Sinistra. Con le dimissioni di Nicola Zingaretti, la campana suona per tutti noi, non soltanto per il PD
Per chi suona la campana? Con le dimissioni di Nicola Zingaretti, la campana suona per tutti noi, non soltanto per il Pd: noi, ossia quell’area di tre generazioni -dai traghettatori di Pci, Psi, Pri e Dc dalla Prima alla Seconda Repubblica alle “Sardine”- rimasta dentro o intorno alle sfrangiate filiere derivate dalla sinistra storica e dai movimenti cattolico-sociali. La decisione del leader del Pd è l’ennesimo, l’ultimo in ordine di tempo, indicatore dei nostri problemi di fondo, di senso politico, di funzione storica.
Guardiamo alle scomode verità: da tempo, i discendenti della sinistra storica e del cattolicesimo sociale, ovunque nell’Unione europea, o sono quasi estinti, come negli Stati dell’Est oppure rappresentano prevalentemente, non esclusivamente, i segmenti benestanti della società, le fasce alte delle classi medie, le ZTL, ossia i settori sempre più ristretti, capaci con maggiore o minore fatica di cogliere le opportunità presenti nei flussi globali e europei di capitali, servizi, merci e persone.
Per decidere che fare, si deve affrontare la domanda di fondo: chi vogliamo rappresentare? Il Pd, l’unico erede significativo delle tradizioni progressiste italiane, può andare avanti così. Convinto, nelle sue espressioni serie, da “Tina”: non c’è alternativa sul terreno economico e sociale. Certo, la sua rendita di posizione “europeista” viene ridimensionata dalla ri-emersione dell’anima liberista nella Lega. Ma, la bandiera dei diritti civili, in particolare per i migranti, e della retorica ambientalista può garantire al Pd la differenziazione sufficiente ad un 15% di consensi, così da consentire ai suoi abili dirigenti di continuare a risiedere nei Palazzi, in una maggioranza eternamente centrista.
Un atto fondativo è, invece, necessario se si intende riconquistare la rappresentanza delle vaste periferie economiche e sociali e esprimerla nell’alleanza Pd-M5S-LeU. Una coraggiosa e faticosa avventura culturale, prima che organizzativa, intorno alla questione lavoro, da rideclinare come condizione di dignità della persona e di fondamento della democrazia, l’articolo 1 della nostra Costituzione.
Un’avventura per insediare, di fronte all’insostenibilità sociale, ambientale e democratica del “libero mercato”, un paradigma alimentato da socialismo, keynesismo e dottrina sociale della Chiesa e promuovere davvero la transizione ecologica; per rideclinare il primato della Politica sull’economia e ricostruire la gerarchia costituzionale con lo Stato sopra le Regioni; per attingere, infine, alle forze sociali, civiche e culturali attrezzate per tale sfida, largamente attive fuori dai recinti dei soggetti politici in gioco. Qui, si opera per un sistema politico imperniato su due campi alternativi.
Attenzione: l’atto fondativo può essere proficuo soltanto se in esso si può re-inventare anche il mestiere specifico della sinistra. Non avrebbe senso ritrovarsi soltanto sulla base di un ecumenico richiamo a valori che possono essere anche della sinistra, ma non sono distintivi della sinistra, in quanto e meno male, sono praticati anche dalle forze liberali e dalle destre liberiste: le pari opportunità di genere, i diritti dei migranti, i diritti connessi all’identità sessuale, ossia il grande e decisivo capitolo dei diritti civili, ma astratti dai diritti sociali.
Nemmeno sarebbe fertile fondarsi in riferimento alla “lotta alle disuguaglianze” come dettata dal “Bruxelles Consensus” e indicato nel Pnrr: disuguaglianze di genere, di generazione e di territorio, astratte dalla loro dimensione sociale, di classe, segnata da drammatica svalutazione del lavoro. Non soltanto del lavoro subordinato tipico, ma del lavoro “autonomo”, professionale, micro-imprenditoriale privo di potere negoziale nell’offerta al mercato della propria attività, sfruttato dal capitale economico e finanziario, dalle imprese esportatrici e dalle figure apicali a loro servizio.
Per promuovere l’atto fondativo, LeU potrebbe dare buon esempio. Oltre a raccomandare la strada da seguire, potremmo cominciare a percorrerla. Potremmo dare consistenza politica e trama aggregativa alla promessa elettorale rimasta da tre anni a galleggiare in Parlamento. Le elezioni amministrative, innanzitutto a Roma, dovrebbero essere la prima occasione per accumulare credibilità: senza velleità di fare l’ennesimo partito, ma al contrario per incrociare le forze nel Pd e nel M5S orientate a costruire l’ “Alleanza per lo sviluppo sostenibile”.
Un pensiero sociale. Ogni processo di riorganizzazione si svolge sempre con una fase di scomposizione e poi di ricomposizione. Ben venga, quindi, il fermento che agita tutte le forze
Con il governo Draghi, una legislatura instabile – dominata da due soggetti partoriti dall’austerità e cresciuti col sovran-populismo – compie un altro passo verso la sua naturale conclusione. Lo fa con un governo di “quasi tutti”, con una guida “superiore” e con la doppia conversione all’Europa di M5S e Lega, insieme per cogestire una politica economica espansiva, finanziata e guidata dall’Europa.
Si riparte, perciò, con un quadro politico più pacificato e con un clima di tregua fino alle prossime elezioni. Lo schieramento di centro destra si presenta abbastanza stabilizzato. Una componente più radicale all’opposizione, in grado di cavalcare disagi e malessere saldando neopopulismo e vecchio nazionalismo; e la componente principale che cerca di coniugare moderatismo e leghismo occupando nel governo posizioni chiave per i ceti sociali che rappresenta.
Questo assetto convive anche con piccole formazioni più centriste, ribadendo la volontà di liste unitarie nelle elezioni locali e mantenendo una visione comune sui grandi temi nazionali. Con una così efficace divisione di ruoli tra chi ha incarichi ministeriali e chi si dedica a presidiare la piazza mediatica, tra chi sta al governo e chi sta fuori, può disporre di ampi margini di flessibilità per fronteggiare il corso degli eventi. L’elettore di centro destra ha davanti a sé un’offerta politica unitaria, ma articolata che ne rappresenta le diverse anime e poche ragioni per astenersi dal voto.
Altrettanto non può dirsi per lo schieramento di centro sinistra. Attestatosi, negli ultimi giorni di vita del governo Conte, a difesa di un fortino, assediato dalla pandemia ed attaccato da tutti i lati ed anche dall’interno, questo schieramento deve adesso elaborare il lutto della sconfitta e riorganizzarsi. Abbiamo davanti un anno di stabilità politica e, subito dopo, o elezioni anticipate o campagna elettorale per le elezioni di fine legislatura. C’è tempo, ma poco.
Come essere competitivi col centro destra? Quali interessi, bisogni, soggetti vogliamo rappresentare e rendere protagonisti di questo processo? Come rappresenteremo le vittime delle disuguaglianze e i nuovi disoccupati? Nel nostro campo il big bang è cominciato e si sta manifestando in un crescendo: voto contrario di Sinistra Italiana, uscite da Leu e primi vagiti di un’area verde, implosione del M5s, dimissioni di Zingaretti.
Ogni processo di riorganizzazione si svolge sempre con una fase di scomposizione e poi di ricomposizione. Ben venga, quindi, il fermento che agita tutte le forze. Ma è necessario che esso non resti dentro il palazzo della politica, che coinvolga la società, che crei uno spazio di pratiche comuni e solidali, dove si possano manifestare ed articolare le differenze. Servirebbe un progetto di lavoro comune, un Manifesto di valori che assuma la svolta ambientale come quadro di riferimento di tutte le scelte a tutti i livelli e che coniughi rivoluzione ambientale e rivoluzione digitale con una nuova giustizia sociale.
Servirebbe l’indicazione di poche tappe di breve-medio periodo che colleghino riconversione ambientale e creazione di lavoro e di reddito e che saldino in un disegno organico visioni diverse presenti tra Pd e M5s. Servirebbe la costruzione di un pensiero sociale che coniughi cittadinanza e beni pubblici, gestione e partecipazione, servizi pubblici e volontariato. Servirebbe che l’idea del gruppo interparlamentare M5S- Pd- Leu varcasse la soglia del Parlamento per diventare un momento di partecipazione popolare ad una grande discussione comune anche utilizzando le forme di comunicazione con le quali si sono in questi mesi sviluppati eventi importanti e partecipati come quelli promossi dal Forum Disuguaglianze e Differenze, il Congresso di Sinistra Italiana e diverse altre iniziative che riescono a coinvolgere, anche da remoto, tante persone.
Servirebbe anche, infine, che leader stimati ed unitari come Conte e Zingaretti si assumessero la responsabilità di impegnarsi in questo progetto. Da questo percorso di scomposizione-ricomposizione le forze politiche potranno uscirne confermate o cambiate, certamente rigenerate. Sarebbe opportuno, perciò, che ciò avvenisse anche perché quando i processi che hanno suscitato speranze vengono abbandonati al primo ostacolo, le delusioni generano solo sfiducia ed abbandoni che non possiamo proprio permetterci.
Capitalismo delle piattaforme digitali. Le clamorose richieste della procura di Milano: 733 milioni di multa alle piattaforme e 60 mila assunzioni da fare in 3 mesi. Parlano i ciclofattorini, tra i protagonisti delle lotte degli ultimi cinque anni: "Questo è il ruolo delle lotte. Una situazione che ricorda l'Ilva. Dove non sono arrivati tre governi, è arrivata la magistratura». I giuristi Martelloni e De Stefano: «Un risultato valido per tutti, intervenga il governo. Oggi dalle 17 l'assemblea nazionale online dei ciclofattorini
Le conclusioni dell’indagine sulle piattaforme digitali di consegna a domicilio condotta dalla procura di Milano sono un altro risultato dell’intelligenza e della determinazione dei rider che, negli ultimi cinque anni, hanno lottato per affermare i loro diritti sociali e il riconoscimento dello statuto di lavoratori dipendenti in Italia. «Finalmente stiamo ottenendo giustizia anche da parte della magistratura milanese – afferma Angelo Avelli dei ciclofattori autorganizzati Deliverance Milano – Questa è la dimostrazione del fatto che lottare in questi anni è servito e sta servendo a qualcosa. Sentiamo che, passo dopo passo, ci avviciniamo ai nostri obiettivi. Questo è un messaggio per tutti i precari: la lotta dei rider non è solo dei ciclofattorini delle piattaforme. È la lotta dei lavoratori contro lo sfruttamento. Questo sta accadendo davvero».
OGGI ALLE 17, a questo indirizzo https://forms.gle/3fbV1cSCTSeyyRgR7 e su facebook, ci sarà l’assemblea nazionale indetta dalla rete «RiderXidiritti»alla quale parteciperanno lavoratori da 27 città. L’incontro si preannuncia frequentatissimo e lancerà una nuova ondata di manifestazioni e scioperi da domani a fine marzo: «Questa notizia è una bomba, non ti nascondo l’emozione. E ora noi rider vogliamo dare l’affondo finale alle piattaforme e arrivare alla regolamentazione di questo mondo del lavoro digitale – sostiene Tommaso Falchi di Riders Union Bologna – Vogliamo sottolineare che in Italia è mancata la politica. Da quando abbiamo iniziato le lotte sono passati tre governi. Hanno detto tante belle parole, di fatto i risultati sono stati modesti, il settore non è ancora regolamentato. A me questa situazione ricorda l’Ilva. Dove non arriva la politica, arriva la magistratura. In ogni caso questa situazione è stata imposta dalle lotte. Ci sono costate anche denunce. Le abbiamo prese per affermare quello che, oggi, la magistratura sta affermando anche con le indagini e anche con le sentenze».
IL RUOLO GENERATIVO del nuovo diritto e, si spera, anche di reali tutele sociali effettive svolto dalle lotte dei rider è riconosciuto anche da alcuni dei giuristi del lavoro che in questi anni hanno studiato e spesso anche affiancato i ciclofattorini capaci di inventare nuove forme di auto-organizzazione espansiva nella società. «L’esito delle indagini della procura di Milano testimonia che, anche grazie ai rider, si è finalmente modificato in senso estensivo il campo di applicazione del diritto del lavoro – afferma Federico Martelloni, docente di diritto del lavoro all’università di Bologna e consigliere comunale di Coalizione civica per Bologna – Avevano ragione i rider a dire “Non per noi, ma per tutti”. Questi lavoratori sono una parte di un arcipelago immenso di lavori che potrebbero giovare delle modifiche normative in corso che possono essere applicate sia al loro lavoro mediato dalle piattaforme digitali, ma anche a tutte le attività di carattere personale inserite con continuità in un’organizzazione altrui. Per esempio, se non ci fosse il contratto collettivo, tutti i lavoratori dei call center o le commesse di Calzedonia, per citare i casi più conosciuti. La notizia di ieri è una bomba. Finalmente è caduto il velo sulla pretesa autonomia dei ciclofattorini. È un esito consonante con accertamenti compiuti dalle alti corti tanto in Francia quanto in Spagna richiamati dal tribunale di Palermo che, fino ad oggi, è stato il solo giudice italiano a riconoscere la natura subordinata del rapporto di un rider di Glovo».
«ORA IL GOVERNO deve nuovamente e immediatamente convocate le piattaforme e i sindacati rappresentativi perché si arrivi a una soluzione che garantisca effettivamente il rispetto delle norme e tutela dei lavoratori – sostiene Valerio De Stefano, docente di diritto di lavoro all’università di Lovanio e autore con Antonio Aloisi del libro Il tuo capo è un algoritmo – Quello che emerge dall’inchiesta è che l’autorità chiede alle aziende di riqualificare i lavoratori come etero-organizzati e quindi l’applicazione di tutta la normativa di tutela del lavoro subordinato a meno che un contratto collettivo firmato da organizzazioni sindacali realmente rappresentative autorizzi deroghe specifiche rispetto a questa legislazione. Tutto questo è in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione che ha già affermato che i rider possano essere considerati lavoratori dipendenti»
Parte la corsa del progetto Agnes che prevede l'installazione di due aree al largo della costa ravennate per la produzione di energia eolica, solare e di idrogeno verde
Innovazione, mitigazione dell'impatto ambientale e strategia energetica sostenibile sia dal punto di vista ambientale che finanziario. Sono questi i cardini del progetto "Agnes" presentato da Saipem e Qint’x che prevede la creazione di un distretto marino integrato nell'ambito delle energie rinnovabili al largo delle coste di Ravenna. Un progetto che unisce la produzione di energia elettrica partendo da varie fonti di energia naturale: sole, vento e idrogeno. Questo nuovo hub energetico del Mar Adriatico ambisce a far diventare Ravenna la "città della transizione energetica".
Si tratta di un progetto partito nel 2019 con la fondazione della società di scopo Agnes e che, secondo la roadmap stilata dagli ideatori del progetto dovrebbe partire con la costruzione e la messa in attività dell'impianto nel 2023, ovviamente contando sul successo e sulla velocità dei necessari iter burocratici. Un progetto che prevede: aerogeneratori di ultima generazione per sfruttare al massimo la ventosità al largo delle coste di Ravenna, una grande area dedicata al fotovoltaico e una "Hydrogen Valley", ovvero un distretto specializzato nella produzione di idrogeno verde. Un progetto che poi andrebbe a creare notevoli ricadute positive sul territorio. Infatti vi sarebbe, per gli esperti di Agnes, "un'opportunità di decarbonizzare i processi di produzione di molte aziende del Porto di Ravenna".
I numeri del progetto
I numeri del progetto Agnes indicano una capacità a regime di produrre circa 620 mw da energia eolica e solare, alla quale si accompagna una produzione di oltre 4000 tonnellate all'anno di idrogeno verde, una quantità capace di soddisfare il consumo di oltre 2000 bus a idrogeno. Un totale di 1.5 terawattora di elettricità prodotta annualmente da eolico e solare, sufficiente per il fabbisogno di più di 500 mila famiglie. Con tutto ciò Ravenna si candida a diventare hub di riferimento dell'intero progetto sia per la costruzione degli impianti sia come base organizzativa. Il progetto prevede "aree con minimo impatto visivo - come affermano i responsabili del progetto - a una distanza di almeno 10 miglia marittime". Una distanza dal Porto di Ravenna di circa 20 km che può consentire di creare un sistema di filiera corta.
L'impianto sarebbe distinto in 2 aree (denominate Romagna 1 e Romagna 2). Romagna 1 prevede la presenza di un parco eolico di 15 turbine e parco fotovoltaico che sfrutterebbe anche una piattaforma dismessa del comparto oil&gas. L'impianto si svilupperebbe partendo da una distanza di circa 10 miglia nautiche. Romagna 2 sorgerebbe un pochino più distante dalla costa a oltre 12 miglia nautiche e prevede l'installazione di un parco eolico composto da 50 aerogeneratori. A nord dell'area industriale elettrodotto interrato per arrivare alla stazione elettrica on-shore dove si procederà alla conversione energetica.
Sarebbe il primo progetto in cui idrogeno e fotovoltaico in mare saranno realizzati su scala commerciale. Ma oltre alla produzione di energia, i responsabili del progetto Agnes assicurano un particolare interesse alla creazione di un impianto a ridotto impatto paesaggistico, così da non ostacolare l'attrattività turistica di Ravenna.
Un passo verso il futuro per Ravenna
"Ravenna ha messo in mostra negli anni una grande capacità di far convivere attività diverse con la produzione energetica, come l'attività turistica e culturale - afferma Tomaso Tarozzi di Confindustria -. Ci sono numerose possibilità di guardare al futuro in nome della sostenibilità. Prima di essere autonomi con le nuove energie, sarà però ancora fondamentale l'apporto dell'energia fossile".
"Anche il nostro mar Adriatico può diventare un polo di produzione di energia rinnovabile - riferisce Lorenzo Frattini, presidente di Legambiente Emilia Romagna -. Se non si interviene sul fronte ambientale immediatamente si va incontro a un disastro, sia economico che sanitario". Il rappresentante dell'associazione ambientalista non nasconde però una certa perplessità verso le politiche locali: "Un no di base all'eolico non può esserci - sostiene Frattini - Speriamo che la politica locale investa sui progetti di risparmio energetico. Crediamo che la priorità ora sia una riconversione del settore offshore. Per le imprese di Ravenna sarebbe importante che Regione vada a Roma a chiedere i fondi necessari per una riconversione energetica verde".
"Il sostegno del Comune al progetto Agnes è un sostegno pieno, convinto e solidale con le imprese del nostro territorio. Naturalmente i progetti definitivi dovranno essere sottoposti a valutazione di impatto ambientale e andranno ovviamente valutati e rispettati al massimo tutti gli aspetti inerenti alla tutela del paesaggio o all’interferenza con turismo, pesca e traffici marittimi. Nel contempo però l’obiettivo delle istituzioni deve anche essere anche quello di concretizzare questi investimenti, senza demotivare gli investitori con iter burocratici eccessivamente severi - assicura il sindaco di Ravenna Michele De Pascale -. Per Ravenna questa è un'opportunità indiscutibile. Sarà anche un elemento di marketing per il nostro territorio, dandoci la possibilità di comunicare ai turisti che qui si produce energia sostenibile".
Ravenna 'città della transizione energetica': nasce un distretto marino al largo della costa „"Questa è una tappa fondamentale di un percorso iniziato circa 3 anni fa - dichiara Alberto Bernabini, Ceo e fondatore di Qint'x e Agnes - con lo studio di fattibilità di un progetto molto complesso, ma anche molto importante per il rilancio di Ravenna come capitale italiana dell’energia. Negli ultimi 60 anni infatti Ravenna è stata leader per l'energia da fonti fossili e oggi ha la possibilità di avviare un nuovo periodo di leadership nel settore delle energie rinnovabili, sfruttando sempre le risorse presenti nel mare davanti alle sue coste ma ora anche per combattere il cambiamento climatico".“
Il discorso. Il Recovery Plan secondo il presidente del Consiglio incaricato deve completare il lavoro precedente di Conte mantenendo però nelle sue mani la governance
I new entry nella maggioranza, la qualità e il modo della scelta delle ministre (poche) e dei ministri, quindi la composizione del nuovo esecutivo e il come ci si è arrivati, faceva capire che eravamo di fronte ad una sterzata a destra. Era giusto tuttavia attendere il discorso programmatico per un giudizio più ponderato. Quanto ha detto Draghi al Senato non ha certo attutito questa analisi. Il suo è stato un discorso privo persino di quel pathos che la drammaticità della situazione avrebbe sollecitato. Basta vedere l’aumentata pericolosità delle varianti del virus. Draghi si è richiamato allo spirito repubblicano. Ma ben altra forza morale, politica e programmatica avrebbe dovuto mettere in campo. Non basta dire che si è uniti da “l’amore per l’Italia”. Nessuno da quello scranno avrebbe potuto dire il contrario. Draghi ha sentito il bisogno di motivare la ragione per cui un così ampio arco di forze tra loro ben diverse lo sorreggono. Lo ha fatto con affermazioni palesemente contradditorie, segno di un certo imbarazzo. Prima ha lodato il senso di responsabilità delle forze politiche “alle quali è stata chiesta una rinuncia per il bene di tutti”, immediatamente dopo, per negare il fallimento della politica, ha sostenuto che “nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità”. Il confine invalicabile resta l’irreversibilità dell’euro e la prospettiva di una Ue capace di sostenere i paesi in recessione. Ma questo era già stato metabolizzato dalla Lega che ha preferito spostare la sua conflittualità sull’apertura delle piste da sci. Per il resto Draghi ha non solo riservato un omaggio formale a Conte, ma ha sussunto il lavoro del precedente governo sul Recovery Plan, che si tratterebbe solo di approfondire e completare. Del resto non molte ore prima dagli uffici del commissario Ue all’Economia, era giunta
Apriamo il dibattito. Vogliamo leggere e raccogliere la vostra voce sul manifesto, l’unico giornale in grado di esprimere la varietà e molteplicità di pensieri che oggi percorrono il mondo della sinistra
È un brutto governo. E vale la pena ripeterlo proprio alla vigilia del voto che dovrebbe assicurare una maggioranza ampia, in grado di tenere saldo il timone della “nave di salvataggio” fino al termine della legislatura.
È un governo brutto al punto da aver provocato divisioni laceranti (come nel Movimento 5 Stelle), spaccature profonde (tra Articolo 1 e Sinistra italiana, e anche dentro la stessa Sinistra italiana), e discussioni forti sulle modalità della partecipazione perfino tra i più convinti sostenitori del ministero Draghi, il Pd, la Lega, Forza Italia.
In tempi di lunga Pandemia, la nuova maggioranza parlamentare, che domani dovrebbe assicurare la fiducia al governissimo, nasce affetta da più virus, che renderanno il cammino amministrativo della cosa pubblica difficile, tortuoso, pieno di ostacoli per i partiti che ne fanno parte. Ma soprattutto il viaggio delle forze democratiche (dentro e fuori il governo) sarà davvero complicato.
Perché più di altre si pongono la domanda “dove stiamo andando?” – che non è conio di Corrado Guzzanti ma di Paul Gauguin – senza però trovare facilmente una risposta immediata, chiara, convincente. Non a caso nel popolo della sinistra (c’è ancora, nonostante gli sfottò dei commentatori da salotto tv e giornalistico), si stanno manifestando le più varie reazioni politiche, culturali, sociali, umorali, sentimentali.
Leggendo tra le migliaia e migliaia di reazioni che dilagano sui social, sembrano prevalere di gran lunga più le emozioni che i dissensi (e i consensi), politici tout-court. Vuol dire che a sinistra batte un cuore. E che adesso, dopo il ritmo sì faticoso ma tuttavia normale e persino rassicurante registrato durante il Conte 2 (con un inaspettato protagonismo delle organizzazioni democratiche approdate a palazzo Chigi dopo la caduta del Conte 1), perde colpi, ha continue extrasistoli e rischia di fibrillare di brutto.
Tuttavia curare una patologia cardiaca non è semplice, perché a volte i farmaci non bastano. Ma può essere di grande aiuto la parola. Da ascoltare, per cercare di capire le ragioni altrui (cosa che, purtroppo, avviene poco dalle nostre parti), e per dire la propria opinione. Per raccontare la rabbia, lo sconcerto. Per esprimere un sentimento o un dissenso. E può essere anche una parola liberatoria, sincera, trasparente, per spiegare perché è meglio baciare il rospo (in questo caso il drago) invece di restare alla finestra piangendo sul recente passato.
È insomma la vostra voce che vogliamo leggere e raccogliere sul manifesto, l’unico giornale in grado di esprimere la varietà e molteplicità di pensieri che oggi percorrono il mondo della sinistra, segnata da troppi e continui naufragi.
“Dove stiamo andando?” è d’altronde una domanda che riguarda tutti, perché l’emergenza che stiamo vivendo coinvolge l’intero popolo italiano, costretto ogni giorno a confrontarsi con un cambiamento radicale della propria esistenza, afflitto dalla perdita di tante, troppe vittime della malattia, piegato dall’incertezza, dalla paura. E anche noi, qui, su queste pagine, abbiamo l’obbligo di rispondere.
Forse il neonato governo – un passaggio inedito per tutte le forze politiche e per la storia del nostro paese in questo tragico contesto – determinerà un altro naufragio a sinistra. Oppure no, aiuterà a trovare una terapia in grado di consentire a un cuore malato di tornare a battere regolarmente. Ma il risultato, vogliamo crederlo con una buona dose di ottimismo della volontà, dipenderà soprattutto da noi.