L'incontro. A Roma i giovani amministratori progressisti lanciano una rete. Emily Clancy: «Sogno una coalizione civica nazionale per le politiche»
«Il mio sogno è una coalizione civica nazionale, che federi la sinistra a partire dalle esperienze dei territori, e che non sia l’ennesimo cartello elettorale messo in piedi alla vigilia del voto». Emily Clancy, vicesindaca di Bologna, è stata ieri una delle protagoniste di «Pragmatica», la reunion romana dei giovani amministratori di sinistra che hanno avuto buoni risultati alle ultime comunali.
Prima di risalire sul treno Clancy ragiona col manifesto sulle possibili prospettive future di questo embrione: «Questa federazione dovrebbe nascere dal basso, dalle esperienze nelle città, e poi coinvolgere anche i partiti. Finora invece ci sono sempre stati accordi tra gruppi parlamentari, calati dall’alto. E non hanno funzionato: dobbiamo sovvertire quest’ordine».
LA SUA COALIZIONE CIVICA a Bologna ha preso a ottobre il 7,3% e 4 consiglieri comunali: il risultato migliore tra i gruppi che si sono confrontati ieri a Roma, cui tutti guardano come esempio. Clancy però è prudente: «Siamo solo a uno stadio primordiale della discussione, giustamente è stato un primo scambio di idee sull’esito delle elezioni, non c’è ancora una piattaforma».
E tuttavia ieri il tema di come superare la frammentazione, la miriade di liste civiche di sinistra senza un quadro nazionale, è stato al centro della discussione. «Manca un soggetto nazionale che riunisca le tante casematte», ha detto il neo consigliere comunale di Roma Alessandro Luparelli. «Il grande assente è un soggetto che stia dentro il campo progressista ma in grado di competere con il Pd».
E Anita Pirovano, presidente di municipio a Milano, aggiunge: «Mi manca l’ambizione di un percorso politico più generale, una soggettività, un contenitore. Non dico un partito con le tessere, ma dobbiamo avere questa tensione. Perché gli enti locali non fanno le leggi e noi dobbiamo affrontare anche temi più generali, fare un salto».
ANCHE AMEDEO CIACCHERI, presidente dell’VIII municipio di Roma e organizzatore dell’incontro con «Liberare Roma», pone il tema della debolezza dei partiti. «Paradossalmente se storie irregolari come le nostre sono venute in primo piano è stato anche per la fragilità dei partiti. Ma bisogna porsi il tema di come connettere le battaglie fuori con quelle dentro il palazzo». Clancy rincara: «Sono stanca di vedere la destra che alle elezioni si fa sempre trovare pronta, mentre noi non ci mettiamo d’accordo neppure su un simbolo comune tra le varie città».
PER ORA LA RICETTA COMUNE, oltre ai temi che vanno dal clima ai diritti sociali e civili, dall’abitare alla mobilità green, è la «credibilità delle persone». «Le urne hanno premiato persone credibili che vengono dalla militanza», dice la consigliera torinese Alice Ravinale.
Il bolognese Detjon Begaj ricorda gli interventi nelle case popolari durante il lockdown per portare strumenti elettronici ai bambini per seguire la scuola in Dad. «La crisi della rappresentanza tradizionale ha premiato percorsi come i nostri». E suggerisce: «Su ddl Zan e salario minimo siamo stati troppo timidi. Non dobbiamo fare le pulci ai provvedimenti, ma provare ad andare fino in fondo». Alessio Pascucci, sindaco di Cerveteri, ricorda precedenti esperienze di federazioni: «Quando era il momento di decidere tutti dicevano “condividiamo ideali e programmi”. Poi però emergevano rivalità e scontri del passato a complicare tutto».
La discussione per quasi due ore viaggia tra le lotte nelle città, le esperienze nelle istituzioni e le croniche difficoltà della sinistra a fare sintesi. Torna a più riprese l’idea di essere «orfani dell’appartenenza», e il ricordo della stagione del 2011, con i sindaci arancioni e il vittorioso referendum sull’acqua. Ci sono anche critiche al Pd: «A Torino c’è la tentazione di tornare al sistema di prima cancellando la stagione dei 5 stelle», dice Ravinale. «La nostra battaglia in maggioranza è sulle sfide climatiche, e su questo il sindaco Lo Russo sta accelerando».
ORA C’È L’OCCASIONE per ripartire. Eleonora De Majo, ex assessora alla Cultura nella giunta De Magistris, propone un secondo appuntamento a Napoli. «Così come avviene in altre città d’Europa, penso sia possibile tornare a parlare di una stagione municipalista anche in Italia», dice Ciaccheri. «Molto utile la volontà di costruire una piattaforma civica ed ecologista che valorizza il protagonismo di una nuova generazione di amministratori», gli fa eco Paolo Cento, già parlamentare, oggi esponente di Liberare Roma.
Commenta (0 Commenti)Legge di bilancio. Fisco e pensioni. Cgil Cisl e Uil ieri hanno protestato in nove città contro la «legge di bilancio inadeguata» presentata dal governo Draghi. Il ministro dell’economia Daniele Franco li ha convocati al ministero domani sera. A Bologna vietata la protesta del 1 dicembre in centro. Cgil: «Gravissimo»
Il comizio del segretario Cgil Maurizio Landini ieri a piazza SS. Apostoli a Roma alla manifestazione Cgil, Cisl, Uil Lazio © LaPresse
Il ministro dell’economia Daniele Franco ha convocato domani alle 19 Cgil, Cisl e Uil al ministero in Viale XX settembre a Roma. La convocazione ha tutta l’aria di un’informativa su decisioni già prese, ma si vedrà se ci sarà spazio anche per quello che chiedono i i confederali: negoziare sulle proposte sul fisco, sulla riforma della Fornero e sulla »cancellazione delle forme contrattuali precarie assurde» così ieri le ha definite Maurizio Landini (Cgil) dal palco di piazza SS. Apostoli a Roma dove si è svolta una delle nove manifestazioni contro una «manovra economica inadeguata», la prima presentata dal governo Draghi. «Il governo si era impegnato a riconvocarci. Io non so cosa sia successo, ma ad oggi i tavoli» sul fisco e sulle pensioni «ancora non li abbiamo. Il consiglio è che se pensa di convocarci per informarci di quello che hanno deciso è meglio che non ci convochi. Non siamo ascoltatori, non siamo spettatori» ha aggiunto Landini.
Leggi tutto: Manovra: il governo convoca i sindacati. Landini: «Non siamo spettatori»
Commenta (0 Commenti)Intervista. Il presidente dell'VIII municipio di Roma: «Serve un riferimento nazionale per superare la frammentazione. Su Salario minimo e cannabis fare come in Germania»
Un mese dopo i ballottaggi delle comunali i protagonisti delle liste di sinistra nelle grandi città si incontrano oggi a Roma (dalle 10 a «Forma Spazi» in via Cavour 181) per mettere la prima pietra di une rete nazionale che si chiama «Pragmatica». Ci saranno la vicesindaca di Bologna Emily Clancy, la capogruppo della sinistra a Torino Alice Ravinale, la presidente del 9 municipio di Milano Anita Pirovano, l’assessore romano Andrea Catarci con i due neo consiglieri Michela Cicculli e Alessandro Luparelli, il consigliere comunale di Napoli Rosario Andreozzi e Marco Mazzei appena eletto a Milano.
A gestire la tavola rotonda Amedeo Ciaccheri, confermato presidente dell’VIII municipio della Capitale con il 70%. «Siamo una nuova generazione di amministratori che nasce dall’attivismo civico e sta cercando di rigenerare la sinistra a partire dalle città», spiega.
Cosa volete fare “da grandi”?
Vogliamo costruire una piattaforma comune, a partire dalle tante parole d’ordine che ci uniscono: l’ecologismo, il femminismo. Vorremmo dare un contributo, anche al dibattito nazionale, a partire dai temi che viviamo nelle città: il modello di sviluppo, la transizione ecologica, i diritti sociali e civili.
Faccia un esempio.
Penso al programma del nuovo governo tedesco: su salario minimo, legalizzazione della cannabis e tempi per le politiche ambientali ci sono dei passi avanti concreti che dovrebbero insegnarci qualcosa dopo il sostanziale fallimento di Cop26. In Spagna Ada Colau e altre amministratrici stanno organizzando una piattaforma trasversale di sinistra che parte dalle città, «Otras politicas»: sono modelli di pratiche e di contenuti a cui guardiamo con interesse per rigenerare il campo progressista in Italia.
Pensate a una nuova forza di sinistra?
Le amministrative hanno premiato alcuni profili innovativi, nonostante la frammentazione che c’è stata a sinistra. È certamente mancato un riferimento nazionale per queste liste, la frammentazione ha frenato le potenzialità di questo spazio di sinistra. Ora serve un immaginario comune, da affiancare anche a proposte forte per spostare a sinistra l’asse del campo progressista.
L’embrione di un nuovo partito?
Valuteremo insieme quale sarà il risultato finale del percorso. Per ora è indispensabile mettere insieme le nostre esperienze, e allargarci anche ad altre città che non saranno presenti: penso a Trieste, dove la lista di sinistra ha avuto un ottimo risultato, a Latina, a Caserta.
Alternativi al Pd?
Siamo fermamente dentro il campo progressista, ma crediamo alla necessità di una sinistra autonoma dal Pd. Ai dem serve un alleato forte a sinistra, e ci sarà da fare anche una battaglia sui contenuti della coalizione che si candidata a battere le destre.
Su cosa darete battaglia?
Ci sono temi come le ricadute del Pnrr sulle città, i grandi eventi, la difesa dei servizi pubblici che già ci vedono impegnati nelle città dove siamo stati eletti. Poi ci sono i temi sociali, il salario minimo non può restare solo un’evocazione. E i diritti civili che hanno subito una forte battuta d’arresto dopo lo stop del dl Zan. Per non parlare di come declinare la transizione ecologica. C’è un immenso lavoro da fare.
Che rapporto intendete avere con i partiti della sinistra che già esistono?
Con Sinistra italiana c’è già stato un lavoro comune praticamente in tutte le città al voto, a Roma anche con Art.1. L’obiettivo è consolidare una soggettività autonoma della sinistra partendo da una nuova generazione di interpreti che si riconoscono a vicenda in biografie, linguaggi e pratiche.
Commenta (0 Commenti)Campagna vaccinale contro il Covid-19 in Kossovo © Visar Kryeziu /Ap
Nel dibattito su come ci si debba rapportare al movimento dei no-vax, no-green pass e alle loro manifestazioni di piazza, c’è una posizione diffusa anche in parte della sinistra perché tocca o ammicca impropriamente ad alcune sue sensibilità identitarie.
Questa posizione, appoggiandosi alla valutazione in sé corretta, che i problemi connessi alla pandemia siano ben altri rispetto a quelli riconducibili all’azione di quel movimento, finisce per attenuarne le pur evidenti responsabilità e i gravi pericoli che esso genera.
Per esempio attaccare chi sosterrebbe, esageratamente, che quel movimento ci avrebbe portato sulla soglia di un’esplosione di violenza sovversiva, diventa un artificio retorico che indebolisce, proprio avendole esagerate, le critiche ben ponderate che invece è necessario rivolgergli per neutralizzare la sua azione deleteria.
Questa retorica finisce per distrarre l’attenzione dal fatto che il movimento dei no-vax e affini e chi lo cavalca politicamente pescando nel torbido del populismo più retrivo, stanno ostacolando la lotta al contagio da Covid-19, il ché, per dirla senza un filo di retorica, lede un interesse generale di grandissimo rilievo. Né si possono sottovalutare il rilievo simbolico e i precedenti storici evocati dall’assalto alla sede della CgilL cui, peraltro, almeno finora, non ha fatto seguito alcun provvedimento verso l’organizzazione fascista che l’ha organizzata.
Un equivoco da sfatare, perché suscettibile di far proseliti a sinistra, è che le limitazioni oggi richieste per le manifestazioni dei no-vax potrebbero poi estendersi ad altri ambiti di legittimo dissenso, a danno della libertà di espressione e del diritto di organizzare manifestazioni. Anche questa preoccupazione è distorta dal benaltrismo, nel senso che si evocano “ben altre” conseguenze negative future che sarebbero ascrivibili ai divieti oggi sostenuti contro il movimento no-vax.
Ponendo sullo stesso piano le motivazioni, le giustificazioni e le conseguenze di scelte operanti su piani qualitativi diversissimi. Sarebbe sensato, ad esempio, se per difendere la generale libertà d’opinione si consentissero manifestazioni pubbliche di organizzazioni che la negano? Si potrebbe permettere a chiunque di costruire ponti o fare interventi chirurgici senza aver dato prove che ne attestano la capacità? E in situazioni pandemiche, è pensabile che in nome della libertà dei singoli si possa concedere a ciascuno di potersi muovere liberamente in ambienti anche affollati senza alcuna precauzione contro il contagio?
Molte e rilevanti sono le questioni da valutare nell’analisi della pandemia e delle azioni di contrasto ai suoi drammatici effetti come, ad esempio:
Ma affrontare questi problemi non toglie che l’azione esercitata dai no-vax sia pericolosa e debba essere efficacemente contrastata.
Se solo in Italia sono morte più di 133.000 persone per il Covid (ma i dati Istat di confronto con le tendenze della mortalità pre covid-19 fanno ritenere che questa cifra sia sottovalutata) la colpa non è dei no-vax, ma sicuramente essi ancora contribuiscono a frenare la lotta al contagio.
L’istituto Superiore di Sanità stima che la percentuale dei contagiati di Covid tra i non vaccinati è nove volte superiore a quello tra i vaccinati.
Un conto è rispettare i diritti delle minoranze, altro è che la loro osservanza vada a discapito di quelli della maggioranza che, come in questo caso, affondano le loro giustificazioni anche nelle analisi e raccomandazioni della comunità scientifica mondiale.
Si deve discutere senza retorica e con razionalità, ma soprattutto senza chiudersi in recinti pseudo identitari che spesso servono solo a distinguersi anche quando non ve n’è motivo; come accade anche nella sinistra (tranne poi a sorprendersi di scoprire con chi ci si ritrova accomunati).
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Pandemia. Sovranisti, nazisti e anti immigrati hanno campo libero in piazze dove nessun’altra forza si impegna a promuovere un orientamento diverso. Come negli stadi. Le mobilitazioni riflettono un crollo della fiducia nelle istituzioni, nei governi, nei partiti; ritenuti irresponsabili, e catturati dagli interessi di big pharma
Manifestazione no green pass al Circo Massimo di Roma © Alessandra Tarantino /Ap
Si moltiplicano in molti paesi le manifestazioni, anche violente, contro le misure di contenimento del Covid-19: mascherina, distanziamento, lockdown, obbligo vaccinale o green pass (che lo è di fatto). Non se ne può ignorare il significato politico (se lo hanno) o culturale e antropologico, che c’è; meno che mai trattarle con sufficienza.
Sono in tanti, non ci sono solo in Italia: debolezza e inconsistenza della politica, se hanno a che fare con esse, sono generalizzate. Prevalgono impronte sovraniste e anti-immigrati e rilevanti presenze di nazisti. Sono no-vax anche loro? Non è detto, ma hanno campo libero in piazze dove nessun’altra forza organizzata si impegna a promuovere un orientamento diverso. Come negli stadi.
Ma molti cartelli e slogan non rivendicano solo una generica libertà (che può avere le più diverse declinazioni), vertono sulla difesa dei diritti dei lavoratori, soprattutto quello di lavorare e di scioperare, sulla volontà di non dividersi tra vaccinati e non, sulla lotta ai poteri forti. D’altronde i portuali di Genova, in prima linea contro il traffico di armi, hanno solidarizzato con quelli di Trieste.
C’è una grande confusione in quelle posizioni, brodo di coltura ideale per fake news e complottismo paranoico. Così, in una manifestazione tedesca di no-vax si protestava contro l’invasione di immigrati contagiosi perché non vaccinati… E in altre si vedono cartelli di protesta contro il green paSS con le s delle SS, o manifestanti con le divise degli ebrei nei campi o la stella di David sul petto (per loro il green pass è «nazismo») accanto a cartelli che denunciano il complotto ebraico, resuscitando i Savi di Sion. Verosimilmente non sanno niente né degli uni né degli altri (e questo lo dobbiamo alla scuola e ai media).
Così una parte consistente di una manifestazione romana si è fatta trascinare da una squadra di nazisti all’assalto della Cgil quasi fosse un ufficio governativo, senza verosimilmente comprendere o condividere il significato di quella devastazione.
Contribuisce a quella confusione la continua esibizione di virologi che si contraddicono tra loro e con se stessi, le oscillazioni del governo, i voltafaccia di molti partiti e altrettanti «governatori» di Regioni, il grave silenzio su dati che potrebbero attenuare molte ostentate certezze. E anche il fatto che a invocare vaccino per tutti sia quella stessa Confindustria che per mesi ha obbligato gli operai ad andare al lavoro senza alcun presidio. L’importante – lo si è capito – è la ripresa, il Pil, la crescita, non la salute di chi lavora.
Quelle mobilitazioni riflettono un crollo verticale della fiducia nelle istituzioni, nei governi, nei partiti; la percezione di essere in mano a una generazione di politici irresponsabili, catturati dagli interessi di big pharma, tanto da non avere il coraggio di imporre la moratoria sui brevetti e un argine ai guadagni miliardari.
Ma, soprattutto, con l’imposizione di una «cura» uguale per tutti, senza attenzione alla persona (se non quando sta tirando le cuoia) e alla prevenzione, puntando sulle cause.
È mancato, sulla pandemia, sulle misure di contrasto e soprattutto sulla riorganizzazione della sanità in funzione della prevenzione, come d’altronde manca sulla crisi climatica e sulla cosiddetta transizione un dibattito pubblico all’altezza dei cambiamenti radicali che impongono: alle nostre vite, ma anche al sistema produttivo.
Di qui la convinzione che per l’establishment mondiale il futuro della sanità sia un sistema ipertecnologico da cui i «poveri della Terra», qui come nel Sud del mondo, dovranno sottomettersi senza discutere o essere esclusi; nella convinzione che qualcuno possa restar sano in un mondo malato.
Una percezione facile da strumentalizzare ha suscitato la ribellione di una platea ben più vasta dei pochi che si oppongono ai vaccini – o a questi vaccini – per fede, convinzione o affiliazione a comunità che ne temono l’azzeramento dei risultati ottenuti con anni di cure alternative. Ed è questa percezione che fa provare a molti manifestanti «la gioia della ribellione», l’orgoglio di una denuncia a cui tutte le forze politiche, istituzionali e culturali evitano di dar voce.
Quell’orgoglio che si esprime nel refrain cantato nei cortei: «La gente come noi non molla mai», che non ha niente a che fare con il truce «Boia chi molla» dei caporioni fascisti della rivolta di Reggio di 50 anni fa, né con il glorioso «Non mollare» dei fratelli Rosselli, di cui ben pochi dei manifestanti sanno qualcosa.
Quelle manifestazioni, proprio per la loro atroce confusione, sono la vera «rappresentanza» – o rappresentazione – di quella metà di italiani che non votano più, che a torto vengono spesso presentati come orfani di una fantomatica sinistra che non sa più mobilitarli (ma che una volta ricostituita potrà sempre recuperarli…). Ma non è così. Perché vanno invece accostati uno a uno, una a una, con un atteggiamento di ascolto umile e privo di troppe certezze.
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