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EUROPEE. Il padre di Ilaria a Riace: «Sostenete la lotta di mia figlia anche dove non è candidata». La lista Pace, terra e dignità esclusa a nordovest. Santoro: «Regole antidemocratiche»

Mimmo Lucano: «Io e Salis, fuorilegge per giusta causa» Mimmo Lucano con Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni e Roberto Salis - Ansa

«Io e Ilaria Salis? Siamo due fuorilegge», ironizza (ma neanche tanto) Mimmo Lucano a proposito della sua candidatura da capolista al sud alle europee nelle liste di Alleanza Verdi Sinistra, lo stesso simbolo con il quale correrà l’antifascista detenuta in Ungheria nella circoscrizione nordovest. Ieri l’ex sindaco di Riace ha accolto nel centro storico del suo paese il padre di Ilaria, Roberto, assieme a Angelo Bonelli, co-portavoce nazionale di Europa Verde, e Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana. Con loro c’era anche Maria Pia Funaro, ex vicesindaco di Cosenza che ha da poco lasciato il Pd e che si presenta, anche lei al sud, con Avs. «Il sostegno a Ilaria è importante anche dove non è candidata – dice Roberto Salis a proposito della sua incursione calabra – Questa visita a Riace mi ha dato l’occasione di conoscere Mimmo Lucano. Un consenso sempre più ampio ad Avs è fondamentale per il raggiungimento del quorum. Ognuno, con il proprio fiammifero deve contribuire a mantenere accesa la luce di speranza per Ilaria. Quello che è accaduto a mia figlia non deve più accadere a nessuno». Già l’altro giorno, dal palco del concerto del Primo maggio «libero e pensante» di Taranto, Salis ha raccontato che con la candidatura Ilaria «vede un po’ di luce in fondo al tunnel». Il suo tour prosegue: il 9 maggio sarà in Sicilia per la commemorazione dell’omicidio di Peppino Impastato.

ANCHE BONELLI fa riferimento alla persecuzione giudiziaria contro Lucano, dissoltasi soltanto al secondo grado di giudizio. «Con questo voto abbiamo l’occasione di trasformare l’ingiustizia che ha vissuto Riace in una grande operazione di giustizia popolare – afferma il deputato verde – La sua candidatura è l’opposto della strategia del governo Meloni, che pensa ai lager che sono i Cpr, che vuole esternalizzare in Albania. Chi scappa dalla guerra e dalla miseria viene visto come un criminale. Secondo Bonelli, «la Calabria è la dimostrazione di come il governo si approcci al sud con un atteggiamento da colonizzatore. La vicenda del ponte sullo Stretto di Messina è frutto di questa logica». Quanto a Ilaria Salis, per Bonelli rappresenta «la battaglia per la democrazia contro la violazione sistematica dello stato di diritto in un paese come l’Ungheria, che sta in Ue. Può stare in Europa un paese che viola sistematicamente lo stato di diritto? Non c’è solo il caso di Ilaria. C’è il tema complessivo di un paese in cui la democrazia non esiste».

«IO HO FATTO il sindaco – aggiunge Lucano – ma sono rimasto un militante politico. Non c’è mai stato un prima e un dopo. E non ci sarà se dovessi essere eletto al parlamento europeo. Privilegerò sempre il rapporto con la base. Ho accettato questa candidatura con la consapevolezza delle difficoltà, dei limiti e delle tante preoccupazioni, ma sono forte dell’esperienza di 15 anni di sindaco trascorsi in prima linea». Fratoianni è ottimista: «Festeggeremo un grande risultato, eleggeremo più europarlamentari di quanti immaginiamo. Abbiamo costruito una forza in grado di spostare gli equilibri. E questa nostra vicenda collettiva non finirà l’8 e il 9 giugno».

IERI SI È APPRESO anche che la liste di Pace Terra e Dignità è stata rifiutata a nordovest. «Noi le firme le abbiamo raccolte ovunque e in abbondanza – commenta Michele Santoro – Ora ci troviamo di fronte a un percorso ad ostacoli fatto di timbri, contro timbri e pratiche burocratiche varie, frutto di una legge assurda. Intanto, le circoscrizioni sud e nordest hanno già ottenuto l’approvazione». Ma ci sarebbero problemi anche nelle isole. Il giornalista l’altro giorno già da Palermo, dove aveva annunciato l’obiettivo delle oltre centomila firme, aveva protestato per le regole, che assieme allo sbarramento del 4% su base nazionale «minano la partecipazione democratica».

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Da Los Angeles a New York la polizia irrompe nei campus mobilitati per la Palestina: sgomberi, manganelli e oltre 1.800 arresti. Biden lascia mano libera alla repressione: «Non siamo un paese senza legge»

STATI UNITI. Gli agenti stanno a guardare quando gruppi a favore dell’intervento militare di Israele a Gaza aggrediscono gli studenti nella notte

Scontri e repressione. La polizia sgombera gli studenti dell’Ucla Los Angeles, la polizia sgombera e arresta gli studenti mobilitati per la Palestina - Getty Images/Mario Tama

Sono finite con una massiccia operazione di polizia in stile militare le 24 ore di violenza e repressione che hanno segnato la fine dell’occupazione di Ucla. Poco prima dell’alba è scattata l’operazione di sgombero: centinai di agenti del Lapd, dello Sheriff’s department e della polizia stradale che avevano preso posizione sul campus si sono mossi contro gli studenti asserragliati nella tendopoli pro palestinese e altre centinaia di persone che avevano risposto all’appello lanciato dai manifestanti sui social per accorrere a dare man forte.

L’OPERAZIONE è cominciata con lanci di razzi di segnalazione che hanno illuminato a giorno lo spiazzo coperto di tende davanti a Royce Hall e le linee di agenti in assetto antisommossa sono avanzate contro i ragazzi lanciando granate di stordimento. Nelle colluttazioni vi sarebbero stati numerosi contusi. Alle prima luci dell’alba erano ancora visibili dozzine di studenti con le mani fascettate dietro la schiena, in procinto di essere caricati sui pullman che li avrebbero portati verso le carceri cittadine. I fermi si aggiungono ai quasi duemila arresti di studenti in lotta ormai effettuati in tutto il paese.

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Il liberalismo anti-sommossa, dagli Usa alla Ue

Nei campus l’intensità e la violenza del conflitto di Gaza sembra aver contagiato e definitivamente compenetrato il corpo politico del paese dove vivono più ebrei di quanti ve ne siano in Israele. Ucla in particolare è sembrata restituire un’allegoria di Gaza e dei territori quando, 24 ore prima dello sgombero, l’accampamento è stato oggetto di un violento attacco da parte di squadre filo israeliane che nella notte di mercoledì hanno assalito il campo con lancio di petardi e fuochi d’artificio contro i ragazzi e ondate di picchiatori che si sono lanciati contro le barriere cercando di sfondare il perimetro difeso dagli studenti. Numerosi studenti sono stati colpiti da

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ULTIMA CHIAMATA. Il movimento islamico chiede garanzie sulla proposta mediata dall’Egitto. I raid uccidono decine di palestinesi nel sud di Gaza

La distruzione dopo un raid aereo israeliano a Rafah foto Ap La distruzione dopo un raid aereo israeliano a Rafah - foto Ap

La vita di Ghaith Abu Raya è durata appena cinque giorni. Quella di Dhifallah Abu Taha solo un anno. I due bimbi sono morti domenica notte assieme ad altre 25 persone in un bombardamento aereo che si è abbattuto sui quartieri di Janeina, Shaboura e Salam di Rafah dove oltre un milione di persone vivono nella paura di una avanzata israeliana. Ieri sera la Protezione civile cercava i dispersi, inghiottiti dalle macerie delle case di due famiglie: Al Khatib e al Khawaja. Gli uccisi in questi ultimi raid su Rafah, riferiscono gli abitanti, sono almeno 30, tra di essi 12 donne e cinque bambini. A Nuseirat dalla polvere e dai detriti dell’abitazione della famiglia Othmani è emersa ferita ma per fortuna ancora viva Retaj, 10 anni. La bambina andrà ad aggiungersi alle migliaia di minori di Gaza che hanno perduto uno o entrambi i genitori.

A Gaza bombardamenti aerei e cannonate dell’artiglieria si sono fermati una sola volta lo scorso novembre, per sette giorni, durante l’unico cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Poi è stata solo una lunga striscia di sangue, che non ha risparmiato nessuno. Eppure, il mondo comincia a normalizzare la guerra. Pensa che morte e distruzione siano alle spalle. Non è così. E a Rafah l’offensiva israeliana è già cominciata, intermittente, dal cielo per ora, con morti e feriti quotidiani tra i civili palestinesi. Ma gli egiziani, ci spiegano, «negoziano per impedirla» convincendo Hamas a liberare gli ostaggi. Ieri si attendeva la risposta del movimento islamico alla proposta avanzata nei giorni scorsi dall’Egitto. Al Cairo è giunta anche una delegazione israeliana. Sul movimento islamico è in atto un pressing asfissiante affinché accetti quella che il Segretario di Stato Blinken ieri al World Economic Forum di Riyadh ha descritto come un accordo «estremamente generoso». A questo punto, ha detto Blinken – atteso oggi in Israele – «l’unica cosa che separa gli abitanti di Gaza da un cessate il fuoco è Hamas». Non pare proprio.

Circolano diverse indiscrezioni sulla bozza di accordo. Secondo una di queste, l’intesa in discussione prevede il

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Potenziali pericoli per gli occupati nel riciclo di pannelli solari e batterie al litio, ma ci sono anche vantaggi nelle imprese che investono in sostenibilità e sistemi certificati di gestione. Analisi e dati

720.086 foto e immagini di Sicurezza Sul Lavoro - Getty Images

La lotta al cambiamento climatico attraverso la promozione di efficienza energetica e fonti rinnovabili è anche una lotta per la salute dei lavoratori in ogni settore. Il messaggio arriva direttamente dall’Organizzazione mondiale del lavoro (Ilo, dall’acronimo inglese) che il 28 aprile, in occasione della Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, ha diffuso il report “Ensuring safety and health at work in a changing climate”.

Il binomio lavoro-energia va visto da due prospettive. In primis occorre considerare che a livello globale 1,6 miliardi di persone sono esposte all’inquinamento atmosferico svolgendo la propria occupazione ma ciò, secondo l’Ilo, viene mitigato dall’impegno delle aziende nell’avviare proprie strategie di sostenibilità.

La sola industria ha il potenziale per ridurre le sue emissioni di 7,3 miliardi di tonnellate l’anno, “adottando sistemi di riscaldamento e raffreddamento basati su energia passiva o rinnovabile, migliorando l’efficienza energetica e affrontando altre questioni urgenti, come le perdite di metano” (stando ai calcoli dell’Environment Program Onu-Unep citati nel rapporto).

Ciò passa anche attraverso una riduzione delle emissioni lungo la catena degli approvvigionamenti e la gestione circolare di scarti e rifiuti.

L’Organizzazione offre un’ulteriore lettura della tematica, spiegando che la transizione energetica per la lotta al cambiamento climatico o, più in generale, la transizione “green” determina nuove sfide in termini di sicurezza sul posto di lavoro.

“Le industrie e le tecnologie verdi stanno nascendo per rispondere a questa emergenza globale e potrebbero aiutare a mitigarla sul lungo termine”, scrive l’Organizzazione mondiale. “Tuttavia, in alcuni casi, le tecnologie verdi possono creare o amplificare rischi, soprattutto se non sono state ancora sviluppate infrastrutture e tutele adeguate” in materia.

Tra gli esempi riportati nel report, il potenziale pericolo per coloro che lavorano nel riciclaggio di pannelli solari e lampade fluorescenti, oppure nella produzione di batterie agli ioni di litio, in termini di eventuale esposizione a sostanze chimiche. I casi citati sono quelli di “uno stabilimento di batterie in Ungheria dove 300 lavoratori, a cui erano stati negati i dispositivi di protezione individuale, hanno scioperato nel giugno 2023 dopo episodi di vomito, diarrea ed eruzioni cutanee”.

Sistemi di gestione della sicurezza ed energia

La Giornata mondiale di ieri è stata un’occasione per approfondire la tematica anche in Italia. Inail e Accredia, ad esempio, hanno pubblicato lo studio “Efficacia delle certificazioni accreditate per i Sistemi di gestione per la salute e la sicurezza sul lavoro” (Sgsl).

In questo modo, è stato possibile confrontare un campione di 25.932 imprese certificate Uni En Iso 45001:2023 con uno speculare campione di aziende non certificate, facendo riferimento al periodo 2017-2021.

Guardando i dati, si scopre che nel comparto “energia elettrica, gas e combustibili” l’indice di frequenza degli infortuni (rapporto tra numero di episodi ogni 1.000 addetti) è di 13,4 per il gruppo dei “certificati” e 19,2 per i “non certificati”, con uno scarto percentuale peggiorativo nel secondo caso del 30%. L’indice di gravità d’infortunio è invece di 18,7 nel primo caso e 27,1 nel secondo.

In generale, considerando tutti i nove macro-ambiti occupazionali indagati dal report, si calcola che con un Sgsl accreditato si evita un infortunio su quattro, mentre quelli che effettivamente avvengono hanno comunque una gravità inferiore del 30%.

In autunno un position paper e un disegno di legge

Non esula certamente dal problema della sicurezza il settore delle costruzioni, che nel 2022 registra circa 40.000 infortuni sul lavoro denunciati, in aumento del 3,4% rispetto all’anno precedente. A rilevarlo è l’Associazione infrastrutture sostenibili, che ieri ha annunciato di stare predisponendo un position paper dedicato a “sostenibilità e sicurezza sul lavoro”, da pubblicare entro il prossimo autunno.

In quest’ambito sarà proposta “una policy condivisa di sicurezza partecipata”, che valorizzi le buone prassi di cantiere e rafforzi la cultura sul tema, e un’azione di sensibilizzazione per l’uso dell’innovazione tecnologica.

Sostenibilità, digitalizzazione e sicurezza sul lavoro sono interconnesse e complementari”, secondo il presidente Ais, Lorenzo Orsenigo. “La sicurezza sul lavoro non può essere considerata un semplice aspetto tra gli altri nel contesto della responsabilità sociale aziendale, ma deve essere prioritaria e un prerequisito fondamentale per lo sviluppo di qualsiasi politica aziendale. Occorre andare oltre il semplice concetto di sicurezza passiva, ovvero il contenimento degli effetti negativi degli incidenti, passando alla sicurezza attiva, tramite la digitalizzazione, l’implementazione delle tecnologie intelligenti e i sistemi di monitoraggio in tempo reale”.

Non solo il position paper Ais. Dopo l’estate 2024 si preannuncia un altro intervento. Ieri, infatti, il presidente del Cnel, Renato Brunetta, ha fatto sapere che il Consiglio è al lavoro per proporre un disegno di legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, che porti a un quadro normativo rinnovato e in grado di spingere verso un rapido miglioramento della situazione nazionale, riducendo il numero di infortuni.

Questo anche perché “un Paese che in un anno conta più di mille morti sul lavoro non può dirsi un civile. Tragedie come quella nel cantiere edile di Firenze o come quella nella centrale idroelettrica di Suviana, solo per citare gli ultimi due eventi di maggior rilievo e drammaticità, sono inaccettabili, intollerabili in una Repubblica fondata sul lavoro”.

 

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VATICANO. Bergoglio, per ribadire la condanna alla guerra, ha intonato alcuni versi di una canzone imparata dal nonno piemontese al fronte. Una satira contro il generale Luigi Cardona, responsabile di aver mandato a morire centinaia di migliaia di giovani soldati in guerra 

Papa Francesco antimilitarista: «Mio nonno mi ha fatto capire che la guerra è una cosa orribile» 

Non è una novità vedere papa Francesco in versione antimilitarista. Ieri mattina la scena si è ripetuta.

Durante un’innocua udienza in Vaticano a nonni e nipoti convocati a Roma dalla Fondazione “Età Grande”, il pontefice, per ribadire la condanna della guerra, ha intonato, senza cantarli, alcuni versi di una notissima canzone antimilitarista della prima guerra mondiale, imparata dal nonno piemontese che era stato chiamato al fronte: «Il general Cadorna scrisse alla regina: / se vuol guardar Trieste, la guardi in cartolina!».

«È bello! Lo cantavano i soldati», ha commentato Bergoglio, che si è fermato qui nella citazione.

La canzone però continua, in una corrosiva satira contro il generale Luigi Cadorna, responsabile di aver mandato a morire centinaia di migliaia di giovani soldati in una guerra che ben pochi di loro capivano e soprattutto volevano. «Il general Cadorna si mangia le bistecche / ai poveri soldati ci dà castagne secche». E il finale: «Il general Cadorna ‘l mangia ‘l beve ‘l dorma / e il povero soldato va in guerra e non ritorna».

«Questa bella canzone, che ancora ricordo, me l’ha insegnata mio nonno, che aveva vissuto il 1914 al Piave (in realtà il 1915 visto che l’Italia entra in guerra un anno dopo, n.d.r.), la prima guerra mondiale, e che con i suoi racconti mi ha fatto capire che la guerra è una cosa orribile, da non fare mai», ha raccontato ancora papa Francesco. Ci sarebbe da aggiungere che se il nonno del pontefice fosse stato sorpreso da qualche ufficiale a canticchiare questo stornello popolare al fronte sarebbe finito davanti a un tribunale militare, accusato di disfattismo o anche peggio.

La tragedia della prima guerra mondiale – «inutile strage», secondo la definizione di Benedetto XV – evidentemente è un punto di riferimento importante per Bergoglio per condannare anche le guerre di oggi. Esattamente dieci anni fa, in visita al sacrario militare di Redipuglia – voluto da Mussolini come grande operazione propagandistica di regime e inaugurato il 18 settembre 1938, lo stesso giorno in cui a Trieste venivano proclamate dal duce le leggi razziali – il papa pronunciò queste parole: «L’ombra di Caino ci ricopre oggi qui, in questo cimitero. Si vede qui. Si vede nella storia che va dal 1914 fino ai nostri giorni. E si vede anche nei nostri giorni. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione»

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Regolamento stracciato e esame lampo in commissione: il ddl Calderoli va in aula alla Camera

 La Camera dei deputati - foto Ansa

Il via libera da parte della commissione Affari costituzionali della Camera all’Autonomia differenziata offre l’occasione per una riflessione sullo stato delle nostre istituzioni. La cronaca fornisce infatti molti spunti.

Il sì al provvedimento, tecnicamente l’approvazione del mandato al relatore a riferire in aula, è arrivato ieri sera alle 18. La commissione ha esaminato e votato gli emendamenti a una legge che trasforma la forma del nostro Stato per tre soli giorni, mentre in prima lettura in Senato, la commissione Affari costituzionali ha lavorato sul merito delle proposte di modifica per tre mesi. Si va dunque consolidando persino sulle riforme istituzionali quel monocameralismo alternato che è diventato prassi consolidata per i decreti legge del governo Meloni. Questa prassi è del tutto incoerente con la precedente riforma, quella del taglio dei parlamentari, votata dal parlamento e confermata dal un referendum. Il taglio del numero dei parlamentari ha infatti confermato il bicameralismo perfetto, con l’unico effetto di indebolire la rappresentanza, e portare al superamento per prassi dello stesso bicameralismo perfetto.

Perché questa furia di votare – anzi non votare – gli emendamenti in commissione in soli tre giorni? La necessità dipendeva dal fatto che i patti tra Lega e Fdi imponevano di portare il ddl Calderoli in aula lunedì 29 aprile, così da sbloccare il giorno dopo, martedì 30, la calendarizzazione del premierato per l’aula del Senato. Ieri il ministro per i rapporti con il parlamento Luca Ciriani ha confermato che il via libera all’Autonomia consentiva il passo avanti anche per il premierato. Quindi un patto che non ci si perita più nemmeno di celare. È interessante quanto affermato in commissione dal presidente, il forzista Nazario Pagano. Alla ennesima richiesta della capogruppo del Pd, Chiara Braga, di prorogare l’esame in commissione del ddl così da farlo arrivare in aula qualche giorno dopo, Pagano ha replicato dicendo che «personalmente» era «disponibile, anzi favorevole», ma che assieme al presidente Lorenzo Fontana ha incontrato un muro da parte della Lega. Quindi in qualche modo Forza Italia è disposta a sacrificare le proprie istanze e persino gli assetti istituzionali pur di mantenere in piedi l’equilibrio della coalizione.

Tutta le opposizioni ieri pomeriggio non hanno partecipato al voto finale in commissione per protestare contro l’impossibilità di un approfondimento del merito della legge Calderoli. Ma anche per stigmatizzare quanto accaduto venerdì e mercoledì, con la ripetizione di una votazione il cui esito non era stato gradito dalla maggioranza. Simona Bonafè (Pd), preoccupata, ha parlato di «dittatura della maggioranza» che crea un precedente per i futuri lavori parlamentari. Anche il combattivo Pasqualino Penza, di M5S, ha paventato che analoghe prassi possano ora essere messe in campo con il premierato. D’altra parte c’è una “coerenza” con quanto avvenuto pochi giorni fa con il Documento di economia e finanza: il governo – come noto – vi ha inserito solo i tendenziali e non il programmatico, rifiutandosi quindi di dire al parlamento quali sono le proprie politiche economiche. È stato scritto che ciò è dipeso dalla volontà di celare una manovra correttiva prima delle europee, il che è vero. Ma da un punto di vista istituzionale ha significato il rifiuto del governo di far controllare le proprie politiche economiche dal parlamento, che infatti le approva con una risoluzione in aula. Se il buongiorno si vede dal mattino, ci si prepari al peggio

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