In una Gaza City senza più cibo né medicine, migliaia di civili convergono nella piazza dove si è sparsa la voce che arriveranno i camion con gli aiuti umanitari. Ma a riceverli trovano solo i soldati israeliani, che aprono il fuoco: almeno 25 i morti, decine di feriti
PALESTINA. Si diffonde la notizia dell’arrivo di camion umanitari nel nord affamato. Non ci sono gli aiuti, ma i mitra. Israele: «Indagheremo». Case fatte saltare e lavori in corso nella futura «zona cuscinetto». Usa ed Egitto chiedono di fermarsi
All’ospedale al-Shifa, ieri, alcune delle persone rimaste ferite alla rotonda Kuwait di Gaza City - foto Ap
In migliaia si sono diretti alla rotonda «Kuwait», in un sobborgo settentrionale del capoluogo Gaza city. «L’hanno fatto per la fame – ci diceva ieri Safwat K., un collega palestinese a Gaza – Nel nord non c’è cibo, manca tutto, quelli che hanno deciso di restare, nonostante l’ordine di evacuazione giunto dagli israeliani, non sanno come sfamarsi. Quando hanno saputo che sarebbero arrivati degli autocarri carichi di aiuti umanitari si sono precipitati sul posto».
Ma ad attenderli non c’era alcun camion con i tanto necessari generi di prima necessità. In quella zona, ha proseguito Safwat K., c’erano solo i mezzi corazzati israeliani, che hanno aperto il fuoco: «I morti sono almeno 25, temo che il bilancio aumenterà, alcune delle decine di feriti sono in condizioni critiche».
Non è ancora confermato ma pare che tutto sia partito da sms giunti sui cellulari di diverse persone nel nord di Gaza che annunciavano l’arrivo degli aiuti alla rotonda «Kuwait». Poi sarebbe cominciato un rapido passaparola tra le case ancora in piedi e quelle danneggiate dove vivono in condizioni disumane numerose famiglie che non sanno dove andare.
IN POCHI MINUTI un fiume di esseri umani bisognosi di cibo e acqua si è messo in marcia. I primi colpi, sparati da mitragliatrici pesanti sono arrivati pochi minuti dopo. Il panico
Commenta (0 Commenti)Primo sì all’autonomia differenziata che spacca l’Italia. La maggioranza prova a rassicurare sulla tenuta unitaria del paese, ma è impossibile senza risorse. E al momento del voto la Lega rivendica con la bandiera dei secessionisti veneti. L’opposizione punta al referendum
STATE SERENISSIMI. La coincidenza del trentennale della «discesa in campo» di Berlusconi con il primo voto favorevole all’autonomia differenziata incornicia la destra italiana. Pulsioni secessioniste ed egoistico-nordiste del genere padroni in casa […]
Matteo Salvini e Giorgia Meloni - LaPresse
La coincidenza del trentennale della «discesa in campo» di Berlusconi con il primo voto favorevole all’autonomia differenziata incornicia la destra italiana. Pulsioni secessioniste ed egoistico-nordiste del genere padroni in casa nostra c’erano anche allora, trent’anni fa. E anche allora la Lega (Nord) di Bossi non legava bene con i patrioti post missini di Fini (tra i quali una giovane Meloni, ammiratrice dichiarata del pochissimo federalista Mussolini). Berlusconi inventò una doppia alleanza, diversa anche nei simboli al Nord e al Sud. Trovata ottima per conquistare il potere ma zoppicante per governare, eppure capace in forme più o meno coerenti di durare un ventennio.
Tra la retorica nazionalista e l’indipendentismo padano l’intesa non è mai stata e mai potrà essere strategica, fondata su una razionalità politica o un programma di riforme realizzabili. Ma è stata e continua a essere un’intesa consolidata da convinzioni comuni: l’egoismo dei ricchi, il merito come privilegio dei favoriti, la solidarietà come carità, le tasse come un balzello, il denaro come misura del valore di tutto, il potere pubblico come un’oppressione. Nell’insieme un’ideologia reazionaria che nel regionalismo differenziato trova adesso una forma nuova. Non si chiama più secessione o devoluzione ma è la stessa cosa.
Tricolori contro la secessione. Il Senato dice sì all’autonomia
Questa condivisione ideologica di fondo delle due destre al governo – Forza Italia non ha avuto alcun ruolo in questa partita – giustifica e spiega la confezione pasticciata del disegno di legge approvato ieri. Una norma ordinaria che si vorrebbe sovraordinata, cosa impossibile, alle norme di pari grado necessarie a recepire gli accordi tra stato e regioni. Una riforma che
Leggi tutto: La destra che divide per unirsi - di Andrea Fabozzi
Commenta (0 Commenti)IL MURO DI BERLINO. In Germania sale la mobilitazione antifascista. In molti comuni si riempiono le piazze e sabato 3 febbraio una catena umana si alzerà a proteggere il Reichstag dal fuoco neonazi. Spd e Verdi pensano al taglio dei contributi per Afd, non allo scioglimento
La manifestazione antifascista domenica a Berlino - Ap
Non si ferma l’ondata antifascista che ormai ha investito ogni singolo comune della Repubblica federale tedesca. Ieri il terzo giorno di mobilitazione a tutti i livelli con centinaia fra cortei organizzati, manifestazioni spontanee, sit-in, dibattiti e assemblee pubbliche per chiedere di arginare il boom dell’estrema destra nel formato doppiopetto di Afd quanto la messa fuorilegge delle decine di gruppi neonazisti da anni incistati nella socialdemocrazia.
Una piazza coincidente ormai con l’intero Paese e nessuna intenzione di ridursi o, peggio, sciogliersi dopo il “sussulto” di coscienza iniziale, prima del prevedibile calo dell’interesse mediatico.
Ieri quasi 200 organizzazioni della società civile tedesca hanno fissato la «demo generale dell’Antifascismo» che vedrà la partecipazione in massa dei cittadini ma anche delle massime cariche istituzionali della Bundesrepublik: il prossimo 3 febbraio attorno al palazzo del Reichstag, l’attuale sede del Parlamento, verrà eretto il gigantesco «Brandmauer», il «Muro tagliafuoco» contro il pericolo d’incendio dell’estrema destra.
UNA VERA E PROPRIA catena umana per proteggere il luogo principe della democrazia. «Sarà l’abbraccio al Bundestag. La nostra alleanza non a caso si chiama
Leggi tutto: Tutti contro Afd, ma il governo non vuole scioglierla - di Sebastiano Canetta, BERLINO
Commenta (0 Commenti)«Siamo stufi, chiediamo un accordo con Hamas». Accampati sotto casa di Netanyahu, i familiari degli ostaggi guidano la nuova ondata di proteste contro il premier israeliano. Ma non è aria di cessate il fuoco: a Gaza i morti sono oltre 25mila, il 70% donne e bambini
GUERRA A GAZA. Crescono le proteste contro il premier. A Gaza cimiteri profanati, la denuncia di Cnn
Protesta dei famigliari di alcuni ostaggi detenuti da Hamas - Ap
«Dimettiti, chi distrugge non costruirà, chi distrugge non creerà» ha urlato da un palco nel centro di Tel Aviv, Yonatan Shamriz, fratello di Alon ucciso a Gaza «per errore» dall’esercito israeliano. Intorno, una folla di migliaia di persone riunita sotto la scritta luminosa «riportateli a casa» ha chiesto le dimissioni del premier Benjamin Netanyahu e del suo governo, innalzando cartelli con le foto degli ostaggi. «Elezioni subito» gridavano anche a Haifa e a Gerusalemme mentre a Cesarea venerdì notte diverse famiglie del «Forum per la liberazione degli ostaggi» si sono accampate fuori dalla casa vacanze di Netanyahu e sono rimaste lì per tutto il giorno seguente. «Le famiglie sono stufe» si legge in una nota, «chiediamo subito un accordo».
INTANTO LA GUERRA CONTINUA e dei 25 mila morti gazawi dichiarati ieri dal ministero della Salute di Hamas il 70% sono donne e bambini. A dirlo è l’Agenzia dell’Onu che promuove l’uguaglianza di genere, Un women, secondo la quale ogni ora nella striscia muoiono due madri. Inoltre, dall’inizio dell’operazione di terra almeno 3 mila donne potrebbero essere rimaste vedove e almeno 10 mila bambini potrebbero aver perso il padre. Dei 2,3 milioni di abitanti del territorio, si legge nel rapporto di Un women, 1,9 milioni sono sfollati e «quasi un milione sono donne e ragazze». In totale, in 100 giorni di conflitto a Gaza le vittime sono quasi 3 volte superiori a quelle complessive degli ultimi 15 anni. Cifre agghiaccianti che però sembrano non influire in nessun modo sull’andamento del conflitto. Secondo Hamas nelle ultime 24 ore i bombardamenti israeliani hanno lasciato a
Leggi tutto: Basta Netanyahu. Ostaggi, «le famiglie sono stufe» - di Sabato Angieri
Commenta (0 Commenti)«Bisogna evitare l’esportazione di armi verso i conflitti, in particolare ad Israele. Non si può rischiare che vengano utilizzate per crimini di guerra». Schlein con una sterzata coraggiosa spezza la quiete del ritiro campestre del Pd. Ma gli avversari l’attaccano e il suo partito tace
L'HA DETTO. La segretaria Pd da Gubbio: «Non alimentiamo il rischio di crimini di guerra». Destra e renziani attaccano: «Parole da estremista»
Elly Schlein a Gubbio - Lapresse
Elly Schlein arriva a Gubbio, al conclave dei gruppi parlamentari del Pd, e non si sottrae di fronte alle questioni più urgenti. A partire dalla guerra a Gaza. «Dobbiamo porci la questione di evitare di alimentare questi conflitti – dice di fronte ai gruppi nella sala del resort dei Cappuccini – Bisogna evitare l’invio di armi e l’esportazione di armi verso i conflitti, verso il conflitto in Medio oriente, in particolare in questo caso ad Israele. Perché non si può rischiare che le armi vengano utilizzate per commettere quelli che si possano configurare come crimini di guerra». Sono parole che segnano un passaggio, anche in vista delle elezioni europee e di una partita che si giocherà sui temi della guerra e della pace.
SCHLEIN COLLOCA in questo modo la sua posizione in relazione alla votazione sulla risoluzione Ue sul conflitto e dentro lo schema del Partito socialista europeo, che l’uno e due marzo prossimi terrà proprio a Roma il suo congresso elettorale per scegliere lo spitzenkandidat. «Sulla pace l’Europa deve dare il suo contributo altrimenti sarà condannata all’irrilevanza – dice la segretaria ai suoi – Il cessate il fuoco è la condizione per riuscire a liberare i prigionieri di Hamas, avviare un percorso che porti a una soluzione due popoli e due stati. Peccato che i popolari in Europa abbiamo reso impossibile quel cessate il fuoco con un emendamento che contiene condizioni impossibili da realizzare. Per noi il cessate il fuoco deve essere immediato, lo diciamo da ottobre». E non è un caso che i primi a reagire sono i renziani. Raffaella Paita dice che «forse la segretaria ha dimenticato di essere a capo di quello che un tempo era un grande partito riformista e atlantista». Per la deputata di Iv, la segretaria dem «ha confuso il Pd con un’assemblea di un centro sociale occupato». Il capogruppo renziano (eletto col Pd) Enrico Borghi dice che in questo modo «si
Leggi tutto: Schlein rompe il tabù: «Basta armi a Israele» - di Giuliano Santoro
Commenta (0 Commenti)LA SENTENZA. «Da punire solo se si punta alla ricostituzione del partito fascista» Esulta la destra estrema: «Fine delle polemiche su Acca Larentia»
Il saluto romano è reato. Ma solo se accompagnato dalla volontà di ricostituire il disciolto partito fascista. Così ha deciso la Cassazione a sezioni riunite, in quella che (in astratto) dovrebbe essere la parola fine sulla vicenda. I giudici erano stati chiamati a esprimersi sul caso di otto militanti di estrema destra condannati in primo e in secondo grado per aver fatto il saluto romano nell’aprile del 2016 durante la tradizionale commemorazione di Sergio Ramelli, Carlo Borsani ed Enrico Pedenovi. Adesso gli otto dovranno tornare in Appello e la Corte che dovrà chiarire «se dai fatti accertati sia conseguita la sussistenza del concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista».
In mattinata il pg aveva sostenuto la tesi che il saluto fascista può essere reato se costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, ma poi le sezioni unite sono andate oltre: la «chiamata del presente» e «il saluto romano» rientrano nella legge Scelba «ove, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso» siano idonei «a integrare il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione».
Solo «a determinate condizioni» ci si può appellare alla legge Mancino, quella che «vieta il compimento di manifestazioni esteriori proprie o usuali di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi».
Di fatto la Cassazione sembrerebbe consolidare il suo orientamento storico sulle manifestazioni neofasciste, prediligendo la legge Scelba rispoetto alla legge Mancino. È una questione di concretezza: la prima si riferisce a questioni dimostrabili (anche se difficili) come il tentativo di rimettere in piedi il Pnf, mentre la seconda è più generica e discrezionale perché riguarda i
Leggi tutto: La Cassazione sul saluto romano: reato, ma non sempre - di Mario Di Vito
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