cercato di capire le origini dell’aumento del lavoro povero in Italia, frutto di un’economia che cresce sempre di meno e destinata a restare così molto a lungo. Dall’analisi settoriale emerge il fatto che l’aumento occupazionale è dovuto in parte al recupero delle attività dei servizi, in particolare del turismo. Com’è noto, il turismo è un settore con basso valore aggiunto e alta precarietà e stagionalità. Proprio il settore che, tra Expo Giubilei Saloni, Airbnb dappertutto e altri intrattenimenti, riceve le attenzioni della politica, di destra e di sinistra. Questo è il simbolo di un’economia predatoria «made in Italy». I dati sull’occupazione sono uno dei suoi effetti

 

 

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Dalla Columbia a Sciences Po, dagli Stati uniti alla Francia la polizia occupa i campus e arresta gli studenti. I rettori chiudono gli atenei per paura del dissenso. Pur di zittire il sostegno alla Palestina si spostano online le lezioni e si svuotano le università

SOLIDARIETÀ A GAZA. Palestina argomento vietato in Francia, gli agenti antisommossa arrivano dopo poche ore

Parigi, Sciences Po rioccupa e la polizia risgombera subito Parigi, studenti portati via da Sciences Po Getty Images/Miguel Medina

Questa volta la polizia francese è arrivata alle 11 del mattino. Ma è finita peggio della volta precedente, la sera del 24 aprile: gli agenti del Crs – la polizia antisommossa – hanno sgomberato con la forza gli studenti pro-Palestina che dal giorno prima occupavano l’università Sciences Po a Parigi. L’altra sera erano entrati in 120, nella prestigiosa sede universitaria di Rue Saint-Guillaume. Ieri a mezzogiorno la questura di Parigi comunicava che 91 studenti erano stati stati evacuati a forza «senza incidenti», mentre la ministra dell’istruzione superiore Sylvie Retailleau chiedeva ai presidenti delle università di garantire il «mantenimento dell’ordine» utilizzando «la massima estensione dei poteri» a loro disposizione.

LA NUOVA OCCUPAZIONE degli studenti era iniziata in seguito all’incontro di giovedì 2 maggio tra l’amministrazione dell’ateneo e il corpo studentesco: la convocazione di questa assemblea era stata una delle richieste degli studenti durante i primi giorni di occupazione, accettata dall’amministrazione in quella che gli studenti avevano visto come una parziale vittoria e un segno di apertura al dialogo.

«Purtroppo l’assemblea è stata una farsa» racconta Pierre (nome di fantasia), uno studente di Sciences Po che da mesi partecipa alle mobilitazioni del Comitato di Solidarietà per la Palestina, «doveva essere l’occasione per l’amministrazione e la comunità di Sciences Po di discutere insieme sulle nostre richieste e sulla risposta di Sciences Po alla situazione in Palestina, invece la postura dell’amministrazione è stata quella di una totale indisponibilità ad ascoltarci o aprire ulteriormente un dialogo». Tra le principali richieste del Comitato di Solidarietà per la Palestina, un comitato investigativo sui partenariati tra Sciences Po e le università israeliane: una questione su cui il direttore ad interim Jean Bassères ha ribadito non ci sarebbe stata alcuna apertura.

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All’assemblea, gli studenti hanno inoltre presentato una lettera aperta firmata da

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LAVORO. L’edilizia sempre il settore più a rischio: «Basta appalti a cascata». Ma per Inail le cose migliorano: -2,6% denunce nel primo trimestre

Strage nei cantieri: tre morti in poche ore. Due nel Napoletano Croci a ricordo dei morti sul lavoro - Foto Ansa

La scia di sangue nei cantieri edili prosegue infrenabile, infischiandosene di primo maggio, feste dei lavoratori e dintorni. L’età media dei lavoratori che non torneranno a casa si alza sempre di più: per i tre di ieri sfiorava 60 anni, cifra con cui prima della Fornero si era in pensione.

Mentre l’Inail e il governo Meloni strombazzano una lunare «riduzione dei morti sul lavoro», le croci aumentano.

Ieri la media giornaliera di tre morti al giorno ha avuto epicentri strettissimo in Campania: poco più di quaranta chilometri nella provincia di Napoli.

A Lettere, pochi chilometri a nord est del capoluogo partenopeo, un operaio di 57 anni è precipitato dal terzo piano del ponteggio di un palazzo attorno al quale è in allestimento un cantiere edile. L’incidente è avvenuto in tarda mattinata, in via Depugliano.

L’altra vittima a Casalnuovo, a sud del capoluogo, è un operaio 60enne: è stato trasportato presso la clinica Villa dei fiori di Acerra, ma per lui non c’è stato nulla da fare.
La terza morte sul lavoro in un cantiere edile a Floridia, nel Siracusano: vittima un 59enne, operaio della ditta che si stava occupando dei lavori sul tetto della casa. Si è verificato un cedimento e l’uomo è caduto ed è stato poi stato travolto dal materiale.

È INVECE DEL PRIMO MAGGIO l’incidente che vicino ad Agrigento è costato la vita a un uomo di 64 anni, Mario Mondello, che è morto cadendo in un laghetto artificiale con il suo trattore che si è ribaltato.

«I DATI SONO SPIETATI: sono oltre 350 in tutto il Paese e 12 in Campania in questo primo scorcio del 2024 i lavoratori deceduti mentre erano impegnati nelle loro attività. Lo ripetiamo a gran voce, bisogna fermare questa mattanza – commenta segretario il generale Cgil Napoli e Campania Nicola Ricci – . Le due morti di queste ore in altrettanti cantieri della provincia di Napoli, confermano l’inadeguatezza delle normative in vigore e la necessità di fermare questo assurdo sistema degli appalti a cascata che deresponsabilizza le singole aziende e manda in tilt il lavoro degli ispettori nell’individuazione dei colpevoli della strage».

«FERMARE LE STRAGI sul lavoro non significa solo salvaguardare e proteggere la vita dei lavoratori, ma anche fermare l’illegalità, la criminalità che spesso si insinua nei sub appalti o in alcune realtà aziendali», precisa il segretario generale Uil Campania e Napoli Giovanni Sgambati, mentre secondo i sindacati degli edili Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil di Napoli «la competizione spuria, la mancata applicazione di norme contrattuali, la mancanza di formazione attentano alla vita delle persone».

IN TUTTO QUESTO IL REPORT «open data» Inail di ieri mattina sostiene il contrario. «Le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Istituto entro il terzo mese del 2024 sono state 145.130 (+0,4% rispetto a marzo 2023), 191 delle quali con esito mortale (-2,6%) rispetto alle 196 registrate nel primo trimestre 2023». In realtà la stessa Inail deve ammettere «un incremento dei casi avvenuti in occasione di lavoro, passati da 148 a 151, e un calo di quelli in itinere, da 48 a 40». La tipizzazione settoriale dell’Inail è criptica: «diminuzione in Agricoltura (da 20 a 18) e il Conto Stato (da 8 a 4), mentre l’Industria e servizi passa da 168 a 169 denunce mortali». Più interessante quella territoriale: «incrementi al Sud (da 31 a 41). «Diminuiscono le denunce dei lavoratori italiani (da 163 a 141), aumentano gli extracomunitari (da 26 a 39)».

Nonostante lo sforzo del manifesto e Maria Cecilia Guerra (Pd) per rendere pubblici i dati rispetto alla tipologia contrattuale e evidenziare il legame con la precarietà, l’Inail continua a non fornirli.

Irritante – anche per il lessico usato – il commento della Fondazione studi consulenti del lavoro (di cui è storica esponente la ministra Marina Calderone): «Morti bianche, nel 2023 i dati Inail evidenziano positivi segnali, indicando una contrazione dei casi mortali (da 1.090 a 1.041, con un decremento del 4,5%)». Per loro, dunque, le cose stanno migliorando

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