La Banca Centrale Europea (Bce) ha festeggiato ieriventicinque anni di storia aumentando per l’ottava volta consecutiva i tassi di interesse sui depositi al 3,5% e quelli per il rifinanziamento principale e marginale al 4 e al 4,25 per cento. È il livello più alto mai raggiunto dal 2001. A luglio è stato già annunciato un altro aumento per i venti paesi che utilizzano l’euro. Francoforte ha deciso, a larga maggioranza, di non prendere una pausa di riflessione come ha fatto l’altro ieri la Federal Reserve statunitense dopo dieci rialzi consecutivi.
«NON SO CHE DIFFERENZA c’è tra una pausa e un salto – ha detto la presidente della Bce Christine Lagarde durante la conferenza stampa di ieri, riferendosi alla Federal Reserve – La Bce non farà nessuna pausa sul rialzo dei tassi». A meno che, ha aggiunto, non ci sia un «cambiamento sostanziale» nelle aspettative di inflazione. Ipotesi al momento remota dato che la cosiddetta «inflazione sottostante», depurata cioè dai prezzi ondivaghi dell’energia e dei generi alimentari, è stimata al 5,1 per cento nel 2023, dovrebbe calare al 3 nel 2024 e al 2,3 nel 2025. L’inflazione generale nell’Eurozona era stimata a maggio al 6,1% dopo aver raggiunto un picco di oltre il 10%.
TUTTO QUESTO AVVIENE mentre l’economia dell’Eurozona «ha registrato una stagnazione negli ultimi mesi» ha detto Lagarde che prevede un rimbalzo. Le previsioni della crescita sono però state riviste in negativo (0,9%) quest’anno. E l’Istituto per l’economia mondiale di Kiel (Ifw) ha previsto che il Pil della Germania subirà una contrazione dello 0,3 per cento nel 2023. È una delle conseguenze del conflitto russo-ucraino che vede nella Germania, sistema capitalistico centrale nell’Eurozona, uno dei principali obiettivi. Molte delle «incertezze» riscontrate da Lagarde ieri nascono anche dalla ristrutturazione armata della globalizzazione.
LA MOSSA DI IERI è stata preannunciata dall’ultima riunione del Consiglio direttivo della Bce, tenutasi all’inizio di maggio, quando è stata espressa una preoccupazione per le pressioni inflazionistiche sottostanti, dovute probabilmente all’aumento dei profitti e all’impatto dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari, più che alla crescita dei salari che in paesi come l’Italia continuano ad essere congelati. Ma è esattamente su questo punto che l’analisi sulle origini, e le prospettive, del nuovo ciclo inflazionistico globale divergono.
LAGARDE HA SOSTENUTO, in primo luogo, che «al momento non si vede una spirale salari-prezzi» e che la persistenza dell’«inflazione di fondo», è legata al «costo per unità di lavoro». «Il mercato del lavoro è una delle componenti principali dei rialzi dell’inflazione». «La revisione al rialzo dell’inflazione core, quella che esclude cibo ed energia, deriva dalla tensione sui salari e dal costo del lavoro». Per la banchiera francese il «mercato del lavoro» è un «enigma» perché «molti servizi – che svolgono un ruolo importante nella nostra economia – sono ad alta intensità di manodopera e i salari, da questo punto di vista, giocano un ruolo fondamentale».
VICEVERSA, nel dibattito descritto dall’economista Christian Marazzi su Il Manifesto (17 marzo), il rischio di spirale salari e prezzi non esiste. L’inflazione è dovuta a una spirale prezzi-prezzi derivata dall’accumulazione dei profitti nella pandemia e proseguita con la speculazione sui prezzi delle materie prime. La testardaggine dei banchieri centrali è dettata da una politica che vuole proteggere questi profitti.
IL DILEMMA non sarebbe dunque rappresentato dal «mercato del lavoro», ma dalle politiche monetarie. I banchieri non riescono a capire se continuare ad aumentare i tassi produrrà un infarto dell’economia e peggiorerà le sue prospettive. Se invece ci fosse un rallentamento degli aumenti l’inflazione potrebbe diventare un problema persistente e difficile da sradicare. In ogni caso saranno i lavoratori e i consumatori a pagare la doppia tassa: quella dell’inflazione in sé e gli effetti delle decisioni della Bce.
A TALE PROPOSITO Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, parlava ieri di una «stangata annua di 240 euro» in Italia . La «domanda di mutui sta calando» e «sale il reddito di chi richiede un finanziamento per l’acquisto di una casa, con una selezione alla base» ha aggiunto Nicoletta Papucci di mutuionline.it. «C’è un indebolimento della domanda di acquisto destinato a riflettersi in un calo significativo delle compravendite nell’ordine del 14,6% su base annua» ha detto Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma.
È UN PERIODO DIFFICILE per i banchieri centrali. «Alla fine se ne andrà – ha detto Lagarde- Si prevede che l’inflazione scenderà nel 2022». Era il dicembre 2021. Finirà nel 2025. Forse