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Non vi è in nessuna parte de La Storia Infinite, il romanzo di Michael Ende, nulla che possa lasciar intendere che ci sia una vicinanza spirituale o fattuale tra il personaggio Atreju con ciò che propugnano coloro che si identificano nella manifestazione politica di Fratelli d’Italia. Perché quindi FdI usurpa questo splendido personaggio intitolandogli un suo evento?

Atreju, il protagonista de "La Storia Infinita" non ha nulla da dividere con un programma politico di destra. Atreju non è nemmeno secante con alcun slogan o prospettiva populista e nazionalista. Per quale ragione l’evento politico organizzato da Fratelli d’Italia si chiama Atreju?

Atreju creato da Michael Ende non ha famiglia è cresciuto dalla comunità Pelleverde: non c’è padre, non c’è madre, non c’è sacra famiglia tradizionale nella sua vita. Il nome Atreju nella lingua del suo popolo significa proprio “cresciuto da tutti”. In Fantasia il mondo della Storia Infinita tutti i popoli parlano lingue incomprensibili gli uni agli altri ma tutti conoscono l’altofantasico, lingua fondamentale per comprendersi e accogliersi. In tutto il libro la lotta di Atreju contro il Nulla che sta distruggendo Fantasia è il centro attorno a cui si muovono le civiltà e le storie del romanzo, che vede l’irriducibile battaglia della capacità di immaginare contro la gelida ragion pratica dell’esistere umano. La sintesi dell’arco del libro è tutta tracciata nell’indimenticabile dialogo con Mork il lupo mannaro – emissario del Nulla –  che in cerca di Atreju per assassinarlo, gli presagisce che il destino dell’essere trasformati dall’avanzare del Nulla significa cadere nel mondo degli umani ossia diventare menzogne.

Michael Ende scrive un romanzo magnifico di resistenza della fantasia (il contrario della bugia) come unica forma di libertà, della comprensione tra culture diverse, della resistenza al male come alleanza tra stirpi di fattezza, pensiero, lingua ed azione opposte. Il percorso etico di Atreju è compiuto grazie al rapporto con Fucur (che nel film diventa Falcor) il Drago della Fortuna, che tra le sue molte abilità che si aggiungono al poter volare dormendo e cibarsi d’aria ne ha una che lo contraddistingue: sa parlare con i serpenti e riesce a farlo perché – lo spiega lui stesso – tutte le voci della gioia sono simili. Il drago insegna ad Atreju che non esistono popoli o culture nemiche e che la parola della gioia è comprensibile a tutti, quando i serpenti sono felici è possibile parlargli e soprattutto intenderli. Quale sarebbe qui la vicinanza con idee di chiusura dei confini, di affondamento delle navi che salvano vite, di diffusione dell’armarsi perchè  “la difesa è sempre legittima”, della diffidenza verso lo straniero e le altre culture?

In che modo Atreju ispira i giovani della destra?

Nella lotta al Nulla materialistico che avanza sugli ideali! Questo forse mi risponderebbero, ma non vi è in nessuna parte del libro nulla che possa lasciar intendere che ci sia una vicinanza spirituale o fattuale tra Atreju con ciò che propugnano coloro che si identificano in questa manifestazione politica. Perché quindi Fratelli d’Italia usurpa questo splendido personaggio intitolandogli un suo evento? Harold Bloom definirebbe questo una “mislettura”, un travisamento. La storia della lettura è una storia di tradimenti, e ogni pagina che il lettore sente propria è spesso una mislettura ossia una propria, disordinata, spesso irrazionale percezione dello scritto. Nulla di male, anzi: questo può essere un bene, il cuore pulsante della conoscenza pulsa di fraintendimenti e non di analisi critiche rigorose, nella lettura la vera magia si compie quando accade quello che in psicanalisi definirebbero “l’angoscia dell’addebito”, il sentirsi cioè responsabili di ciò che si legge. Questa dinamica è vitale nella lettura, ma tutt’altro è intitolare un evento di un partito che nulla ha da dividere con Atreju. Questo è sfruttare una storia che non gli appartiene. Avere la pretesa di attribuire un significato radicalmente altro rispetto alle intenzioni dell’autore. Il neoscettico Rorty la definirebbe “trasvalutazione”, invertire i significati, attribuirne di completamente altri. Ma credo che in questo caso si tratti solo di furberia: utilizzare una figura eroica di un libro (o più probabilmente ne avranno visto solo il film) e usarlo come mera propaganda per impacchettare eventi.

Sento la necessità di difendere il mio amato Atreju da questo ingiusto saccheggio della sua figura.

Michael Ende fu per tutta la vita un’antifascista, costretto ad arruolarsi nella gioventù hitleriana a 15 anni. Riuscì poi a disertare e sostenere gruppi di resistenza bavaresi che sognavano la possibilità di prendere il potere in Baviera e darlo agli americani senza subire invasione. Tentativo che non riuscì in nessuna sua parte. Racconta nelle sue pagine autobiografiche che passando in bicicletta dinanzi ai corpi impiccati di ragazzi che avevano disertato come lui leggeva la scritta “sono stato preso dai cani alla catena” (così venivano definiti i reparti dell’esercito alla ricerca dei disertori), oppure “mi hanno arrestato le SS.”  Quella immagine dei cani alla catena alla ricerca di chi fuggiva dalla costrizione della leva li ritroveremo nel mostruoso lupo Mork.

Il suo più grande cruccio per tutta la vita fu quello di non essere considerato a pieno uno scrittore, come accade per tutti gli autori relegati al ruolo di autori per l’infanzia. “Si può entrare – scrive Ende – nel salotto letterario da qualsiasi porta, dalla porta della prigione, dalla porta del manicomio o dalla porta del bordello. C'è solo una porta dalla quale non si può uscire, la porta della nursery. I critici non te lo perdoneranno. Anche il grande Rudyard Kipling lo sentiva. Mi chiedo sempre con cosa abbia a che fare, da dove venga questo particolare disprezzo per tutto ciò che ha a che fare con il bambino".

È dal 1998 che esiste Atreju, manifestazione prima di Azione Giovani, poi di Giovane Italia e infine di Gioventù nazionale. Anche il nome Giovane Italia (che si rifà alla Giovine Italia degli studenti missini) l’organizzazione giovanile ufficiale del Partito della libertà non aveva nulla a che fare con la Giovine Italia mazziniana, che si fondava su valori di universalismo anticlericale e europeistico, sulla creazione di una società solidale e operaia. Anche Fronte della Gioventù è un nome usurpato dalla destra neofascista alla storia della lotta politica operaia: il fronte della gioventù nato nel 1944 era un’organizzazione partigiana che univa dai militanti del partito d’azione alle partigiane dei Gruppi di Difesa della donna, dai repubblicani ai comunisti. Il grande teologo David Maria Turoldo fu tra gli animatori del fronte della gioventù. Eppure nel 1971 gli eredi della Repubblica di Salò, i missini appunto, decisero di chiamare la loro organizzazione giovanile Fronte della gioventù, un nome partigiano. Fu proprio il Fronte della Gioventù a creare i Campi Hobbit: eppure cosa c’entrava il popolo creato da Tolkien che fumava erba pipa e aborriva la guerra e i conflitti con i giovani missini che si riconoscevano nella storia delle Brigate Nere e nel sogno della Fortezza Europa? Nulla. Il Signore degli Anelli di Tokien che negli Usa veniva considerato “la bibbia hippy”  divenne completamente un mito fondativo della destra radicale italiana in maniera del tutto abusiva.


La destra probabilmente incapace di poter abbracciare pubblicamente i suoi riferimenti teorici, se scegliesse Evola o Junger,  Drieu La Rochelle o Brasillach, Mishima o De Montherlant  (autori su cui mi sono formato e continuo profondamente a studiare), trovando nelle loro pagine nomi a cui ispirare i propri eventi, rischierebbe di sentirsi complice con la propria storia, riferimenti ai regimi o a scelte della rivoluzione conservatrice verso cui non vuole essere richiamata. Furberscamente sperano che nomi letterari diano nuovi vesti a progetti politici che rimangono della stessa carne. Forse Atreju, come gli Hobbit, sono scelti nel mazzo delle figure letterarie  per rendere più affascinante e nobile politiche autoritarie e reazionarie che da sole non avrebbero alcun fascino?

Non so se gli eredi di Michael Ende sappiano di questo evento di Fratelli d’Italia. Non so se davvero abbiano potuto autorizzare che il nome di Atreju sia giustapposto a una tal cosa, probabilmente nessuno gli ha chiesto nulla. Ma come Fantasia pretende, il lettore non può lasciare che un personaggio sia reso menzognero dagli uomini e quindi con queste righe spero di poter dare ad Atreju ciò che Bastiano prova a concedere, la forza di resistere e di esistere libero dalla manipolazione della furbizia politica degli uomini. Di questi uomini soprattutto.

 

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Viminale. Si dimette il capo dipartimento libertà civili e immigrazione. Era stato prefetto a Reggio Calabria dal 2017 al 2019. L’ex sindaco del borgo calabrese: «Quando arrivò in prefettura per noi cambiò tutto»

L'ex sindaco di Riace Mimmo Lucano

L'ex sindaco di Riace Mimmo Lucano

«Umanamente mi dispiace per la moglie (Rosalba Bisceglia ndr) perché è una storia di sofferenza che io rispetto anche e soprattutto alla luce del principio di innocenza, che sulla carta dovrebbe valere per tutti», dice Mimmo Lucano dopo le dimissioni del capo dipartimento libertà civili e immigrazione del Viminale Michele Di Bari. L’ex sindaco di Riace lo conosce bene perché dal 2017 al 2019 è stato prefetto a Reggio Calabria e ha gestito il caso Riace. «Le mie critiche sono state sempre di natura politica e le sue dimissioni la dimostrazione che la luce si fa strada da sola».

Lucano, lei non è mai stato tenero con Di Bari. Come giudica le sue dimissioni di ieri?

L’inchiesta che vede coinvolta la moglie è indubbio che abbia creato in lui un qualche imbarazzo da cui pensa di sottrarsi rassegnando le dimissioni. Ma il problema è di natura politica. Troppi misteri si sono annidati nella prefettura di Reggio quando a guidarla era Di Bari. Prima che lui arrivasse, Riace aveva avuto sempre rapporti molto stretti con la prefettura perché era sempre disponibile ad accogliere a tutte le ore i migranti. Un filo diretto tra istituzione e seconda accoglienza che funzionava. Poi, con il cambio al vertice, tutto è iniziato a mutare. La prefettura è diventato luogo ostile, era impossibile comunicare con i funzionari. In quel tempo la notorietà acquisita da Riace era alta e aveva attirato l’attenzione mondiale. Sono iniziate le ispezioni della Guardia di Finanza, dei funzionari prefettizi. Quattro relazioni in poco tempo, due a favore e due contrarie. Una di queste, quella più favorevole dove si descrive il modello di accoglienza di Riace, così come lo raccontava il mondo intero, è sparita. Abbiamo aspettato un anno con incessanti richieste formali dei miei legali prima di poterla leggere per intero. Un giorno mi presentai con padre Zanotelli in prefettura e Di Bari si rifiutò di incontrarci. Mentre fu molto solerte e puntuale nel firmare l’autorizzazione a una manifestazione neofascista a Riace. Portarono le bandiere nere fin sotto al Comune. Una vergogna.

Matteo Salvini ha attaccato duramente la ministra degli Interni. Parla di «disastro Lamorgese» e ne chiede le dimissioni immediate. Che ne pensa?

Penso che è capace di tutto, anche di smentire se stesso. Ma se è stato lui a nominare Di Bari capo dipartimento del Viminale, cosa vuole ancora? Era stato lo stesso prefetto a firmare l’ordine di demolizione della baraccopoli di San Ferdinando. Quando Salvini si presentò con le ruspe c’era al suo fianco proprio Di Bari. È uno scandalo che Di Bari sia stato confermato al vertice del dipartimento Immigrazione anche dai governi Conte e Draghi. Le piaghe del caporalato, del neoschiavismo, delle baraccopoli come Rosarno e Foggia sono i frutti marci di una politica delle migrazioni fallimentare. Io continuo a girare per l’Italia per raccontare Riace. Per parlare degli sfruttati, rievocare Becky Moses, Soumaila Sacko e gli altri martiri della Piana. Perché, malgrado la procura di Locri, il prefetto Di Bari e gli altri personaggi che l’hanno affossata, Riace è per sempre.

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L'appello. L'Alleanza contro le povertà ai politici che discuteranno il reddito di cittadinanza e nella legge di bilancio introdurranno nuovi limiti e condizioni contro i poveri. La proposta di otto modifiche. Il rischio di trasformare la misura in una dura politica di Workfare già pensata in questi termini dai Cinque Stelle e dalla Lega tre anni fa. E Landini polemizza con Bonomi di Confindustria che vuole abolire il "reddito"

Una manifestazione per l'estensione del

Una manifestazione per l'estensione del "reddito di cittadinanza" verso il "reddito di base"

«Mentre l’attenzione mediatica si focalizza su furbetti e truffatori, la politica pensa soltanto a mettere qualche risorsa in più e ad annunciare controlli sul reddito di cittadinanza . Perché? Perché è più facile! Perché il tornaconto elettorale si misura meglio con bonus immediati, non importa se ingiusti, che con una riforma». La politica sociale al tempo del «governo dei migliori» in Italia, un paese chiamato Draghistan, è stata riassunta da Gianmario Gazzi, presidente dell’Ordine Assistenti Sociali Consiglio Nazionale (Cnoas) durante una conferenza stampa dell’Alleanza contro la povertà alla stampa estera. «Il “governo dei migliori” è riuscito a scontentare tutti: persone, professionisti, terzo settore, mondo del lavoro, volontariato. Noi che siamo quotidianamente con i più vulnerabili diciamo chiaro che i poveri sono usati e non aiutati».

«Il reddito di cittadinanza ha dimostrato di avere un ruolo decisivo per contrastare le povertà – ha detto Domenico Proietti, segretario confederale Uil – Metterlo in discussione sarebbe una tragedia per milioni di persone e per la tenuta sociale del paese. Solo chi è in profondissima malafede può disconoscere questi risultati, proponendone l’abolizione». Ancora ieri, il presidente di Confindustria Carlo Bonomi si è unito al coro degli «abolizionisti». Maurizio Landini, presente all’incontro dell’Alleanza contro la povertà di cui anche la Cgil fa parte, lo ha criticato. »Bonomi ha trovato il modo di unirsi al coro di chi vuole cancellare il reddito di cittadinanza e che credo sia inaccettabile: la povertà non è una colpa ma è frutto di un modello sociale ingiusto da cambiare».

«Basta con le narrazioni tossiche», «la povertà non è un crimine». Questo è l’appello dell’Alleanza contro la povertà, una rete composta da 38 associazioni, che ieri si è rivolta alla maxi-maggioranza del governo Draghi che, nella legge di bilancio, introdurrà nuovi paletti, limiti e penalità contro i beneficiari del «reddito». «Noi riteniamo che questa misura così sia insufficiente – ha detto Roberto Rossini, il portavoce della rete – è erogata a poco più di 3,5 milioni di persone mentre per l’Istat i poveri assoluti sono 5,5 milioni. Il dibattito sulla povertà non può essere ridotto a un difetto della legge, in particolare al tema dei “furbetti”. Torniamo al contenuto delle questioni». Le proposte dell’Alleanza mirano a rimuovere il vincolo che esclude gli stranieri extracomunitari residente in Italia da meno di 10 anni. «Non esiste in nessun paese» ha detto Antonio Russo (Acli). Si chiede ai politici di cambiare la scala di equivalenza del reddito Isee che penalizza le famiglie numerose, allentare il vincolo aggiuntivo sul patrimonio mobiliare che esclude dall’accesso e rendere volontari, e non obbligatori, i Progetti utili alla collettività (Puc) che possono trasformarsi in lavori servili.

Stando a quanto prevede la legge, il cosiddetto «reddito di cittadinanza» è in realtà una dura politica di Workfare che può trasformarsi in lavoro servile,

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Quirinale. Nel caso di un premier dimissionario, a gestire la crisi dovrebbe essere Mattarella prima della fine del mandato e dell’insediamento del nuovo presidente

 

Il capo dello Stato viene eletto dal Parlamento in seduta comune integrato dai delegati delle Regioni. Quest’organo deve individuare la persona che ritiene sia in grado di svolgere il ruolo di garante politico della Costituzione per il lungo periodo di sette anni. Questo dice la nostra Carta e da qui dovremmo partire se volessimo – come dovremmo – ragionare per principi e non per immediate convenienze.

La discussione, invece, è dominata dalla ricerca di un candidato che sia in grado di garantire, nel breve periodo, gli attuali assetti di potere, assicurando una continuità di indirizzo politico e la regolare conclusione della legislatura. Visioni miopi che rischiano di piegare le logiche della Costituzione a quelle dalla politica.
Così è solo per la personale sensibilità costituzionale del presidente Mattarella che è venuta meno un’ipotesi disinvoltamente perseguita che avrebbe sì garantito lo status quo, ma a scapito della tenuta futura del sistema costituzionale. Infatti, la rielezione dell’attuale titolare della carica presidenziale, dopo il precedente di Napolitano, avrebbe finito per scardinare il sistema che la nostra costituzione ha stabilito per assicurarne l’indipendenza e l’autonomia.

Pur se non si è esplicitamente prevista la non rieleggibilità (ed è stato un male), il semestre bianco e la nomina a senatore di diritto e a vita alla scadenza del mandato indicano una chiara direzione di rotta e segnano la volontà di assicurare un fisiologico ricambio al vertice dello Stato. Con la rielezione come ipotesi ordinaria (due eccezioni fanno regola) il presidente della Repubblica diventerebbe titolare di un potere senza un termine certo, la cui possibile conferma finirebbe per rappresentare solo una variabile dipendente dalle esigenze tattiche del momento. Bene ha fatto Mattarella a respingere questo scenario.

Diversa, ma non troppo, l’ipotesi ora accarezzata dai più: il trasloco di Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale. In questo caso, in termini di stretto diritto costituzionale, la perplessità deriva dalla motivazione espressa a sostegno di tale elezione. L’attuale presidente del Consiglio – si afferma – sarebbe il miglior garante della continuità, tanto più visto che condizione essenziale per l’elezione al Colle è rappresentata da un necessario contestuale accordo circa il suo successore al Governo. Non vi è dubbio che in assenza di una preventiva intesa sugli assetti del nuovo governo l’elezione di Draghi sarebbe compromessa, non potendo immaginare di aprire una crisi di governo al buio, che dovrebbe poi essere governata e risolta da chi tale crisi ha causato, lasciando nel frattempo il governo dimissionario allo sbando.

Di questo mi sembra vi sia diffusa consapevolezza, tant’è che sono già state immaginate diverse modalità per assicurare una rapida risoluzione della crisi di governo. Nel caso ci sarebbe solo da auspicare che si evitino improprie sovrapposizioni tra i ruoli di “capo” del governo dimissionario e il nuovo capo dello Stato. Per questo sarebbe opportuno che a gestire la crisi fosse il presidente uscente nel breve periodo che intercorrerebbe tra l’elezione da effettuarsi prima della scadenza del mandato di Mattarella e l’insediamento del nuovo presidente.

Ma proprio queste considerazioni fanno emergere la questione di fondo. Non può porsi una continuità tra il ruolo svolto dal responsabile della politica generale del governo e quello del custode della nostra Costituzione. Al capo dello Stato spetta vigilare sui governi (e sugli altri poteri), non sostituirsi ad essi. Draghi al Quirinale, in ragione della sua nuova funzione, non potrebbe proseguire le politiche di cui è stato responsabile sino ad ora, dovrebbe cambiare pelle e farsi guardiano. Garantire e non governare.

È questo il presupposto necessario. Lo impone la nostra Costituzione che assegna al capo dello Stato il ruolo di rappresentante dell’unità nazionale ed esclude che possa essere titolare dell’indirizzo politico maggioritario. Entro questa prospettiva, costituzionalmente orientata, cadono molte delle ragioni contingenti che oggi si propongono a sostegno di una soluzione Draghi.

Rimarrebbero in piedi solo due motivi. Il primo è quello espresso da alcuni esponenti politici, i quali espressamente dichiarano di voler torcere in senso presidenziale la nostra forma di governo. Si giocherebbe con il fuoco e sarebbe questa in realtà una ragione per contrastare questa deriva. L’altro motivo, ben più solido, richiama l’autorevolezza e il prestigio acquisiti nel Paese ed in Europa dall’attuale titolare della presidenza del Consiglio, che rappresentano certamente requisiti necessari per poter svolgere il ruolo di rappresentante dell’unità nazionale.

Oltre a questi però sarebbe opportuno considerare almeno un’altra caratteristica che deve possedere il garante politico della Costituzione non solo nell’immediato, ma nel più lungo periodo. La capacità di assicurare che i poteri governanti operino nel rispetto della superiore legalità costituzionale, senza le forzature cui spesso assistiamo e che deve avere nel Presidente il suo severo guardiano. Un giuramento di fedeltà alla Costituzione vigente che valga non solo sino alla fine dell’attuale legislatura, ma anche dopo. Soprattutto dopo.

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Avanti sciopero. L’Authority: «Spostare la data». Mentre il governo trova un miliardo in più per le bollette. Cgil e Uil: «Rispetteremo le norme». E ribadiscono le richieste sul fisco

Pierpaolo Bombardieri e Maurizio Landini

Pierpaolo Bombardieri e Maurizio Landini © laPresse

Divieto di sciopero. Almeno per il 16 dicembre, data nella quale Cgil e Uil hanno proclamato la sospensione generale del lavoro. Almeno secondo l’Authority per gli scioperi, il cui presidente garante Giuseppe Santoro Passarelli ha spedito una missiva alle segreterie delle due confederazioni intimando di «riprogrammare» lo sciopero generale, con tempestiva comunicazione da inviarsi entro 5 giorni. Ma il 16 proprio non si può fare. Troppi scioperi si sono assiepati in quei giorni e viene così a essere violato il principio della «rarefazione oggettiva». E non basta. Non è rispettato neppure il «periodo di franchigia» per i servizi di igiene ambientale e per i servizi alla collettività, c’è persino una violazione del regolamento postale perché proprio in quei giorni va pagata la rata Imu. Questo sciopero non s’ha da fare.

CGIL E UIL NON SI PIEGANO. Scelgono di confermare lo sciopero escludendo però i servizi ambientali, che in base agli accordi nazionali non possono essere fermati dal 15 dicembre, e le poste, per rispettare la franchigia per l’Imu. Il mancato rispetto della «rarefazione oggettiva» invece non viene considerato, anche perché lo sciopero dei servizi ambientali del 13 è stato revocato. La replica congiunta alla lettera del garante è laconica. Cgil e Uil annunciano che «procederanno garantendo il pieno rispetto delle

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Energie. La Commissione europea, in stato confusionale, inserisce nella «strategia verde» le due fonti energetiche meno credibili per uscire dall’era fossile

Rinnovabili vs fossili: l'energia sporca non è più così conveniente -  Rinnovabili.it

La confusione non è una caratteristica della sostenibilità. I King Crimson nel lontano 1969 erano convinti che Confusion will be my epitaph, riferendosi all’opera distruttiva da parte dell’uomo nei confronti del proprio futuro, quello del XXI secolo. Oggi nel settore energetico assistiamo ad una confusione molto pericolosa.

COME SE NON BASTASSERO REGOLE contraddittorie (il Pniec ancora da aggiornare, semplificazioni che non semplificano, aree idonee e non idonee, recenti aperture sul gas del MiTe sulle posizioni di Confindustria Energia, attività di prospezione di idrocarburi, tanto per fare qualche esempio) ora assistiamo stupefatti alla ufficializzazione della decisione della Commissione Europea di inserire il nucleare ed il gas nella tassonomia verde, che decreta cosa può essere ritenuto idoneo e quindi finanziato con soldi pubblici nel percorso più critico verso la decarbonizzazione, quello dei prossimi dieci anni.

SI TRATTA DI UN FORTE elemento di incoerenza, visto che la stessa Banca Europea degli Investimenti ha deciso di non finanziare più i progetti legati al gas e che i Green Bond della Commissione Europea legati al Recovery Plan non prevedono investimenti nel gas. Inoltre l’ipotesi di nucleare viene fatta senza una trasparente evidenza dei costi e delle tecnologie realmente sostenibili a breve termine, soprattutto oggi in pieno dibattito sul costo dell’energia e sulle modifiche da apportare al mercato dell’energia.

LA CONSEGUENZA DI QUESTA CONFUSIONE è la perdita di credibilità dell’intero sistema degli investimenti verdi dell’Europa, con finanziamenti non finalizzati al FitFor55, in una fase in cui molti stati membri stanno accettando e rilanciando questi obiettivi (governo-semaforo della Germania in primis).

IL COSTO DELL’ENERGIA NON RIGUARDA solo le famiglie, ma anche le piccole e medie imprese, anche per loro appare importante l’individuazione di un meccanismo di sostegno che tenga conto del significativo aumento del costo delle materie prime. Le misure transitorie introdotte per la mitigazione di questi impatti hanno un carattere emergenziale che non risolve la questione, ed in alcuni casi non sono in linea con l’ordinamento europeo, perché riducono i costi per i clienti finali in maniera indistinta, senza considerare le reali esigenze delle diverse categorie dei clienti finali.

OCCORREREBBE AL RIGUARDO FARE SERIE riflessioni sulla necessità di valutazioni sul medio-lungo periodo, con ipotesi per la creazione di una piattaforma europea di acquisto gas in un contesto di ampi rapporti internazionali sul mercato del gas, con acquisti di quantità di energia a medio-lungo termine (dai due ai cinque anni), con una indicizzazione non trimestrale ma annuale dei prezzi e con una rivisitazione sostanziale del meccanismo di formulazione dei prezzi sul mercato elettrico.

IL PUN (PREZZO UNICO NAZIONALE) è il prezzo di riferimento all’ingrosso dell’energia elettrica che viene acquistata sul mercato della Borsa Elettrica Italiana; le sue oscillazioni sono determinanti per calcolare i costi finali dell’energia in bolletta. Ci ha ricordato recentemente Elemens di confrontare l’andamento del Pun con quello del costo del gas. Entrambi misurati in €/MWh, in poco più di dieci mesi (da gennaio a novembre 2021) hanno subito la stessa impennata, circa +420%, con lo stesso andamento nel tempo che ha fatto superare la soglia psicologica di 400 €/MWh, valore più alto mai raggiunto dal PUN in Italia.

CHE IL COSTO DELL’ENERGIA SIA determinato dal costo del gas in un mix energetico come quello italiano, è fuori di dubbio. Come fuori di dubbio sarebbe la sterilizzazione sull’aumento dei costi provocata da un minor prezzo medio dovuto all’incremento delle rinnovabili.

SE NON AVESSIMO AVUTO UNO STOP significativo negli ultimi cinque anni dello sviluppo delle rinnovabili fino a realizzare un plateau, l’incidenza delle commodity sul prezzo dell’energia sarebbe stato molto più basso. Anche il potenziamento degli strumenti per uno sviluppo accelerato dell’efficienza energetica va nella direzione giusta, perché oltre alla riduzione dell’esposizione dell’Europa alle fluttuazioni delle fonti energetiche, verrebbe ridotta automaticamente la dipendenza dell’unità di Pil dalla quantità di energia necessaria.

QUELLO DELL’EFFICIENZA ENERGETICA è un altro antidoto nei confronti del caro-energia: la potenzialità dell’efficienza energetica in questo ambito non è ancora consolidata, e questo anche da parte dell’industria, nonostante l’obbligatorietà dei bilanci di sostenibilità. Energy efficiency first ancora con il freno tirato.

IL DIBATTITO SULLE MODIFICHE del mercato dell’energia assume infine toni aspri. Punto focale del dibattito – e tema di ulteriore confusione – è il superamento o meno del sistema attuale basato sul prezzo marginale, dove i produttori di elettricità sono remunerati con il prezzo della offerta massima entrata nel pacchetto giornaliero di produzione, quest’ultima tipicamente riferita al gas, completamente slegata dalle più economiche fonti rinnovabili.

E’ UNA CONTRADDIZIONE IN TERMINI: un mercato dipendente nella sua espressione più rilevante, quella della formulazione del prezzo, dalle fonti fossili in una prospettiva di loro eliminazione. Occorre dire con chiarezza che il caro energia è causato dalla domanda straordinaria di gas su scala globale, ma anche dalla struttura del mercato elettrico europeo.

SVILUPPO DELLE RINNOVABILI SIGNIFICA anche elettrificazione, importante perché – oltre a incrementare l’uso delle rinnovabili in ogni ambito di consumo – contribuisce ad aumentare l’efficienza energetica nei confronti delle tecnologie tradizionali e riduce le spese energetiche dei consumatori che, come ha dimostrato Enel, può arrivare al 50% e oltre. Una famiglia che usa una pompa di calore per il riscaldamento e per la produzione di acqua calda sanitaria, l’induzione elettrica per la cottura dei cibi e un veicolo elettrico, arriva ad evitare più dell’80% delle emissioni di CO2.

SULLA ELETTRIFICAZIONE SI GIOCA la decisiva partita della riconversione delle nostre grandi aziende energetiche che dovrebbero chiarire al più presto il ruolo del gas nel nostro futuro immediato, relegandolo ad un elemento di transizione molto marginale.

FORSE POTREMMO SPERARE ANCORA di ribaltare la sentenza finale dei King Crimson: The fate of all mankind I see is in the hands of fools, but I fear tomorrow I’ll be crying. La confusione ha un suo costo (Stephen Stills, 1969).

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