INTERVISTA . Storia critica dell'IDF. Il docente, saggista e filmaker ebreo israeliano spiega: «Nella maggioranza degli stati è lo stato che crea un esercito e l’esercito serve lo stato. Qui è l’inverso, è l’esercito che ha creato lo stato e ha definito la sua identità sionista»
Un tank israeliano al confine tra Gaza e Israele - Ap
Quando ci colleghiamo su Zoom per l’intervista, Haim Bresheeth è da poco rientrato da un presidio di studenti pro-Palestina, uno dei molti a cui è stato invitato in questi mesi, in Gran Bretagna e in altri paesi. Da quando l’esercito israeliano ha cominciato l’operazione genocida su Gaza, Bresheeth si spende per spiegare, per contestualizzare quello che sta avvenendo, come parte di un lungo progetto coloniale, ma la sua voce di ebreo israeliano anti-sionista non trova ascolto nei media di massa. «La Bbc mi ha intervistato quattro volte durante le manifestazioni a Londra. Nessuna è andata in onda. Non vogliono sentire quello che ebrei come me hanno da dire».
Eppure Bresheeth avrebbe più di una ragione per essere ascoltato. Professore di media e cinema in pensione, filmmaker, fotografo, storico e autore di vari libri dedicati a Israele e Palestina, ha passato gli ultimi cinquant’anni a costruire ponti tra culture, lavorando in università britanniche e israeliane, più recentemente alla School of Oriental and Asian Studies (SOAS) di Londra.
È nato a Roma nel 1946, in un campo per rifugiati dove entrambi i genitori, ebrei polacchi sopravvissuti ad Auschwitz, erano riparati. «Ma come apolidi non potevano ottenere un visto, né per rimanere né per andare in altri paesi. Le uniche soluzioni che ci venivano offerte erano tornare in Polonia, dove i sentimenti anti-ebrei non erano sopiti, o andare in Israele. Fin dalla conferenza di Evian, sionisti come Ben Gurion avevano opposto le politiche dei visti per
Commenta (0 Commenti)Nera per essere stata formalmente esclusa dal patto per le nomine europee, Meloni è pronta a salire a bordo con von der Leyen, un po’ di nascosto. La candidata alla Commissione Ue ne ha bisogno e ne condivide le scelte di destra, come scrive in una lettera sui migranti
CLANDESTINA. La premier, esclusa dall’intesa sugli incarichi di vertice, attacca in parlamento: «La logica del consenso scavalcata dai caminetti»
Giorgia Meloni durante le comunicazioni al Senato in vista del Consiglio europeo - foto LaPresse
Furiosa come non la si era mai vista e non solo per l’influenza che la rende febbricitante. Nelle aule di camera e senato per la tradizionale relazione alla vigilia delle riunioni del Consiglio europeo Giorgia Meloni non nasconde massima irritazione e del resto se anche ci provasse non ce la farebbe.
Per garantire la stabilità serve aprire un confronto con i Conservatori. Non faremo mai accordi con i Verdi. Con i Verdi per noi diventa difficile votare
L’umiliazione che ha subìto per la seconda volta consecutiva in Europa brucia troppo. «La logica del consenso viene scavalcata da quella dei caminetti nei quali alcuni pretendono di decidere per tutti. Una sorta di conventio ad excludendum in salsa europea che non intendo accettare», dichiara a spada sguainata. La minaccia è esplicita: «Ci sono tre partiti che si considerano maggioranza in Europa e distribuiscono incarichi apicali. Lo vedremo in Parlamento col tempo». E, rispondendo a un intervento dell’opposizione: «Dite che la maggioranza esiste e resiste? Che resista è certo, se esiste lo vedremo col tempo». A Strasburgo una maggioranza stabile non esiste. Si forma per lo più sui singoli voti e ciò lascia ampio spazio di manovra a un gruppo forte e in grado di fare sponda con il resto della destra. La minaccia della Giorgia furiosa non è priva di fondamento.
Non sono i contenuti a mandare la premier fuori di sé. Da quel punto di vista potrebbe dirsi soddisfatta. Le è stato promesso un commissario di serie A con tanto di vicepresidenza esecutiva e non è mai successo che a un partito esterno agli accordi di maggioranza venga assegnato il ruolo esecutivo. Nell’impostazione strategica la politica dell’immigrazione, per come è stata illustrata ieri nella lettera di von der Leyen, potrebbe averla dettata direttamente lei. Sulla guerra in Ucraina l’intesa è totale e anche il passo indietro sul green deal non manca.
IL PROBLEMA È LA FORMA, che in questi casi diventa però sostanza. Per prassi al terzo gruppo per numero di eurodeputati spetta
Leggi tutto: Meloni furiosa verso l’astensione nel Consiglio Ue - di Andrea Colombo
Commenta (0 Commenti)GOVERNO E MEDIA . Trentacinque anni fa, dopo l’omicidio del rifugiato sudafricano Jerry Masslo, avvenuto nell’agosto del 1989 a Villa Literno, il 7 ottobre di quell’anno, un vasto schieramento di forze sociali promosse la […]
Alcuni momenti della manifestazione dei lavoratori braccianti ieri a Latina - foto di Andrea Sabbadini
Trentacinque anni fa, dopo l’omicidio del rifugiato sudafricano Jerry Masslo, avvenuto nell’agosto del 1989 a Villa Literno, il 7 ottobre di quell’anno, un vasto schieramento di forze sociali promosse la prima grande manifestazione contro il razzismo. Quella data segna la nascita di un movimento antirazzista per i diritti delle persone di origine straniera e contro ogni forma di discriminazione.
A distanza di 35 anni, la condizione del mondo dell’immigrazione è peggiorata e, nonostante il numero di migranti sia cresciuto (da poche centinaia di migliaia del 1989 a più di 5 milioni oggi), abbiamo visto diminuire la visibilità e il protagonismo di migranti e rifugiati, in parallelo a un aumento della politicità dell’argomento e di un uso sempre più strumentale a fini elettorali.
La scarsa presenza nel dibattito pubblico sull’immigrazione dei protagonisti, insieme all’uso aggressivo di argomenti razzisti, ha portato a una progressiva disumanizzazione delle persone, permettendo a politici e giornalisti spregiudicati di usare argomenti esplicitamente razzisti senza alcuna vergogna. Questa condizione ha autorizzato chiunque a considerare stranieri, migranti, rifugiati, lavoratori e lavoratrici come numeri, la cui vita evidentemente non vale nulla.
Le affermazioni di Renzo Lovato, datore di lavoro di Satnam Singh, sulla responsabilità del lavoratore morto «per mancanza di attenzione», cancellano le circostanze che
Leggi tutto: La costruzione del nemico migrante - di Filippo Miraglia
Commenta (0 Commenti)QUALCOSA IN COMUNE Firenze, Bari, Perugia, a sorpresa anche Potenza e Campobasso. Sale ancora l’astensione e il centrosinistra fa fatica lontano dai centri urbani, ma vince i ballottaggi nelle principali città (tranne Lecce). Un buon segnale per Schlein e una spinta per l’alleanza, da costruire
I 14 ballottaggi nei capoluoghi di provincia finiscono 7-5 per il centrosinistra, con due successi civici. Pd e alleati si confermano a Bari, Firenze, Campobasso e Cremona e conquistano Perugia, Potenza e Vibo Valentia. Le destre si consolano con Rovigo, Urbino, Vercelli, Caltanissetta e Lecce. A Verbania e Avellino vincono due civici.
DUE SETTIMANE FA erano stati assegnati al primo turno altri 15 capoluoghi, con un risultato di 10-5 per i progressisti (tra queste spiccavano le vittorie di Cagliari e Bergamo, mentre le destre confermavano la guida di Pescara e Ferrara). Il dato finale dunque è di 17 città contro 10: rispetto a 5 anni fa, quando la situazione era in sostanziale equilibrio, si registra un’avanzata del centrosinistra, ancora più rilevante visto che nel frattempo le destre hanno vinto le politiche del 2022 e a palazzo Chigi è arrivata Giorgia Meloni.
In questo contesto, vincere in 6 capoluoghi di regione su 6 per Pd e alleati non è una cosa da poco. In particolare in una regione, come la Basilicata, dopo ad aprile le destre avevano stravinto le regionali mentre in questo fine settimane la ricomposizione tra le forze progressiste (dopo i traumi di questa primavera che hanno prodotto una spaccatura anche dentro il Pd che non ha presentato il simbolo)) ha consentito a Vincenzo Telesca di battere col 64,9% il candidato della destra Francesco Fanelli che era indicato come grande favorito della vigilia.
Per non parlare di Perugia, governata da dieci anni dal centrodestra, dove all’inizio della campagna l’outsider Vittoria Ferdinandi veniva considerata, anche dentro il Pd, un azzardo e invece si è imposta col 52% in un ballottaggio durissimo. «Si può battere la destra con un profilo di cambiamento», gongola Nicola Fratoianni che ha sostenuto da subito la sua candidatura. Un campo largo che si è replicato a Campobasso, dove un’altra civica, l’ex provveditrice Maria Luisa Forte, partiva con 15 punti di distacco e ha ribaltato la partita (per un soffio).
A Perugia esplode la festa per Vittoria Ferdinandi sindaca
Leggi tutto: Il centrosinistra vince 17-10 la sfida delle città. Esulta il Pd - di Andrea Carugati
Commenta (0 Commenti)A Latina per ricordare Satnam. Una morte che è sulla coscienza di chi continua a non vedere lo sfruttamento quotidiano di chi è schiavo in queste terre
Satnam Singh è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La tragedia del giovane migrante indiano, abbandonato moribondo davanti a casa, dopo un terribile incidente sul lavoro ha colpito il Paese intero. L’atroce dinamica del suo infortunio – un braccio staccato da una macchina agricola – è stata ripresa anche dalle agenzie di stampa internazionali e ha gettato un ulteriore fascio di luce, se ce ne era bisogno, sulla endemica insicurezza sul lavoro in Italia.
Per giunta le indagini sulla morte di Satnam hanno rivelato la patologica quotidianità del lavoro nei campi e nelle serre di un brutto Paese che sfrutta cinicamente il bisogno di lavorare di chi è arrivato nella penisola con mezzi di fortuna ed è costretto da una legge orribile come la Bossi-Fini ad accettare qualsiasi impiego, senza diritti né tutele, pur di sbarcare il lunario.
Anche per questo a Latina sono arrivati lavoratrici e lavoratori da tutta Italia. Comunità migranti che sentono sulle loro spalle il peso di una situazione insostenibile, spesso e volentieri condannate dalla burocrazia italiana a fare salti mortali per ottenere quel pezzo di carta che segna il confine fra i sommersi e i salvati. In piazza ora urlano la loro rabbia, il loro dolore per la perdita di un fratello, le loro sacrosante rivendicazioni di una vita regolare per poter lavorare con più sicurezza e più dignità. Anche la politica, o almeno parte di essa, è qui a
Leggi tutto: LA DENUNCIA: Nessuno più al mondo deve essere sfruttato - di FRIDA NACINOVICH
INVADO AVANTI. Decine di civili uccisi nel campo profughi e a Tuffah. Preso di mira un leader di Hamas. Anche la Croce rossa sotto attacco a Mawasi. Cuba appoggia il procedimento per genocidio contro Tel Aviv alla Corte internazionale di Giustizia
Gaza.Palestinesi issano una bandiera accanto alla loro casa distrutta da attacco aereo ad Al Bureji
Il cessate il fuoco, l’interruzione dell’offensiva israeliana, la fine delle stragi di civili palestinesi. Nulla di tutto ciò è all’orizzonte a Gaza. Al contrario, mentre cala l’attenzione internazionale sulla distruzione pezzo per pezzo della Striscia, le forze armate israeliane hanno intensificato l’avanzata su Rafah e con essa i raid aerei, ovunque, devastanti come nei primi mesi dopo il 7 ottobre. Se venerdì l’orrore aveva assalito gli sfollati di una tendopoli a Mawasi, sulla costa meridionale, per le cannonate che hanno ucciso 25 palestinesi, ieri morte e distruzione hanno percorso le strade colme di macerie del campo profughi di Shate, di Shujayeh e Tuffah a ridosso del capoluogo Gaza city.
Esplosioni violente di bombe ad alto potenziale hanno polverizzato una ventina di case e palazzi a Shate. L’obiettivo, si dice, era Saad Raad, un alto dirigente di Hamas. Ma in quelle strade, in quelle poche case ancora in piedi o danneggiate c’erano civili innocenti, tra cui bambini, in gran parte sfollati dal nord. È stata una strage: 24 persone sono state uccise e decine ferite. Sotto le macerie sono rimasti altri 14 palestinesi.
I filmati che circolano in rete mostrano dozzine di persone impegnate a cercare vittime tra le case distrutte. Della sorte di Saad Raad non si sapeva nulla ieri sera. Quasi nello stesso momento altre bombe sono cadute su Tuffah – 18 gli uccisi – e Shujayeh. Sette palestinesi sono stati uccisi a Zayton, il sobborgo di Gaza city da dove partono attacchi con mortai e lanciarazzi di Hamas contro i veicoli dell’esercito sul Corridoio Netzarim, costruito da Israele per tagliare a metà la Striscia di Gaza. In 24 ore sono stati uccisi 101 palestinesi, 37.551 dal 7 ottobre.
Forensic Architecture: Hind Rajab uccisa da un carro armato israeliano
A sud ieri non è andata meglio. Rafah è un inferno di
Leggi tutto: Massacro a Shate. Israele accelera l’offensiva a Gaza - di Michele Giorgio, GERUSALEMME
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