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La vicepresidente dell'Emilia-Romagna in diretta su Facebook: "Abbiamo bisogno di aria fresca. Io ci sono, ascoltiamo giovani, donne e lavoratori"

 

 

"Se fosse proprio questo il momento buono per immaginare una cosa inedita, diversa, un'operazione pirata? Mi sembra che il quadro politico schiacci le forze più fresche della società, come possono mobilitarsi oggi tutti i ragazzi che riempiono le piazze? La soluzione non è rientrare in un Pd in grande confusione, ma ricostruire l'intero campo su basi più coerenti. Diamoci un appuntamento, la politica oggi si ostina a dividere quello che sta già pensando insieme". Elly Schlein, vice presidente della Regione Emilia Romagna, ex eurodeputata eletta con il Pd e poi uscita dai dem, ha lanciato la proposta di una mobilitazione per rispondere all'attuale terremoto politico che scuote il centrosinistra. Per ricostruire il fronte ecologista e progressista.

"Sono giorni molto complicati, in cui siamo molto impegnati nella gestione del Covid, in particolare in Emilia le varianti si fanno sentire, abbiamo diverse province in zona rossa, la stanchezza della comunità pesa moltissimo, la sofferenza delle famiglie - ha detto Schlein in diretta Facebook - ma non mi è sfuggito quello che è successo a livello politico. Zingaretti si è dimesso e mi è dispiaciuto, perché ho sempre percepito come sincero il suo tentativo di aprire una fase nuova".

Ora però, dopo la nascita del governo di Mario Draghi appoggiato da una maggioranza larghissima, bisogna costruire un campo nuovo a sinistra. "La crisi del Pd ci riguarda da vicino, chiarisce il bivio di fronte a cui ci troviamo tutti - dice Schlein - facciamola questa riflessione, il Pd non può farla da solo. C'è una ragione per cui noi non siamo nel Pd, ma sono le ragioni su cui lavorare per ricucire. In tante e in tanti la pensiamo nello stesso modo, su come ricostruire il futuro, sulla transizione ecologica, sul contrasto alle diseguaglianze. Dobbiamo dare risposte a chi sta pagando maggiormente questa crisi, cioè le donne e i giovani, che hanno ereditato dalla fase precedente contratti precari".

Questa fase non è inedita per Schlein, che partecipò alla prima "occupazione" del Pd, nel 2013. "Qualcuno guardando alle Sardine ha ricordato quando abbiamo fatto Occupy Pd contro le larghe intese- ricorda Schlein - nel colpo di mano delle forze conservatrici ci sono elementi che ci riportano dritti dritti ai 101 franchi tiratori che affossarono Prodi, Bersani e l'alleanza del centrosinistra. Figuriamoci adesso che ci sono i fondi del Recovery Fund da utilizzare.  Fa bene chi chiede una discussione larga, altrimenti il dibattito così non lo capisce nessuno. Abbiamo anche il vento a favore di una nuova consapevolezza europea, abbiamo più argomenti di ieri non meno".

Forse bisogna cogliere questo momento di "turbolenza" per immaginare qualcosa di nuovo. "E se fosse proprio questo il momento buono per immaginare una cosa inedita, diversa, un'operazione pirata? - si chiede Schlein - Mi sembra che il quadro politico schiacci le forze più fresche della società. Non servono grandi contenitori pieni di contraddizioni se sono incapaci di dare una risposta chiara su questioni cruciali, ma altrettanto respingente è la frammentazione della sinistra e degli ecologisti. Non partiamo da un nuovo partito, ritessiamo il filo dell'ascolto con quello che si muove nella società, dove nasce un un grido di rivendicazione"

"La soluzione non è rientrare in un Pd in grande confusione - è il pensiero della politica -  Dobbiamo ricostruire l'intero campo nel suo insieme su basi più coerenti. Bisognerebbe avere l'ambizione più alta di un luogo dove darci appuntamento, per fare battaglie insieme. Avere il coraggio di pensare fuori dagli schemi, per una Rete che unisca chi condivide una visione del futuro che mette insieme giustizia sociale, una rete in cui ognuno mette in gioco la propria provenienza senza stracciarla. Se pensiamo a quale partito, in appoggio di quale governo o a chi lo guida, non riusciremo a parlare con i più giovani che si stanno già muovendo. La politica si ostina a dividere ciò che sta già pensando insieme. Abbiamo bisogno di aria fresca".

Ora bisogna cercare, secondo Schlein, "valori condivisi, proposte coraggiose, persone credibili".  L'orizzonte è la "ricostruzione dell'intero campo ecologista, femminista e in grado di interpretare le nuove sfide e dare risposte ai problemi". "Io ci sono - assicura Schlein - diamoci un appuntamento e lanciamolo insieme".

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Oltre Letta. Se nel Pd c’è la maledizione delle correnti e del potere, a sinistra c’è la maledizione della frammentazione e del minoritarismo del piccolo gruppo, dei pochi ma buoni, del benaltrismo senza fine. La campana suona per tutti

 

 

Enrico Letta è il nuovo segretario del Pd

 

Per un presidente del consiglio che raccoglie una supermaggioranza, con centrosinistra e centrodestra alleati di governo, e invita a mettere da parte le rispettive identità per il bene comune, ecco un neo-segretario del Pd chiamato a governare un partito balcanizzato dalle correnti alle quali chiede di mettersi una mano sulla coscienza per lavorare tutti insieme, anche in questo caso, per il bene del paese.

In un tandem politico, Draghi e Letta pedalano dunque nella stessa direzione, da due postazioni diverse: l’uno come capo azienda e l’altro come azionista di riferimento.

E, nel tandem, il Pd è, come Letta conferma, un partito governativo di centro, che è poi l’identikit del neosegretario, osannato domenica da tutti quelli che hanno costretto Zingaretti a farsi da parte.

Sicuramente il Partito democratico è bisognoso di una vigorosa ristrutturazione politica e di una rigenerazione morale che Letta ha tradotto con l’immagine di «anima e cacciavite». Ma pur ringiovanito, femminilizzato, rigenerato e ristrutturato, resta un partito né di destra, né di sinistra (nonostante gli sforzi di etichettarlo così, come abbiamo letto su alcuni giornali), concepito soprattutto per governare.

E prima farà pace con questa sua natura e prima si riconcilierà con il suo reale destino. La spinta ideale per una Piazza Grande di zingarettiana memoria è fallita ancor prima delle dimissioni dell’ex segretario.

Punto e a capo.

La sinistra, parola che nel suo lungo discorso all’assemblea del partito Letta non ha mai pronunciato (ha usato molte volte «radicale» che è multitasking), è un’altra cosa.

E a parte le molte buone intenzioni di ordine generale, non ha demolito nessun architrave delle politiche messe in atto negli ultimi anni: dal jobs act (imposto da Renzi con arroganza e violenza politica contro la Cgil) ai lager libici, alle riforme istituzionali. Enrico Berlinguer che pure è stato evocato dal nuovo inquilino del Nazareno, non c’entra nulla con un partito che ha espunto la parola sinistra dal suo stesso nome.

È chiaro come il sole che, in questo momento di scossoni politici e sociali, la sinistra dovrebbe ricostruire il suo campo.

Tuttavia il condizionale è più che mai d’obbligo visto lo stato in cui versano le varie sigle che vi si riferiscono. Perché in teoria si tratterebbe di coltivare una vasta prateria, grande quanto l’arcipelago sociale che in questi anni ha conosciuto il protagonismo di movimenti giovanili, ambientalisti femministi insieme a nuove soggettività cresciute nel lavoro intermittente, manuale e intellettuale.

Qui c’è la materia prima, sorgente e incandescente, per ritrovare un movimento cosmopolita capace di portare molta acqua al mulino diroccato della sinistra.

Tuttavia si tratta di essere consapevoli del fatto che costruire, qui e ora, una Rete con un coordinamento strutturato e nazionale delle varie esperienze dei territori, è una condizione necessaria. Perché ciascuna associazione, movimento o tendenza fa capo a se stessa e, negli ultimi anni, troppi ormai, non ha mai trovato la forza, il coraggio di darsi una forma, un’organizzazione, pagando così lo scotto di muoversi molto e ottenere molto poco.

Risultando, il nostro paese, come l’unico in Europa, a non avere una forte rappresentanza di sinistra.

Se nel Pd c’è la maledizione delle correnti e del potere, a sinistra c’è la maledizione della frammentazione e del minoritarismo del piccolo gruppo, dei pochi ma buoni, del benaltrismo senza fine. La campana suona per tutti.

Ben venga allora un Pd che esce dai centri storici per provare a tornare nelle periferie sociali, perché chi in queste terre abbandonate ci vive e ci lavora possa avere ascolto e sostegno. Ma siamo anche noi a doverci rigenerare e riorganizzare, nelle proposte e nelle persone.

Qualche giorno fa la giovane vicepresidente dell’Emilia Romagna, Elly Schlein sollecitava, proprio in questo momento di massima trasformazione determinata dalla pandemia e dai massicci finanziamenti europei, di osare un’operazione «pirata» di riunificazione del fronte della sinistra, contro le divisioni, e sollecitava una ripartenza non a cominciare dal Pd e da un partito in quanto tale, ma dalla Rete dei movimenti.

Condivido, la direzione mi sembra giusta. Per cui se c’è una talpa (o più di una) che scava in questi territori, è il momento che esca allo scoperto, per farsi vedere.

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Oggi ricorre il 34° anniversario della tragedia al cantiere Mecnavi di Ravenna, dove all'interno della nave Elisabetta Montanari trovarono la morte 13 operai.
Hanno perso la vita dentro la stiva di una nave in manutenzione, soffocati dai gas innescati dalla fiamma di un carpentiere a contatto con la melma oleosa che gli sventurati dovevano ripulire con stracci e raschietti.
Alcuni di loro erano giovanissimi e al primo giorno di lavoro, finiti nel tritacarne di appalti e subappalti. Secondo diverse testimonianze, subito dopo la tragedia, alcuni responsabili del cantiere contattarono i parenti di alcune vittime non per informarli dell'accaduto ma per ottenere il "libretto di lavoro", che serviva a regolarizzarli...lavoravano in nero.
Una tragedia di questa portata dovrebbe avere insegnato qualcosa, e invece nulla. Oltre mille decessi ogni anno per infortunio sul lavoro (spesso taciuti o messi in secondo piano dai media e dalla politica) sono troppi, per un paese che si definisce civile e all'avanguardia.
Mirco Mazzotti
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Una stiva che si trasforma in una bara. Accade la mattina del 13 marzo 1987 nel cantiere navale di Ravenna. Tredici operai, alcuni giovanissimi, restano soffocati all'interno della gasiera Elisabetta Montanari mentre erano impegnati in lavori di manutenzione e pulizia.
Le indagini riveleranno la disapplicazione delle più elementari misure di sicurezza, dalla disponibilità di estintori e presidi antincendio alla previsione di vie di fuga in caso di pericolo. Mostreranno anche la disorganizzazione del cantiere, di proprietà della Mecnavi Srl, il reclutamento di manodopera attraverso il caporalato, la presenza di lavoratori in nero.
Uomini e topi. Uomini trattati e morti come topi. Questa sarà la denuncia che rimbomberà durante i funerali e poi nei mesi e negli anni successivi. "Mai più" si dirà quel giorno. Eppure accadrà tante altre volte ancora.
Per approfondire: https://bit.ly/30Idu9e
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L'ex deputata di Leu: "Incalzeremo il governo sul tema della transizione ecologica e sposeremo la famiglia dei Verdi europei"

 

L'annuncio era arrivato nei giorni scorsi con un'intervista a Repubblica. Oggi la conferma. Rossella Muroni, ex presidente di Legambiente ed ex deputata di Leu, dopo aver lasciato Leu a fondato "Facciamo Eco-componenti Verdi", un nuovo gruppo ecologista alla Camera. "Leu non è mai diventato un partito - le parole di Muroni a Repubblica - È riuscito a eleggere 18 parlamentari, ma poi non è stato capace di fare il salto, non elaborando anche un proprio punto di vista sulla questione ecologica, che oggi è la questione per eccellenza".

La nuova componente di Montecitorio, invece, sarà "ecologista" e sono già due i deputati ad aver aderito a Facciamo Eco: Alessandro Fusacchia e Lorenzo Fioramonti. "Abbiamo votato tutti la fiducia al governo Draghi - spiega Muroni - ma serve ora uno scatto di responsabilità sui temi della transizione ecologica, e non solo, affinché questo non rimanga solo uno slogan".

La componente nasce proprio con un esecutivo dove è presente un ministero a forte vocazione ambientalista, quello della Transizione ecologica. "Incalzeremo il governo su questi temi", sottolinea l'ex deputata di Leu, annunciando poi che Facciamo Eco "sposerà la famiglia dei verdi europei, ci sembra la più adeguata e utile per portare avanti il nostro lavoro".

Il gruppo ecologista, ha annunciato Muroni, "si batterà per le nuove generazioni perché a loro stiamo sottraendo risorse in campo naturale ed economico. Questo - ha concluso - è un Paese con tantissime possibilità e mille problemi, siamo stufi di vederlo piegato su se stesso e senza la capacità di vedere i talenti che ha da offrire".

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Proprietà intellettuale. Blocco dei paesi ricchi e del Brasile, non passa la richiesta di Sudafrica e India sostenuta anche dal presidente dell’Oms. Ieri una giornata di mobilitazione

Laboratorio dell’Imperial College di Londra

A un anno dalla dichiarazione dello «stato di pandemia» da parte dell’Oms (organizzazione mondiale della sanità), in occasione della riunione della 12esima conferenza ministeriale del Wto (organizzazione mondiale del commercio), ieri è stata una giornata di mobilitazione nel mondo per chiedere l’universalità dei brevetti sui vaccini, la sospensione della proprietà intellettuale per poter produrre dappertutto e nel numero di dosi necessarie.

Ma al Wto persiste il no di un gruppo di paesi – i più industrializzati, Usa, Ue, Gran Bretagna, Svizzera, Giappone, Australia, Canada, Norvegia, ma anche Brasile – che bloccano questo processo, chiesto ufficialmente il 2 ottobre 2020 da India e Sudafrica, a cui hanno aderito ormai un centinaio di altri stati. C’è una grande ipocrisia sul fronte dei brevetti: un anno fa, la Ue aveva definito i vaccini «bene pubblico mondiale», ma poi la Commissione si è guardata bene dall’agire di conseguenza. Anzi, i contratti con le case farmaceutiche firmati da Bruxelles restano opachi.

IL PARLAMENTO EUROPEO ieri ha discusso un emendamento al rapporto sul Semestre europeo dove si chiede di superare gli ostacoli posti dai brevetti e dai diritti di proprietà intellettuale. Il voto a favore è stato molto prudente (291 per, ma 195 contro e 204 astenuti). La richiesta di sospensione dei brevetti è stata avanzata dal presidente dell’Oms, Adhanom Ghebreyesus, che si è chiesto: «Se non ora, quando?». La nuova presidente della Wto, Ngozi Okonjo-Iweala sostiene che l’Organizzazione mondiale del commercio deve favorire l’accesso dei paesi poveri ai vaccini.

«I VACCINI CI SONO, sappiamo produrli, ma non sono ancora accessibili a tutti», scrivono ong, medici e sindacati in Francia, nell’Appello di Parigi diffuso ieri, dove chiedono di «liberare» la produzione contro la difesa accanita dei brevetti da parte delle grandi multinazionali della farmaceutica. Contro l’«iniquità» dell’accesso ai vaccini, l’Appello di Parigi insiste sulla sospensione temporanea degli accordi sul diritto di proprietà intellettuale al Wto e chiede la requisizione dei mezzi di produzione nei singoli paesi. «Anche dopo un anno di pandemia e 2,5 milioni di morti, vediamo ancora alcuni governi negare che togliere i monopoli sui medicinali per il Covid-19 aiuterebbe ad aumentare l’accesso delle popolazione alle cure necessarie, ai vaccini e ai test», afferma Christos Christou, presidente di Msf Internatonal.

Oxfam denuncia i «vaccini a due velocità», con i paesi ricchi che, malgrado la penuria della Ue, vaccinano una persona al secondo mentre una settantina di paesi nel mondo non hanno ancora cominciato la campagna. L’obiettivo dell’Oms di iniziare a vaccinare in tutti i paesi entro i primi 100 giorni del 2021 non sarà raggiunto. La richiesta di rendere il vaccino una «risorsa pubblica mondiale» si basa sul fatto che il virus è stato identificato dalla ricerca pubblica e che i laboratori farmaceutici hanno goduto di forti finanziamenti pubblici.

IL WTO POTREBBE sospendere temporaneamente i diritti sulla proprietà intellettuale, ma la procedura può durare anni e, comunque, prevede il versamento di indennizzi alle multinazionali che si sentono lese. Gli stati hanno l’arma della licenza d’ufficio, una forma temporanea di sospensione dei brevetti. Per i paesi in via di sviluppo esiste al Wto un sistema di deroghe sul rispetto dei brevetti, in vigore fino al 2033.

Nel 2003 era stato concluso un accordo temporaneo, poi confermato nel 2005, che introduceva l’esenzione del diritto di proprietà intellettuale per i paesi in via di sviluppo allora colpiti da gravi malattie infettive: malaria, tubercolosi e Aids. L’accordo stipulava che questi avrebbero potuto importare medicinali generici se non potevano produrli in proprio. Negli anni ’90, quando il contagio in Africa aveva raggiunto punte altissime, era stato il terrore della diffusione dell’Aids nei paesi ricchi a smuovere le acque, per una questione di sicurezza. Allora, era stato il social forum di Seattle a muoversi e a fare pressioni per arrivare alla sospensione dei brevetti. Ma i tempi sono stati lunghi. Oggi, il movimento No profit on pandemic ha l’obiettivo di raccogliere un milione di firme per smuovere i dirigenti politici.

LA UE METTE AVANTI il meccanismo Covax a favore dei paesi poveri, a cui aderiscono ora anche gli Usa di Biden: dovrebbero essere consegnate nel tempo 500 milioni di dosi del vaccino Janssen, che ieri ha ottenuto l’autorizzazione dell’Ema. Finora, grazie a Covax sono arrivate dosi dei primi vaccini approvati a Ghana, Costa d’Avorio, Angola, Repubblica democratica del Congo, Gambia, Kenya, Lesotho, Nigeria, Ruanda, Senegal e Sudan. La promessa è di consegnare entro fine maggio 237 milioni di dosi in 142 paesi, anche con l’obiettivo di contrastare la diplomazia vaccinale messa in atto dalla Cina e dalla Russia.

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Sinistra. Il partito è un organismo vivente. Se vengono meno il senso di appartenenza, valori e ideali condivisi, dirigenti riconosciuti, si riduce a poco più di un guscio vuoto

Le dimissioni di Zingaretti non riguardano solo il Pd, ma quanti a sinistra lavorano per un campo largo, democratico e progressista. I tempi sono stretti. C’è stata la rottura del fragile equilibrio su cui si reggeva l’alleanza di tra Pd, 5S, Leu e Italia viva. E le espressioni del potere economico- finanziario hanno segnato un punto a loro favore. In questa cornice è esplosa la crisi del Pd.

È una crisi che viene da lontano, dalle contraddizioni che si porta dietro dalla sua fondazione nel 2007. La cosiddetta «fusione a freddo» tra gli eredi della tradizione comunista e cattolico-democratica della Dc non si è mai trasformata in una vera convergenza politica. Alla perdita di insediamento sociale e radicamento territoriale ha corrisposto il lungo corollario di sconfitte e battute d’arresto.

Aver tagliato i ponti con un passato grande e ingombrante, come se questo bastasse a definire una nuova soggettività politica, è stato un imperdonabile errore. Il partito è un organismo vivente. Se vengono meno il senso di appartenenza, valori e ideali condivisi, dirigenti riconosciuti, si riduce a poco più di un guscio vuoto. Così, molti di quelli che si erano crogiolati nella temperie delle lotte operaie e del sessantotto hanno cavalcato l’onda impetuosa del liberalismo economico e culturale e dei processi di globalizzazione, approdando felicemente sulla sponda liberal-democratica.

Oggi il Pd è un «partito-istituzione». Al rapporto democratico tra militanti e dirigenti si sono sostituiti legami amicali, fiduciari o, peggio, clientelari. I dirigenti di partito si identificano tout-court con i sindaci, i presidenti di regione, i parlamentari, i ministri e via scendendo per i rami. Il Pd si configura come un insieme di correnti, tenute insieme da piccoli e grandi interessi. Valori e idee, principi etici sono considerati inutili orpelli. I programmi e le riforme rimangono sullo sfondo della gestione quotidiana dell’esistente.

La crisi del Pd ci parla dunque dell’urgenza di avviare un processo di rigenerazione della sinistra, con forme, modi e tempi adeguati alla gravità della crisi. La terribile esperienza della pandemia ha messo in evidenza i limiti di un sistema che mette al centro l’interesse privato lasciando allo stato sociale una funzione residuale. Per gli apologeti del capitalismo è ineluttabile che ciò avvenga. La «cupidigia» è il motore che spinge l’economia, sostiene Milton Friedman. La diseguaglianza, la disumanità, il saccheggio della natura e dell’ambiente sono effetti collaterali della crescita economica. Se, però, questo non è il migliore dei mondi possibili, per imporre un punto di vista diverso serve una sinistra forte e uno schieramento democratico e progressista inclusivo.

Si potrebbe partire dalla riforma dello stato sociale per impostare una strategia che colga due obiettivi fondamentali: l’unità del mondo del lavoro e l’uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale, non solo in campo sanitario, ma anche nell’istruzione, nell’assistenza domiciliare agli anziani, nella dotazione di asili nido.

La protezione di tutti i lavoratori, a prescindere che siano dipendenti, autonomi, precari, richiede il superamento di divisioni e contrapposizioni. Non lasciare indietro nessuno e garantire a tutti le stesse prestazioni sociali significa parlare un linguaggio comune, riconoscere il valore della solidarietà, accordarsi su un nuovo patto, ritrovare le ragioni del dovere di pagare le tasse, non considerandole una forma di estorsione o di oppressione.

Il trattamento sanitario, le cure, l’istruzione, i servizi sociali non possono essere più o meno efficienti o, addirittura negati in base al luogo di nascita o di residenza. Lo spettacolo di alcuni presidenti di regione in questi mesi durante la pandemia è stato assai eloquente. Ma non serve indignarsi. Bisogna rispedire al mittente il progetto di «autonomia differenziata», riformare lo stato sociale e far valere i diritti costituzionali, cambiando ciò che va cambiato. Non sarà una scampagnata.

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