La ministra conferma. Interrogata dai deputati di Leu Conte e Fassina, Mara Carfagna, ministra per il Sud e la coesione territoriale, risponde alla camera che la legge quadro per l’autonomia differenziata è in arrivo. Non c’è crisi che tenga, (anche) per questo governo l’urgenza è sempre quella di andare dietro alle richieste delle regioni ricche. Che non sono solo le leghiste Veneto e Lombardia, ma anche le «democratiche» Emilia Romagna e, adesso, Toscana. Gli argomenti con cui Carfagna risponde a chi, come gli interroganti, teme la «secessione dei ricchi» sono quelli già sentiti: prima dell’autonomia ci dovranno essere i famosi Lep, livelli essenziali delle prestazioni, e poi ci sarà il fondo di perequazione. Confermata la scelta di una legge quadro che toglie al parlamento l’ultima parola sugli accordi – bilaterali – tra stato e regione.
Isaia Sales ha scritto recentemente di un «baratto»: al Sud il 40% dei fondi del Pnrr (se e quando), al Nord l’autonomia differenziata completando il ciclo partito ai tempi dei referendum nordisti e del governo (ahinoi) Gentiloni. Scambio perdente, visto che nel Mezzogiorno vive comunque il 33% della popolazione come ha ricordato il sindaco di Napoli Manfredi (anche lui nella schiera dei contrari all’autonomia, con adesso anche il presidente della Campania De Luca), e frutto avvelenato dell’eclissi del Movimento 5 Stelle, partito che alle politiche del 2018 sedusse gli elettori del Sud.
Contro questa pericolosa cura omeopatica alle fratture e alle disuguaglianze del nostro paese esplose durante la pandemia, parte oggi al senato l’iniziativa di un gruppo di giuristi e intellettuali che presentano una proposta di legge di iniziativa popolare di riforma del Titolo V della Costituzione. Non è uno strumento velleitario, non più con la riforma del regolamento del senato per la quale questo genere di proposte popolari devono essere messe all’ordine del giorno dell’aula per un voto. Lo prova la storia della riforma costituzionale sull’insularità, anche questa nata per iniziativa popolare di un comitato sardo, che è già stata approvata in tre letture in questa legislatura e chiuderà a breve l’iter in commissione alla camera. In più c’è la novità delle firme digitali che facilita la raccolta delle 50mila firme necessarie per presentare il testo.
La proposta sarà presentata per questo al senato, stamattina, dai costituzionalisti Villone e Dogliani, dal presidente dello Svimez Gianola, dalla politologa Urbinati e da altri. È appoggiata da un lungo elenco di giuristi (Gallo, Volpi, Lucarelli, Pallante…), filosofi (Ferrajoli, Mazzarella, Esposito, De Giovanni…), economisti (Viesti, Jossa…) e altre personalità (Sales, Macry, Manconi…) e passerà poi per il lancio della raccolta di firme (la prossima settimana) e un convegno di studio (a Napoli a fine mese). La proposta interviene sull’articolo 166 della Costituzione, così da prevedere che forme e condizioni particolari di autonomia alle regioni a statuto ordinario possano essere concesse solo se «giustificate dalle specificità del territorio» così da scongiurare la riforma costituzionale strisciante a uso di alcune regioni ricche. Per evitare che possano ripetersi patti a due governo-regioni, magari favoriti da consonanze politiche, si escludono le leggi quadro e si rimette al centro il parlamento. E i cittadini, visto che sulla legge ordinaria che concede l’autonomia sarà sempre possibile chiedere sia il referendum per conferma (come per le leggi costituzionali) che il referendum abrogativo. Infine una modifica all’articolo 117 restituisce materie come scuola, università, salute e infrastrutture alla competenza esclusiva dello Stato. E introduce una clausola di supremazia dello Stato quando sia richiesta a «tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica» o «dell’interesse nazionale»