Quirimane. Lo sappiamo, la sinistra politica non c’è, va ricostruita dalle fondamenta. Ma l’allargamento e il consolidamento dell’area democratica restano obiettivi ineludibili. Per il momento ci godiamo l’applauso e la standing ovation del Parlamento nei confronti di Sergio Mattarella, un lungo applauso liberatorio quando i numeri hanno raggiunto il quorum elettorale
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e il Presidente della Camera Roberto Fico, in occasione della comunicazione dell'esito della votazione per l'elezione del Presidente della Repubblica © LaPresse
Nella campagna quirinalizia che, nel gennaio del 2015, portò all’elezione di Sergio Mattarella, eravamo stati bombardati dalla retorica sulla necessità di eleggere un Capo dello Stato di levatura internazionale, di grandi relazioni nel mondo dell’economia e della finanza (era l’identikit in cui si poteva riconoscere Amato). Dopo sette lunghi anni, gli ultimi due segnati dalla tragedia della Pandemia e da 145mila morti, puntualmente, come un mantra, abbiamo assistito alla replica della medesima narrazione per spingere Mario Draghi sull’alto Colle. Ma poi le fitte schiere draghiane, di destra e di sinistra, a poche ore dall’accordo sulla rielezione di Mattarella, si sono dissolte nella fitta nebbia del politichese.
Al trasloco dell’ex presidente della Bce al Quirinale, noi non ci abbiamo mai creduto. E, nel nostro piccolo, abbiamo contrastato l’operazione per tante ragioni che non vale qui ripetere. Abbiamo invece espresso convintamente l’urgenza che fosse il tempo di eleggere una donna. Purtroppo abbiamo assistito al vecchio gioco della cooptazione maschile, e di bassa lega. In tutti i sensi. Perché la Lega, a nome di tutto il centrodestra, ha bruciato come un falò la presidente del senato (sembra con la sua attiva partecipazione), e perché anche le rose del centrosinistra sono appassite ancor prima di sbocciare.
Siamo stati, invece, l’unico giornale che ha chiesto il Mattarella-bis. Per la semplice ragione che, dopo la farsa della candidatura di Berlusconi, ci aspettavamo lo spettacolo a cui abbiamo puntualmente assistito in questa settimana. Con il succedersi di schede bianche e di astensioni, organizzate come ordini di scuderia per controllare il voto, estrema arma di difesa dai «franchi tiratori» da parte dei segretari di partito, nel timore che dalle schede dei grandi elettori potessero uscire nomi non previsti nello schema del grande gioco.
Tutti i capipartito sono apparsi in difficoltà nell’esercizio delle rispettive leadership, oltre che nella stessa considerazione dei propri parlamentari. Che infatti facevano salire, di giorno in giorno, a dispetto degli ordini di scuderia, il consenso verso Mattarella. Che i partiti, di cui il Parlamento è fedele specchio grazie a leggi elettorali che ne fanno un esercito di nominati, non godono di buona salute lo vedono tutti. E, come si dice, la farina si fa con il grano di cui disponi.
Ora abbiamo di fronte poco più di un anno di legislatura e bisognerebbe usarlo per dare battaglia su come spendere i finanziamenti europei, a vantaggio di chi ne ha bisogno per lavorare, per studiare, per curare le persone e il pianeta, per promuovere la pace, per una informazione autonoma e plurale, per tutelare la libertà e la sicurezza delle donne. Per rafforzare la nostra democrazia contro derive presidenzialiste che già tornano a galla nelle parole non solo della destra di Meloni, ma anche in quelle di Renzi.
Intanto un primo effetto del Mattarella-bis lo vediamo nell’esplosione della destra che non è riuscita a governare il gioco pur intestandosi il ruolo del banco che dà le carte. È vero che ogni elezione della massima carica istituzionale produce un rimescolamento delle carte per una nuova partita politica. Tra vincitori e vinti, tra destra e sinistra. Così avvenne nella prima elezione di Mattarella: fu una Caporetto per Berlusconi che insieme a Renzi, uniti nel patto del Nazareno, avevano scelto la carta di Giuliano Amato. Quel patto si ruppe per ragioni tutte interne al Pd.
Ma oggi è l’alleanza del centrodestra ad essere finita in pezzi. Si riprenderà, perché una larga parte del paese ne condivide idee e pulsioni, ma oggi subisce più di altri il Mattarella-bis. Perché senza la mediazione di Berlusconi, la coppia scoppiata di Salvini e Meloni è destinata a darsele di santa ragione, in una guerra all’ultimo voto.
Tuttavia se Sparta piange, Atene non ride. In questa settimana di fuoco, le idee del Pd (a parte Draghi for president) non sono pervenute, avendo preferito rifugiarsi in pallidi identikit. Leu, obbiettivamente, chi l’ha vista? I 5Stelle con Conte e Di Maio hanno recitato la commedia dei separati in casa e in questa organizzazione si intravede una difficile convivenza.
Lo sappiamo, la sinistra politica non c’è, va ricostruita dalle fondamenta. Ma l’allargamento e il consolidamento dell’area democratica restano obiettivi ineludibili. Per il momento ci godiamo l’applauso e la standing ovation del Parlamento nei confronti di Sergio Mattarella, un lungo applauso liberatorio quando i numeri hanno raggiunto il quorum elettorale.
Con poche parole, nello stile di massima sobrietà che lo contraddistingue, Mattarella ha parlato in diretta televisiva per pochi minuti, per ribadire l’impegno «a non sottrarsi» alla responsabilità a cui è di nuovo chiamato, per «corrispondere alle attese e alle speranze dei concittadini»: quasi le stesse frasi con cui accolse il precedente mandato.
Auguri al nuovo-vecchio presidente.