Tunisia, Mauritania e Marocco utilizzano i mezzi e i soldi dell’Unione per deportare i migranti nel deserto e smaltirli come rifiuti. Un’inchiesta svela il lato oscuro dei «memorandum». Intanto in Italia i giudici che hanno assolto le Ong portano alla luce un dossieraggio contro i soccorsi in mare
SCARTI D'EUROPA. Soldi, bus e fuoristrada ai paesi del Nord Africa. Per deportare i subsahariani nel deserto
Un migrante ricacciato nel deserto tra Tunisia e Libia foto Ap
11 luglio 2023. Poco fuori Sfax, città costiera della Tunisia, viene ripreso un fuoristrada bianco mentre scorta un autobus pieno di migranti arrestati in uno dei recenti raid effettuati nella città. Ingrandendo l’immagine si vede che il fuoristrada è un Nissan Navara. Spulciando tra i bandi e le forniture della polizia di stato italiana si scopre che oltre cento di questi modelli erano stati dati dal governo italiano tra il 2022 e il 2023 al ministro dell’interno tunisino per il contrasto dell’immigrazione illegale.
Oggi i mezzi dello stesso modello vengono usati per espellere i migranti ai confini desertici della Tunisia, e non solo. Anche le forze di sicurezza di Mauritania e Marocco sono coinvolte in questo tipo di violenze.
Le Nissan sono solo una delle tracce che si intravedono tra le strade sabbiose dei paesi del Nord Africa e che oggi sono percorse da decine di mezzi stanziati dall’Unione europea e dai suoi Stati membri, tutti diretti a gettare i migranti nel nulla. Scorrendo indietro i programmi europei e gli accordi bilaterali si iniziano a vedere le prime forniture dal 2016, anno in cui la Germania ha donato alla Tunisia 25 Toyota Hilux.
L’ANNO SUCCESSIVO è sempre Berlino a fornire altre 37 Nissan Navara al ministro degli Interni tunisino. Ma la lista non finisce qui. La Spagna, finanziata per oltre 4 milioni dal fondo europeo per l’Africa, EUTF, e attraverso l’agenzia governativa per la promozione delle politiche pubbliche, la Fundación Internacional y para Iberoamérica de Administración y Políticas Públicas (FIIAPP) nel 2018 ha fornito 75 Toyota hilux e oltre cento Land Cruiser allo stato del Marocco, gli stessi modelli fotografati negli scorsi mesi durante rastrellamenti operati dalla polizia marocchina per le strade delle città alla ricerca di migranti dalla pelle scura.
Nello stesso anno infine, la FIIAPP ha donato alla Mauritania almeno 9 fuoristrada, due autobus e ha provveduto alla riparazione di due centri di detenzione a Nouakchott, la capitale del paese, e Nouadhibou, città sulla costa. Entrambi questi punti sono snodi fondamentali in cui i migranti vengono portati prima di essere espulsi verso i confini desertici del Marocco o le zone di frontiera con il Mali, dove ancora imperversano conflitti armati.
A CONFERMARE IL TUTTO ci pensa un
Leggi tutto: Caccia ai migranti con i mezzi forniti da Roma e Bruxelles - di Fabio Papetti*
Commenta (0 Commenti)IRAN. Con la morte del presidente Ebrahim Raisi (e del suo ministro degli Esteri Amirabdolahian) si apre in Iran una doppia successione. La prima, a breve, è quella per la presidenza […]
Memoriale davanti all'ambasciata iraniana a Bucarest dopo la morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi e del ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian - Ap
Con la morte del presidente Ebrahim Raisi (e del suo ministro degli Esteri Amirabdolahian) si apre in Iran una doppia successione.
La prima, a breve, è quella per la presidenza dove il suo vice Mohammed Mokhber dovrà guidare il Paese a nuove elezioni entro cinquanta giorni.
La seconda riguarda quella alla Guida Suprema Ali Khamenei, anziano e di salute malferma, di cui Raisi veniva indicato come un probabile successore (insieme allo stesso figlio di Khamenei Mojtaba).
Il tutto avviene in un Paese dove si manifesta un sempre maggiore scollamento tra il regime e la popolazione e in un contesto regionale e internazionale incendiario in cui, con la guerra di Gaza, l’Iran e Israele il mese scorso si sono confrontati per la prima volta nella storia sul piano militare.
La scomparsa di Raisi ha già delle conseguenze immediate interne insieme ad altre che potrebbero incidere sulla repubblica islamica sciita e su tutta la regione. In primo luogo la transizione alla presidenza – che in Iran è di fatto la direzione governo mentre la massima istanza è la Guida Suprema Alì Khamenei – viene assunta dal vice di Raisi, Mohammed Mokhber, personaggio non di primissimo piano ma gerarca di alto livello in quanto capo della Setad, la fondazione della Guida Suprema che costituisce il più grande conglomerato economico del Paese.
Ma Raisi non era soltanto il presidente con una lunga carriera come capo della magistratura: era il leader ultraconservatore che avevano voluto Khamenei e i Pasdaran, le guardie della Rivoluzione, per conquistare la presidenza nel 2021 e succedere al più moderato Hassan Rohani che aveva firmato gli accordi sul nucleare con l’amministrazione Obama nel 2015, contestati per altro dall’ala più radicale del regime.
La sua ascesa è stata dovuta al più rilevante cambiamento del regime iraniano degli ultimi decenni: la sempre maggiore influenza dell’ala militare dei Pasdaran che ha condizionato anche l’establishment religioso.
Le Guardie della Rivoluzione – fondamentali durante rivoluzione e nella guerra contro il dittatore iracheno Saddam Hussein negli anni Ottanta – avevano già conquistato la presidenza con Ahmadinejad ma dopo la fase di Rohani volevano riaffermare la loro preminenza nel Paese sia sul fronte della sicurezza che su quello economico. Le linee di politica estera e interna un tempo venivano elaborate nel dibattito, a volte assai aspro, all’interno delle sfere religiose di Qom, una sorta di Vaticano dello sciismo, oggi l’ala militare, già in primo piano con il generale Qassem Soleimani – eliminato dagli americani il 3 gennaio del 2020 a Baghdad – è diventata sempre più decisiva. E per un motivo evidente: dopo l’11 settembre 2001, la guerra afghana e l’invasione americana dell’Iraq nel 2003, i militari sono andati sempre più in prima linea su un fronte mediorientale diventato ribollente con l’ascesa in Mesopotamia di Al Qaeda e dell’Isis, due formazioni sunnite terroristiche ostili ai musulmani sciiti e all’Iran. Con le primavere arabe, la rivolta contro il siriano Assad nel 2011 e lo scontro tra Hezbollah libanesi e Israele, i Pasdaran hanno di fatto guidato non solo le truppe ma anche determinato la politica estera e le alleanze Teheran.
Raisi, pur con il turbante nero dei Seyed, segno distintivo dei discendenti di Maometto, era il risultato di questa evoluzione. Non è un caso che ieri ci sia stato il cordoglio di Hamas e degli Hezbollah, oltre a quello russo e cinese, perché Raisi come presidente e possibile successore di Khamenei rappresentava
Leggi tutto: I nodi di Teheran, doppia successione (con incognita) - di Alberto Negri
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Una squadra di salvataggio sul luogo dell’incidente aereo nel quale ha perso la vita il presidente iraniano Ebrahim Raisi @Ap
Oggi un Lunedì Rosso dedicato ai ponti.
Quello che collega le elezioni comunali alle europee. Due sfide diverse che in tremila comuni italiani avranno luogo in parallelo l’8 e 9 giugno.
Ma anche il ponte ancora immaginario che dovrebbe unire Calabria e Sicilia sullo Stretto di Messina. Una nuova valutazione sull’impatto ambientale evidenzia gli aspetti più dannosi dell’opera.
Un collegamento molto contestato è invece quello tra università e guerra. Dedicare la ricerca (pubblica) al settore bellico è una scelta che non può avvenire nell’indifferenza della cittadinanza.
Il ponte è anche ciò che crea dialogo tra diversità, un compito che ci spetta ogni giorno.
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20 maggio 1970 - 20 maggio 2024
Pochi eventi nella storia repubblicana italiana hanno assunto una valenza tanto emblematica e straordinaria da assurgere, nell’interpretazione degli analisti, ad autentico spartiacque fra un prima e un dopo, come il biennio operaio 1969-70. La centralità del conflitto, culminato nell’ “autunno caldo”, offrirà una testimonianza per molti versi unica, per intensità e durata, in virtù di un protagonismo delle masse come solo di rado si verifica nella storia di una nazione. Al punto da indurre vari osservatori a instaurare un parallelo fra quel biennio e pochi non meno cruciali altri, come quello del 1943-45 e finanche del 1920-21. Lo Statuto dei lavoratori ne sarà, il 20 maggio 1970, l’approdo normativo più celebre e rappresentativo.
Fin dal suo III Congresso del 1952, a Napoli, la Cgil chiedeva una “Carta dei diritti dei lavoratori”, volta a riconoscere l’esercizio dei diritti civili e politici, anche nei luoghi di lavoro. L’obiettivo, si sarebbe detto più avanti, era quello di “fare entrare la Costituzione in fabbrica”.
Il suo iter non fu semplice, e non soltanto a causa della prematura morte del ministro del Lavoro, il socialista Giacomo Brodolini, nell’estate del ’69, quando il Ddl era ancora in discussione.
Obiezioni e resistenze provenivano da un variegato fronte di organizzazioni e interessi. Sorvolando su quelle, scontate, del mondo datoriale e liberal-conservatore, ricordiamo
come il Pci si opponesse a causa dell’esclusione degli organismi politici dai luoghi di lavoro; la Cisl per via della sua programmatica ritrosia verso la legge, già manifestata
nel ’66, in tema di licenziamenti individuali; la sinistra extraparlamentare per il timore di imbrigliare e cristallizzare rapporti di forza che, allora, dovevano apparire come inesauribilmente progressivi.
Alla fine lo Statuto venne approvato (legge n. 300) e si trattò, come ha scritto Gian Primo Cella, dell’ “atto di ‘ammissione’ (se non di ‘promozione’) delle relazioni industriali più significativo messo in atto nei sistemi liberal-democratici”. Articoli come il 18 e il 28 doteranno i lavoratori e il sindacato italiano di alcune fra le misure più intensamente garantiste del
Commenta (0 Commenti)Cerimonia del fango a Faenza per ricordare l’alluvione. Nel tardo pomeriggio, sette cortei sono partiti dalle zone della città più colpite dall’alluvione e hanno raggiunto Piazza del Popolo, dove è stato celebrato un rito collettivo con l’intento di rinnovare il legame di comunità andatosi a creare nei giorni dell’emergenza: associazioni, scuole, enti, gruppi di residenti che hanno subito danni dall’alluvione hanno voluto ricordare con un gesto, un’azione teatrale, una performance quello che è successo fra il 2 e il 3 e fra il 16 e il 17 maggio 2023.
La cerimonia del fango è un progetto della compagnia teatrale Menoventi.
17 vittime, 70mila persone e 16mila imprese coinvolte, 8,5 miliardi di euro di danni. “Ristori fermi al palo”, la denuncia di Massimo Bussandri della Cgil
23 fiumi esondati, 540 chilometri quadrati di territorio allagati. E poi ancora 17 morti, 70mila persone coinvolte, gente che ha perso tutto o parte della propria quotidianità, casa, macchina, lavoro, azienda, coltivazioni, allevamenti. 16mila le imprese coinvolte. A stilare l’elenco dei danni provocati dall’alluvione in Emilia-Romagna del maggio 2023 è il documento della Commissione tecnica guidata dal professor Armando Brath e nominata dalla Giunta Bonaccini. Un organo al quale è stato chiesto, sostanzialmente, di aiutare la ricostruzione, ripensando il modello, affinché non accada mai più.
“A partire dalla serata del giorno 1 maggio 2023 fino al giorno 3 maggio 2023 – è scritto nelle prime righe del Rapporto – il territorio della Regione Emilia-Romagna è stato interessato da eventi idro-meteorologici di eccezionale intensità che hanno determinato una grave situazione di criticità particolarmente nelle province di Forlì-Cesena, Ravenna, Bologna, Modena e Reggio Emilia”.
“Nei giorni 16-17 maggio si è verificato un ulteriore evento meteorologico estremamente intenso che, oltre a interessare i territori delle province romagnole sopra indicate e di quella di Bologna, ha colpito intensamente anche il territorio della provincia di Rimini”.
“Questi eventi meteorologici eccezionali hanno provocato numerosissime alluvioni e frane con conseguente isolamento di molte località, evacuazione di numerose famiglie dalle loro abitazioni, gravi danni a infrastrutture lineari, ad aziende agricole, a edifici pubblici e privati, alle opere di difesa idraulica e alla rete dei servizi essenziali” (per leggere il rapporto clicca QUI).
Leggi tutto: Emilia-Romagna: un anno dall’alluvione, promesse nel fango - di GIORGIO SBORDONI