«Nessun negoziato con Hamas, l’unica vittoria è militare». Al termine di un inutile colloquio con l’inviato Usa, Netanyahu gela le speranze di Gaza e quelle delle famiglie degli ostaggi. Via libera ai tank israeliani verso Rafah: due milioni di civili palestinesi in trappola
INVADO AVANTI. Dopo ore di colloquio con Blinken, il primo ministro insiste: l’unica vittoria è militare. Rabbia delle famiglie degli ostaggi. Rifiutata la proposta di Hamas, 135 giorni di pausa, ma al Cairo il team israeliano continua a dialogare. Gaza in trappola conta 27.708 uccisi, 12mila sono bambini: una mattanza
Sopra le macerie di Rafah - Ap/Mohammed Talatene
Il poster «Bring them back», riportateli indietro, il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ce l’ha sotto il naso. Di fronte alla sua residenza, al numero 35 di Azza Street (Via Gaza, vuole il fato), ne hanno appeso uno, promemoria giornaliero. Un altro lo hanno legato a uno dei balconi della palazzina in cui vive.
Grigia e decadente, non diresti mai che lì dentro ci abiti un primo ministro. Lo dice la sicurezza fuori, metal detector, guardie armate, barriere metalliche.
È QUI che si ritrovano spesso i familiari dei 136 ostaggi ancora a Gaza, almeno 32 uccisi secondo le ultime dichiarazioni ufficiali. È anche a loro che ieri il premier si è rivolto nella conferenza stampa serale, seguita all’incontro – l’ennesimo – con il segretario di stato Usa Antony Blinken.
Si è rivolto a loro per dirgli che si mettano pure l’anima in pace: nessun negoziato con Hamas. Il premier è apparso in tv alle 19.30 ora locale per un lungo giro di parole che ha preferito al «no» secco un rifiuto implicito: la vittoria «decisiva» è «nelle nostre mani, è una questione di mesi»; «Non c’è altra soluzione» alla distruzione totale
Commenta (0 Commenti)Von der Leyen guarda alle europee e cede subito alla protesta dei trattori sui pesticidi e sulle emissioni di Co2. Ritirato il testo che avrebbe imposto un taglio del 50% sui fitosanitari entro il 2030 e cancellato il calo del 30% di diossido di carbonio in agricoltura
BRUXELLES. Von der Leyen, spaventata dalle proteste degli agricoltori, cede sui fitosanitari e annacqua le raccomandazioni sulla Co2: ritirato il testo Sur che avrebbe imposto un taglio del 50% dell’agrochimica entro il 2030 e silenzio sul calo del 30% di diossido di carbonio in agricoltura
La marcia dei trattori a Strasburgo, in basso Ursula von der Leyen - Ap e Ansa
«Afuera» (come direbbe l’argentino Milei) il testo sul taglio del 50% dell’uso di pesticidi in agricoltura, minimizzazione dell’obiettivo della riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per il 2040 – meno 90% rispetto al 1990 – che sarà raggiunto anche se non facciamo niente di speciale e continuiamo «la traiettoria 2030», oltre al grande silenzio sul necessario calo del 30% di produzione di Co2 in agricoltura.
Ursula von der Leyen preoccupata per la sua rielezione alla testa della Commissione, così come il suo partito, il Ppe, è spaventato dalle proteste dei trattori che rischiano di gonfiare i consensi all’estrema destra alle prossime elezioni europee di giugno, mette precipitosamente nel cassetto alcuni pilastri del Green Deal.
IERI, LA PRESIDENTE della Commissione ha cominciato con i pesticidi, uno degli elementi della protesta degli agricoltori in Europa, che urlano contro l’eccesso di norme: ha annunciato il ritiro del testo Sur (Sustainable Use Regulation) che avrebbe imposto un taglio del 50% dell’agrochimica entro il 2030, del resto già bocciato nel novembre scorso dal parlamento europeo (il Ppe lo aveva annacquato drasticamente, troppo per la sinistra, così tutti hanno votato contro).
«La Commissione farà proposte più mature», ha detto von der Leyen, senza però sbilanciarsi su
Leggi tutto: Emissioni e pesticidi, la Commissione Ue fa a pezzi il Green Deal - di Anna Maria Merlo
Commenta (0 Commenti)Ora indaga la magistratura dopo che Ousmane Sylla si è ammazzato nel Cpr di ponte Galeria a Roma. Non aveva 22 anni e non doveva stare lì. Due mesi fa la psicologa voleva trasferirlo. Non aveva commesso reati ma poteva essere detenuto per 18 mesi senza alcuna possibilità di rimpatrio in Guinea. Ha lasciato scritto che vorrebbe tornarci da morto
L'EX GARANTE. Il trattenimento dei migranti irregolari - ha affermato la Corte costituzionale nel 2001 - trova giustificazione esclusivamente nella finalità del rimpatrio. Finalità non raggiunta in oltre la metà dei casi
L'interno del Cpr di Ponte Galeria, alle porte di Roma - Stefano Montesi
I Cpr nel nostro paese sono dieci, da Gradisca d’Isonzo a Caltanissetta passando per Macomer: uno chiuso per lavori, due sotto inchiesta della magistratura, uno dei quali commissariato. Un totale di oltre seicento posti disponibili e un numero complessivo di 6.383 persone transitate nel 2022, secondo gli ultimi dati disponibili.
Di queste, tuttavia, solo 3.154 sono state effettivamente rimpatriate. Meno della metà. In linea con gli anni precedenti, se si pensa che dal 2011 a oggi la percentuale di persone transitate nei Cpr (e prima ancora nei Cie) che è stata effettivamente rimpatriata è variata da un minimo del 44% del 2018 a un massimo del 59% nel 2017. Per tutti gli altri, quella detenzione di carattere amministrativo e non penale, finalizzata ad assicurare il loro rinvio coatto nel paese di origine, di fatto si risolve solo in una inutile
Leggi tutto: In quelle celle vuote, fuori dal tempo e dalle leggi - di Daniela De Robert*
Commenta (0 Commenti)Rafah ultima frontiera dell’offensiva israeliana. Un milione e mezzo di profughi nella città più a sud di Gaza si ritrovano schiacciati tra i carri armati ormai alle porte e la barriera invalicabile con l’Egitto. Netanyahu tira dritto con la guerra e oggi si gode la «Marcia della vittoria»
GAZA. Rafah attende l'inizio dell'attacco israeliano. Altri cento morti palestinesi nei bombardamenti
È una corsa contro il tempo a Rafah. I bombardamenti si fanno più intensi e l’arrivo dei carri armati israeliani potrebbe essere una questione di ore. Ieri mattina 14 persone – tra cui donne e bambini – sono state uccise in un attacco aereo su una casa alla periferia della città. Altre quattro sono state uccise a Deir Al-Balah. Altri due membri delle unità di soccorso della Mezzaluna Rossa sono stati sepolti: erano stati uccisi nei giorni scorsi da spari dell’esercito a Khan Yunis, come la loro collega Hidaya Hamad, colpita mentre era nel quartier generale dell’organizzazione. A Khan Yunis gli artificieri dell’esercito israeliano hanno fatto saltare in aria e polverizzato un intero quartiere residenziale abbandonato dai suoi abitanti.
Sebbene stiano concentrando la loro azione nel sud, le truppe israeliane compiono raid anche nel nord della Striscia, in particolare nella parte occidentale del capoluogo Gaza city dove, secondo quanto affermano i comandi israeliani, non vi sarebbe più presenza di militanti di Hamas, Jihad e altre organizzazioni da settimane. Gli scontri a fuoco in quell’area ieri sono stati di una intensità che non si registrava da settimane. Israele sostiene di aver ucciso altre decine di combattenti palestinesi e di aver distrutto lanciamissili anticarro, ma fonti sanitarie riferiscono anche di due civili colpiti da cecchini. I soldati hanno anche arrestato diverse persone a Tel Al-Hawa. Con comunicati separati Hamas, Jihad e altri gruppi armati ribadiscono di aver impegnato anche negli ultimi giorni i soldati nemici in violenti scontri a fuoco. «Più le forze di occupazione rimarranno sul posto, più le raggiungeremo. Un martire cade, un altro si alza e prende il fucile, siamo pronti a combattere per molti mesi». I morti a Gaza tra venerdì e sabato sono stati 107 e il totale dei palestinesi uccisi dal 7 ottobre è salito a 27.238.
La fuga dei civili verso ovest, verso la costa e l’area agricola dei Mawasi non si arresta. Una fiumana di persone si allontana dall’ultimo rifugio che credeva sicuro, Rafah, e ora rischia di trasformarsi in una trappola. Si sono messe in marcia ieri decine di famiglie, presto saranno
Commenta (0 Commenti)RIFORME. Parte alla camera dei deputati il disegno di legge sull’autonomia differenziata firmato da Calderoli, proprio mentre la maggioranza sembrerebbe essere in dirittura di arrivo sulla riforma costituzionale del premierato. Si […]
Roberto Calderoli e Giorga Meloni - Ansa
Parte alla camera dei deputati il disegno di legge sull’autonomia differenziata firmato da Calderoli, proprio mentre la maggioranza sembrerebbe essere in dirittura di arrivo sulla riforma costituzionale del premierato. Si precisano dunque contenuti e tempi della nuova Italia vagheggiata dalla destra di governo.
Al voto finale sull’autonomia di Calderoli si giungerà probabilmente prima delle elezioni europee di giugno, e le opposizioni non potranno – per un regolamento che non consente un ostruzionismo insuperabile – impedirlo. Il massimo impegno rimane però indispensabile, perché potrà fornire argomenti per il contrasto al disegno leghista dopo l’approvazione, ad esempio con ricorsi alla Corte costituzionale. Non ci aspettiamo che le opposizioni fermino la legge ma che combattano in prima linea sì.
Gli argomenti non mancano. Si punta a un’Italia di regioni speciali, stravolgendo l’assetto vigente del rapporto tra lo stato e le regioni. Cos’è in fondo l’autonomia in salsa leghista se non la specialità della singola regione, diversa nella forma ma nella sostanza analoga a quella delle regioni in senso tecnico speciali? In entrambi i casi l’autonomia si sottrae alla legge ordinaria e al referendum abrogativo. Ma dobbiamo ricordare che la Consulta dichiarò costituzionalmente illegittima la legge regionale che prevedeva il quesito referendario «vuoi che
Leggi tutto: La nuova Italia disegnata dalla destra - di Massimo Villone
Commenta (0 Commenti)Ilaria Salis in catene? «Accade in vari paesi, anche occidentali». Meloni difende Orbán e rinsalda l’asse sovranista. Il premier ungherese rivela: «Dopo le europee pronto a entrare nel gruppo dei conservatori». Quello della leader italiana
ME NE FREGO. La premier a Bruxelles: «Le catene? Si fa in tanti stati occidentali». Si cementa il patto sovranista: l’ungherese entrerà nei Conservatori. l partito Fidesz dovrebbe aderire al gruppo Ecr dopo le elezioni europee
Giorgia Meloni arriva al Consiglio europeo straordinario
Sono leader pragmatici, Giorgia Meloni e Viktor Orbán. Uniti, nella buona e nella cattiva sorte, dall’obiettivo di prendere tempo fino alle europee, quando l’Ue assumerà un volto più simile al loro. Imperativo non inciampare, sia che quell’inciampo si chiami Ilaria Salis, sia che quell’inciampo si chiami Ucraina. Il vertice dei leader, che vedeva il despota dell’Est sul banco degli imputati, ha inizio a notte fonda, all’hotel Amigo, nel cuore di Bruxelles. È lì che Meloni intavola la trattativa con Orbán. Aiuti a Kiev ed elezioni europee è il menu della serata bagnata di champagne.
SALIS È SOLO UN PICCOLO incidente della storia. A una manciata di ore dall’incontro, Budapest pubblica la sua versione dei fatti: la militante antifascista detenuta a Budapest da quasi un anno e apparsa in guinzaglio in tribunale nei giorni scorsi è accusata di reati gravi e le misure adottate nel procedimento sono adeguate alla gravità dell’accusa del reato commesso. L’indignazione suscitata dalla vicenda non è altro che un attacco orchestrato da media e attivisti di sinistra per danneggiare le buone relazioni politiche tra Budapest e Roma. Orbán porta quella versione dei fatti al drink con Meloni. «Ho raccontato il caso nei dettagli. Le ho detto che la magistratura non dipende dal governo, ma dal Parlamento. L’unica cosa che sono legittimato a fare è fornire i dettagli del suo trattamento in carcere ed esercitare un’influenza perché abbia un equo trattamento. Tutti i diritti – giura Orbán – saranno garantiti». A Meloni quella versione convince. «Certo, le immagini di Ilaria Salis in manette impattano, ma accade in diversi Paesi, anche occidentali» spiega la premier che scagiona così
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