LA TRATTATIVA NELLA MAGGIORANZA. Ha pesato che il leader grillino non abbia voluto fornire nuovi alibi agli scissionisti
Vincenzo Amendola - Lapresse
Un aggettivo, una paroletta: «ampio». Questo è disposto a concedere Draghi a Conte e a LeU. Nulla di più. Dopo un’estenuante vertice di maggioranza che prosegue da 11 ore la formula che il governo propone è una risoluzione che, sul punto chiave impegna l’esecutivo a garantire «il necessario e ampio coinvolgimento delle camere». Però «con le modalità previste dal dl 14/2002»: è il testo approvato alla fine del febbraio scorso che permette al governo di decidere l’invio delle armi all’Ucraina senza passare per il Parlamento e che impone di «riferire» sullo stato delle cose ogni tre mesi.
Per Conte è una resa quasi senza condizioni. Poche ore prima la capogruppo Castellone aveva rifiutato lo stesso testo, solo senza quel magico aggettivo, Conte aveva riunito il Consiglio nazionale, l’ipotesi di una mozione votata per parti separate circolava vorticosamente, l’eventualità di una spaccatura dietro l’angolo.
Ma i 5S si trovano di fronte a una sorta di ricatto che li obbliga a una scelta che l’«avvocato del popolo» non osa fare. Senza la firma in calce al testo che lascia mano libera al governo, la maggioranza presenterà la scarna risoluzione proposta da Pier Casini: «Udite le comunicazioni del presidente del Consiglio il Senato approva». Firmare sarebbe una resa del tutto incondizionata. Negare la firma renderebbe inevitabile per 5S e LeU passare all’appoggio esterno o addirittura all’opposizione. Probabilmente Conte non se la sarebbe sentita comunque: Dario Stefàno, autore del testo sul quale si è chiusa la mediazione, era convinto sin dall’inizio che i 5S non avessero alcuna intenzione di rompere e così il sottosegretario Amendola, che ha gestito la trattativa.
Ma anche ove qualche tentazione ci fosse stata la mossa di Di Maio la avrebbe spazzata via. Troppa la paura di fornire un alibi allo scissionista e di
invogliare le truppe a seguirlo nella nuova avventura. Così, dopo una nuova giornata di passione, quando l’ora entro la quale non si possono più presentare risoluzioni è vicina, il capogruppo 5S in commissione Affari europei Lorefice si piega e appone la sospirata firma.
Sarebbe però un errore pensare a una classica divaricazione interna alla maggioranza, con i 5S e LeU da una parte, Pd, Fi e Iv dall’altra e la Lega, eternamente priva di bussola, in mezzo. La maggioranza aveva raggiunto l’accordo sul testo già in diverse occasioni: si spiegano così i continui annunci di conclusione imminente, di accordo fatto al 99%,puntualmente smentiti per una decina e passa di ore. A respingere le formule condivise dalla maggioranza è stato puntualmente il governo, deciso a non deviare di un millimetro dalle modalità fatte passare in fretta e furia a fine febbraio, quando la guerra era iniziata da pochi giorni.
Amendola smentisce categoricamente di aver mai pronunciato la frase attribuitagli anche da questo giornale ieri sulla necessità di impedire il commissariamento del governo da parte del Parlamento: «È una frase in contrasto con tutta la mia impostazione». Il sottosegretario peraltro si è adoperato per trovare il punto d’incontro non tra le anime della maggioranza, o non soltanto, ma soprattutto tra la maggioranza e il governo. Ma l’evitare ogni «tutela parlamentare», in concreto il ridurre al minimo indispensabile il ruolo del Parlamento e comunque negando ogni potere decisionale è stato invece davvero l’obiettivo del governo, la stella polare.
Al Senato non mancano quelli convinti che la rigidità di Draghi nascondesse un secondo fine, mirasse cioè a spingere Conte e l’ala sinistra fuori dalla maggioranza, a maggior ragione con lo strappo di Di Maio imminente. È improbabile che le cose siano andate davvero così. Più semplicemente questo è sempre il modus operandi di Draghi e a ragion molto maggiore in una fase difficile come questa, con una guerra in corso, un rapporto con gli Usa particolarmente delicato e la necessità di trattare con gli altri Paesi europei patendo da una posizione di forza, cioè senza guai e divisioni in casa. La vittoria di ieri consegna al premier un potere e una forza ancora maggiori di prima ma lo espone anche a rischi. Perché comunque la risoluzione, con la sua insistenza sulla de-escalation, crea aspettative destinate a essere deluse e perché l’umiliazione di una forza politicamente essenziale della maggioranza non è destinata a facilitare le cose.