Legge di bilancio. Fisco e pensioni. Cgil Cisl e Uil ieri hanno protestato in nove città contro la «legge di bilancio inadeguata» presentata dal governo Draghi. Il ministro dell’economia Daniele Franco li ha convocati al ministero domani sera. A Bologna vietata la protesta del 1 dicembre in centro. Cgil: «Gravissimo»
Il comizio del segretario Cgil Maurizio Landini ieri a piazza SS. Apostoli a Roma alla manifestazione Cgil, Cisl, Uil Lazio © LaPresse
Il ministro dell’economia Daniele Franco ha convocato domani alle 19 Cgil, Cisl e Uil al ministero in Viale XX settembre a Roma. La convocazione ha tutta l’aria di un’informativa su decisioni già prese, ma si vedrà se ci sarà spazio anche per quello che chiedono i i confederali: negoziare sulle proposte sul fisco, sulla riforma della Fornero e sulla »cancellazione delle forme contrattuali precarie assurde» così ieri le ha definite Maurizio Landini (Cgil) dal palco di piazza SS. Apostoli a Roma dove si è svolta una delle nove manifestazioni contro una «manovra economica inadeguata», la prima presentata dal governo Draghi. «Il governo si era impegnato a riconvocarci. Io non so cosa sia successo, ma ad oggi i tavoli» sul fisco e sulle pensioni «ancora non li abbiamo. Il consiglio è che se pensa di convocarci per informarci di quello che hanno deciso è meglio che non ci convochi. Non siamo ascoltatori, non siamo spettatori» ha aggiunto Landini.
Legge di bilancioCGIL, CISL E UIL hanno manifestato ieri anche a Catania, Messina e Palermo, Torino, Milano, Terni, Firenze e Palmanova in provincia di Udine. A Bologna è stata vietata la manifestazione prevista da Cgil, Cisl e Uil il primo dicembre. «È un precedente gravissimo – ha detto il segretario regionale della Cgil, Luigi Giove – Le motivazioni di questa scelta sono incomprensibili e preoccupanti. A noi sembra chiaro che questo divieto la prefettura, che rappresenta il governo impedisca qualsiasi altro tipo di manifestazione mentre esclude quelle religiose e gli eventi organizzati dagli enti pubblici. Sta emergendo una graduatoria dei diritti costituzionali discutibile e pericolosa: il diritto allo shopping e il diritto a esercitare un culto vengono prima del diritto a manifestare».
SUL TAVOLO del ministero dell’economia (Mef) domani si discuterà di fisco e pensioni. Sul fisco sono due gli argomenti. Il primo è l’intesa sul taglio delle aliquote dell’Irpef, da cinque a quattro, raggiunta dalla maxi-maggioranza draghista in parlamento, dopo che il governo ha passato la mano. L’intesa ha scontentato tutti, dai sindacati alla stessa Confindustria, ma ha soddisfatto i partiti interessata solo garantire ai redditi da ceto medio, tra i 28 e i 50 mila euro, uno sconto di 3 punti sull’aliquota. A tutti gli altri, cioè la maggioranza dei contribuenti con un reddito fino ai 15 mila in pratica nulla, e pochi spiccioli tra i 15 e i 28 mila euro. Una manovra con effetti regressivi, dunque. Tutt’al più, a sentire alcuni tenori imbarazzati della maggioranza di «unità nazionale», si discuterà di «detrazioni» per chi sta tra gli incapienti e i 28 mila euro. Auguri.
AL MEF si discuterà anche della destinazione degli otto miliardi di euro disponibili in legge di Bilancio per la riduzione delle tasse. L’accordo stretto dai partiti della maggioranza sarebbe quello di destinarne sette alla riduzione dell’Irpef pagata dai dipendenti e uno al taglio dell’Irap pagata da «ditte individuali, start up» e lavoratori autonomi che, tra l’altro, finanzia la sanità. I sindacati chiedono di destinare l’intera cifra, in fondo modesta, a lavoratori e pensionati. Per loro le imprese hanno già ricevuto 10 miliardi dalla legge di bilancio. In realtà, tra le «imprese» ci sono anche le «ditte individuali», dunque anche partite Iva lavoratrici. Camminare sulle uova, questo è il modo per garantire la pax draghiana. E la sanità? «Nella manovra «non sembra ci sia un effettivo rafforzamento strutturale» ha detto l’ufficio parlamentare di bilancio in un’audizione parlamentare il 23 novembre scorso. Nel 2024 la spesa sanitaria sarà il 6,3% del Pil», una percentuale inferiore al 2019 (6,4%). Con la pandemia in corso. Bel colpo, complimenti.
CAPITOLO PENSIONI. I sindacati chiedono una riforma della riforma Fornero, per ora spostata al 2023, dopo una pausa di riflessione del 2022. La richiesta è l’uscita dal lavoro a 62 anni di età o con 41 anni di contributi e una «pensione di garanzia» per i giovani. «Noi abbiamo pazienza, sono passati nove anni dalla legge Fornero – ha detto ieri Landini – È chiaro che non abbiamo intenzione di fermarci con la protesta, perché vogliamo portare a casa risultati concreti».