La carovana Stop the war now ha raggiunto nella mattina di ieri la tappa di Kherson (linea del fronte) nella regione di Oblast. La città è divisa in due e solo gli 800 metri della riva del fiume Dnipro separano i due eserciti. L’allarme è risuonato più volte e gli spari si sono udite in modo forte, ma un piccolo gruppo ha valutato che era importante procedere con la consegna degli aiuti proprio in un luogo segnato da maggiori difficoltà.
La carovana pacifista «Stop The War Now» torna per la quinta volta in Ucraina
Il pastore della locale chiesa evangelica ha mostrato uno dei tanti razzi sparati verso la parte ovest della città sotto il controllo ucraino. «La situazione è molto critica – ha spiegato Gianpiero Cofano dell’associazione Papa Giovanni XIII – il ponte che univa le due parti della città è stato fatto saltare». Il centro culturale della città è diventato un punto per la distribuzione degli aiuti, ovunque vi sono segni di distruzione e i volontari ucraini spiegano punto per punto cosa è avvenuto, i morti e i feriti (solo lo scorso dicembre morirono 10 persone mentre facevano la fila davanti ad uno dei pochi negozi rimasti aperti). L’esercito russo ha bombardato 54 volte la città, solo nella giornata del 1 aprile lasciando sul campo 3 morti e diversi feriti. Ieri i russi hanno effettuato attacchi nell’area di Kherson 61 sparando 224 proiettili, riferiscono fonti militari, colpito il cortile dell’ospedale dove erano ricoverati 200 pazienti. Nei pressi del ponte sono in azione cecchini e droni. «Mi ha particolarmente colpito – continua Cofano – vedere che nel centro culturale i pochi giovani rimasti hanno creato un luogo interno protetto dove hanno messo insieme strumenti musicali e amplificatori per creare una piccola sala per suonare».
La carovana distribuisce aiuti in una Mykolaiv spettrale
Kyrill è un volontario della chiesa evangelica, racconta che ogni settimana distribuiscono quello che ricevono a circa 500 persone. La città aveva prima della guerra una popolazione di 300mila abitanti, adesso non si sa, secondo il comando militare locale non più di 20mila. Nei cartelloni gialli affissi dal governo si legge “Siamo liberi”, e “Kherson è una città di eroi”. Liberata dopo sette mesi di occupazione, la città è continuamente sotto l’attacco dell’artiglieria russa. Per il momento come in tutte le altre zone del conflitto si punta solo sulla soluzione militare, lo ha confermato indirettamente l’ambasciatore italiano a Kiev Pier Francesco Zazo, quando in un collegamento con i volontari della carovana ha detto «al momento però non ci sono spiragli diplomatici positivi». La scorsa settimana lo stesso presidente Volodymyr Zelensky si era recato in città per rendersi conto della situazione e per verificare «la sicurezza, il ripristino delle infrastrutture danneggiate».
I volontari di Stop the war now tornano a casa: 150 persone, 25 furgoni, tempo, impegno e soldi che non hanno cambiato le sorti della guerra, ma hanno provato a portare un modo diverso di vedere il mondo anche se la notte è ancora fitta e buia
Una nuova coalizione tra sindacato e organizzazioni ambientaliste della società civile per accelerare la giusta transizione, a partire dalla mobilità sostenibile
Foto: Markus Distelrath da Pixabay
Schierati su due trincee opposte, a guardarsi male e a farsi la guerra in modo neanche tanto velato. Ce lo hanno dipinto così il rapporto tra ambiente e lavoro, nemici storici perché difendono interessi diversi, del capitale naturale da una parte e dell’occupazione dall’altra, impossibili da far convivere.
E invece non è così. La dimostrazione arriva dalla nuova Allenza Clima Lavoro, un’inedita coalizione per la mobilità sostenibile e la giusta transizione, che nasce con obiettivi ambiziosi: allargare il campo dell’impegno e della proposta comune tra sindacato e organizzazioni ambientaliste, promuovere azioni di sensibilizzazione e di mobilitazione pubblica, incalzando il mondo della politica, delle istituzioni e delle imprese.
Ne fanno parte la campagna Sbilanciamoci!, Cgil Piemonte, Fiom Cgil, Kyoto club, Motus-E, Transport&Environment Italia, Legambiente, Wwf e Greenpeace, accomunati da un’unica convinzione: la giusta transizione, che fa bene al clima, all’economia e ai lavoratori, è necessaria e urgente, e deve essere accelerata per recuperare il tempo perduto, a partire dall’obiettivo della mobilità sostenibile e dell’auto elettrica.
"Abbiamo bisogno di uno scatto in avanti – spiega Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci! -. Il governo e le istituzioni devono credere di più nella elettrificazione del Paese e nella sfida di un modello di sviluppo che mette al centro la mobilità sostenibile, le energie rinnovabili, l'idea di una nuova economia. Per questo ci siamo uniti e per questo ci impegneremo”.
Secondo i promotori lo stop alla produzione dei motori alimentati a benzina e diesel dal 2035 chiede al governo a un cambio di passo: servono politiche più incisive per un modello industriale diverso che sappia coniugare gli obiettivi della decarbonizzazione con la salvaguardia dell’occupazione, che certamente potrà beneficiare della transizione all’elettrico.
"Provocatoriamente se vogliamo difendere i posti di lavoro, se vogliamo assumere giovani italiani e non slovacchi, e lo dico al governo dei 'patrioti' di questo Paese, abbiamo bisogno di aumentare le auto elettriche, esattamente il contrario di quello che dice Salvini – afferma Giorgio Airaudo, segretario generale Cgil Piemonte -. Per attrarre capitali, investimenti e, se possibile, un altro produttore”.
Basta dare un’occhiata ai dati: 1 auto su 4 prodotta in Italia è elettrica, la 500 elettrica ha incrementato le vendite. Dall’altra parte, ci vogliono 3 milioni di punti di ricarica entro il 2030, ma oggi mancano installatori, tecnici specializzati, produttori e un piano di formazione univoco tra scuole, università, centri di ricerca.
“In Italia il problema dell’automotive ce lo trasciniamo da 12 anni e non ha a che fare con la transizione ecologica – afferma Michele De Palma, segretario generale Fiom Cgil -. È sufficiente dire che i lavoratori degli stabilimenti di Stellantis sono in ammortizzatori sociali in maniera permanente da 10 anni a questa parte. Il vero nodo del nostro Paese è che ci stiamo concentrando sulla conservazione. Abbiamo poche risorse, ma se non le investiamo sull’innovazione di prodotto e non solo di processo, corriamo il rischio di perdere il capitale più importante, e cioè la conoscenza e la capacità di innovare”.
INDUSTRIA
Sindacati e Federmeccanica presentano uno studio sulla situazione in Europa. De Palma, Fiom: "La ricerca evidenzia l'assenza di politiche pubbliche"
Un progetto Inail-Cnr sullo stress da temperature estreme fornisce informazioni e strumenti. Re David, Cgil: “Intervenire sull'organizzazione e sui dispositivi”
Il 2022 è stato l’anno più caldo di sempre in Italia. Il più caldo dal 1800, cioè da quando registriamo le temperature: oltre 3,5° C in più dell’era pre-industriale, più 1,15°C rispetto alla media del periodo 1991-2020. Negli ultimi dieci anni abbiamo avuto quattro delle estati più torride, oltre a quella del 2022: nel 2012, 2015, 2017 e 2018. Le temperature da record sono state accompagnate da ondate di calore, sempre più frequenti, intense e prolungate, una tendenza che secondo l’opinione unanime degli scienziati è destinata ad aumentare nei prossimi anni a causa dei cambiamenti climatici, anche se le emissioni di gas serra dovessero ridursi.
Lavoratori sotto stress
A essere particolarmente colpiti dagli effetti del caldo sono i lavoratori, soprattutto quelli che svolgono la maggior parte delle attività all’aperto, quindi del settore agricolo e delle costruzioni. Ma quali sono questi effetti? Quali rischi corrono? Come la salute e la sicurezza viene messa a repentaglio dal cosiddetto stress termico ambientale e come cambia la produttività? Per rispondere a queste domande l’Inail ha promosso il progetto di ricerca Worklimate, realizzato con il coordinamento del Cnr, e insieme ad altri enti tra cui aziende Asl della Toscana e il dipartimento di epidemiologia della Regione Lazio.
“Volevamo esplorare un tema che secondo noi è sottovalutato, e cioè gli effetti del cambiamento climatico in termini di salute e sicurezza dei lavoratori – afferma Alessandro Marinaccio dell’Inail –. I fenomeni che stiamo vivendo, aumento medio delle temperature e ondate di calore, in gran parte ineluttabili almeno nel breve periodo, determinano un aumento del rischio di infortuni sul lavoro. La nostra ricerca ha dimostrato che quando c’è un picco delle temperature e quindi le condizioni di lavoro diventano estreme, c’è una perdita di concentrazione e di attenzione, e una minore capacità di reazione rispetto all’imprevisto e a situazioni di pericolo. L’infortunio, cioè il malore, la caduta dal ponteggio o lo svenimento mentre si raccolgono prodotti nei campi a 35-36°C per un periodo prolungato, sono rischi reali. Questo è uno dei risultati cardine del progetto, che ha orientato le attività anche in termini di intervento”.
Obiettivo prevenzione
Oltre ad avere fornito i risultati tipici della ricerca epidemiologica, Worklimate ha predisposto strumenti per la mitigazione e la prevenzione dei rischi. Dalle informazioni sulle patologie da calore e i fattori che contribuiscono alla loro insorgenza, alla stesura di decaloghi sulla prevenzione delle malattie da troppo caldo nei luoghi di lavoro, sul riconoscimento della disidratazione, sull’importanza delle pause.
“Vanno messi in campo interventi sull’organizzazione del lavoro quando ci sono temperature che non consentono le normali attività, per aumentare le pause, mettere a disposizione acqua fresca, fornire un abbigliamento adeguato e dispositivi di protezione, sia che si stia all’esterno che all’interno – spiega Francesca Re David, segretaria nazionale Cgil –. Sono temi che vanno trattati e affrontati in fase di contrattazione e nei luoghi di lavoro, dove il sindacato interviene con i rappresentanti per la sicurezza e negli accordi aziendali, sui quali bisogna premere perché si investa sempre di più. Fino al riconoscimento della cassa integrazione per le fermate dovute al caldo eccessivo, come è accaduto nel settore dell’edilizia lo scorso anno”.
Scarsa consapevolezza
Il fatto è che c’è ancora una scarsa consapevolezza dei pericoli, a tutti i livelli. “La prima delle linee guida prodotte da Worklimate riguarda la percezione del rischio – riprende Marinaccio -. Il punto chiave è essere coscienti che l’esposizione prolungata al caldo estremo è un pericolo per i lavoratori. Non è un fatto scontato, la consapevolezza è scarsa, soprattutto tra i giovani e gli stranieri che non conoscono bene l’italiano, che tra l’altro hanno contratti poco tutelanti in fatto di salute e sicurezza: i nostri questionari lo hanno dimostrato con chiarezza. C’è spazio per intervenire con attività formative, le linee guida operative sono disponibili sul sito del progetto”.
“Di solito i lavoratori sottovalutano tantissimo i rischi legati ai fattori ambientali e climatici – aggiunge Marco Morabito, del Cnr - e il fattore caldo è complesso da percepire: ce ne rendiamo conto quando iniziamo a sudare, ma le problematiche come la disidratazione iniziano molto prima. Il 70 per cento dei lavoratori iniziano la loro attività in una condizione di disidratazione, perché non si presta attenzione a quello che si fa prima dell’orario nel periodo estivo. Per questo, una delle strategie migliori per contrastare le conseguenze di questi fenomeni è la formazione e l’informazione”.
Previsioni del rischio
Worklimate ha prodotto anche uno strumento pratico di uso immediato: una piattaforma per l’allerta caldo, grazie alla quale l’utente lo scorso anno nel periodo estivo ha avuto la possibilità di visualizzare le previsioni di rischio in base alle fasce orarie e al territorio dove si svolgeva l’attività. “Queste previsioni hanno avuto ricadute importanti – spiega Morabito -: l’estate scorsa sono state utilizzate dalle Regioni Puglia, Basilicata, Calabria e Molise per emettere lo scorso anno delle ordinanze che hanno imposto di fermare il lavoro nel settore agricolo dalle 12.30 alle 16, quando la mappa che noi fornivamo indicava un rischio alto. I datori dovevano adeguarsi a queste indicazioni”.
“È un sistema complesso che affineremo grazie alla prosecuzione del progetto, con un aumento della risoluzione spaziale e un calcolo degli indicatori sulla base dei profili di lavoratori – prosegue il ricercatore del Cnr -. A supporto della piattaforma, abbiamo sviluppato anche una web App dedicata ai datori e a chi si occupa di salute e sicurezza che, previa registrazione, consente di personalizzare le previsioni: che tipo di attività si svolge, se esposta al sole o all’ombra, se vengono usati dispositivi particolari, e così via”.
L’anno scorso si è mosso anche l’ispettorato del lavoro, che con una circolare ad hoc ha chiesto di rivolgere particolare attenzione alla prevenzione dei rischi per chi opera all’aperto, come gli agricoli. “Un problema che riguarda anche i forestali, gli addetti dei consorzi di bonifica, gli edili – afferma Tina Balì, della Flai Cgil nazionale -. Le piattaforme che presenteremo a ottobre per il settore agricolo inseriremo come linee guida nazionali la necessità che a livello provinciale vengano contrattati elementi legati alla salute e alla sicurezza, dagli orari di stop del lavoro nelle ore più calde alla distribuzione di dispositivi di protezione, alla distribuzione dell’acqua. Cose che il sindacato di strada già fa, sostituendosi di fatto molto spesso ai datori di lavoro”
L'Italia è il primo Paese al mondo dove è stata sospesa l'applicazione dell'intelligenza artificiale. Una voce solitaria che può essere da apripista
Ecosi arriva lo stop del Garante della privacy alla ChatGPT di OpenAi. Non che il Garante stesso non avesse già evidenziato quale fosse l’entità della raccolta dei dati, come avevamo avuto modo di scrivere. Ma adesso il tema assume una rilevanza diversa e il Garante apre una vera e propria istruttoria e sospende momentaneamente l’utilizzo dell’applicazione. Cosa rileva il nostro Garante, che per primo al mondo si muove in questo senso? Rileva una scarsa chiarezza nell’utilizzo dei dati e la mancanza della base giuridica per la loro conservazione, oltre che una informazione difettosa nei confronti degli utenti. Rilievi importanti.
Il Garante “ha disposto, con effetto immediato, la limitazione provvisoria del trattamento dei dati degli utenti italiani nei confronti di OpenAI, la società statunitense che ha sviluppato e gestisce la piattaforma”. Ora OpenAi ha 20 giorni per rispondere e intanto, solo pochi giorni fa, per un errore tecnico è stato possibile vedere la serie di chat comprensive di dati personali e, udite udite, anche i metodi di pagamento per passare alla versione plus.
Insomma, il Garante italiano non ha perso tempo ed ha nuovamente segnato come, in un campo come questo, sia necessario e indispensabile il quadro regolatorio, fortunatamente già esistente in Europa grazie al GDPR, ma anche un coordinamento europeo e, direi io, globale. Già, perché la tecnologia non ha confini, i dati viaggiano e l’umanità tutta deve essere protetta nei suoi diritti fondamentali. La tutela universale dei diritti umani vale sempre, e dunque perché non per gli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale?
Una voce solitaria quella del Garante della privacy italiano? Per ora, a nostra conoscenza sì. Intanto mentre si discute di come tutelare dati, privacy, conversazioni degli utenti e anche eventualmente dati di transazione economica, in giro per il mondo più aziende tra cui Google e aziende cinesi stanno lavorando per sviluppare la versione numero cinque della chat GPT.
IL CASO
Le nuove funzionalità di OpenAI, la Chat GPT-4, non rendono lo strumento più intelligente, ma riducono solo la possibilità di errori. Tutti i rischi restano
Sappiamo che vi è un gruppo, su cui varrà la pena effettuare un successivo approfondimento, che vede tra i componenti Elon Musk e circa un altro migliaio di persone e chiede una sospensiva di almeno sei mesi sulla ricerca e sulle implementazioni dell’intelligenza artificiale ipotizzando rischi concreti, ossia che questi strumenti "inondino i nostri canali informativi con propaganda e falsità", per arrivare a visioni decisamente più catastrofiche per l’umanità.
Oggettivamente non credo che vi siano oggi timori effettivi di sostituzione dell’intelligenza umana con modelli che la ricercatrice TIMIT GEBRU definisce pappagalli stocastici, capaci cioè di ripetere ciò che hanno immagazzinato. Ma aldilà della lettera in oggetto, che ciascuno potrà valutare, la domanda è perché uno stop proprio adesso che lo sviluppo sta diventando sempre più evidente per l’utilizzo che ne viene fatto dalle persone comuni?
Evidentemente, come più volte abbiamo detto, la tecnologia ha bisogno per ogni sua implementazione di un governo umano a monte che sia in grado di determinarne gli utilizzi migliori, con uno sguardo umanocentrico e non fine a se stesso, o, peggio ancora, finalizzato al mero profitto.
E allora ecco che modelli così sviluppati e sempre più sofisticati come ad esempio può essere chat Gpt possono indurre ad esempio a cattiva informazione, possono portare a Deep fake: si veda ad esempio la famosa immagine passata ultimamente su tutti i media del Papa vestito in modo alquanto bizzarro che sembrava peraltro completamente rispondente al vero, se non fosse che si trattava di una mera ricostruzione artificiale. Il tutto con rischi non indifferenti per la democrazia se la fake inerisse altri temi.
E poi rimangono aperte le vecchie questioni: possibili discriminazioni, gli errori che, per quanto di volta in volta affrontabili, rimangono ancora un problema sensibile se si parla addirittura di effetti allucinatori, e poi la sorveglianza, su cui non vi è affatto da scherzare perché sono elementi prodromici e funzionali. a possibili limitazioni della libertà. Il Garante italiano dice “le informazioni fornite da ChatGPT non sempre corrispondono al dato reale, determinando quindi un trattamento di dati personali inesatto“ non pare una banalità!
Allora ecco che se, ad esempio, l’accesso all’informazione fosse legato solo ed esclusivamente o sempre più frequentemente a prodotti derivanti da una intelligenza artificiale che auto apprende e apprende sulla base di dati di cui l’umano, per l’enorme quantità di dati in circolazione, potrebbe perdere addirittura il controllo, quale sarebbe la modalità di comunicazione, di diffusione del sapere che informerà di sé l’umanità?
Ecco alcuni dei problemi etici che pone lo sviluppo dell’intelligenza artificiale: sono molti ed è da ormai qualche anno che anche la Cgil studia e tenta di analizzare i possibili rischi che una tecnologia non governata e così pervasiva può creare non solo per quanto attiene gli aspetti lavoratici ma anche per quanto attiene gli aspetti sociali e l’esercizio della democrazia.
Abbiamo sempre parlato di un cambio di paradigma sociale che aveva ed ha ancor più necessità di essere regolamentato e non si possono fare regole valevoli solo per un pezzo di mondo quando la tecnologia non conosce confini; ecco allora che ancora anche questa volta l’Italia, con la sua Autorità garante per la privacy, ha posto un punto di attenzione su un tema che va aldilà della mera tutela dei dati degli utenti, che pure è un elemento essenziale, e ha posto un tema che va aldilà anche della tutela della privacy che noi intendiamo come diritto del singolo.
Il garante, aprendo questa istruttoria, ha nuovamente posto l’attenzione su un meccanismo di intelligenza artificiale che, come gli altri, necessita di regole trasparenti capaci di essere lette e comprese dagli utenti ma ancor più, a monte, pone nuovamente per chi lo voglia leggere un problema di governo generale delle implementazioni. Un tema che non riguarda soltanto il sindacato ma la società tutta e che deve coinvolgere politici, deve coinvolgere sociologi, deve coinvolgere filosofi, psicologi, antropologi, economisti, cioè tutti coloro che hanno la possibilità di dare uno sguardo specifico che, insieme gli altri, divenga olistico sul futuro e sul presente dell’umanità e funga da supporto alle necessarie scelte programmatorie.
Cinzia Maiolini è responsabile Ufficio 4.0 Cgil
L'INIZIATIVA DOPO LE DICHIARAZIONI SHOCK SU VIA RASELLA. Di fronte alle parole gravissime del Presidente del Senato non possiamo tacere. Abbiamo raccolto in poche ore le firme su un appello per le dimissioni di La Russa che vi […]
Di fronte alle parole gravissime del Presidente del Senato non possiamo tacere. Abbiamo raccolto in poche ore le firme su un appello per le dimissioni di La Russa che vi chiediamo di pubblicare. In particolare segnaliamo quelle dei partigiani Gastone Cottino e Aldo Tortorella, dell’ex-presidente della Camera Fausto Bertinotti, del presidente dell’Arci Walter Massa, di storici, intellettuali, artisti, attivisti e ex-parlamentari. Da alcuni minuti la petizione è on line e chiediamo di firmarla a tutte le cittadine e i cittadini che si riconoscono nella Costituzione nata dalla Resistenza.